Venezia chiede più rispetto ma sarà sempre città aperta

Turisti a Venezia (Ansa)

da Avvenire

Mentre rigira la bic tra le dita, la scappuccia, la picchietta – è come se tormentasse il turista maleducato – Andrea Molesini ricorda il protagonista del suo romanzo, Presagio, se non fosse proprio per quella biro, che dichiara morto e sepolto il tempo delle penne d’ebanite e dei Vacheron, della città «metà fiaba e metà trappola» ( Thomas Mann), ancora oggi, peraltro, «incompatibile con la modernità» (Massimo Cacciari). Nel romanzo, il nonno di Andrea, intrattenendo l’annoiata marchesa von Hayek nel lusso del Grand Hotel Excelsior, spiega che il segreto della noia consiste nell’«aver in tasca i denari per pagarsela». Una condizione rara tra i turisti che oggi sciamano da piazzale Roma e Santa Lucia nelle calli e nei campielli, sfidando questa «strana città traditrice», dove, scriveva Hemingway, «andare a piedi da un punto a un altro punto qualsiasi è più divertente che fare le parole crociate».

Stando alle statistiche, i visitatori dei musei sono in aumento, eppure per molti turisti Venezia non è Palazzo Grassi e non sarà mai Torcello. Gli arrivi in alberghi e affittacamere (4,6 milioni annui) sono solo un sesto del totale, anche a prender per buone le stime diffuse da Ca’ Foscari e non confermate dal Comune. Unico dato certo: la permanenza alberghiera è ferma a 2,3 giorni da decenni, come lamenta l’Associazione Veneziana Albergatori. Il resto è uno tsunami di sandali, voci e sudore. Italiani ma soprattutto stranieri che arrivano e ripartono in giornata, inarrestabili e inevitabili come l’acqua alta in piazza San Marco, che non sparirà neppure quando sarà terminato il Mose.