Maria e la strage degli innocenti, in fuga, rifugiata, come le madri di Gaza. Maria protegge, abbraccia e sfama. Maria, sii dattero di salvezza per ogni bambino di Gaza

Mamma, penso mi stia andando via il latte, la bambina piange e credo non le basti più il mio” – al telefono, pochi giorni fa, mia figlia preoccupata mi condivide le sue ansie di neo mamma. E così, bilancia elettronica, biberon e tettarelle, pediatra, latte artificiale, quale marca, bio o con formula anticoliche, in polvere o liquido, farmacia…

Io faccio la parte della nonna rasserenante, ma mi perdo in questa giungla sempre più complicata e sofisticata in cui i neo genitori devono oggi riuscire ad orientarsi senza perdersi. Provo sempre a semplificare, essere pratica ed essenziale, ma non è per niente facile…

E poi, nelle stesse ore arrivano le storie da Gaza…

Quelle delle madri e dei loro bambini.

Che non parlano di ansia, ma di disperazione e lotta per la sopravvivenza.

Oggi c’è Sabine ed il suo piccino: ha partorito durante la guerra, stesso tempo di mia figlia.

È seduta per terra, qualche bottiglia d’acqua a fianco, un rotolo di carta igienica…

È sfollata a sud, ha abbandonato la sua casa ed ora è rifugiata in una scuola. Manca tutto, proprio tutto per mantenersi in vita, lei ed il suo bambino. Due occhi profondissimi, più neri del suo abaya e niqab, gridano da dietro e da dentro una tragedia immensa, uno smarrimento senza fine.

La sua voce mi colpisce.

È sicura e disperata insieme.

Forte, giovane, tenace, ma le parole che ci arrivano nella traduzione, sono durissime e raggelano ogni coscienza.

Non piange. Forse ha smesso di farlo, perchè sa che anche le lacrime sono preziose.

Denuncia.

Domanda a Dio…

La raffronto con la voce della telefonata con mia figlia e mi si tormenta il cuore.

Ho letto che le madri a Gaza, quelle che potrebbero allattare, hanno perso il loro latte a causa di traumi e denutrizione e che vedono morire i loro piccini di stenti e malattie, oltre che a causa dei bombardamenti.

Troppe madri, troppi bambini.

Sole, senza i loro uomini a poterle proteggere.

Neonati in braccio, senza né culle, né giacigli, nutriti a volte solo con un dattero, avvolto in una pezzetta di stoffa, come se fosse un ciuccio. Poche gocce, succo dolce, potente nutriente che le donne arabe conoscono bene.

Tamar, il dattero in ebraico, forse il frutto più antico dell’umanità.

Sulla strada tra Gerusalemme e Betlemme ci sono i resti di una antica chiesa bizantina, la chiesa del Kathisma, del “riposo di Maria”.

Al centro della pianta ottagonale c’è una grande pietra sporgente, quella dove la tradizione narra che Maria incinta chiese di fermarsi all’ombra di una palma desiderando di mangiarne i frutti ed un meraviglioso mosaico, ben conservato, raffigura una palma carica di datteri.

Lo stesso luogo, citato sia nel protovangelo di Matteo che anche in una sura del Corano, fu scelto dalla famiglia di Gesù durante la fuga in Egitto. Qui, Maria chiese dei datteri a Giuseppe, ma questi rispose nello sconforto di non riuscire a raccoglierli, vista l’altezza dell’albero. Fu proprio Gesù Bambino che disse alla palma di abbassare i suoi rami e questa, per miracolo, si piegò su Maria.

Maria in fuga, Maria come le madri di Gaza.

Maria come Sabine.

Maria, rifugiata.

Maria e la strage degli innocenti.

Maria che protegge, chiede, prende l’iniziativa, non si arrende, parte, cammina, abbraccia e sfama.

Maria e i datteri.

Maria, madre di tutti gli uomini, madre di tutte le madri, oggi ti chiedo perdono per quello che da qui non riesco a fare, per lamentarmi, per preoccuparmi del superfluo.

Maria, sii dattero di salvezza per ogni bambino di Gaza.

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