È allarme rincari dal pane al caffè

Prezzi di pane e pasta che volano. Quello del caffè al bar imbizzarrito. Gli effetti delle tensioni di giorno in giorno si fanno sempre più sentire.

Per generi alimentari come pane e pasta i rincari erano previsti, previsioni che, osserva Assoutenti, «trovano conferma sia nei dati sull’inflazione di marzo dell’Istat, sia negli ultimi numeri del Mise». E si concretizzano, secondo l’associazione, in una crescita del 15,6% per la pasta e in un +10% per il pane. L’Istat per il mese passato registra un incremento del 5,8% per il pane e del 13% per la pasta ma, analizzando i listini medi delle province pubblicati dal Mise, si scopre che per il pane, la città che registra i rincari più elevati è Terni, con i prezzi medi che salgono del 9,9%, passando da 2,22 euro al kg a 2,44 euro. A poca distanza Cremona, con aumenti al dettaglio dell’8,4%, mentre al terzo posto si piazza Padova (+6%).

Ben peggio il comparto pasta: la Calabria è leader dei rincari: a Catanzaro il prezzo al chilo è passato da 1,22 ad una media di 1,41 euro, con un incremento del 15,6% mentre a Reggio Calabria si registra un aumento del 13% ed a Cosenza del 12,5%.

Emergenza che spinge le associazioni dei consumatori iscritte al Cncu (Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti) a riunirsi per la prima volta in assemblea generale, mercoledì, per presentare al Governo misure contro i rincari.

Non va meglio al caffé: secondo il Mise l’espresso ha superato l’euro e 20 centesimi a Bolzano mentre in altre città del Nord è a 1,19. Se il prezzo medio in 25 città è di 1,10, va considerato che l’Istat ha registrato a marzo un’inflazione annua per ristoranti e bar del +3,8%, nel confronto tra settembre e febbraio. Così emerge che l’aumento più alto dei listini al pubblico è a Pescara, dove il prezzo medio dell’espresso è passato da 1 euro a 1,12, rincarando del 12%. Seguono Alessandria (+11,3%), e Ravenna (+9%). Controcorrente Trento dove è sceso del 2,5%.

Secondo l’Osservatorio Cpi dell’Università Cattolica di Milano la crescita dei prezzi internazionali di materie prime e alimentari comporta un maggior costo per le nostre importazioni, soprattutto per i beni energetici. In uno scenario in cui i livelli dei prezzi si stabilizzano a quelli pre-guerra, il costo sale a 75 miliardi in più sul 2019. Se le tensioni russo-ucraine dovessero stabilizzare i prezzi ai livelli di marzo, il costo potrebbe superare i 110 miliardi.

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Le associazioni dei consumatori indicano aumenti a due cifre per i beni alimentari