Ok, ma perché ci sposiamo (in chiesa)?

Se non ce lo siamo perso tra le scartoffie, emendamenti, convegni, adunate e questioni di principio, c’è il cuore della missionarietà del matrimonio cristiano

Ero lì che cercavo di impastare un polpettone in cui ammannire ai pochi interessati la mia fondamentale e autorevole opinione sul Ddl Cirinnà e sul Family day, peraltro la milionesima in circolazione tra web e social in questo periodo.
Un amico leggendo l’ennesima bozza del post, dopo un principio di indigestione che ha dissimulato con la solita eleganza, mi ha domandato: “Ma dì la verità, che cosa veramente, ma veramente, ti fa arrabbiare del Family day (e dintorni, ndr)?”.

Alla fine, laggiù in fondo al cuore, arrivo sempre allo stesso punto. Da anni. C’è un problema collaterale, diciamo così, a tutta questa questione; un problema che trovo molto serio e abbastanza scansato.

Da secoli, i credenti – e di conseguenza poi tutti gli altri e gli “anti” – hanno spesso ridotto o hanno accettato di ridurre la questione matrimonio e famiglia a un minestrone fatto di consuetudini, esigenze sociologiche e problematiche di diritto (canonico e non), con un discreta colata di moralismo sessuale.A volte, per inciso, senza una vera conoscenza della morale cattolica e della sua proposta.
Se stai leggendo e stai pensando: “Perché, caro il mio polpettonaro, c’è forse altro?” abbiamo un problema.

Domande.
Perché due persone, un uomo e una donna, si dovrebbero sposare (in chiesa) oggi? Perché tu che leggi (non) ti sei sposato? O (non) pensi di farlo o (non) ti stai chiedendo se? Perché celebri quel matrimonio? Perché accompagni quei due giovani che dicono di volersi sposare? Etc

In queste domande, se non ce lo siamo perso tra le scartoffie, gli emendamenti, le sentenze, i convegni, la casistica, le adunate e le questioni di principio, c’è il cuore della missionarietà del matrimonio cristiano. Dentro e fuori la Chiesa.

 

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