Un educatore in ogni parrocchia

Oggi andrebbe fortemente incentivata la presenza, in ogni oratorio, dell’educatore laico: un uomo o una donna, maturi umanamente e nella fede, con una formazione specifica in campo educativo e cristiano, responsabili delle molteplici attività che avvengono nel settore giovanile

Il beato cardinal Ferrari, arcivescovo di Milano dal 1894 al 1921, si adoperò alacremente nella sua opera di pastore ambrosiano per la diffusione degli oratori, visti come luogo primo per l’educazione cristiana e umana dei giovani, tanto che fu coniato lo slogan «un oratorio in ogni parrocchia». La capillarità dell’oratorio nella diocesi di Milano deve moltissimo al santo cardinale, la cui intuizione venne portata avanti dai successori, dando quel carattere tipico alle parrocchie della terra di Ambrogio e Carlo, per cui non sarebbe pensabile una parrocchia senza un oratorio. Tuttavia l’oratorio non è esclusiva delle comunità ambrosiane, essendosi diffusi, ora più ora meno, in tutte le regioni d’Italia.

Però gli ultimi decenni registrano il calo delle vocazioni sacerdotali, il ridursi del numero dei preti dedicati alla pastorale giovanile, il diminuire dei giovani negli oratori stessi, non visti più come luogo unico (e meno male) per la formazione del cristiano. Per far fronte alla situazione, ci si è arrangiati: unioni di più comunità, preti con la responsabilità di diversi oratori, famiglie incaricate della gestione del luogo sotto la supervisione di un consiglio, di un comitato, del parroco, e poi anche l’istituzione dell’educatore laico, che tra accelerazioni e frenate si va diffondendo.

Ecco, credo che oggi andrebbe fortemente incentivata la presenza, in ogni oratorio, dell’educatore laico: dovremmo capire l’importanza dell’azione e della presenza di un uomo o una donna, maturi umanamente e nella fede, i quali abbiano avuto una formazione specifica in campo educativo e cristiano, che siano responsabili delle molteplici attività che avvengono nel settore giovanile e che facciano da punto di riferimento e al tempo stesso di raccordo con l’intera parrocchia.

Amici che svolgono questo compito e sacerdoti che hanno lavorato con loro mi hanno più volte evidenziato rischi e potenzialità di un tale ruolo.

Innanzitutto si corre il rischio della clericalizzazione: l’educatore può diventare il “prete laico”, quella figura più clericale del clero che perde lo specifico della vocazione laicale: insomma, quello che agisce da sacerdote, ad eccezione della celebrazione dei sacramenti. Una figura simile però, oltre a creare confusione e danneggiare l’educatore stesso, non giova alla comunità: vi sono diversità di carismi, diceva Paolo, ed è bene non confonderli (dico io, umilmente). Un educatore che invece abbia ben presente il suo ruolo e i suoi spazi farebbe un gran bene per stimolare la stessa corresponsabilità dei laici.

C’è il problema della formazione: alcuni hanno competenze varie nel settore educativo, ma mancano dello specifico cristiano. Altri, viceversa, sanno il Catechismo a memoria, ma non possiedono le conoscenze e le competenze pedagogiche necessarie. Riuscire a trovare una persona valida in entrambi i settori non è facile, ma al tempo stesso non impossibile: la tradizione cristiana è ricchissima nel settore educativo, e laddove ha il coraggio di aprirsi alle scienze umane e sociali i risultati sono ottimi.

Vi è poi il problema del tempo: non si può chiedere a un educatore laico, che esercita tale ruolo come professione, e che magari ha anche famiglia, quella profusione di tempo che il sacerdote prima garantiva, essendo disponibile 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Escludendo l’obbligo del celibato, credo che avere degli orari di presenza e di lavoro possa, con attività ben organizzate e ben condivise, giovare all’intera comunità, chiamando in causa ancora una volta i laici, spinti a responsabilizzarsi maggiormente, laddove sia necessario essere presenti e attivi quando è assente l’educatore.

Altro nodo riguarda il rapporto con i sacerdoti. Qui ancora gli estremi sono due: si va dal parroco che tratta l’educatore come mero esecutore di ordini, a cui demanda tutto ciò che è pratico, riservandosi per sé ogni spazio di progettazione e ideazione (perché “il prete è il prete e il laico non è capace”), oppure, al contrario, vi è il sacerdote che si disinteressa di tutto, perché “tanto c’è l’educatore”. Ancora una volta la via di mezzo che abbraccia la condivisione e la corresponsabilità garantirebbe una ricchezza che nasce dall’integrazione dello specifico vocazionale.

Infine vi è il tema economico, anche qui passibile di duplice lettura.

In primo luogo una persona pagata per coordinare un oratorio potrebbe frenare la gratuità degli altri laici: perché fare gratis quello che qualcuno fa a pagamento? Eppure una seria riflessione sui tempi e le fatiche di diversa portata, se ben spiegati e motivati, dovrebbero far capire la differenza tra tempo donato (e ogni educatore laico dona parecchio tempo, oltre le norme contrattuali) e il tempo remunerato.

Ma soprattutto c’è la questione del bilancio: un educatore costa, e non poco. Se non ho capito male, si aggira sui 2500-3000 euro mensili, comprensivi di stipendio, oneri fiscali e previdenziali, quota da dare alla cooperativa o all’associazione a cui fa riferimento la persona, e altro.

Uno sforzo notevole, non c’è che dire. Ma davvero impossibile per le casse delle nostre parrocchie? Nemmeno sarebbe fattibile un part-time? Qui penso sia una questione di priorità: una comunità cristiana che guarda al futuro, che comprende quanto oggi sia fondamentale investire nel campo educativo, quanto sia decisivo non lesinare riguardo a tutto ciò che fa riferimento ai giovani, bene quella comunità dovrebbe porsi seriamente il tema delle scelte. In cosa spendere i soldi? Ancora nel mantenimento di strutture non più necessarie, magari bellissime e modernissime, ma che rischiano di rimanere deserte? In feste e addobbi? E siamo sicuri che il popolo di Dio, se motivato, non possa usare maggiore generosità?

Ma al fondo della questione: quali le priorità di una Chiesa italiana, che si dovrebbe preparare al Sinodo dedicato ai giovani? Non è oggi il kairos, il tempo opportuno, per recidere rami secchi, dare peso e concretezza alla speranza, decidere di investire nel futuro?

Non è oggi il tempo buono perché la Chiesa italiana faccia suo il motto del beato Cardinal Ferrari e lo adatti alla contemporaneità? Una Chiesa che abbia il coraggio di dire e sostenere la necessità di “un educatore in ogni parrocchia”?

vinonuovo.it