L’amore che supera ogni barriera. Il sì all’altare di due ragazzi Down

Lorena e Simone si scambiano gli anelli durante il rito nuziale

Il loro amore ha resistito alle distanze, ai viaggi Bergamo-Roma e viceversa, a tante difficoltà. E finalmente sabato 3 giugno Lorena Chiesa e Simone Sciarrini, entrambi nati con trisomia 21, hanno detto il loro sì nella parrocchia di Sant’Alessandro a Villongo, nella Bergamasca, dopo qualche anno di vita condivisa nella mansarda della casa di Lorena. Che ha avuto come testimone l’attore Alessio Boni, originario di Sarnico, paese a neppure cinque chilometri da Villongo. Lui aveva promesso alla mamma di Lorena, Liliana Ducci, che avrebbe onorato questo impegno quando la ragazza aveva appena 7 anni. Ora ne ha 31 e lo scorso 21 marzo, Giornata mondiale delle persone con Sindrome di Down, aveva scritto in un post sul suo profilo Facebook: «L’amore non ha differenze», cogliendo l’occasione per annunciare le nozze con Simone. «Realizzeremo il nostro sogno d’amore», aveva aggiunto. Un sentimento consolidato e cresciuto negli anni: si erano conosciuti all’ostello In& Out di Barcellona nel 2010, durante un tirocinio lavorativo di tre settimane organizzato dall’Aipd (Associazione italiana persone down) nell’ambito del progetto europeo “Metteteci alla prova!”.

Galeotti furono gli sguardi: da allora la relazione non si è mai interrotta. « Lorena in precedenza aveva un altro ragazzo, che però non era certo dei suoi sentimenti. Invece Simone la chiamava ogni giorno per sapere come stava », ricorda la mamma Liliana. I due passano a lunghe videochia-mate quotidiane su Skype, ma il desiderio di rivedersi era forte: «Si vedeva che ci tenevano a continuare seriamente. Così abbiamo accompagnato Lorena a Roma per incontrare lui, che ha 7 anni più di lei, e conoscere la sua famiglia. Una volta rientrati a casa, non sapevamo come gestire la distanza. Visto che loro volevamo continuare a tutti i costi la loro storia, hanno imparato a viaggiare da soli in treno. Come genitori eravamo un po’ titubanti e anche preoccupati, pensavamo che si sarebbero stancati a motivo di tante difficoltà: invece non si sono più lasciati », dice con gioia Liliana, che ha accompagnato i neo-sposi in viaggio di nozze.

La crociera con giro delle isole greche si conclude proprio oggi e «loro sono felicissimi. Sulla nave hanno ricevuto tanti complimenti. Certo, non è facile orientarsi in un posto nuovo e molto vasto, ma Lorena mastica qualcosa d’inglese e sa dire il numero della sua cabina. Se hanno problemi, chiedono informazioni e per loro è una soddisfazione raggiungere da soli i loro obiettivi. Li lascio liberi anche di sbagliare e soprattutto di trovare le loro soluzioni, magari diverse dalle nostre. A volte noi mamme mettiamo paletti per le nostre paure, ma quando vediamo i figli felici lo siamo anche noi», osserva Liliana. Che ha visto giorno dopo giorno la maturazione di sua figlia e della coppia nell’autonomia e nella relazione: «Ci hanno messo tantissimo impegno. Quando lei di mattina è al lavoro come socio occupazionale in pasticceria, lui l’aiuta in casa, fa i letti e le pulizie. Hanno trovato un buon equilibrio a livello affettivo e pratico; fanno anche volontariato presso il bar dell’oratorio parrocchiale. Con i consuoceri collaboriamo e ci confrontiamo, ma sempre in punta di piedi».

Il primo messaggio che Lorena e Simone lanciano con la loro esperienza? «L’amore supera ogni barriera e confine. Spero anche in un cambiamento di mentalità: non dovrebbe essere strano o tabù che due persone con la sindrome di Down si sposino. Noi ci siamo accodati a credere insieme a loro in questo sogno, reso possibile perché sono stati accompagnati non solo dalle loro famiglie, ma da associazioni e tante persone che hanno contribuito a questa crescita nell’autonomia e nell’amore», sottolinea la mamma di Lorena. Dal titolare della pasticceria al maestro di ballo: sì, perché Simone ha condiviso la passione per la danza della sua dolce metà e insieme gareggiano per la Dance Academy Asd, raggiungendo il titolo di campioni italiani come coppia nel merengue e nel latinoamericano. Lo scorso 1° ottobre si sono anche esibiti con un passo a due di merengue durante la trasmissione televisiva “Tú sí que vales”.

« I genitori di Lorena e Simone hanno creduto fermamente in loro, li hanno presi sul serio e trattati da adulti, com’era giusto che fosse. Non hanno liquidato il loro amore come un gioco di bambini, come purtroppo a volte accade, ma hanno sostenuto il loro sogno fino a vederlo realizzato. La loro storia parla molto di autodeterminazione, che può realizzarsi solo se la rete intorno alle persone con disabilità, in particolare intellettiva, partecipa e si mette a disposizione per il suo compimento », ha dichiarato in occasione del matrimonio Gianfranco Salbini, presidente di Aipd nazionale, ricordando all’ultima assemblea dei soci una delegazione di persone con trisomia 21 ha portato all’attenzione di tutta l’associazione una mozione «in cui è stato esplicitamente richiesto il sostegno degli operatori e delle famiglie per la realizzazione delle loro esigenze, messe nero su bianco con grande consapevolezza. Insomma, le persone con sindrome di Down sono pronte a mettersi in gioco, tocca a noi tutti sempre di più fare la nostra parte e sostenerle perché questo accada».

COSA DICE LA CHIESA – PADRE MARCO VIANELLI (CEI)

«Nessun ostacolo per queste persone, ma…»

«Non c’è nessun ostacolo di tipo pastorale da parte della Chiesa per la celebrazione di un matrimonio tra persone con sindrome di Down, a patto che il percorso di preparazione sia stato fatto in modo serio, con l’obiettivo di far comprendere per quanto possibile a questi giovani il significato del sacramento», osserva padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia. «Sono certo che il parroco che ha accompagnato questi ragazzi al matrimonio si sia fatto tutte le domande del caso e abbia cercato di accogliere il loro desiderio sollecitandone il discernimento nel rispetto della loro sensibilità», osserva ancora padre Vianelli che è anche un esperto di diritto canonico. Va anche detto che ogni situazione va considerata in modo specifico, secondo quanto insegna Amoris laetitia, e che non va sottovalutato il significato positivo che assume per la comunità il cammino tenace di questi due ragazzi «che ora – conclude il direttore dell’Ufficio famiglia – non dovranno essere lasciati soli». (L.Mo.)

Lo ha ribadito Patrizia Danesi, coordinatrice di Aipd nazionale, evidenziando che le nozze di Lorena e Simone sono diventate una notizia sui media proprio perché «non si è ancora affermata l’idea che le persone con sindrome di Down possano, vogliano e sappiano avere una vita affettiva piena e costruire una relazione profonda e duratura. La nostra associazione lo sperimenta ogni giorno, tanto che da anni promuove e propone percorsi di educazione all’affettività ed esperienze di autonomia per ragazzi e ragazze con sindrome di Down. Lorena e Simone non sono la prima coppia che nasce e cresce all’interno dell’Aipd e che costruisce una vita matrimoniale: i romani Marta e Mauro sono sposati da più di otto anni e altre coppie stanno pensando di sposarsi. Non dovrebbe fare notizia, ma essere la quotidianità».
avvenire.it

Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale

Matrimonio alla Basilica di San Pietro: la Cappella del Coro

di: Papa Francesco
Un dono e un compito per la Chiesa. Si tratta degli «Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale», uno dei frutti dell’Anno speciale dedicato alla famiglia, a cinque anni dalla pubblicazione della esortazione Amoris laetitia, che ora il pontefice, come spiega, affida ai pastori, ai coniugi e a tutti coloro che lavorano nella pastorale familiare, come strumento che risponde alla necessità di un «nuovo catecumenato» in preparazione al matrimonio. Riprendiamo di seguito la Prefazione del papa (qui il testo integrale degli Itinerari).

Settimana News

«L’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia» (Amoris laetitia, 1). Questa affermazione della relatio finalis del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia meritava di aprire l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia. Perché la Chiesa, in ogni epoca, è chiamata ad annunciare nuovamente, soprattutto ai giovani, la bellezza e l’abbondanza di grazia che sono racchiuse nel sacramento del matrimonio e nella vita familiare che da esso scaturisce.

A cinque anni dalla sua pubblicazione, l’Anno «Famiglia Amoris laetitia» ha inteso rimettere al centro la famiglia, invitare a riflettere sui temi dell’Esortazione apostolica e animare tutta la Chiesa nell’impegno gioioso di evangelizzazione per le famiglie e con le famiglie. Uno dei frutti di questo Anno speciale sono gli «Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale», che ora ho il piacere di affidare ai pastori, ai coniugi e a tutti coloro che lavorano nella pastorale familiare.

Nuovo catecumenato
Si tratta di uno strumento pastorale preparato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita dando seguito a un’indicazione che ho espresso ripetutamente, cioè «la necessità di un “nuovo catecumenato” in preparazione al matrimonio»; infatti, «è urgente attuare concretamente quanto già proposto in Familiaris consortio (n. 66), che cioè, come per il Battesimo degli adulti il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti» (Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2017).

Emergeva qui senza mezzi termini la seria preoccupazione per il fatto che, con una preparazione troppo superficiale, le coppie vanno incontro al rischio reale di celebrare un matrimonio nullo o con basi così deboli da «sfaldarsi» in poco tempo e non saper resistere nemmeno alle prime inevitabili crisi. Questi fallimenti portano con sé grandi sofferenze e lasciano ferite profonde nelle persone. Esse restano disilluse, amareggiate e, nei casi più dolorosi, finiscono persino per non credere più nella vocazione all’amore, inscritta da Dio stesso nel cuore dell’essere umano.

C’è dunque anzitutto un dovere di accompagnare con senso di responsabilità quanti manifestano l’intenzione di unirsi in matrimonio, affinché siano preservati dai traumi delle separazioni e non perdano mai fiducia nell’amore. Ma c’è anche un sentimento di giustizia che dovrebbe animarci. La Chiesa è madre, e una madre non fa preferenze fra i figli. Non li tratta con disparità, dedica a tutti le stesse cure, le stesse attenzioni, lo stesso tempo.

Dovere di giustizia
Dedicare tempo è segno di amore: se non dedichiamo tempo a una persona è segno che non le vogliamo bene. Questo mi viene in mente tante volte quando penso che la Chiesa dedica molto tempo, alcuni anni, alla preparazione dei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa, ma dedica poco tempo, solo alcune settimane, a coloro che si preparano al matrimonio. Come i sacerdoti e i consacrati, anche i coniugi sono figli della madre Chiesa, e una così grande differenza di trattamento non è giusta.

Le coppie di sposi costituiscono la grande maggioranza dei fedeli, e spesso sono colonne portanti nelle parrocchie, nei gruppi di volontariato, nelle associazioni, nei movimenti. Sono veri e propri «custodi della vita», non solo perché generano i figli, li educano e li accompagnano nella crescita, ma anche perché si prendono cura degli anziani in famiglia, si dedicano al servizio delle persone con disabilità e spesso a molte situazioni di povertà con cui vengono a contatto.

Dalle famiglie nascono le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata; e sono le famiglie che costituiscono il tessuto della società e ne «rammendano gli strappi» con la pazienza e i sacrifici quotidiani. È dunque un dovere di giustizia per la Chiesa madre dedicare tempo ed energie alla preparazione di coloro che il Signore chiama a una missione così grande come quella famigliare.

Perciò, per dare concretezza a questa urgente necessità, «ho raccomandato di attuare un vero catecumenato dei futuri nubendi, che includa tutte le tappe del cammino sacramentale: i tempi della preparazione al matrimonio, della sua celebrazione e degli anni immediatamente successivi» (Discorso ai partecipanti al corso sul processo matrimoniale, 25 febbraio 2017).

È quello che si propone di fare il Documento che qui presento e di cui sono grato. Esso si articola secondo le tre fasi: la preparazione al matrimonio (remota, prossima e immediata); la celebrazione delle nozze; l’accompagnamento dei primi anni di vita coniugale.

Un dono e un compito
Come vedrete, si tratta di percorrere un importante tratto di strada insieme alle coppie nel cammino della loro vita, anche dopo le nozze, soprattutto quando potranno attraversare crisi e momenti di scoraggiamento. Così cercheremo di essere fedeli alla Chiesa, che è madre, maestra e compagna di viaggio, sempre al nostro fianco.

È mio vivo desiderio che a questo primo Documento ne segua quanto prima un altro, nel quale vengano indicati concrete modalità pastorali e possibili itinerari di accompagnamento specificamente dedicati a quelle coppie che hanno sperimentato il fallimento del loro matrimonio 10 e che vivono in una nuova unione o sono risposate civilmente. La Chiesa, infatti, vuole essere vicina a queste coppie e percorrere anche con loro la via caritatis (cf. Amoris laetitia, 306), così che non si sentano abbandonate e possano trovare nelle comunità luoghi accessibili e fraterni di accoglienza, di aiuto al discernimento e di partecipazione.

Questo primo Documento che viene ora offerto è un dono ed è un compito. Un dono, perché mette a disposizione di tutti un materiale abbondante e stimolante, frutto di riflessione e di esperienze pastorali già messe in atto in varie diocesi/eparchie del mondo.

Ed è anche un compito, perché non si tratta di «formule magiche» che funzionino automaticamente. È un vestito che va «cucito su misura» per le persone che lo indosseranno. Si tratta, infatti, di orientamenti che chiedono di essere recepiti, adattati e messi in pratica nelle concrete situazioni sociali, culturali ed ecclesiali nelle quali ogni Chiesa particolare si trova a vivere.

Rinnovamento pastorale
Faccio appello, perciò, alla docilità, allo zelo e alla creatività dei pastori della Chiesa e dei loro collaboratori, per rendere più efficace questa vitale e irrinunciabile opera di formazione, di annuncio e di accompagnamento delle famiglie, che lo Spirito Santo ci chiede di realizzare in questo momento. «Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi» (At 20,20).

Invito tutti coloro che lavorano nella pastorale famigliare a fare proprie queste parole dell’apostolo Paolo e a non scoraggiarsi di fronte a un compito che può sembrare difficile, impegnativo o addirittura al di sopra delle proprie possibilità.

Coraggio! Cominciamo a fare i primi passi! Diamo inizio a processi di rinnovamento pastorale! Mettiamo la mente e il cuore a servizio delle future famiglie, e vi assicuro che il Signore ci sosterrà, ci darà sapienza e forza, farà crescere in tutti noi l’entusiasmo e soprattutto ci farà sperimentare la «dolce e confortante gioia di evangelizzare» (Evangelii gaudium, 9), mentre annunciamo alle nuove generazioni il Vangelo della famiglia. 

La diocesi di Livorno ha reso nota oggi una disposizione in cui si dà possibilità a chi magari da tempo convive o ha contratto solo un matrimonio civile, di poter celebrare il Sacramento del matrimonio nella semplicità della propria casa, insieme anche solo ai testimoni

La disposizione ha ricevuto il via libera da parte del consiglio presbiteriale e fa riferimento all’esortazione apostolica Amoris laetitia: “Nel cuore di tanti conviventi e di coloro che hanno celebrato un matrimonio solo civile, spesso vi è il desiderio di celebrare un matrimonio religioso, ma vi sono alcuni impedimenti di natura morale e sociale che creano ostacoli. Dobbiamo far sentire la vicinanza della Chiesa che accompagna la coppia nel loro discernimento, affinché nei futuri sposi cristiani vi sia quella maturità umana, sostenuta dalla grazia di Dio, che li sostenga durante la vita coniugale”.

“Su questa base – sottolinea il vescovo mons. Simone Giusti – con questa disposizione abbiamo pensato di facilitare in parte un ritorno al matrimonio religioso. È paradossale che alcune coppie rifiutino di sposare in chiesa dicendo che non hanno i soldi per il matrimonio, come se il Sacramento costasse ed anche molto! In realtà è la festa del matrimonio che è diventata sempre più costosa nell’era del consumismo: con suonatori in chiesa, servizio fotografico da star, ricevimenti da favola, viaggi di nozze nelle località più incredibili. La celebrazione del Dacramento del matrimonio non costa nulla, al massimo se una coppia lo vuole, lascia un’offerta per i poveri e non per il prete. Ma la situazione d’impoverimento delle famiglie italiane, ha provocato già a partire dal 2008, un crollo drastico dei matrimoni celebrati in chiesa e purtroppo da molti la motivazione apportata è proprio quella di natura economica.  Certo sappiamo bene che accanto a questa reale motivazione ce ne sono anche altre legate alla privatizzazione del matrimonio, divenuto evento intimo che si pensa riguardi solo la coppia; pertanto persa la sua valenza sociale non si afferra più perché ci si debba sposare con rito pubblico alla presenza di un rappresentante della comunità civile o religiosa. Perché, molti dicono, il prete deve inserirsi in una questione che viene percepita come solo privata, solo riguardante la coppia: “cosa c’entra il prete con il nostro amore?” Le motivazioni quindi sono diverse e complesse ma occorre dare dei segnali di accoglienza ai tanti che sono cristiani ma hanno difficoltà oggi a sposarsi in chiesa”.

Come si afferma nell’esortazione apostolica Amoris laetitia: “Nel cuore di tanti conviventi e di coloro che hanno celebrato un matrimonio solo civile, spesso vi è il desiderio di celebrare un matrimonio religioso, ma vi sono alcuni impedimenti di natura morale e sociale che creano ostacoli. Dobbiamo far sentire la vicinanza della Chiesa che accompagna la coppia nel loro discernimento, affinché nei futuri sposi cristiani vi sia quella maturità umana, sostenuta dalla grazia di Dio, che li sostenga durante la vita coniugale”.

“Su questa base – sottolinea il vescovo mons. Simone Giusti – con questa disposizione abbiamo pensato di facilitare in parte un ritorno al matrimonio religioso. È paradossale che alcune coppie rifiutino di sposare in chiesa dicendo che non hanno i soldi per il matrimonio, come se il Sacramento costasse ed anche molto! In realtà è la festa del matrimonio che è diventata sempre più costosa nell’era del consumismo: con suonatori in chiesa, servizio fotografico da star, ricevimenti da favola, viaggi di nozze nelle località più incredibili. La celebrazione del Dacramento del matrimonio non costa nulla, al massimo se una coppia lo vuole, lascia un’offerta per i poveri e non per il prete. Ma la situazione d’impoverimento delle famiglie italiane, ha provocato già a partire dal 2008, un crollo drastico dei matrimoni celebrati in chiesa e purtroppo da molti la motivazione apportata è proprio quella di natura economica.  Certo sappiamo bene che accanto a questa reale motivazione ce ne sono anche altre legate alla privatizzazione del matrimonio, divenuto evento intimo che si pensa riguardi solo la coppia; pertanto persa la sua valenza sociale non si afferra più perché ci si debba sposare con rito pubblico alla presenza di un rappresentante della comunità civile o religiosa. Perché, molti dicono, il prete deve inserirsi in una questione che viene percepita come solo privata, solo riguardante la coppia: “cosa c’entra il prete con il nostro amore?” Le motivazioni quindi sono diverse e complesse ma occorre dare dei segnali di accoglienza ai tanti che sono cristiani ma hanno difficoltà oggi a sposarsi in chiesa”.

toscanaoggi.it

Nicolò Melli matrimonio, il cestista reggiano sposa la sua Katharina

Il Resto del Carlino

Nicolò Melli e la sua Katharina (foto Artioli)

Reggio Emilia, 20 luglio 2019 – Il Golden Boy reggiano del basket Nicolò Melli si è sposato oggi pomeriggio nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia. A dirle di sì è stata la bella Katharina, ragazza tedesca conosciuta quando Nik giocava nel Bamberg, in Germania.

Un matrimonio in bello stile, ma semplice com’è sempre stato il cestista – che la prossima stagione volerà a New Orleans dove coronerà il sogno di giocare in Nba – cresciuto nella Pallacanestro Reggiana dalla quale poi ha spiccato le ali verso le grandi della palla a spicchi tra cui Milano e per ultimo il Fenerbahce, big turca dell’Eurolega fino ad essere un punto fermo della nazionale italiana.

Quell’insopprimibile voglia di sposarsi

Addio Italia. Siamo davvero un Paese condannato all’estinzione? Le statistiche sembrano non lasciare spazio alla speranza. Non solo siamo il Paese europeo con il più basso tasso di natalità (8 per mille), secondo i dati Eurostat diffusi venerdì. Ma siamo anche il Paese in cui entro il 2031 i matrimoni religiosi dovrebbero scomparire (dossier Censis). Secondo le previsioni statistiche condensate in uno studio intitolato “Non mi sposo più”, entro il 2020 i matrimoni civili supereranno quelli religiosi – oggi già succede in alcune grandi città – e undici anni dopo le nozze all’altare potrebbero finire per diventare reperto storico.

Non finirà la voglia di progettare il futuro in coppia, ma – secondo quanto ipotizza il Censis – le relazioni tradizionali saranno sostituite dai nuovi modelli di convivenza. Difficile scorgere in queste previsioni statistiche – che in ogni caso previsioni rimangono – motivi per cui gioire. Anche le indagini sociologiche più laiche concordano sul fatto che relazioni meno stabili si traducono quasi sempre in un futuro più precario, responsabilità più effimere, impegno educativo più labile. Relazioni light insomma che finiranno per essere scompigliate dal primo soffio degli imprevisti e delle incomprensioni. E quando si disgrega la famiglia è l’intera società a subirne le conseguenze.
Ma che questo esito dei rapporti familiari sia davvero ineluttabile è tutto da dimostrare.

A mettere in dubbio i calcoli degli esperti non è soltanto il comune buon senso, che da sempre sa distinguere tra la verità dei numeri e quella della vita, ben più sfumata e meno inquadrabile in schemi così rigidi, ma anche analisi di altro tenore che parlano di un desiderio di famiglia e di natalità sempre vivo, del tutto opposto rispetto alle proiezioni nichiliste targate Censis. Basta scorrere per esempio i dati dell’ultimo rapporto Toniolo sui giovani in Italia per cogliere non pochi spunti di speranza e comunque per respirare un atteggiamento su matrimonio, famiglia e natalità che sembra contrastare con gli esiti nefasti del dossier diffuso qualche giorno fa.

Le aspettative di fecondità delle nuove generazioni – secondo le rilevazioni condotte nel settembre 2015 su un campione di 9.358 giovani tra i 18 e i 33 anni – includono una serie di domande dettagliate sui progetti familiari e sulle speranze di avere figli che evidenziano una netta frattura tra gli obiettivi rivelati e i tanti luoghi comuni sulla mancanza di progettualità delle generazioni più giovani.

«Oltre l’80 per cento degli uomini e delle donne – scrivono Emiliano Sironi e Alessandro Rosina che hanno curato questo capitolo del rapporto – vorrebbe una famiglia composta da due o più bambini. Tenendo conto di limiti e restrizioni, tale percentuale scende intorno al 60 per cento». Insomma, si sentono di concludere i ricercatori, se le giovani generazioni fossero messe nelle condizioni di realizzare i propri obiettivi su figli e matrimonio, attraverso adeguate politiche di sostegno per quanto riguarda il lavoro e l’accudimento dei figli, in Italia «non ci sarebbero problemi di bassa fecondità».

A contrastare la facile obiezione secondo cui i figli possono nascere anche al di fuori del matrimonio e che i giovani ipotizzano in modo crescente il proprio futuro relazionale secondo schemi diversi rispetto a quelli della tradizione, concorre – sempre nell’ambito del rapporto Toniolo – il capitolo curato da Sara Alfieri ed Elena Marta che mette in luce il ruolo della famiglia d’origine nelle transizione all’età adulta in un confronto tra cinque Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania).

«I modelli a cui i giovani europei in maggioranza fanno riferimento – spiega Elena Marta, che è docente di sociologia di comunità all’Università Cattolica di Milano – sono quelli delle famiglie d’origine, che rimangono importanti punti di riferimento per le scelte fondamentali della vita, come il lavoro e il matrimonio».

Lo stereotipo del “no family” prevalente tra i giovani, a lungo propagandato da certa cultura, non si ritrova insomma nelle statistiche dell’Istituto Toniolo. «Anzi – fa notare ancora la docente – ci ha sorpreso il dato secondo cui l’atteggiamento dei giovani inglesi e tedeschi nei confronti della famiglia d’origine, sia molto più vicino ai nostri giovani di quanto si potrebbe immaginare».

Sullo sfondo rimane certo la complessità di una situazione fluttuante e difficilmente omologabile, quella dei giovani nel mondo globalizzato, che risulta improbabile illudersi di poter ingabbiare in rigide proiezioni statistiche. Almeno dal punto di vista sociologico, risulta infatti difficile cogliere elementi che possano fare pensare di tradurre questa varietà di tendenze e di auspici in un pronostico credibile sulla “fine del matrimonio”. Anzi.

avvenire

Nuovo rito del matrimonio, come cambia il modo di dire sì

di Silvia Migliorini
Più di 600 delegati delle 227 diocesi italiane erano presenti al Convegno Nazionale per la presentazione del Nuovo Rito del matrimonio, che si è svolto a Grosseto nella giornate di giovedì 4, venerdì 5 e sabato 6 novembre. Il Convegno, organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana, dall’Ufficio Liturgico nazionale, dall’Ufficio per la Pastorale della famiglia, Catechistico nazionale e dal servizio nazionale per la Pastorale giovanile, sul tema «Celebrare il mistero grande dell’amore» aveva lo scopo di riflettere sul Nuovo Rito del matrimonio che entrerà in vigore dalla prima domenica d’Avvento, il 28 novembre prossimo.

«Ai cattolici che si avvicinano al matrimonio – ha detto il Segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori – la Chiesa italiana chiede di partire dalla celebrazione del rito, per un cammino verso una fede matura e consapevole … si tratta di un libro – ha continuato – che non si limita e non si esaurisce nella celebrazione, ma offre contenuti e percorsi sia per la preparazione al matrimonio, sia per la riflessione mistagogica, che oggi è più che mai necessaria per dare solidità umana e spirituale alle giovani coppie di sposi, esposte al rischio della superficialità, della fragilità e purtroppo sempre più spesso del fallimento». E proprio della preparazione al matrimonio si è molto discusso in seno al Convengo.

È stata ribadita la necessità di «accompagnare e non seguire» i fidanzati verso la scelta consapevole del matrimonio «come momento culminante di un itinerario, quando la coppia, libera e consapevole – ha detto don Andrea Fontana, direttore dell’Ufficio catechistico di Torino – decide di consacrarsi nell’amore stesso di Cristo, fedele ed indistruttibile, animato dallo Spirito Santo, realizzando ogni giorno la volontà del Padre, cioè la reciproca santificazione attraverso i gesti quotidiani d’amore e di comunione».

I corsi pre-matrimoniali – secondo quanto è emerso – devono configurarsi come progetti personalizzati in itinerari prolungati in cui la Chiesa mostri interesse, cordialità, accoglienza senza giudizio, si sappia mettere in ascolto avendo a cuore il cammino che i fidanzati stanno facendo, personalizzando a ciascuna coppia i contenuti… «ogni coppia – hanno spiegato Marialicia e Carmelo Moscato, responsabili della Pastorale familiare della Diocesi di Monreale – è unica e per questo deve potere ricevere un trattamento personalizzato al fine di fare incontrare la coppia con se stessa … non è importante che siano coinvolti nel gruppo ma che diventino sempre più coppia che si avvia al matrimonio».

«Il matrimonio – ha affermato Don Paolo Giulietti, direttore del Servizio Cei per la Pastorale giovanile – si distacca sempre di più dall’idea del contratto. Del gesto burocratico come potrebbe essere un matrimonio civile, perché restituisce tutto all’ambito dell’esperienza religiosa. Al tempo stesso il Nuovo Rito favorisce una visione del matrimonio meno folcloristica e romantica, perché trasposta più decisamente nel campo della fede … forse – ha concluso – il Nuovo Rito potrà aiutare a vivere in maniera diversa anche la decisione di sposarsi, come risposta ad una chiamata di Dio che viene dal battesimo e conseguentemente ad accettare il matrimonio come missione».

«Tra le tante novità del Rito la più pubblicizzata è stata la nuova formula “accolgo te” al posto di “prendo te” – ha spiegato don Giuseppe Busani, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale – alcuni ritengono che sia meno incisiva della precedente. Non sono d’accordo – ribatte – perché la nuova formula sottolinea maggiormente un impegno fondato sulla grazia di Cristo».

Punto molto dibattuto è stato il secondo capitolo della pubblicazione del Nuovo Rito che prevede la celebrazione del Sacramento del matrimonio senza Eucaristia ma con la sola Liturgia della Parola: «un’opportunità in più offerta alle giovani coppie – ha detto Andrea Grillo, teologo e membro della Commissione istituita dalla Cei per la stesura finale del Nuovo Rito del matrimonio – da parte di una Chiesa che promuove e accoglie ogni storia di fede».

Grillo ha spiegato che la possibilità di celebrare il matrimonio con la sola Liturgia della Parola intende rimediare a due eccessi in cui le comunità parrocchiali possono cadere: «Ci potrebbe essere il rischio di pensare – ha spiegato – da una parte di avere un diritto acquisito a sposarsi in Chiesa e dall’altra di credere che il matrimonio in Chiesa sia il risultato di una selettivo concorso a numero chiuso. Tra una pericolosa indifferenza ed una selettiva diffidenza la Chiesa italiana ha voluto trovare una mediazione, proponendo di accogliere la coppia con una delicata e attenta attenzione pastorale. Il fatto che l’Eucaristia non venga celebrata nel corso del matrimonio, come libera scelta dei nubendi, non deve essere vissuta come mera sottrazione ma come opportunità che si vuole dare alla coppia per riscoprire un più intenso desiderio di Eucaristia».

Il parroco: «Aiuterà gli sposi a essere più consapevoli»
E’ stata consegnata nelle mani di don Paolo Gentili, parroco della comunità di Roselle, frazione di Grosseto, come rappresentante di tutti i parroci italiani al Convegno nazionale, la prima pubblicazione del Nuovo Rito del matrimonio. Mons. Giuseppe Betori, Segretario generale della Cei, ha voluto compiere questo gesto simbolico per significare un passaggio di consegne a coloro che, dal 28 novembre prossimo, data in cui il Rito entrerà ufficialmente in vigore, si avvarranno della novità da proporre alle giovani coppie di sposi e così… insieme a don Paolo anche due giovani fidanzati grossetani, Emanuele Lodde e Simona Rusconi, della parrocchia del SS. Crocifisso, hanno ricevuto, come prima coppia, il Nuovo Rito, in segno di accoglienza.

Don Paolo, entriamo nei dettagli. Quali sono le novità del Nuovo Rito del matrimonio, cioè in che cosa si differenzia rispetto a quello tradizionale?

«La prima novità è la stretta connessione con il Battesimo – spiega – per questo nel primo capitolo, che è quello riferito alla celebrazione, è previsto che gli Sposi facciano memoria del loro Battesimo rinnovando le promesse, con il Sacerdote, vicino al Fonte battesimale».

Quindi gli sposi vanno insieme verso l’Altare… e dopo?

«Inizia la Liturgia della Parola che è stata ampliata nella scelta: sono 82 brani adesso tra Antico e Nuovo Testamento che possono essere scelti dagli sposi per la celebrazione. Questo perché gli sposi vivano con maggiore impegno il tempo della scelta per la preparazione della liturgia della Parola».

Si arriva, poi, al momento culminante che è quello della Liturgia del Matrimonio: che cosa è cambiato?

«Gli sposi possono scegliere se rispondere alle domande tradizionali del Sacerdote o declamare insieme una professione di fede, che le contenga tutte, in cui l’accento è posto, in modo particolare, sulla preghiera alla comunità, a cui è dato un ruolo rilevante, che li accompagni e li sostenga nel loro cammino di coppia. Si giunge, quindi, ad una nuova scelta: o pronunciare la formula nuova tanto pubblicizzata “Io accolgo te, come mia sposa, con la Grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre nella gioia e del dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia vita” … oppure iniziare un dialogo vero e proprio tra gli sposi che inizia così “Vuoi unire la tua vita alla mia?”».

Quale significato assume il termine «accolgo te» che è stato sostituito al tradizionale «prendo te»?

«Ritengo che sottolinei il dono che l’altro fa di se stesso nella libertà… c’è una disponibilità ad accogliere tutto dell’altro, con i suoi pregi e difetti. È, poi, maggiormente sottolineata l’idea di vocazione al matrimonio, come risposta alla chiamata di Dio. Subito dopo il Consenso (prima era successivo al Padre Nostro), è il momento della benedizione nuziale… ciò sta a significare che la benedizione nasce direttamente dal sacramento del matrimonio. Nuova aggiunta, dopo gli scambi degli anelli, le litanie dei Santi, soprattutto dei santi che sono stati sposati».

E riguardo al Secondo capitolo, di cui si è molto parlato, in cui è offerta la possibilità a giovani coppie che da tempo hanno abbandonato il cammino ecclesiale, di sposarsi comunque in Chiesa ma con la sola Liturgia della Parola?

«Qualcuno ha pensato ad un rito di serie B… Non sono d’accordo. Ritengo che abbia lo stesso spessore dell’altro, ma senza il momento dell’Eucaristia. Il tutto nasce dall’esigenza di evitare il più possibile quei matrimoni in cui è palpabile la poca partecipazione da parte degli sposi e dei parenti. La Chiesa ha fatto questa scelta anche e soprattutto per risvegliare negli sposi il desiderio di Eucaristia, di comprendere in modo pieno e consapevole il senso del matrimonio in Chiesa».

La scheda: tutte le novità
Il nuovo rito del matrimonio (in realtà sarebbe più corretto parlare di «adattamento» del rito) entrerà in vigore dal 28 novembre. Il testo prevede tre riti distinti: il primo inserito nella Messa, il secondo inserito nella Liturgia della Parola (senza l’Eucaristia), il terzo riguardante il matrimonio in cui solo uno dei due sposi sia battezzato. Specie per le prime due tipologie, ci sono alcuni importanti cambiamenti rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi.

«Io accolgo te…»
La novità più grande riguarda la formula, che diventa «Io accolgo te, come mia sposa, con la Grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre nella gioia e del dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia vita». Mai gli sposi possono anche scegliere una formula più complessa, costituita da un dialogo vero e proprio tra gli sposi che inizia così: «Vuoi unire la tua vita alla mia?»

Si inizia dal fonte battesimale
Un’altra novità importante riguarda l’inizio della celebrazione: il sacerdote accoglie la coppia vicino al fonte battesimale, dove i futuri sposi rinnovano le promesse battesimali prima di incamminarsi insieme verso l’altare.

Letture, scelta più ampia
Per la Liturgia della Parola, è stata ampliata la scelta a disposizione: adesso sono 82 i brani tra Antico e Nuovo Testamento che possono essere scelti dagli sposi per la celebrazione. Rinnovate anche le litanie dei santi, con uno spazio particolare dedicato ai santi sposati

Matrimonio senza messa
L’adattamento del rito introduce anche una possibilità in più: quella di celebrare il matrimonio senza l’Eucaristia, all’interno di una Liturgia della Parola. Una formula pensata per le coppie che esprimono il desiderio di sposarsi in Chiesa, ma non hanno alle spalle un cammino di vita cristiana. Non un’imposizione, ma una scelta in più a disposizione delle coppie.

La benedizione degli sposi
Nuova è anche la formula per la benedizione degli sposi. Il testo accentua la supplica affinché gli sposi, «segnati con il fuoco dello Spirito, diventino Vangelo vivo tra gli uomini». E introduce l’aspetto escatologico: «la profonda nostalgia» di Dio «fino al giorno in cui potranno, con i loro cari, lodare in eterno» il Suo nome.

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Ok, ma perché ci sposiamo (in chiesa)?

Se non ce lo siamo perso tra le scartoffie, emendamenti, convegni, adunate e questioni di principio, c’è il cuore della missionarietà del matrimonio cristiano

Ero lì che cercavo di impastare un polpettone in cui ammannire ai pochi interessati la mia fondamentale e autorevole opinione sul Ddl Cirinnà e sul Family day, peraltro la milionesima in circolazione tra web e social in questo periodo.
Un amico leggendo l’ennesima bozza del post, dopo un principio di indigestione che ha dissimulato con la solita eleganza, mi ha domandato: “Ma dì la verità, che cosa veramente, ma veramente, ti fa arrabbiare del Family day (e dintorni, ndr)?”.

Alla fine, laggiù in fondo al cuore, arrivo sempre allo stesso punto. Da anni. C’è un problema collaterale, diciamo così, a tutta questa questione; un problema che trovo molto serio e abbastanza scansato.

Da secoli, i credenti – e di conseguenza poi tutti gli altri e gli “anti” – hanno spesso ridotto o hanno accettato di ridurre la questione matrimonio e famiglia a un minestrone fatto di consuetudini, esigenze sociologiche e problematiche di diritto (canonico e non), con un discreta colata di moralismo sessuale.A volte, per inciso, senza una vera conoscenza della morale cattolica e della sua proposta.
Se stai leggendo e stai pensando: “Perché, caro il mio polpettonaro, c’è forse altro?” abbiamo un problema.

Domande.
Perché due persone, un uomo e una donna, si dovrebbero sposare (in chiesa) oggi? Perché tu che leggi (non) ti sei sposato? O (non) pensi di farlo o (non) ti stai chiedendo se? Perché celebri quel matrimonio? Perché accompagni quei due giovani che dicono di volersi sposare? Etc

In queste domande, se non ce lo siamo perso tra le scartoffie, gli emendamenti, le sentenze, i convegni, la casistica, le adunate e le questioni di principio, c’è il cuore della missionarietà del matrimonio cristiano. Dentro e fuori la Chiesa.

 

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