BIBBIA E LITURGIA Beati… beati… ma oggi che senso ha?

Lascia attoniti, la Parola di oggi, per chi voglia farsi scuotere, per chi voglia penetrarla senza farne un quadretto astratto. Perché è una Parola che si tinge di attualità, in espressioni snocciolate come rosari che si tirano dietro, nel momento che viviamo, il dramma che pulsa e ci percuote. Gli angeli dell’Apocalisse, coloro a cui è stato reso possibile di «devastare la terra e il mare», vengono fermati affinchè prima si compia la visione della «moltitudine immensa» di «quelli che vengono dalla grande tribolazione». Non è possibile ascoltare queste parole senza che arrivino immagini sempre nuove da Gaza, e poi immagini da Israele, immagini dall’Ucraina, immagini da altre sanguinante regioni del mondo.
La Parola si fa carne oggi nella tragedia che seguiamo, e ci interpella, non ci lascia tranquilli. Nessun discorso sull’aldilà è lecito se non abbiamo un senso di responsabilità vera, solidale, umana con chi è piegato dalla violenza, dalla guerra, dalla fame, dalla morte. Che Parola può mai darsi a noi, oggi, per risultare affidabile e credibile?
E, ancora di più, mentre si scioglie la litania tante volte ascoltata delle Beatitudini, come resistere alla disperazione, al rinchiudere belle formule nell’utopia senza realtà? Beati i poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, i perseguitati per la fede… teoria di sconfitti, elenco che nei fili di dolore e sofferenza annoda ciò che martella terre e persone con i nostri smarrimenti.

Non voglio farmi passare invano queste espressioni e relegarle solo al futuro, all’oltre. Oggi questa pagina di Vangelo suona stonata, suona quasi beffarda, carica della pena del mondo che sembra non finire mai. Macerie di umanità, pianti e lutti, follie e abissi, retoriche e complicità, bombe e sepolture, innocenti sottratti alla luce: chi mai può sentire oggi una beatitudine, anche una sola, e non sentire lo stridore, lo scarto che si imprime tra parole e vita carnale, vita quotidiana, vita di molti?
Sarà bene, sarà salutare, ne sono convinto, entrare in questo stridore, farci scuotere da questa dicotomia. Voglio dare spazio a voce al ‘non credente che è in me’, come diceva un saggio pastore, perché è l’unica via che sento essere necessaria affinché la mia umanità e la mia lealtà verso il dolore degli altri siano più vere e non fughe. Almeno questo, almeno il minimo che possa chiedere a Dio: dove sei? Per chi, per che cosa quelle parole di beatitudine alla fondazione del Regno? Che valore, che peso, che realtà possono avere, oggi (e ieri, e domani)?
Stare sulle domande, e abitare il silenzio: il silenzio di Dio, il silenzio dell’uomo e della donna rese vittime, il silenzio irresponsabile di quanti sono colpevoli della violenza che dissecca l’umano.
Donaci una speranza, Dio.

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