In 2000 anni di storia la Chiesa ha sviluppato una dottrina che fonda le sue basi sulla Sacra Scrittura, la Tradizione e il suo magistero vivente, crescendo sempre di più nell’intelligenza della fede

L'essenza del cristianesimo è la carità

L’annuncio della modifica del Catechismo della Chiesa Cattolica sul tema della pena di morte ha generato un vivace dibattito in tutto il mondo. Ogni sviluppo della dottrina nella storia della Chiesa ha suscitato consensi o critiche costruttive ma anche resistenze e rifiuti. Oggi può far rumore una nota di Amoris laetitia o un nuovo insegnamento sulla pena capitale, ma guardando indietro, ripercorrendo velocemente 2000 anni di cristianesimo, si nota che tante cose sono cambiate e oramai le diamo per acquisite. Resta il fatto che ogni cambiamento può creare scandalo e sconcerto.
La pena di morte nella Bibbia
Basta leggere la Bibbia per comprendere quanto cammino si è fatto. Oggi si resta inorriditi di fronte a certi ordini impartiti da Dio a Mosè, come vengono riportati dalle Sacre Scritture. Nel Levitico (Capitolo 20) il Signore comanda di uccidere idolatri, adulteri, sodomiti, incestuosi e anche chi maltratta il padre o la madre deve essere messo a morte. Certo Mosè è vissuto più di 3000 anni fa. Certo, questi ordini sono contenuti nell’Antico Testamento, però alla fine della lettura diciamo sempre: Parola di Dio.
Progressi dottrinali nella prima comunità cristiana
Pensiamo al trauma vissuto dai primi cristiani convertiti dall’ebraismo: quanto coraggio hanno dovuto avere nell’abbandonare leggi fondamentali del loro popolo, come la circoncisione. Quanta apertura di mente e di spirito per accettare nella Chiesa i pagani, considerato allora non lecito. Pietro – raccontano gli Atti degli Apostoli – aveva già ricevuto lo Spirito Santo, ma ancora non lo capiva. Solo davanti a un centurione romano, Cornelio, e alla sua famiglia, viene illuminato e dice: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti”. In questa frase “sto rendendomi conto” c’è tutto il graduale progredire della nostra conoscenza delle verità di Dio. Un cammino che non finisce finché dura la storia. Cresce l’intelligenza della fede.
Primi Concili ecumenici
Pensiamo al cammino della Chiesa nei primi Concili ecumenici nello stabilire le fondamenta delle verità cristiane, a partire dalla Trinità e dai dogmi cristologici. Tante le lotte contro le eresie in questo periodo all’insegna del motto “Extra ecclesiam nulla salus” (al di fuori della Chiesa non c’è salvezza). Niente Paradiso, dunque, per i non battezzati. Eppure, pian piano si è compreso in modo più profondo questo concetto, come dice la Dichiarazione Dominus Jesus firmata dal cardinale Ratzinger: “Circa il modo in cui la grazia salvifica di Dio, che è sempre donata per mezzo di Cristo nello Spirito ed ha un misterioso rapporto con la Chiesa, arriva ai singoli non cristiani, il Concilio Vaticano II si limitò ad affermare che Dio la dona «attraverso vie a lui note»”. Capiamo sempre meglio che Dio vuole salvare tutti.
Eresie e violenza
La lotta contro gli eretici, contro chi la pensa diversamente, si sa, ha portato conseguenze nefaste nella storia: guerre di religione, roghi, inquisizione. Anche se tante leggende nere promosse dalla propaganda anticattolica sono state smontate dagli storici, non nascondiamoci dietro un dito: la Chiesa, figlia del suo tempo, ne ha condiviso spesso la mentalità. Oggi tremiamo nel leggere la Bolla pontificia “Ad Extirpanda” promulgata nel 1252 da Papa Innocenzo IV e confermata da Papa Alessandro IV nel 1259 e da Papa Clemente IV nel 1265: il documento approvava la tortura dei sospetti eretici, anche se molto mitigata rispetto a quanto veniva fatto dai contemporanei: non doveva procurare mutilazioni né fuoriuscita di sangue né la morte. Tutto questo perché si considerava sopra ogni cosa la salvezza dell’anima. Quanti cambiamenti da allora.
Graduale comprensione della libertà di coscienza
E quanta strada è stata fatta rispetto alla dottrina dell’Enciclica Mirari vos di Papa Gregorio XVI, del 1832. E’ ovvio, siamo in un contesto storico difficilissimo per il Papato, sono passati quasi 200 anni, ma alcune frasi ci fanno comprendere meglio le ragioni dei progressi dottrinali. Gregorio XVI definisce la libertà di coscienza come un “delirio” un “errore velenosissimo” che apre la strada a “quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato”, in aggiunta a “quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita «libertà della stampa» nel divulgare scritti di qualunque genere”. La Chiesa ha imparato meglio a comprendere cosa sia la libertà anche da quelli che non sono nella Chiesa.
Scandalizzati da una dottrina che cambia
Lo scandalo dello sviluppo della dottrina nasconde un problema centrale della fede: una Legge che non cambia dà sicurezza e potere all’uomo che in questo modo riesce a controllare i suoi comportamenti religiosi e anche a manipolare le esigenze delle norme divine. Una Legge che cambia, toglie questo potere e lo dà nelle mani di un Altro. Questo è stato lo scontro immane di Gesù con i farisei. Gesù si è posto come Legge vivente, mentre i farisei chiedevano una Legge scritta e muta che potevano gestire. Se la Legge è vivente, non smette di parlare e di dire cose nuove e soprattutto ci costringe a cambiare. Questo non ci piace perché in ognuno di noi c’è sempre un fariseo che rispunta con le sue ragioni immutabili e immobili. La Legge dell’amore, invece, ci muove, ci spinge a un continuo esodo dall’io al tu. E’ un continuo progredire nella conoscenza della verità assoluta che è Dio e Dio è amore. E l’amore ci costringe a cambiare per l’altro. Il bello è che anche Dio – che è lo stesso ieri, oggi e sempre – è cambiato per amore nostro: e si è fatto uomo.
Appartenere alla Verità
Tornando a Pietro davanti ai pagani, stava imparando che non era lui il padrone della verità ma che apparteneva alla Verità. Mentre parlava, lo Spirito Santo scendeva sopra tutti coloro che ascoltavano il suo discorso: “E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?»”. E’ Dio che ci fa comprendere sempre meglio Se stesso. Ci fa comprendere che l’essenza del cristianesimo è l’amore.
Nessun Pietro sarà contro la Chiesa
Infine, per quanti contrappongono Benedetto XVI e Giovanni Paolo II a Francesco, si possono ricordare le parole consolanti pronunciate da Papa Ratzinger il 27 maggio 2006 a Cracovia, davanti a un milione di giovani. Ai ragazzi cresciuti nella fede da Papa Wojtyla, Papa Benedetto dice con forza: “Non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell’amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! (…) Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell’aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo”.

vaticannews.va

Intenzione di preghiera del Papa per agosto: la famiglia, tesoro dell’umanità

Pregare nel mese di agosto per le famiglie. Francesco nel videomessaggio, promosso dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, parla della famiglia come di un tesoro che va custodito dai pericoli di oggi: “il ritmo della vita attuale, lo stress, la pressione del lavoro e anche, la poca attenzione da parte delle istituzioni”.

Adeguate politiche famigliari

“Bisogna promuovere misure concrete – dice il Papa – e sviluppare il loro ruolo nella società con una adeguata politica familiare”. L’auspicio di Francesco è che “le grandi scelte economiche e politiche proteggano le famiglie come un tesoro dell’umanità”.

vaticannews

Lavoro / Accordo Cariparma Credit Agricole assume 200 persone

Cariparma Credit Agricole assume 200 persone

Firmato l’accordo che stabilisce circa 200 assunzioni in Cariparma Crédit Agricole. L’intesa, annuncia il sindacato Fabi, raggiunta dalle organizzazioni sindacali, garantisce la stabilizzazione di 149 lavoratori con contratto a tempo determinato, l’assunzione di 50 nuove risorse oltre che l’uscita volontaria e incentivata di 200 dipendenti. Per questi ultimi, l’accesso al Fondo di solidarietà avverrà solo ed esclusivamente sulla base della graduatoria già definita secondo i precedenti accordi che avevano già visto l’adesione di 300 lavoratori in possesso dei requisiti per il prepensionamento.

Per quanto riguarda le assunzioni, i nuovi addetti andranno a rafforzare prevalentemente la rete commerciale e saranno
formalizzate gradualmente e in correlazione alle uscite, comunque non oltre dicembre 2019, mentre le stabilizzazioni avverranno secondo scadenza contrattuale.

avvenire

Adulti in gioco. Tenere il passo dei ragazzi per dar voce al Vangelo

I giovani di Novara in cammino

I giovani di Novara in cammino

I centri di pastorale giovanile, in questi giorni, sono ingombri di cartoni. Qualcuno va al biscottificio in diocesi e se ne viene a casa con un paio di quintali di biscotti per le colazioni dei giorni di cammino. I ragazzi aprono i cassetti e vivono la vertigine di chi ha messo sul letto una montagna di indumenti ed effetti personali, ma sa che nello zaino deve entrare solo il necessario.

Preparativi per la partenza a Caltagirone

Preparativi per la partenza a Caltagirone

Basterebbe questa immagine per dire che c’è molto in gioco e molto già in movimento: gli uffici pastorali che ritrovano la sana agitazione di chi si è preso la briga di convocare e coinvolgere ed ora si ritrova a condurre, guidare, sostenere; le relazioni con il territorio che crescono e l’offerta di un po’ di biscotti non è la furbata di chi ottiene le cose senza pagare, ma la sorpresa di chi ha ricevuto solidarietà e ha barattato un po’ di cibo con una preghiera durante il pellegrinaggio; i giovani che finalmente si accorgono dell’inutile stipato nelle loro case e sono costretti a scegliere l’indispensabile – operazione quanto mai difficile e già di per sé educativa.

Siamo alla vigilia di un grande momento di Chiesa: il Sinodo plasticamente rappresentato da giovani che camminano in un gesto di comunità accompagnati da cristiani adulti (laici e preti) che non intendono sottrarsi alla domanda su cosa possa significare consegnare il Vangelo di Gesù a questo tempo; unica operazione in grado di farci sentire ancora generativi di qualcosa.

Il gruppo di Brindisi in cammino

Il gruppo di Brindisi in cammino

Il punto è che il Vangelo non lo si consegna come un testo del passato, ma come qualcosa che vive nel cuore e lo anima. Altrimenti non accade nulla. E quindi la consegna a cui siamo chiamati come Chiesa che si interroga sui giovani, è una domanda che ci torna indietro: non sulla ‘loro’ fede, ma sulla nostra; non sulle ‘loro’ fatiche, ma sulle nostre. Ci stiamo chiedendo, da adulti che si mettono per strada accanto ai giovani, quanto e cosa arde nel cuore; ci stiamo chiedendo se sulla montagna, durante il discorso di Gesù, ci saremmo addormentati ascoltando le Beatitudini (per citare Tommaso Moro che rispondeva a chi gli chiedeva di giurare per il re).

Ci mettiamo per strada per ritrovare la direzione che porta a rendere testimonianza al Vangelo e all’umanità che esso vorrebbe promuovere. Operazione complessa, molto più di ciò che si possa pensare: chiede di non pretendere di stare sempre davanti, perché il passo dei giovani è più sicuro e rapido; chiede di ascoltarli e accoglierli, perché – come i polmoni – essi sono i primi sensori dell’aria che tira; chiede di trovare tempo e pazienza per accompagnarli, perché in questo esercizio (anche di silenzio fecondo) tutti si torna ad essere discepoli del Maestro, unica condizione per una Chiesa credibile.

Rembrandt, Ronda di notte (olio su tela, 1640-1642, Rijksmuseum, Amsterdam)

Rembrandt, Ronda di notte (olio su tela, 1640-1642, Rijksmuseum, Amsterdam)

La «Ronda di notte» di Rembrandt, in realtà è un laicissimo quadro che ritrae un capitano mentre raccoglie la sua compagnia: nel buio della notte tutti si alzano invitati da un gesto semplice e autorevole. Non mancano i sorrisi e l’entusiasmo: le imprese comuni, di solito, scaldano il cuore degli uomini. Mi si perdoni l’accostamento, ma è un po’ l’immagine di questi giorni e di ciò che sta per accadere: una Parola che chiama, il Papa che incontra, ascolta e accoglie, una Chiesa che è madre e che – senza paura – torna a vivere la gioia dell’incontro con i suoi figli.

in Avvenire / di Michele Falabretti – responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile

Il video. Papa Francesco: fare il Papa non è facile, ma è divertente

da Avvenire

Francesco ha ricevuto in Vaticano, prima dell’udienza generale, i giovani gesuiti che partecipano all’incontro “European Jesuits in formation”, in corso a Roma

Ci sono «tanti giovani senza lavoro» perché «c’è una risistemazione dell’economia mondiale, dove l’economia, che è concreta, lascia il posto alla finanza, che è astratta» e «crudele». E in «un immaginario collettivo che non è concreto, ma è liquido o gassoso» al centro troviamo «il mondo della finanza», mentre «al suo posto avrebbero dovuto esserci l’uomo e la donna». Oggi «questo è, credo, il grande peccato contro la dignità della persona: spostarla dal suo posto centrale». È questa la riflessione proposta da papa Francesco incontrando ieri mattina, prima dell’udienza generale, i partecipanti all’incontro “European Jesuits in formation”. Rispondendo ad una domanda il Pontefice ha sottolineato che «la finanza assomiglia su scala mondiale alla catena di Sant’Antonio!».

Così, «con questo spostamento della persona dal centro e col mettere al centro una cosa come la finanza, così “gassosa”, si generano vuoti nel lavoro». Il vescovo di Roma ha poi ricordato che «suicidi, dipendenze e uscita verso la guerriglia sono le tre opzioni che i giovani hanno oggi, quando non c’è lavoro». Così è «importante capire il problema dei giovani». E poi «muoversi» per risolverlo. Il problema infatti «ha soluzione, ma bisogna trovare il modo, c’è bisogno della parola profetica, c’è bisogno di inventiva umana, bisogna fare tante cose. Sporcarsi le mani…».

Nel suo saluto iniziale il Pontefice ha esortato i confratelli gesuiti a non avere una pastorale uniforme: infatti insieme a «una grande obbedienza al pastore» ci vuole «una grande libertà, senza libertà non si può essere gesuita». Così «l’originalità della Compagnia» è proprio questa: «unità con grande diversità». E li ha invitati a rileggersi l’allocuzione di Paolo VI alla XXXII Congregazione generale («il discorso più bello che un Papa abbia fatto alla Compagnia») e l’ultimo intervento del preposito generale Pedro Arrupe, il suo “canto del cigno”. In questi due testi infatti «c’è la cornice di quello che oggi la Compagnia deve fare: coraggio, andare alle periferie, agli incroci delle idee, dei problemi, della missione…». «Il lavoro del Papa non è facile – ha poi detto sorridendo –… Forse questa sembra un’eresia, ma abitualmente è divertente».

Venezia chiede più rispetto ma sarà sempre città aperta

Turisti a Venezia (Ansa)

da Avvenire

Mentre rigira la bic tra le dita, la scappuccia, la picchietta – è come se tormentasse il turista maleducato – Andrea Molesini ricorda il protagonista del suo romanzo, Presagio, se non fosse proprio per quella biro, che dichiara morto e sepolto il tempo delle penne d’ebanite e dei Vacheron, della città «metà fiaba e metà trappola» ( Thomas Mann), ancora oggi, peraltro, «incompatibile con la modernità» (Massimo Cacciari). Nel romanzo, il nonno di Andrea, intrattenendo l’annoiata marchesa von Hayek nel lusso del Grand Hotel Excelsior, spiega che il segreto della noia consiste nell’«aver in tasca i denari per pagarsela». Una condizione rara tra i turisti che oggi sciamano da piazzale Roma e Santa Lucia nelle calli e nei campielli, sfidando questa «strana città traditrice», dove, scriveva Hemingway, «andare a piedi da un punto a un altro punto qualsiasi è più divertente che fare le parole crociate».

Stando alle statistiche, i visitatori dei musei sono in aumento, eppure per molti turisti Venezia non è Palazzo Grassi e non sarà mai Torcello. Gli arrivi in alberghi e affittacamere (4,6 milioni annui) sono solo un sesto del totale, anche a prender per buone le stime diffuse da Ca’ Foscari e non confermate dal Comune. Unico dato certo: la permanenza alberghiera è ferma a 2,3 giorni da decenni, come lamenta l’Associazione Veneziana Albergatori. Il resto è uno tsunami di sandali, voci e sudore. Italiani ma soprattutto stranieri che arrivano e ripartono in giornata, inarrestabili e inevitabili come l’acqua alta in piazza San Marco, che non sparirà neppure quando sarà terminato il Mose.

San Gimignano: cultura, vino e turisti mordi e fuggi

Una veduta di San Gimignano

Si svela al culmine dell’arrampicata. Là dove l’erta vigna di Cellole regala i suoi grappoli più pesanti, fra i tralci di Vernaccia s’intravede la Manhattan della Valdelsa. La chiamano così per via delle tredici torri che ne disegnano lo skyline. Un patrimonio dell’umanità talmente sfruttato dall’industria turistica che l’Unesco ha chiesto di introdurre il numero chiuso. Un borgo talmente tuscan style che una multinazionale ha deciso di costruirne una copia esatta in Cina, dentro una megalopoli da 33 milioni di abitanti. Letizia ti porta fin quassù per dimostrare che a San Gimignano non si campa solo di turismo: «Ci siamo anche noi, con il nostro olio e soprattutto con il nostro vino» rivendica la presidente del Consorzio che tutela l’unico grande bianco in questa terra di grandi rossi.

Il Chianti è oltre la collina. Dal lato opposto, verso l’Aretino, si trovano i caveau del Brunello. Letizia Cesani avverte però che “la Vernaccia è un vitigno autoctono e non un semplice ”percento“ di Sangiovese. Storicamente è la prima Doc italiana e affonda le radici nella preistoria”. Non bluffa mica. La conformazione calcarea dei suoli prediletti da questa varietà d’uva dipende dai fossili dispersi nel terreno, un letto di conchiglie depositate milioni di anni fa, dal ritirarsi del Mediterraneo. Più vicino, ma già nel Duecento, re, papi e mercanti bramavano questo bianco dal sapore di mare e di mandorla, che cresce su colline di tufo, tosche e prima ancora etrusche, scoperte verso la fine degli anni Sessanta dai turisti inglesi e americani, ormai sazi di Firenze e in cerca di altre madonne e crocifissi usciti dalla sgorbia dei maestri rinascimentali. Cinquant’anni dopo, eccoci in un borgo medievale talmente perfetto da sembrare una quinta teatrale e dove invece ogni muro è autentico e tutti sono al servizio dell’industria turistica.

A San Gimignano si entra da porta San Giovanni. Non è l’unico accesso, ma è più vicino ai parcheggi, una delle entrate più cospicue del Comune. Via san Giovanni è come via dei Calzaiuoli a Firenze. Anche qui si è persa l’anima artigiana del centro storico. Una bottegaia esibisce orgogliosa burattini di Pinocchio “made in Italy” e sottolinea che non sono cinesi, perché quelli “costano la metà ma la differenza la si nota”. In realtà, il trionfo dellow cost non è regolato solo dalle infallibili leggi della concorrenza: dipende dal livello culturale del turista, che è quel che è. Va a ruba, ad esempio, la pasta multicolori, quella che trovi su ogni bancarella, da Roma a Como, da Venezia a Gaeta: pipe aromatizzate agli spinaci, rigatoni color di zucca e fusilli al nero di seppia… In un angolo, a due euro al pacco sono in vendita i pici, pasta tipica del Senese, che forse per il nome poco commendevole vengono scelti dai pochissimi che s’intendono di Aglione – rigorosamente della Valdichiana – e Cinta senese, indispensabile per il ragù.

Nella città delle cento torri – erano 74 e ne sono rimaste 13 – il turismo è la principale fonte di reddito. Sarebbe l’unica se non fosse per la Vernaccia di Letizia e degli altri vitivinicoltori che, coltivando 730 ettari di colline, producono ogni anno poco più di cinque milioni di bottiglie, metà delle quali destinate all’export, soprattutto negli Usa. È grazie alla campagna che la circonda – vino, olio e zafferano generano un giro d’affari di 40 milioni di euro –, che San Gimignano ha ancora un popolo e un’identità. Con tante incognite, certo. Adottare l’assetto agronomico a maglia fitta, gestendo seminativi e arboricoltura in funzione dell’ecosistema, permette di offrire allo sguardo incantato del visitatore la tipica cartolina toscana – che alterna campi di grano, vigne e boschi in piccoli appezzamenti punteggiati di casolari – ma ha dei costi. In questa campagna che un tempo era soggiogata dalle famiglie turrite di San Gimignano si è fatta una scelta che si paga: conservare le produzioni locali e coltivarle con il metodo biologico, rinunciando alla chimica in campo e anche a una parte del raccolto.

Per contro, la turistificazione del centro storico ha portato ad espellere gli abitanti – ne sono rimasti 700 sui 7700 residenti nel Comune, in pratica San Gimignano abita tutta fuori porta – e a trasformare questo gioiellino dell’urbanistica medievale in un outlet dell’arte. Evoluzione che nessuno, in città, si sente di condannare, perché, come raccontano, “prima del turismo qui si faceva la fame”. Il boom turistico è stato un volano per tutti ed oggi San Gimignano offre 5.240 posti letto, in pratica uno ogni abitante. Anche qui, però, la maggioranza dei turisti è come la marea: arriva al mattino e prima del tramonto se ne va. I visitatori che ogni anno accedono a San Gimignano sono 3 milioni mentre gli arrivi negli alberghi si fermano poco sopra quota 180mila (488mila permanenze).

La riqualificazione del turismo è il primo obiettivo del Comune che tenta di instillare qualche goccia di cultura nel cranio dei “lanzichenecchi” del terzo Millennio, quelli che ogni giorno espugnano il Palazzo Comunale, scorrazzano nella sala di Dante, senza aver la minima idea dell’ambasciata che vi condusse il Sommo Poeta, transitano indifferenti di fronte alla Maestà di Lippo Menni senza collegarla minimamente a quella senese di Simone Martini, sciamano nella Pinacoteca – tanti saluti a Benozzo Gozzoli e al Pinturicchio – per infilarsi nella torre grossa, con il solo desiderio di fotografare la città dall’alto. Il day trip si conclude nella Collegiata, dove, sotto un dipinto del Ghirlandaio, giace Santa Fina, cui i sangimignanesi sono devotissimi (ma i lanzichenecchi non lo sanno): per il 90% degli escursionisti la visita alla città toscana termina qui, malgrado gli sforzi del Comune di valorizzare il convento di Sant’Agostino e quello di San Domenico, attraverso mostre e concerti. Registrano invece il tutto esaurito i musei privati della tortura e della pena di morte, che con la storia della città non c’entrano assolutamente nulla, ma entrano – chissà perché – nei pacchetti dei tour operator.

«Il nostro tentativo è destagionalizzare il flusso turistico arricchendo il cartellone delle manifestazioni culturali anche nella bassa stagione e costruire delle reti con le frazioni e i comuni vicini – spiega l’assessore alla cultura Carolina Taddei –; in particolare con Volterra e Poggibonsi, che condividono con noi la cultura della società rurale toscana, perché per convincere il turista a prolungare la sua permanenza in questo territorio dobbiamo fargli scoprire le immense ricchezze naturali della campagna».

Quest’anno il programma delle manifestazioni per la “bella stagione” termina a metà ottobre, con un rinnovato investimento nella lirica, che ha vissuto la sua stagione aurea in piazza Duomo fino agli anni Novanta. Un cartellone ad hoc sarà proposto per i mesi invernali. Non è tutto. C’è il rinnovato interesse per la via Francigena e per la via del Sale che permettono di fare rete con Casole d’Elsa, Colle di Val d’Elsa, Poggibonsi, Monteriggioni e Radicondoli. E c’è soprattutto la scommessa dell’Unesco, che ha scelto San Gimignano per farne un modello di turismo sostenibile: esiste già un portale ( visitworldheritage.com ) dove “le dolci colline ricoperte di filari di viti, tetti in terracotta e torri fortificate” sono proposte ai globe-trotter come una meta da non perdere. «Il sito è in inglese – rivela la Taddei – e sarà tradotto presto in cinese, ma non in italiano, e questa per noi è un’indicazione chiara: si lavora sul turismo internazionale, che è stata la nostra prima vocazione e rappresenta il nostro futuro, per crescere in qualità». E in pernottamenti.

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