Una nascente mariologia: gli apocrifi sull’Assunta

di: Mario Colavita

maria apocrifi

Dobbiamo abituarci a vedere gli scritti apocrifi come un tesoro in cui possiamo trovare preziosi indizi che ci richiamano all’ambiente liturgico-cultuale del proto-cristianesimo.

Anche se la Chiesa dal IV secolo in poi li ha disconosciuti, la letteratura apocrifa era così entrata nelle midolla delle comunità che difficilmente se ne è potuto fare a meno.

Per secoli, forse senza saperlo, la liturgia, la poesia, l’arte e la letteratura sono cresciute gomito a gomito con questi scritti.

L’Ufficio catechistico nazionale, in un documento dal titolo “Incontro alla Bibbia” pubblicato nel 1996, scrive a riguardo agli apocrifi: «Gli apocrifi contengono in ogni caso preziose testimonianze di pietà popolare e di tendenze teologiche diverse e, se non ci forniscono nuove informazioni credibili su Gesù né dati dottrinali inediti, ci informano indirettamente sull’ambiente spirituale delle comunità in cui vennero scritti».

Apocrifi come fonte

Popolo e pastori hanno attinto dagli apocrifi per sostanziare e illuminare alcuni punti non chiari della vita dell’infanzia di Gesù, della Vergine Maria, degli apostoli e dei martiri.

Incuriositi e stimolati nel cercare motivazioni, anche per rispondere alle idee eretiche, i primi cristiani attingono alle fonti apocrife per confermare tradizioni e visioni circa la morte e l’assunzione di Maria.

Sin dai primi secoli i cristiani provenienti dal giudaismo si domandavano come la madre di Dio fosse morta, il luogo della sua sepoltura e che fine avesse fatto il suo corpo.

A questi interrogativi rispondono i testi apocrifi dei transiti e delle dormitio dai quali possiamo scoprire indizi che illuminano la vita e la liturgia delle prime comunità cristiane circa il culto della Vergine Madre di Dio.[1]

C’è chi ha scritto che questi testi sono come piccoli torrenti torbidi dove è possibile trovare pagliuzze d’oro; non solo, ai testi apocrifi “mariani” del primo cristianesimo spetta di aver fissato una forma di predicazione e di catechesi che la tradizione ha tramandato nelle sue varie forme.

Gli apocrifi sull’assunta hanno un triplice scopo: quello di difendere, confermare e attualizzare il credere Maria come Vergine madre di Dio. Maria è vergine e gli apocrifi difendono questo dato (prima durante e dopo la nascita), rimane vergine fino alla sua morte e assunzione.

È Madre di Dio, madre di Cristo, per questo ha avuto il privilegio di essere dal figlio custodita nella morte e dopo la morte.

Devozione mariana nascente

La devozione Maria si stava diffondendo tra i giudeo-cristiani. Gli apocrifi ne diffondono il culto… apportando notizie non rintracciabili nei testi canonici. Del resto, nel Nuovo Testamento l’ultima notizia circa Maria è che stava in preghiera con gli apostoli nel cenacolo e poi basta, nessuna parola.

Gli apocrifi mariani mettono in risalto l’idea della vicinanza di Maria alla nostra condizione: con le sue dimensioni più umane e naturali (la stanchezza, la fame, la sete…) e i suoi risvolti psicologici (la nostalgia del Figlio, la preoccupazione di non suscitare malumori e competizioni all’interno del gruppo di pares dei discepoli, l’affetto materno profondo e autentico nei loro confronti) e, per altro verso, ne mettono in evidenza, con grande efficacia, la grandezza, la superiorità morale e spirituale, gli afflati mistici raggiunti dalla sua santità.

Dalla lettura dei transiti emerge in filigrana una chiara e nascente mariologia. Essa è espressione della fede e della devozione dei giudeo-cristiani.

Questa venerazione alla Vergine Maria e Madre di Dio si evince da una serie di titoli con cui Maria viene salutata ora dagli apostoli ora da Cristo.

I titoli, nell’antichità, esprimevano l’onore dato a particolari personaggi, sono espressioni genuine che sostanziano quella devozione mariana che ininterrottamente si è portata fino ai nostri giorni. Questi titoli, poi, hanno un sapore biblico richiamandosi alla storia d’Israele.

L’autore del Transitus Romanus, ad esempio, ha voluto rileggere la storia di Maria con il genere del midrash, una sorta di racconto ebraico che cerca di scavare dentro il testo e attualizzarlo.

L’autore dell’apocrifo ha riletto la Bibbia e ha cercato delle testimonianze che prefigurino Maria con diversi titoli: La Vergine, la casta Colomba, Sorella e Madre, Madre dei dodici rami, Madre dei dispersi, Nuova Eva, Nuova Myriam, Nuovo Tempio, Arca dell’Alleanza, Depositaria del mistero.

Questi titoli mettono in evidenzia l’appartenenza di Maria al popolo ebraico; il richiamo costante alla storia e alla tradizione biblica conferisce a Maria un posto tutto particolare che dai giudeo-cristiani si è poi riversato nel primo cristianesimo.

Titoli mariani

Maria è chiamata Vergine che ha concepito senza corruzione. Per i padri della Chiesa e per gli autori dei testi apocrifi, la verginità è condizione per l’incorruttibilità di Maria nel sepolcro, Inoltre, la verginità unita alla divina maternità diventa presupposto per l’assunzione ad opera del Figlio.

Maria è chiamata casta Colomba con particolare riferimento al Cantico dei Cantici (Ct 2,14). La rielaborazione patristica vede in Maria la “bianca colomba”.

Maria è salutata come Sorella e Madre: l’Angelo Gesù, incontrando Maria, la chiama Madre, successivamente Giovanni la chiama Sorella anche a significare, secondo l’intenzione dell’autore del Transitus, la familiarità di cui Maria godeva nella comunità cristiana primitiva.

Il titolo più emblematico è quello di Madre dei dodici rami. È Giovanni a chiamare Maria con questo appellativo: il 12 rinvia alle tribù d’Israele e, nel Nuovo Testamento, al gruppo dei 12 apostoli. Il titolo unisce splendidamente il dato anticotestamentario con quello della nuova Chiesa in cui Maria diventa trait d’union.

Maria è salutata come Madre dei dispersi: è un titolo dal sapore escatologico nel senso che in Maria saranno radunati i figli di Dio nella nuova Gerusalemme.

Maria è chiamata Nuova Eva e Nuova Myriam. Myriam, sorella di Mosè e Aronne, è guida del popolo (cf. Mi 6,4), profetessa, colei che intercede; secondo il Talmud Babilonese, Myriam sarebbe morta nel bacio di Dio e non avrebbe conosciuto la corruzione della tomba.

Maria è salutata come Nuovo Tempio e Arca dell’Alleanza. Il triste episodio di Iefonia che vuole rovesciare il lettuccio della Vergine ricorda l’episodio di Uzza che, nel toccare l’Arca, fu punito con la morte (cf. 2Sam 6, 6-7). La confessione di Iefonia conferma che Maria è l’arca vivente di Dio.

Maria è chiamata Depositaria del mistero; nel Transitus emerge il tema dell’arcano, del mistero legato alla Sapienza vicina a Dio (cf. Prov 8,22-31).

Questi titoli non fanno altro che amplificare la devozione nella Madre di Dio e presentare la Vergine Maria legata alla storia d’Israele. I testi apocrifi mariani ci aiutano a collocare Maria dentro la storia della salvezza, Maria è Vergine e madre di Dio e collabora con il figlio Gesù per la nostra redenzione. I titoli mariani, passati nella devozione popolare, non fanno altro che confermare il sentire della Chiesa.

Settimana News

Le sette parole di Maria

di: Roberto Mela

7 parolemaria

«O Signore, io stessa sarò la tua musica», dice un bel versetto del poeta elisabettiano John Donne (1571-1631) citato dal card. Ravasi nel suo ennesimo volume di riflessioni bibliche, punteggiato come sempre da numerose citazioni letterarie, pittoriche e musicali in specie. Sette le parole di Maria commentate, di cui una fatta di silenzio, espressa con «stava (ritta)» sotto la croce del suo Figlio. L’autore le inquadra brevemente nel loro contesto.

Il linguaggio non è tecnico filologico-esegetico, ma riflessivo e generale. Ravasi nota come le parole Maria siano «marginali» nei testi evangelici: 16 versetti con 154 parole greche (di cui 102 espresse nel Magnificat) sulle 19.404 del Vangelo di Luca e sulle 15.416 di Giovanni. Ravasi ne ripercorre “cronologicamente” l’espressione, seguendo Maria nel suo cammino di fede.

La prima parola (Lc 1,34) è la domanda di chiarificazione della modalità di realizzazione del piano di Dio all’interno del progetto matrimoniale di Maria. Pronta in Lc 1,38 l’espressione della piena disponibilità della «serva/doulē del Signore», come “servi di YHWH” erano stati vari personaggi dell’AT (per lo più maschili), con grandi compiti nella storia della salvezza. Ricordo però che solo qui c’è l’espressione «la serva» di YHWH con l’articolo, caso unico nella Bibbia.

Alla visitazione, in cui Maria è proclamata da Elisabetta «la credente», segue l’esplosione del canto del Magnificat. Alla terza parola di Maria (Lc 1,46-55) Ravasi dedica le pp. 49-90, proponendone un’analisi letteraria generale, a cui seguono alcune considerazione versetto per versetto.

Anche se frutto della pietà della comunità primitiva e intessuto di riferimenti all’AT, il cantico di addice bene a Maria. Ella canta la grazia immeritata di YHWH sulla sua piccolezza e la scelta paradossale di YHWH, ma costante nella storia della salvezza, di strumenti “deboli” per realizzare i suoi piani. Nel Magnificat si canta il ribaltamento della mentalità umana tipica del regno di Dio, ma che inizia già fin d’ora. I setti aoristi impiegati come un martello indicano la puntualità di attuazione ma, essendo secondo Ravasi anche aoristi gnomici, attestano pure ciò che è il modo solito di agire di YHWH nei confronti dell’umanità.

La ricerca addolorata e penosa (odinōmenoi, Lc 2,48) – più che di due «angosciati» (così CEI 2008) – da parte dei due genitori verso Gesù «impegnato nelle cose del Padre suo», mostra la loro fatica nel comprendere la persona e il cammino del Figlio di Dio, che però verrà sempre accompagnato nella sua vita dall’affetto e dalla fede di Maria e di Giuseppe.

A Cana di Galilea (Gv 2,1-11) Maria svolge non tanto una funzione provvidenziale di soluzione del dramma di due giovani sposi rimasti senza vino durante la festa, ma quella di favorire l’instaurazione della nuova alleanza della Chiesa-sposa (mai nominata) con il vero Sposo nella celebrazione dell’abbondanza delle nozze messianiche. Maria è invitata da Gesù a uscire dal piano dei rapporti familiari e della ricerca di segni prodigiosi a quello dell’attuazione della storia della salvezza, che vede a Cana scoccare l’inizio (così il benemerito Segalla) di quell’Ora (che viene solo per volontà del Padre…), che troverà il suo apice al Golgota. In quel momento ricorrerà per la seconda volta il termine «donna», al vocativo gynai. Col suo brusco «che cosa c’è fra me e te, o donna?» Gesù non si mostra scostante nei confronti di Maria, ma con un fraseggio tipicamente ebraico rivela la diversa prospettiva di vedute e invita la madre a raccordarsi con la sua.

Da parte sua Maria invita con la sua sesta parola i «diaconi» a fare tutto quello che Gesù eventualmente dirà (Gv 2,5). Con ciò l’evangelista Giovanni allude alla funzione provvidenziale di Giuseppe in Egitto e alla volontà di Israele di “ascoltare e fare” le dieci parole che YHWH donerà al Sinai durante la stipulazione della Prima alleanza.

Sotto la croce (Gv 19,26-27) accade una scena di rivelazione-vocazione-missione che non tende tanto a ricordare cronachisticamente un testamento filiale e un affidamento di Maria alla custodia umana del Discepolo Amato, quanto la rivelazione del volto della Chiesa madre che nel momento dell’abbandono/distacco da Gesù morente diventa feconda di sempre nuovi figli. La donna/gynai diventa madre feconda in modo nuovo (cf. Ap 12).

È una parola silente quella settima di Maria sotto la croce. È espressa nel suo «stare ritta» in modo continuo e stabile. Stabat Mater dolorosa, onoreranno con pietà gli autori in un’infinità di opere musicali la madre che contempla il Figlio, nella costanza di chi non fugge ma raccoglie il mandato del Figlio di Dio.

La tradizione popolare e la pietà verso la madre Maria hanno voluto esplicitare il silenzio dell’Addolorata. Jacopone di Todi in questo è un maestro: «Figlio bianco e vermiglio,/ Figlio senza simiglio/ Figlio a chi m’apiglio?/ Figlio, m’hai lassato./ Figlio bianco e biondo/ Figlio, volto iocondo,/ Figlio, perché t’ha ’l mondo,/ Figlio così sprezzato?/ Figlio dolze e placente,/ Figlio de la dolente,/ Figlio, hatte la gente/ malamente trattato» (cit. a p. 131).

Noto en passant a p. 46 r 3 che hóti non è un avverbio, ma una congiunzione causale. Utile la bibliografia utilizzata dall’autore (pp. 147-149).

  • Gianfranco RavasiLe sette parole di Maria (Lapislazzuli s.n.), EDB, Bologna 2020, pp. 152, € 12,00, ISBN 978-88-10-56964-1.
  • Fonte: Settimana News

Ecco perché maggio è il mese di Maria

La Madonna della tenerezza nell'opera di un pittore cretese

da Avvenire

Il mese di maggio è il periodo dell’anno che più di ogni altro abbiniamo alla Madonna. Un tempo in cui si moltiplicano i Rosari, sono frequenti (e speriamo tornino presto possibili) i pellegrinaggi ai santuari, si sente più forte il bisogno di preghiere speciali alla Vergine. Un bisogno che si avverte con particolare urgenza nel tempo che stiamo vivendo. Lo sottolinea il Papa nella “Lettera” inviata a tutti i fedeli il 25 aprile scorso. Un invito caldo e affettuoso a riscoprire la bellezza di pregare il Rosario a casa. Lo si può fare insieme o personalmente, ma senza mai perdere di vista l’unico ingrediente davvero indispensabile: la semplicità. Contemplare il volto di Cristo con il cuore di Maria, aggiunge papa Francesco, che propone ai fedeli i testi di due preghiere alla Vergine, “ci renderà ancora più uniti come famiglia spirituale e ci aiuterà a superare questa prova”.

Il re saggio e la nascita del Rosario

In particolare la storia ci porta al Medio Evo, ai filosofi di Chartres nel 1100 e ancora di più al XIII secolo, quando Alfonso X detto il saggio, re di Castiglia e Leon, in “Las Cantigas de Santa Maria” celebrava Maria come: «Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via (…)». Di lì a poco il beato domenicano Enrico Suso di Costanza mistico tedesco vissuto tra il 1295 e il 1366 nel Libretto dell’eterna sapienza si rivolgeva così alla Madonna: «Sii benedetta tu aurora nascente, sopra tutte le creature, e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bei viso, ornato con il fiore rosso rubino dell’Eterna Sapienza!». Ma il Medio Evo vede anche la nascita del Rosario, il cui richiamo ai fiori è evidente sin dal nome. Siccome alla amata si offrono ghirlande di rose, alla Madonna si regalano ghirlande di Ave Maria.
Le prime pratiche devozionali, legate in qualche modo al mese di maggio risalgono però al XVI secolo. In particolare a Roma san Filippo Neri, insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore.
Un altro balzo in avanti e siamo nel 1677, quando il noviziato di Fiesole, fondò una sorta di confraternita denominata “Comunella”. Riferisce la cronaca dell’archivio di San Domenico che «essendo giunte le feste di maggio e sentendo noi il giorno avanti molti secolari che incominiciava a cantar meggio e fare festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla Santissima Vergine Maria….». Si cominciò con il Calendimaggio, cioè il primo giorno del mese, cui a breve si aggiunsero le domeniche e infine tutti gli altri giorni. Erano per lo più riti popolari semplici, nutriti di preghiera in cui si cantavano le litanie, e s’incoronavano di fiori le statue mariane. Parallelamente si moltiplicavano le pubblicazioni. Alla natura, regina pagana della primavera, iniziava a contrapporsi, per così dire, la regina del cielo. E come per un contagio virtuoso quella devozione cresceva in ogni angolo della penisola, da Mantova a Napoli.


O Maria, Tu risplendi sempre nel nostro cammino come segno di salvezza e di speranza. Noi ci affidiamo a Te, Salute dei malati, che presso la croce sei stata associata al dolore di Gesù, mantenendo ferma la tua fede. Tu, Salvezza del popolo romano, sai di che cosa abbiamo bisogno e siamo certi che provvederai perché, come a Cana di Galilea, possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci, Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del Padre e a fare ciò che ci dirà Gesù, che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per condurci, attraverso la croce, alla gioia della risurrezione. Amen. Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.


L’indicazione del gesuita Dionisi

L’indicazione di maggio come mese di Maria lo dobbiamo però a un padre gesuita: Annibale Dionisi. Un religioso di estrazione nobile, nato a Verona nel 1679 e morto nel 1754 dopo una vita, a detta dei confratelli, contrassegnata dalla pazienza, dalla povertà, dalla dolcezza. Nel 1725 Dionisi pubblica a Parma con lo pseudonimo di Mariano Partenio “Il mese di Maria o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei”. Tra le novità del testo l’invito a vivere, a praticare la devozione mariana nei luoghi quotidiani, nell’ordinario, non necessariamente in chiesa «per santificare quel luogo e regolare le nostre azioni come fatte sotto gli occhi purissimi della Santissima Vergine». In ogni caso lo schema da seguire, possiamo definirlo così, è semplice: preghiera (preferibilmente il Rosario) davanti all’immagine della Vergine, considerazione vale a dire meditazione sui misteri eterni, fioretto o ossequio, giaculatoria. Negli stessi anni, per lo sviluppo della devozione mariana sono importanti anche le testimonianze dell’altro gesuita padre Alfonso Muzzarelli che nel 1785 pubblica “Il mese di Maria o sia di Maggio” e di don Giuseppe Peligni.

Da Grignion de Montfort all’enciclica di Paolo VI

Il resto è storia recente. La devozione mariana passa per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata concezione (1854) cresce grazie all’amore smisurato per la Vergine di santi come don Bosco, si alimenta del sapiente magistero dei Papi. Nell’enciclica Mense Maio datata 29 aprile 1965, Paolo VI indica maggio come «il mese in cui, nei templi e fra le pareti domestiche, più fervido e più affettuoso dal cuore dei cristiani sale a Maria l’omaggio della loro preghiera e della loro venerazione. Ed è anche il mese nel quale più larghi e abbondanti dal suo trono affluiscono a noi i doni della divina misericordia». Nessun fraintendimento però sul ruolo giocato dalla Vergine nell’economia della salvezza, «giacché Maria – scrive ancora papa Montini – è pur sempre strada che conduce a Cristo. Ogni incontro con lei non può non risolversi in un incontro con Cristo stesso». Un ruolo, una presenza, sottolineato da tutti i santi, specie da quelli maggiormente devoti alla Madonna, senza che questo diminusca l’amore per la Madre, la sua venerazione. Nel “Trattato della vera devozione a Maria” san Luigi Maria Grignion de Montfort scrive: «Dio Padre riunì tutte le acque e le chiamò mària (mare); riunì tutte le grazie e le chiamò Maria»


«Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio». Nella presente situazione drammatica, carica di sofferenze e di angosce che attanagliano il mondo intero, ricorriamo a Te, Madre di Dio e Madre nostra, e cerchiamo rifugio sotto la tua protezione. O Vergine Maria, volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi in questa pandemia del coronavirus, e conforta quanti sono smarriti e piangenti per i loro cari morti, sepolti a volte in un modo che ferisce l’anima. Sostieni quanti sono angosciati per le persone ammalate alle quali, per impedire il contagio, non possono stare vicini. Infondi fiducia in chi è in ansia per il futuro incerto e per le conseguenze sull’economia e sul lavoro. Madre di Dio e Madre nostra, implora per noi da Dio, Padre di misericordia, che questa dura prova finisca e che ritorni un orizzonte di speranza e di pace. Come a Cana, intervieni presso il tuo Figlio Divino, chiedendogli di confortare le famiglie dei malati e delle vittime e di aprire il loro cuore alla fiducia. Proteggi i medici, gli infermieri, il personale sanitario, i volontari che in questo periodo di emergenza sono in prima linea e mettono la loro vita a rischio per salvare altre vite. Accompagna la loro eroica fatica e dona loro forza, bontà e salute. Sii accanto a coloro che notte e giorno assistono i malati e ai sacerdoti che, con sollecitudine pastorale e impegno evangelico, cercano di aiutare e sostenere tutti. Vergine Santa, illumina le menti degli uomini e delle donne di scienza, perché trovino giuste soluzioni per vincere questo virus. Assisti i Responsabili delle Nazioni, perché operino con saggezza, sollecitudine e generosità, soccorrendo quanti mancano del necessario per vivere, programmando soluzioni sociali ed economiche con lungimiranza e con spirito di solidarietà. Maria Santissima, tocca le coscienze perché le ingenti somme usate per accrescere e perfezionare gli armamenti siano invece destinate a promuovere adeguati studi per prevenire simili catastrofi in futuro. Madre amatissima, fa’ crescere nel mondo il senso di appartenenza ad un’unica grande famiglia, nella consapevolezza del legame che tutti unisce, perché con spirito fraterno e solidale veniamo in aiuto alle tante povertà e situazioni di miseria. Incoraggia la fermezza nella fede, la perseveranza nel servire, la costanza nel pregare. O Maria, Consolatrice degli afflitti, abbraccia tutti i tuoi figli tribolati e ottieni che Dio intervenga con la sua mano onnipotente a liberarci da questa terribile epidemia, cosicché la vita possa riprendere in serenità il suo corso normale. Ci affidiamo a Te, che risplendi sul nostro cammino come segno di salvezza e di speranza, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen.

Il vangelo di Maria

di: Roberto Mela

Il vangelo di Maria

Un libro di spiritualità che conosce 17 edizioni deve contenere qualcosa di interessante. Esso è nato dalla predicazione di un ritiro/esercizi spirituali tenuto presso il Monastero “Marta e Maria di Betania” della Comunità delle Beatitudini a Nouan-Fuzelier (Lamotte-Beuvron, Francia) dall’11 al 16 settembre 1984.

Ne è autrice una madre di tre figli, nonna, bisnonna e vedova consacrata (1921-2012), membro del movimento carismatico nel quale si è dedicata all’insegnamento e all’evangelizzazione. La sua sensibilità femminile emerge con forza nelle meditazioni, tutte condite col sale della sapienza, della mitezza e della sensibilità ecclesiale.

In Maria, l’autrice vede la trasparenza delle vetrate che lascia passare intatta la grazia di Cristo, del cui vangelo ella diventa a sua volta trasparenza e motore di propulsione. Il vangelo di Cristo diventa in tal modo il vangelo di Maria.

Georgette Blaquière sottolinea con forza l’appartenenza di Maria al popolo cristiano, costituita da Dio quale prima dei redenti dalla grazia pasquale di Cristo per diventare Madre di Cristo e di Dio, madre della Chiesa, potenza d’intercessione per tutti gli uomini.

Di Maria l’autrice sottolinea la fede, e ricorda le parole conclusive del documento conciliare Lumen gentium 62: «Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce». La studiosa ricorda anche come LG 63 scriva che «La madre di Dio è figura […], nell’ordine della fede, della carità, della perfetta unione con Cristo”, e non nell’ordine della morale o delle virtù o dell’ordine della purezza (cf. p. 9).

La Blaquière ricorda pure che il dogma dell’Assunzione di Maria fu proclamato da Pio XII con la Bolla Munificentissimus Deus – la glorificazione di Maria con l’assunzione al cielo «in anima e corpo» –  nella solennità di Ognissanti nel 1950, e non il 15 di agosto. Questo fatto rinforza la certezza di fede che Maria è membro della Chiesa, sorella del cammino, vicina al popolo di Dio. Ella ha cooperato in maniera eccelsa con l’unico redentore e mediatore della salvezza, il figlio suo Gesù.

Che, pur con tutto questo, Maria non sia da venerare come corredentrice l’ha dovuto ricordare a metà di dicembre 2019 anche papa Francesco.

L’autrice dispone le sue riflessioni lungo il filo d’oro della fede.

L’annuncio dell’angelo a Maria è il suo salto nella fede.

Ad Ain Karem ella vive la gioia della fede, come ragazza colma della tenerezza di Dio, figlia del Re e Figlia della Sapienza.

La vita nella fede comprende il rapporto con Giuseppe da vivere alla luce della volontà di Dio, la prima salita a Gerusalemme con la perdita angosciosa del Figlio, la ridiscesa a Nazaret nella quotidianità della custodia di Gesù e della parola di Dio.

Il cammino della fede abbraccia la presenza a Cana e la sequela di Cristo, con la tentazione della madre, alla quale non accondiscende, e l’abbandono generoso a Dio.

La notte della fede di presenterà sotto la crocedove la madre sta salda di fronte all’Agnello immolato: stabat Mater.

La madre della Chiesa appare, invece, al Calvario e nel momento della manifestazione della fede, la festa della Pentecoste. Lì c’è la conferma della fede nel cuore della Chiesa.

Ciò che la Chiesa crede di Maria e del suo cammino è anche espresso nella preghiera della Salve Regina, in cui ella appare come donna coronata e dove la sua fede viene glorificata.

In un’Appendice molto interessante (pp.169-176) l’autrice espone con chiarezza e semplicità il suo “credo mariano”. Confessa e accoglie nella fede tutto quello che la Chiesa crede di Maria e distingue questo da ciò che la devozione del popolo cristiano vi ha aggiunto nella religiosità popolare: il culto mariano, le apparizioni, il rosario. Tratta tutti e tutto con grande rispetto, nella piena libertà ricordata dal ben noto principio teologico: «nelle cose necessarie, l’unità; il ciò che è incerto, la libertà; in tutte, la carità» (p. 169). (Icastico in latino: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas).

Affettuosa e laudativa la postfazione di Michel Santier, vescovo di Créteil dal 2007. Egli ha un bel motto episcopale (Quei ma join soi en tous), ha fatto parte del comitato della TOB ed è membro del Consiglio per l’unità dei cristiani e le relazioni con il giudaismo e della Commissione episcopale della Mission de France.

Georgette BlaquièreIl vangelo di Maria, Postfazione di Michel Santier (Itinerari. Collana di spiritualità. Dottrina esperienze testimonianze, s. n.), EDB, Bologna 2019 (or. fr. Burtin [France] 2018), pp. 184, € 16,00, ISBN 978-88-10-51373-6

Ecco perché maggio è il mese di Maria. Maggio è tradizionalmente il mese dedicato alla Madonna

La Madonna della tenerezza nell'opera di un pittore cretese

Un Rosario di palloncini nel cielo egiziano (Ap)

Un Rosario di palloncini nel cielo egiziano (Ap)

Il mese di maggio è il periodo dell’anno che più di ogni altro abbiniamo alla Madonna. Un tempo in cui si moltiplicano i Rosari a casa e nei cortili, sono frequenti i pellegrinaggi ai santuari, si sente più forte il bisogno di preghiere speciali alla Vergine. Lo ricorda spesso il Papa che non a caso ha deciso di iniziare il suo maggio al santuario mariano del Divino Amore, pregando per la pace, soprattutto in Siria. Alla base della particolare attenzione alla Madonna di questi giorni, l’intreccio virtuoso tra la natura, che si colora e profuma di fiori, e la devozione popolare.

Un omaggio floreale alla Vergine del Rosario

Un omaggio floreale alla Vergine del Rosario

Il re saggio e la nascita del Rosario

In particolare la storia ci porta al Medio Evo, ai filosofi di Chartres nel 1100 e ancora di più al XIII secolo, quandoAlfonso X detto il saggio, re di Castiglia e Leon, in “Las Cantigas de Santa Maria” celebrava Maria come: «Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via (…)». Di lì a poco il beato domenicano Enrico Suso di Costanza mistico tedesco vissuto tra il 1295 e il 1366 nel Libretto dell’eterna sapienza si rivolgeva così alla Madonna: «Sii benedetta tu aurora nascente, sopra tutte le creature, e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bei viso, ornato con il fiore rosso rubino dell’Eterna Sapienza!». Ma il Medio Evo vede anche la nascita del Rosario, il cui richiamo ai fiori è evidente sin dal nome. Siccome alla amata si offrono ghirlande di rose, alla Madonna si regalano ghirlande di Ave Maria.
Le prime pratiche devozionali, legate in qualche modo al mese di maggio risalgono però al XVI secolo. In particolare a Roma san Filippo Neri, insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore.
Un altro balzo in avanti e siamo nel 1677, quando il noviziato di Fiesole, fondò una sorta di confraternita denominata “Comunella”. Riferisce la cronaca dell’archivio di San Domenico che «essendo giunte le feste di maggio e sentendo noi il giorno avanti molti secolari che incominiciava a cantar meggio e fare festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla Santissima Vergine Maria….». Si cominciò con il Calendimaggio, cioè il primo giorno del mese, cui a breve si aggiunsero le domeniche e infine tutti gli altri giorni. Erano per lo più riti popolari semplici, nutriti di preghiera in cui si cantavano le litanie, e s’incoronavano di fiori le statue mariane. Parallelamente si moltiplicavano le pubblicazioni. Alla natura, regina pagana della primavera, iniziava a contrapporsi, per così dire, la regina del cielo. E come per un contagio virtuoso quella devozione cresceva in ogni angolo della penisola, da Mantova a Napoli.

La Madonna della tenerezza nell'opera di un pittore cretese

La Madonna della tenerezza nell’opera di un pittore cretese

L’indicazione del gesuita Dionisi

L’indicazione di maggio come mese di Maria lo dobbiamo però a un padre gesuita: Annibale Dionisi. Un religioso di estrazione nobile, nato a Verona nel 1679 e morto nel 1754 dopo una vita, a detta dei confratelli, contrassegnata dalla pazienza, dalla povertà, dalla dolcezza. Nel 1725 Dionisi pubblica a Parma con lo pseudonimo di Mariano Partenio “Il mese di Maria o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei”. Tra le novità del testo l’invito a vivere, a praticare la devozione mariana nei luoghi quotidiani, nell’ordinario, non necessariamente in chiesa «per santificare quel luogo e regolare le nostre azioni come fatte sotto gli occhi purissimi della Santissima Vergine». In ogni caso lo schema da seguire, possiamo definirlo così, è semplice: preghiera (preferibilmente il Rosario) davanti all’immagine della Vergine, considerazione vale a dire meditazione sui misteri eterni, fioretto o ossequio, giaculatoria. Negli stessi anni, per lo sviluppo della devozione mariana sono importanti anche le testimonianze dell’altro gesuita padre Alfonso Muzzarelli che nel 1785 pubblica “Il mese di Maria o sia di Maggio” e di don Giuseppe Peligni.

Un pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe

Un pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe

Da Grignion de Montfort all’enciclica di Paolo VI

Il resto è storia recente. La devozione mariana passa per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata concezione (1854) cresce grazie all’amore smisurato per la Vergine di santi come don Bosco, si alimenta del sapiente magistero dei Papi. Nell’enciclica Mense Maio datata 29 aprile 1965, Paolo VI indica maggio come «il mese in cui, nei templi e fra le pareti domestiche, più fervido e più affettuoso dal cuore dei cristiani sale a Maria l’omaggio della loro preghiera e della loro venerazione. Ed è anche il mese nel quale più larghi e abbondanti dal suo trono affluiscono a noi i doni della divina misericordia». Nessun fraintendimento però sul ruolo giocato dalla Vergine nell’economia della salvezza, «giacché Maria – scrive ancora papa Montini – è pur sempre strada che conduce a Cristo. Ogni incontro con lei non può non risolversi in un incontro con Cristo stesso». Un ruolo, una presenza, sottolineato da tutti i santi, specie da quelli maggiormente devoti alla Madonna, senza che questo diminusca l’amore per la Madre, la sua venerazione. Nel “Trattato della vera devozione a Maria” san Luigi Maria Grignion de Montfort scrive: «Dio Padre riunì tutte le acque e le chiamò mària (mare); riunì tutte le grazie e le chiamò Maria»

Un Rosario di palloncini 'cattura' un aereo (Lapresse)

Un Rosario di palloncini “cattura” un aereo (Lapresse)

da Avvenire

Papa Francesco stabilisce la memoria di Maria “Madre della Chiesa”

In attuazione della decisione di Papa Francesco, con decreto del giorno 11 febbraio scorso, 160.mo anniversario della prima apparizione della Vergine a Lourdes, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha disposto l’iscrizione della memoria della “Beata Vergine Maria Madre della Chiesa” nel Calendario Romano Generale. Considerando l’importanza del Mistero della maternità spirituale di Maria, che dall’attesa dello Spirito Santo a Pentecoste, non ha mai smesso di prendersi maternamente cura della Chiesa pellegrina nel tempo, Papa Francesco ha quindi stabilito che, il Lunedì dopo Pentecoste, la memoria di Maria Madre della Chiesa sia obbligatoria per tutta la Chiesa di Rito Romano. Con questa memoria, evidenzia il documento, Francesco auspica “la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana”.

“ Questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa ”

Paolo VI dichiarò Maria “Madre della Chiesa”

Il Decreto sottolinea che Maria “è al contempo madre di Cristo, Figlio di Dio, e madre delle membra del suo corpo mistico, cioè della Chiesa”. Rammenta inoltre che questo titolo era già presente nel “sentire ecclesiale” a partire da Sant’Agostino e che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha onorato Maria con titoli in qualche modo equivalenti, come appare in testi di autori spirituali e pure nel magistero di Benedetto XV e Leone XIII. Proprio su tale fondamento, il Beato Paolo VI – a conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano II – dichiarò la Beata Vergine Maria, “Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano”. Successivamente, si legge nel Decreto, la Sede Apostolica propose, nel 1975, una Messa votiva in onore della Madre della Chiesa, inserita poi nel Messale Romano. Era stato anche approvato, nel corso degli anni, l’inserimento della celebrazione della “Madre delle Chiesa”, nel Calendario proprio di alcuni Paesi, come la Polonia e l’Argentina.

Card. Sarah: Maria aiuta a riempire la vita dell’amore di Dio

Dal canto suo, in un commento al Decreto, il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, si augura che “questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre realtà: la Croce, l’Ostia e la Vergine”. Tre misteri, sottolinea, “che Dio ha donato al mondo per strutturare, fecondare, santificare la nostra vita interiore e per condurci verso Gesù Cristo”.

da Radio Vaticana

Festa dell’Assunta. Il peso e la fiducia. Maria, le tradizioni, il mare, i ponti

L’Assunzione di Maria, opera di Andrea della Robbia

Anche nel cuore dell’estate vacanziera si affacciano esperienze destinate a lasciare un segno profondo. Esperienze che parlano il vivo linguaggio della tradizione, così diverso e distante da quel folclore che pretende di riesumare il passato a meri fini commerciali. Esperienze che, da nord a sud, qualificano sul territorio la proposta religiosa, culturale e turistica del nostro Paese. Davvero, come scrive papa Francesco, «una cultura popolare evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente, e possiede una sapienza peculiare che bisogna saper riconoscere con uno sguardo colmo di gratitudine».
Per non restare nel vago, vorrei dedicare queste righe a raccontare in presa diretta ai lettori di “Avvenire” quanto ho vissuto ieri sera, vigilia della solennità dell’Assunta, a Monopoli. L’evento, oltre ad essere emblematico, offre alcune piste di riflessione dalle quali forse non sarebbe sbagliato lasciarsi coinvolgere. A mia volta, non esito a riconoscere di esserne rimasto tanto partecipe quanto commosso.
L’occasione era data dall’anniversario dell’approdo dell’icona bizantina della Madonna della Madia, avvenuto nel 1117 a bordo di una zattera composta da travi di pino d’Aleppo, alcune delle quali sono ancora custodite in Cattedrale. Novecento anni dopo, è toccato a me trovarmi a fianco di monsignor Giuseppe Favale, vescovo di quella diocesi, su una precaria imbarcazione a raccogliere la copia dell’icona della Vergine per mostrarla alle migliaia di persone che in attesa gremivano la riva.
Mentre mi avvicinavo al molo non potevo smettere di volgermi ad ascoltare quel mare che avevo alle spalle. Per secoli è stato un catino le cui acque non sono state solcate soltanto da guerrieri e mercanti, ma da dialetti e culture che hanno arricchito e avvicinato i popoli del Mediterraneo. Un mare divenuto strada per l’incontro, invece di muro e confine… E Maria – che oggi celebriamo tra la terra e il Cielo – non ci riconsegna forse la missione di farci costruttori di ponti tra Oriente e Occidente, tra vicini e lontani, tra uomini e donne, nella consapevolezza che la reciprocità è la prima condizione per camminare insieme?
Del resto, come possiamo immaginare di festeggiare l’Assunta, in cui la nostra umanità raggiunge la meta, se rinunciamo a stringere le mani che da questo stesso mare affiorano? Chi tocca un povero, dice ancora Francesco, tocca la carne di Cristo: passaggio non indolore, ma decisivo, nell’indicarci che ciò che dà valore a quello che siamo e che diventa via al Cielo è ancora una volta la disponibilità a prenderci cura dei fratelli, a riconoscerli tali, a far loro posto nel nostro cuore prima ancora che alla nostra stessa mensa.
Infine, come sfuggire alla suggestione legata alla provenienza delle travi della zattera? Aleppo non è soltanto un’indicazione geografica. Questa cittadina della Siria settentrionale – contesa, bombardata e saccheggiata a più riprese da un conflitto che dura da oltre 6 anni – è il simbolo di ogni tragedia che insanguina la dignità dell’uomo: penso ai tanti focolai di guerra sparsi nel Medio Oriente come in altre parti del mondo.
Vi assicuro che nell’alzare l’icona di Maria ho sentito sulle braccia e sul cuore il peso di questa umanità dolente e umiliata; ma nel gesto con cui ho benedetto la folla di Monopoli c’era anche la fiducia che con Maria è possibile tornare ad affidarci al Principe della Pace, affinché ispiri propositi e impegni di pacifica convivenza tra tutti.

di Nunzio Galantino – Avvenire

Assunzione B.V. Maria: La Donna gloriosa

La riflessione credente della Chiesa lungo i secoli e la Tradizione vivente di preghiera, studio, martirio, celebrazione della propria fede nella santa liturgia hanno portato a far culminare la meditazione sul destino ultimo di Maria nella proclamazione del dogma della sua assunzione al cielo in corpo e anima (1° novembre 1950). Maria partecipa, come prima dei redenti, all’opera redentrice di Gesù, della quale era stata la madre della sua divinità incarnata.

Nessun testo biblico proclama direttamente il mistero dell’Assunzione di Maria in corpo e anima, ma esso si basa solidamente sull’insieme dei testi che descrivono la missione terrena di Maria, stretta cooperatrice del suo figlio Gesù, Verbo incarnato, di cui è diventata madre per grazia. Madre di Dio.

La seconda lettura, da noi non commentata, è quella che maggiormente può illuminare biblicamente la sorte gloriosa di Maria, la Prima Pellegrinante, segno di sicura speranza per tutto il popolo di Dio in cui è inserita.

Una donna vestita di sole

Il suono della settima tromba (comunicazione nella storia della vittoria pasquale dell’Agnello sul male inoculato dal Nemico nel mondo e nella Chiesa) dà il via, come una matrioska russa, al manifestarsi del secondo e del terzo dei “guai” (cf. il primo 9,12; il secondo 11,14a; il terzo 11,14b).

Il terzo “guai” “contiene”/combacia con il manifestarsi dei tre “segni/sēmeion”, il terzo dei quali (15,1 coincide con lo squillo delle sette trombe…). Un concatenarsi di settenari e segni che manifestano la comunicazione fitta che avviene tra il mondo di Dio e quello degli uomini. Non una comunicazione tremenda intesa a distruggere gli uomini e il creato, ma la comunicazione di una purificazione parziale, temporanea, “esodica”, in vista della conversione degli uomini.

L’Apocalisse è un libro scritto non per terrorizzare le persone circa la fine del mondo, ma un libro profetico (Ap 1,3; 19,10; 22,7.18.19; cf. 1,19) di consolazione, che “rivela/apokalypsis” (Ap 1,1) la vena profonda della storia: Cristo risorto, “in mezzo al trono” di Dio – pienamente partecipe della sua piena potestà –, agnello come sgozzato ma ritto e vivente (cf. Ap 5,6), ha vinto la guerra nella storia (e nel cielo) contro il nemico di sempre.

Battaglie ce ne saranno ancora, i colpi di coda dell’avversario e dei suoi adepti terreni saranno numerosi, ma la vittoria della guerra è certa, già acquisita, contemplata e celebrata dal popolo dei santi nella liturgia nel giorno del Signore. Proprio in quel giorno “domenicale/kyriakē”, il Veggente di Patmos, “fu preso/divenne/egenomēndallo Spirito” (Ap 1,10) e poté interpretare le profondità vere della storia, al di là delle vicende dolorose che la Chiesa/le Chiese stava/no vivendo.

Il primo “segno/sēmeion” (12,1-2) grandioso/megan appare dopo che nel cielo si era aperto il tempio di Dio ed era apparsa l’arca dell’alleanza divina. Folgori, voci, scoppi di tuoni, terremoti e tempesta di grandine (11,19) simboleggiano il fatto che c’è comunicazione tra Dio e gli uomini e la sua alleanza è sempre in atto con loro e non li abbandonerà in balia completa del Nemico, il Diavolo (2,10; 12,9.12; 20,2.10), l’Avversario/Satanas (20,2), il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato Diavolo e l’Avversario (12,9)…

La donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, partecipe della potenza vitale e di risurrezione di Dio, reca sul capo le dodici stelle delle tribù di Israele e insieme dei dodici Apostoli. È incinta e grida per le doglie e il travaglio del parto.

Essa porta in sé la figura della comunità dell’Antica Alleanza e di quella rinnovata/nuova. Il popolo dell’Antica alleanza sta per partorire la gloria di Israele, il Messia, il Verbo di Dio incarnato.

I simboli sono stracarichi di riferimenti antico e neotestamentari, letti e applicati a loro volta nella storia dalla Tradizione viva alla Chiesa dei propri tempi, a Maria Vergine e a ciascuna “anima” dei discepoli di Gesù.

Appare nel cielo anche “un altro segno /allo sēmeion”. Esso non è definito un “grande” segno, ma la sua potenza è grande lo stesso: esso è “nel cielo”, il mondo della potenza sovrumana, lì dove avverrà però anche la sua sconfitta definitiva.

Lo schema di pensiero dell’Apocalisse è imperniato sul fatto che le battaglie “spirituali” che si svolgono sulla terra fra agenti “umani/mondani” sono intese come espressione terrena di una lotta ben più tremenda che si svolge a livello di potenze celesti. Lo scontro è immane nel cielo, straziante sulla terra, ma la vittoria è certa e già acquisita.

Il nemico, qui descritto come un grande drago rosso – potenza bestiale mortifera e sanguinaria –, è simbolo, al momento in cui è stata scritta l’Apocalisse, del potere imperiale romano, che porta la pax romana con la guerra e inizia la sua persecuzione anche nell’Asia Minore contro coloro che non si sottomettono al culto imperiale. La potenza del drago è bestiale ed enorme, ma parziale nel tempo, nello spazio e nel contenuto della vittoria (“un terzo”).

Esso si pone di fronte alla donna partoriente, per divorare il Messia che da lei nascerà per governare con scettro di ferro (cf. Ap 2,27; Sal 2,8-9, salmo sul Messia) tutte le nazioni. Lo scettro frantumerà il male che non si sottomette al bene, ma si imporrà dolcemente col legno della croce abbracciata da Gesù nella potenza d’amore dello Spirito Santo. Il figlio-Messia sarà tutto partecipe della vita di Dio e della sua potenza sovrana (“trono”).

La donna comunità AT/comunità ecclesiale NT/la vergine Maria/il singolo credente riceve l’aiuto divino della fuga nel deserto protettivo e luogo di rifugio e di liberazione dal nemico oppressore lungo i tempi dell’AT (cf. Es 2,15; 1Re 19,3ss; 1Mac 2,29-30), di cui il faraone era uno dei pallidi esempi. La comunità credente/Maria/il credente riceverà un rifugio già approntato da Dio e il nutrimento vitale per un tempo “parziale” (1260 gg = tre anni e mezzo), parzialità tipica dei tempi e degli elementi appartenenti alla storia degli uomini. Il destino ultimo della donna/Chiesa/credente infatti non è di tipo terreno, ma lo sposalizio con il Kyrios nel cielo (cf. Ap 2).

Il grido di vittoria che si alza potente nel cielo (12,10) e che proclama la vittoria salvifica e sovrana di Dio e del suo Messia/Cristo presuppone la battaglia celeste descritta nei vv. 7-9, conclusa con la sconfitta del serpente antico/diavolo/satana, /seduttore della terra abitata.

Ora si è compiuta la salvezza

Dio salva la donna che ha partorito il Messia e la prende con sé nella sua salvezza desertica, puro preludio, temporalmente parziale, dell’esito pienamente felice della celebrazione delle nozze della sposa col suo sposo/Signore risorto.

La fidanzata verrà preparata lungo i secoli ad agghindarsi sulla terra per il suo sposo, ma nello stesso tempo scenderà dal cielo, già preparata da Dio, come suo puro dono di grazia (cf. Ap 22,2). Cammino di fede provata sulla terra, destino di gloria dono della pura grazia di Dio.

È il destino glorioso della comunità dell’Antico Testamento fusa (12 x 12) divinamente (x 1000 il tempo di Dio) con quella apostolica del Nuovo Testamento (Ap 7,4, ma anche 7,9, la moltitudine immensa).

È il destino glorioso di Maria Vergine che celebriamo assunta in cielo in anima e corpo, prima di una lunga schiera di credenti, per la sua stretta collaborazione – unica – alla redenzione attuata dal figlio suo Gesù Cristo.

È il destino glorioso di ogni credente che persevera fino alla fine nella fede (cf. Mt 10,22 e par.; Ap 2,26). Egli parteciperà pienamente, anche col suo “corpo pneumatizzato/sōma pneumatikon” (1Cor 15,44), alla gloria di Cristo risorto.

Per ora non vediamo che tutte le cose siano sottomesse a lui, ammette un po’ amareggiato l’autore della Lettera agli Ebrei (cf. Eb 2,8), ma la fede e la contemplazione della beata vergine Maria assunta in cielo sono segni di sicura speranza e di incoraggiamento nel cammino.

Beata colei che creduto!

Secondo il “vangelo in miniatura” nella versione lucana, la giovanissima Maria “si alza/risorge/anastasa” (1,39) e corre ad aiutare l’anziana parente incinta, ma anche a confidarle il segreto, ricevuto dall’arcangelo Gabriele, della sua vocazione a diventare madre, la madre del Messia, la madre del Figlio dell’Altissimo. Una confidenza fatta per partecipare una gioia immensa, ma anche per ricevere aiuto, sostegno, complicità femminile.

Maria incinta diventa arca dell’alleanza che evangelizza portando gioia. Portatrice sana di gioia cristologica.

L’arca dell’alleanza aveva già benedetto la casa di Obed-Edom che l’aveva ospitata per tre mesi, e Davide decide che ormai è tempo di trasportarla a Gerusalemme: «L’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa. Ma poi fu detto al re Davide: “Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio”. Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia» (2Sam 6,11-12).

Per pura rivelazione divina (essendo rimasta “misteriosamente” nascosta per cinque mesi…), Elisabetta intravede, nella giovane cugina, la madre del proprio Signore e loda il suo essere benedetta fra le donne per un privilegio così grande. Ma ancor più la loda per il frutto del suo grembo e per la sua fede nel “compimento perfetto /teleiōsis” attuato da Dio delle sue stesse parole.

È tutta una lode che sale a Dio, nella gioia, per la sua opera di grazia compiuta in Maria. La radice di tutta la vita umano-divina di Maria sta in quel “kecharitomenē/tutta trasformata dalla grazia” con la quale Gabriele l’aveva salutata (cf. Lc 1,28), rivelandole il suo vero e nuovo nome…

Magnificat!

Tutta coltivata e trasformata da tempo dalla grazia di Dio che perdura tutt’ora nel presente nei suoi effetti (questo è il senso del participio perfetto passivo greco), Maria può corrispondere alla e nella grazia con la sua fede – non preservata da un cammino con momenti notturni e dolorosi –, alle parole rivoltele “nel passato, con valore duraturo, a partire da presso il Signore Dio ma scendendo in giù/lelalēmenois para tou theou”.

Maria è resa partecipe intimamente della persona, della missione e del destino salvifico del suo figlio, il Figlio dell’Altissimo. Egli la “riempie” di se stesso fin dall’inizio della sua vita, anzi, ancor prima che essa iniziasse sulla terra.

Anche in questo caso, quel che è detto della Vergine Maria si può dire dell’umanità da sempre sognata da Dio, della comunità della prima alleanza, della Chiesa e di ogni credente (si veda il bel libro di Gisbert Greshake,Maria – Ecclesia. Prospettive di una teologia e una prassi ecclesiale fondata in senso mariano, Brescia 2017).

Si può bene comprendere allora come la Chiesa primitiva abbia recuperato la tradizione riguardante le parole espresse da Maria in quell’occasione e le abbia mirabilmente elaborate alla luce della preghiera della sterile Anna, graziata da YHWH con la nascita del figlio, il profeta Samuele (cf. 1Sam 2,1-10).

Maria/la Chiesa/il discepolo credente loda e “rende grandi” i criteri rivoluzionari delle scelte e delle azioni di YHWH/Dio Padre nella sua storia personale e in quella di Israele.

Dio capovolge i criteri dell’onnipotenza “greca” con quelli dell’onnipotenza “ebraica”. Una onnipotenza potentemente “debole”, che sceglie persone/strumenti umanamente fragili, deboli, “inesistenti”, negletti e insignificanti (cf. 1Cor 1), “vasi di creta” (cf. 2Cor 4,7), per attuare i suoi disegni di salvezza.

Ancora una volta la lode e la venerazione per la Vergine Maria, celebrata oggi nella sua assunzione al cielo in corpo e anima, si trasfigura in una lode alla “magnificenza” di Dio Padre, che ha voluto associare in modo unico la semplice figlia di Sion all’opera di salvezza realizzata dal suo Figlio, il Verbo di Dio incarnato.

Lode a Dio, venerazione a Maria, gloria e lode a Dio per la grandezza della dignità del nostro corpo umano, destinato anch’esso alla gloria che ci attende nei cieli. Gloria di pellegrini che arrivano là dove ci hanno preceduti il Figlio e la Madre.

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