Piano piano si comincia a rientrare in classe (parte l’Alto Adige) e il tema della sicurezza in tempo di pandemia resta centrale

Ne parliamo con Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, coordinatore del Cts e direttore di Medicina sperimentale di precisione del Bambino Gesù di Roma.

«I pilastri su cui si fonderà il rientro a scuola, il più possibile in sicurezza e con l’obiettivo di dare continuità alla didattica in presenza, sono tre: il Green pass per gli operatori scolastici, quindi corpo docente e personale non docente. Per Green pass si intende: soggetti vaccinati o che abbiano superato la malattia o che si siano sottoposti a tampone. L’auspicio e l’esortazione che rivolgo è che la percentuale dei vaccinati sia la più alta possibile».

Il secondo pilastro della sicurezza?

«Vaccinare il maggior numero di adolescenti delle superiori e degli ultimi due anni di medie. Abbiamo due vaccini a Rna messaggero approvati, Pfizer-BioNTech e Moderna. La speranza è di aumentare ulteriormente la già buona percentuale di soggetti che hanno ricevuto la prima dose che oggi tra i 15 e i 19 anni è vicina al 60 percento. E aumentarla nella fascia 12-14».

Persiste poi una serie di protocolli già nota a tutti…

«Il distanziamento interpersonale, l’uso delle mascherine, l’igienizzazione delle mani, l’importanza dell’areazione compatibilmente alla situazione climatica, l’opportunità che i genitori tengano a casa i figli in presenza di febbre o sintomatologia suggestiva per infezione da Sars-CoV-2».

Le mascherine saranno obbligatorie anche in aula?

«Sono obbligatorie dai 6 anni in su e d’imprescindibile utilità quando non c’è la possibilità di mantenere la distanza interpersonale di un metro. Toglierla? È una possibilità considerabile in presenza di una completa copertura vaccinale all’interno della classe».

Eppure la riapertura delle scuole spaventa.

«Un po’ di nuovi casi ci saranno, ma non dobbiamo farci intimorire. Vanno evitate situazioni come lo scorso anno con regioni che hanno scelto autonomamente politiche di chiusura della scuola. Serve una strategia nazionale, con una condivisione delle scelte tra Governo centrale e istituzioni regionali per tutelare la presenza degli studenti a scuola».

Se in classe c’è un positivo, che fare?

«Va gestito dal preside con le autorità sanitarie territoriali. L’eventuale adozione della quarantena già adesso prevede la riduzione della durata a sette giorni per chi è stato vaccinato rispetto ai 10 giorni per chi non lo è».

Qualche consiglio antipanico?

«Vaccinarsi prima di tutto, e questo vale per adulti e ragazzi dai 12 anni, per proteggere sé stessi e gli altri, soprattutto coloro a rischio di non rispondere alla vaccinazione, e per limitare la circolazione virale e l’associato rischio che emergano varianti del nuovo coronavirus. No ad assembramenti e affollamenti anche al di fuori dell’orario scolastico; sì ad atteggiamenti responsabili, anche sui mezzi pubblici, evitando di andare a scuola con febbre, tosse o raffreddore e indossare la mascherina ogni volta in cui è indicato. Così facendo possiamo augurarci una continuità nell’attività didattica in presenza che resta la priorità».
Famiglia Cristiana

Attraverso una favola illustrata il libro “Il cavaliere la principessa e il virus invisibile” affronta le paure e le domande dei più piccoli. E aiuta anche i genitori a confrontarsi con la pandemia senza ansie

Famiglia Cristiana

Una favola, un ragazzo, anzi due, che affrontano il male. Spiegare il coronavirus ai bambini è semplice. Se hai la matita di Franz Pagot e un modo chiaro di raccontare. Il libro Il cavaliere, la principessa e il virus invisibile (a cura di Cinzia De Martin e i cui proventi andranno all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze) risponde alle domande più ricorrenti e mette in guardia dalle insidie che potrebbero farci ammalare di Covid  Con l’ausilio di virologi, psicologi ed esperti, l’autore, attraverso una favola ben strutturata, veicola messaggi rassicuranti su come affrontare il pericolo. L’igiene delle mani, il contatto con gli animali domestici, la distanza tra le persone sono spiegate in modo da non creare ansia, ma anche senza nascondere il male della pandemia. D’altra parte, come ricorda l’autore con le parole di Chesterton all’inizio del testo (che può anche essere scaricato in versione animata al link https://youtu.be/jr7u-IcBLVM) «Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono.Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi»

Studio Molinette, ecografia polmone diagnostica Covid

Una ecografia del polmone può diagnosticare la polmonite da Covid 19 già in Pronto soccorso. Lo ha stabilito uno studio dell’ospedale Molinette di Torino, appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Annals of Emergency Medicine, in base al quale l’aggiunta dell’ecografia polmonare, eseguita insieme alla visita medica, ha permesso di identificare correttamente casi di polmonite da COVID-19 – quasi il 20% – tra quanti erano stati erroneamente catalogati, in base al risultato del primo tampone naso-faringeo, come negativi.  La rapida e corretta identificazione dei pazienti con polmonite da Covid-19 in Pronto soccorso consente di isolare precocemente i soggetti malati, limitando la diffusione dei contagi non solo all’interno dell’ospedale, ma anche fuori dall’ospedale, grazie alle misure di isolamento applicate ai contatti stretti.

Nel corso dello studio sono stati arruolati 228 pazienti con sintomi suggestivi per Covid-19, di cui 107 diagnosticati come affetti da polmonite da Covid in seguito al riscontro di positività del tampone naso-faringeo. L’aggiunta dell’ecografia, eseguita insieme alla visita medica, ha permesso di identificare correttamente altri 21 casi di polmonite da Covid tra quanti erano stati erroneamente catalogati come negativi in base al risultato del primo tampone.  (ANSA).

Covid dati 25 Novembre 2020: 25.853 casi in 24 ore, 722 morti

 © ANSA

Sono 25.853 i nuovi casi di coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore. Lo rende noto il bollettino del ministero della Salute.

I morti sono 722, mentre i pazienti ricoverati in terapia intensiva passano dai 3.816 di ieri ai 3.848 di oggi, con un aumento di 32. I tamponi effettuati sono stati 230.007, con un rapporto sui positivi pari a 11,24%. Per il secondo giorno consecutivo, poi, sono in calo i pazienti ricoverati con sintomi, che sono passati dai 34.577 di ieri ai 34.313 di oggi (-264). In calo anche il numero degli attualmente positivi (-6.689), risultato dell’aumento dei dimessi o guariti che in 24 ore sono stati 31.819. La regione con il maggior numero di nuovi casi è la Lombardia (+5.173), seguita da Piemonte (+2.878) e Campania (+2.815). Quella con il minor numero di nuovi casi è invece la Valle d’Aosta che ne registra appena 27. (ANSA).

Il bollettino del 24 novembre: 23.232 casi su 188.159 tamponi, 853 decessi

avvenire

“Oggi abbiamo 23.232 positivi, con 188.659 tamponi mentre ieri erano 149.000, e quindi c’è stato un leggero aumento del numero dei positivi. pero’ c’è un brutto dato: ci sono stati 853 decessi a fronte di 630 di ieri” ha spiegato il direttore della Prevezione del ministero della Salute, Gianni Rezza, alla conferenza stampa del ministero sull’analisi della situazione epidemiologica.

Sempre dal bollettino odierno si evince che il rapporto positivi/tamponi è del 12,3 %; al contempo si registrano 6 terapie intensive e 120 ricoveri ordinari in più.

Mentre il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato una nuova ordinanza con cui si rinnovano le misure restrittive relative alla Provincia autonoma di Bolzano e alle Regioni Basilicata, Liguria e Umbria. L’ordinanza è valida fino al 3 dicembre 2020, ferma restando la possibilità di nuova classificazione prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020.

Basilicata, Liguria e Umbria restano in arancione (rischio medio-alto e scenario 3 con situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo), mentre la Provincia Autonoma di Bolzano in area rossa relativa allo scenario 4 (situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo). Il rinnovo odierno delle fasce di rischio è relativo alle ordinanze del 10 novembre scorso.

Erano già state rinnovate, venerdì scorso, le restrizioni vigenti per Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta (rosse) e Puglia e Sicilia (arancioni), mentre l’Abruzzo aveva deciso autonomamente il passaggio di colore, da arancione a rosso.

Zona rossa anche le carceri. Senza spazi e senza ascolto

Avvenire

Calano le presenze in cella, ma aumentano i positivi al Covid, i suicidi, i migranti nei Cpr e le preoccupazioni del Garante dei detenuti

Zona rossa anche le carceri. Senza spazi e senza ascolto

Ansa

Giuseppe I. è morto martedì nel penitenziario di Poggioreale. Aveva 68 anni, si era ammalato di Covid–19 e il virus se lo è portato via. Giuseppe era fra i contagiati di coronavirus di cui non parla nessuno, quelli chiusi fra le mura di un carcere, di cui solo i familiari e l’avvocato conoscono la sorte. Prima di lui, a inizio novembre, un altro detenuto 71enne, di cui non sono note le generalità, era morto di Covid ad Alessandria. E il 28 ottobre era toccato ad Antonino G., 82enne recluso a Livorno.

La dolorosa contabilità dei decessi in carcere dall’inizio dell’anno (133, fra cui 51 suicidi, 13 nelle rivolte di marzo, 7 per Covid e uno, Carmelo C. dopo 60 giorni di sciopero della fame) è contenuta in un dossier scaricabile dal sito dell’associazione Ristretti Orizzonti, aggiornato a giovedì 19 novembre e consultato ieri da Avvenire. Dati che si integrano con quelli diffusi ieri dal Garante per i detenuti e le persone private della libertà nel periodico punto della situazione inviato alla stampa, che a fronte di un calo delle presenze nelle carceri (53.758, 400 in meno della scorsa settimana) segnala un aumento «dei casi di positività tra le persone detenute (28%, ossia 172 in più) e tra il personale (19%, 156 in più). In tutto, annota il Garante, sono finora 732 i detenuti positivi in 77 istituti (su un totale di 192). Fra loro, 46 sono sintomatiche (di cui 22 ospedalizzate). Ciò che gli istituti lamentano, si legge nella nota, «è la mancanza di spazi per isolare le persone che entrano in carcere dalla libertà e presentano positività al virus: isolamento essenziale perché la loro situazione di contagio va considerata ben distinta da quella che può svilupparsi tra persone all’interno della sezione, perché è quest’ultima a rappresentare un vero e proprio focolaio». Il collegio del Garante (composto dal presidente Mauro Palma, Daniela de Robert ed Emilia Rossi), ricorda come «un minore ricorso alla custodia cautelare in carcere» sia uno «strumento particolarmente significativo per la riduzione dei numeri complessivi».

Misure alternative e minori

Le misure alternative (o di comunità) per gli adulti riguardano 28.407 persone (fra cui 2.551 donne), divise tra affidamento in prova al servizio sociale (16.390), detenzione domiciliare (11.251) e semilibertà (766). Negli istituti per minorenni le presenze sono 303 (di cui 10 ragazze). Ma si segnalano «due situazioni di sovraffollamento, seppure lieve, a Bologna e a Milano». I minorenni e i giovani adulti attualmente messi alla prova sono 2.067 (di cui 1.552 in casa), mentre complessivamente quelli in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni (inclusi anche i messi alla prova) sono 8.561.

Cpr e navi quarantena

Sul fronte immigrazione, c’è un aumento delle presenze nei Cpr, i centri di permanenza per i rimpatri: le persone trattenute sono salite da 348 a 455, su 608 posti disponibili, in una settimana. In calo, invece, le presenze negli hotspot (scese da 973 a 894, di cui 763 a Lampedusa. Rispetto alle 5 navi quarantena attualmente alla fonda in Sicilia, dopo un primo invio di dati imprecisi, ieri il Viminale ha fornito al Garante una correzione: a bordo delle navi ci sono 2.448 persone, con «197 positivi al contagio».

Critiche al Guardasigilli

In Parlamento, il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari e il deputato Jacopo Morrone annunciano un’interrogazione parlamentare al Guardasigilli, perché « non può continuare a ignorare la situazione drammatica dei penitenziari di Piemonte e Valle d’Aosta, di fatto abbandonati, con carenze di organico importanti e in molti casi senza direttore e comandante, come succede ad Aosta Brissogne, Cuneo, Ivrea, Novara e al carcere minorile F. Aporti di Torino». Mentre il Garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello lamenta: «Mi dispiace che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede minimizzi ciò che sta accadendo nelle carceri, utilizzando parametri e percentuali che secondo lui non segnalano lo stato di allarme pandemico: per me, servirebbe una tonalità di colore più violenta del rosso per le carceri». Ciambriello segnala nella sua regione 223 contagiati tra Polizia penitenziaria, personale sanitario e amministrativo e 188 reclusi positivi (più 2 ricoverati al Cardarelli e al Cotugno). Fra loro, 105 sono a Poggioreale, dove martedì è spirato il povero Giuseppe.

I vaccini anti-Covid. L’infettivologo Andreoni: tempi lunghi per la distribuzione

“Ha presente il cavallo di Troia? Viene introdotto nelle mura della città con il ventre pieno di soldati, che di notte la espugnano. Anche contro il Covid abbiamo oggi un cavallo di Troia, grazie a una tecnologia mai usata prima d’ora per un vaccino: introduciamo nel corpo umano piccolissime particelle del coronavirus Sars-CoV2, che una volta dentro vanno a stimolare una risposta immunitaria contro se stesse, cioè contro il Covid. Se un giorno dovessimo incontrarlo, ci troverebbe con le armi già pronte a riconoscerlo e vincerlo”. Degli oltre 260 vaccini anti-Covid studiati nel mondo, cinque hanno raggiunto una fase avanzata di sperimentazione e sono prossimi all’utilizzo nella pratica clinica, ma ciò che soprattutto affascina l’infettivologo Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie infettive e tropicali, è proprio la sofisticata tecnologia utilizzata per due di questi, che ha permesso di ottenere risultati insperati. “Sempre che quanto comunicato dalle industrie farmaceutiche corrisponda a ciò che leggeremo quando avremo veramente in mano i dati”.

Dunque lei si vaccinerà, appena possibile?
Senza alcun dubbio. I vaccini che verranno autorizzati e distribuiti vorrà dire che avranno passato tutti i test di sicurezza. Se non crediamo in questo, allora neghiamo la validità di tutta la ricerca e a questo punto dovremmo rifiutare qualsiasi sperimentazione, anche i farmaci contro l’Epatite C o gli ultimi ritrovati contro il cancro. Torniamo alla preistoria? Gli Stati stanno comprando i diversi tipi di vaccini, poi man mano svilupperanno campagne vaccinali con il prodotto che sarà a disposizione in quel momento: noi li riceveremo da un lotto o da un altro, ma do per scontato che saranno tutti ugualmente validi.

Ci aiuta a orientarci tra le tante notizie, forse troppe, sui prodotti in lizza nel mondo?
Occorre premettere che i vaccini contro un virus si possono creare con diverse formulazioni. O si inocula il virus intero ma ucciso o inattivato in modo che non si possa replicare, oppure si introducono solo piccole componenti del virus, inserite in un veicolo. Così funzionano i cinque vaccini che hanno già sperimentato la fase 3, ovvero quella che richiede la prova su decine di migliaia di persone. Due studi sono americani e sono i vaccini prodotti da Pfizer e da Moderna. Uno è europeo con l’apporto italiano del laboratorio di Pomezia ed è il vaccino di AstraZeneca. Poi ce ne sono uno cinese e uno russo. Tutti e cinque veicolano la parte di virus che chiamiamo proteina Spike, ovvero la molecola che ricopre il coronavirus e con cui questo si aggancia alle nostre cellule. Creare anticorpi contro questa proteina impedisce quindi al Sars-CoV2 di infettare le cellule.

Iniziamo da Pfizer e Moderna: la loro tecnologia è inedita.
Entrambi utilizzano un frammento del virus Sars-CoV2, il cosiddetto “Rna messaggero”, nanoparticella che, una volta entrata, esprime la proteina Spike. Moderna è stato sperimentato su 30mila persone, va somministrato in due volte a un mese di distanza e, secondo i produttori, dà una protezione del 94,5%, risultato ottimale visto che i vaccini di solito si fermano all’80%. Pfizer ha arruolato 43mila pazienti, 21.500 hanno ricevuto il vaccino, gli altri 21.500 solo un placebo. Anche questo va dato in due dosi e ha una protezione dichiarata del 94%. La differenza rilevante è che Pfizer va mantenuto a meno 80 gradi, Moderna a meno 20 ma può essere distribuito a 5 gradi, cosa non da poco pensando a una dotazione in larga scala.

Gli altri tre vaccini in corsa funzionano invece in modo più tradizionale.
Per portare dentro la proteina Spike usano come “cavallo di Troia” un adenovirus degli scimpanzé, virus che negli animali causa malattie respiratorie ma per l’uomo è innocuo. Per AstraZeneca, il vaccino anglo-italiano, occorrono due somministrazioni in un mese. Non abbiamo ancora i dati sulla protezione che dà, ma sappiamo che produce alte quantità di anticorpi ed è ben tollerato: mesi fa uno dei pazienti aveva sviluppato una mielite, ma si trovava nel gruppo placebo, dunque la malattia non era correlabile al vaccino. Quanto al vaccino cinese della CanSino, basta un’unica dose senza bisogno di richiamo, i dati non sono pubblicati ma in Cina è già registrato e iniettato su larga scala al personale sanitario e ai militari. Lo Sputnik 5 russo, infine, testato su 16mila volontari, si dà in due dosi e ha una protezione dichiarata del 92%. Insomma, lo scenario è per tutti molto incoraggiante, ma prima di esultare bisogna vedere se i dati annunciati in termini di sicurezza ed efficacia saranno rispettati: dopo la fase 3, che è l’ultima nella sperimentazione, c’è una fase 4, quando il vaccino è già usato nella pratica clinica ma resta sotto osservazione.

Quali le difficoltà?
L’elemento critico è la tempistica, vista la numerosità dei soggetti che devono essere vaccinati. Poi dobbiamo attendere la registrazione all’Ema, l’organismo che presiede alle autorizzazioni, peraltro già richiesta da Pfizer e da AstraZeneca, mentre Moderna sta presentando la documentazione. E soprattutto dovremo attendere la produzione di un numero di fiale sufficienti per avere la famosa immunità di gregge, che si ottiene in modo sicuro solo se l’80% delle persone viene vaccinato. Posto che circa un milione di italiani si sono già infettati e quindi in parte immunizzati (ma non si sa per quanto tempo), decine di milioni sono da vaccinare e i tempi saranno lunghi. Nel frattempo è assolutamente necessario usare mascherine, gel disinfettante, distanziamento. Infine c’è l’incognita di quanto durerà l’immunità vaccinale: anni? mesi? Lo sapremo solo con la pratica.

I vaccinati contro il Covid potranno ancora contagiare gli altri?
Devo premettere che i vaccini sono testati come efficaci a prevenire la malattia, piuttosto che l’infezione, ovvero lo sviluppo dei sintomi gravi, non il solo contagio. Detto ciò, ancora non abbiamo i sufficienti per escludere che la persona vaccinata e quindi asintomatica possa trasmettere il virus. Comunque non c’è problema, se tutti si vaccinano nessuno prende più la malattia, tutt’al più l’infezione senza sintomi o paucisintomatica. E naturalmente la circolazione del virus è drasticamente abbattuta.

Tra le paure della gente c’è una domanda cruciale: che cosa vuol dire che un vaccino funziona al 90%? Che cosa succede al rimanente 10%? Rischia la salute?
Assolutamente no. Prendiamo ad esempio lo studio Pfizer: dei 43mila sottoposti a sperimentazione (metà con un placebo e metà vaccinati) e poi esposti al rischio di infettarsi nella vita comune come tutti noi, nel gruppo placebo 94 si sono presi il Covid, solo 8 nel gruppo trattato con il vaccino. In definitiva con il vaccino si sono infettati il 90% in meno. E sia chiaro, quegli 8 si sono infettati nonostante, non a causa della vaccinazione.

Non teme che la tecnica dell’Rna messaggero, provata per la prima volta su un vaccino da Pfizer e Moderna, possa riservare brutte sorprese?
La scienza sviluppa tecnologie sicure e con premesse assolutamente tranquille, non dice “vediamo cosa accadrà”. Altrimenti anche AstraZeneca che usa come veicolo un virus degli scimpanzé dovrebbe farci paura? Chi ci dice che, essendo sconosciuto per l’uomo, una volta inattivato e inoculato non diventi aggressivo magari in un caso su un milione? Naturalmente sto dicendo un’assurdità. Sommate le due sperimentazioni, la tecnologia dell’Rna messaggero è stata testata su 73mila persone, ha superato il vaglio della ricerca, quindi è valida e non pericolosa. Che cosa potrebbe insorgere a distanza di 20 anni lo sa solo il Padre Eterno, ma come per tutti i farmaci: allora che fai, lasci morire di cancro le persone per paura di futuri improbabili effetti collaterali? Se mi chiedessero di farmi un vaccino a Rna messaggero per prevenire un raffreddore direi no, ma qui il rapporto rischio/benefici c’è tutto: ho visto come sono morti 130 miei pazienti di Covid e sarei stato molto felice se l’Rna messaggero fosse stato già a loro disposizione!

A proposito di malati oncologici, è vero che proprio la ricerca sul cancro ha dato una grande mano contro il Covid?
E’ dalla lotta al cancro che deriva questa raffinatissima tecnica ingegneristica con l’Rna messaggero: esistono oggi dei “vaccini” contro i tumori, che attraverso la stimolazione dell’immunità insegnano al nostro sistema immunitario ad aggredire le cellule tumorali, quindi il messaggio che viene veicolato è quello di un antigene del tumore: l’immunità impara a contrastare questo antigene e va ad aggredire le nostre cellule.

E’ vero che le persone in cura contro un tumore hanno avuto forme meno gravi di Covid rispetto agli altri?
Sì, nei soggetti immunodepressi il quadro clinico è risultato inaspettatamente meno violento. Si sente sempre dire che tra i più a rischio di infezione ci sono i malati oncologici, sembra una contraddizione ma non lo è: la famosa tempesta citochinica che si scatena nei Covid più gravi, ad esempio sotto forma di polmoniti, è causata dal nostro stesso organismo che cerca di difendersi dall’invasione del virus e per questo innesca una iper infiammazione. Ne consegue che i farmaci contro il cancro che danno immunosoppressione limitano la tempesta mortale. Come vede non c’è contraddizione: l’immunodepresso si contagia più facilmente nella fase iniziale, ma nella seconda fase è parzialmente più protetto proprio perché l’organismo è inerme. Tant’è che curiamo i pazienti Covid gravi anche con farmaci chemioterapici, che cioè distruggono l’immunità quando è eccessivamente espressa.

Dai vaccini ai farmaci: si parla molto di anticorpi monoclonali e di donazione di plasma iperimmune…
Esistono due strategie terapeutiche: la stimolazione di un’immunità attiva, prodotta cioè da te, e questa è la vaccinazione. E l’immunità passiva, cioè ti do direttamente gli anticorpi, non ti stimolo a crearli. In quest’ultimo tipo rientrano anticorpi monoclonali e plasma iperimmune. Il plasma iperimmune è tratto dai soggetti convalescenti, ma a oggi i dati non sono incoraggianti: secondo gli studi olandesi, cinesi e indiani riduce in alcuni casi i tempi di degenza ma non la mortalità, e in Italia lo si usa come terapia compassionevole, cioè nei casi estremi. Intorno agli anticorpi monoclonali c’è grande fervore: si parte dagli anticorpi presenti nel sangue dei pazienti con forte capacità di neutralizzare il virus e si cerca di riprodurli in vitro. E’ una strategia interessante che ha già dato risultati in altre patologie infettive, ad esempio l’Aids, ma è sperimentale e non è ancora entrata nella pratica clinica. Comunque sono terapie che sarebbero utili se utilizzate molto precocemente, perché agiscono solo nella prima fase, quella della replicazione del virus.

Grande fervore anche per i test veneti fai-da-te al posto dei tamponi, ma sono attendibili?
In generale tutti i test rapidi hanno una sensibilità molto ridotta rispetto ai tamponi molecolari, a volte anche al 50 o 60%. Per il singolo che deve sapere se è contagiato o no, quindi, hanno ben poco rilievo. Hanno un’utilità invece per test di massa e indagini epidemiologiche. Il tema è: meglio poter fare solo 100 tamponi veri, o ripiegare su 10mila test rapidi con attendibilità al 60%? Per necessità si sceglie la seconda opzione: avrò molti errori ma su 10mila test scoverò un gran numero di positivi che altrimenti sfuggirebbero. E’ chiaro che l’ottimo sarebbe poter fare 10mila veri tamponi, come in estremo Oriente. Ma la nostra è tutta un’altra storia.

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