Gli studenti e le studentesse del Liceo A.F. Formiggini di Sassuolo, insieme al loro insegnante di religione, si sono impegnati in un “Sinodo a scuola”

In un clima sereno e di fruttuoso confronto, hanno dialogato partendo da alcune domande-guida che hanno orientato gli interventi di ciascuno e il dibattito in classe:

Come senti o ti senti nella Chiesa?
Ti senti ascoltato dalla Chiesa? Secondo te, la Chiesa sa ascoltare?
Che cosa la Chiesa può imparare dalla società in cui viviamo? Che atteggiamento dovrebbe avere?
Che cosa chiedi tu alla Chiesa oggi? Come potrebbero rinnovarsi, guardando al futuro?
Com’è la Chiesa che sogni? Quali passi compiere per arrivarci?
Frequenti la parrocchia? Come ti senti al suo interno? Che cosa funziona o non funziona?
Quali sono i punti da confermare, le prospettive di cambiamento, i passi da compiere? Quali strade si stanno aprendo per la nostra Chiesa locale?
Hai altri temi sui quali vorresti dialogare con la Chiesa cattolica?

Un primo tema emerso dalla discussione in classe è quello della mancanza di giovani all’interno del contesto ecclesiale. Gli studenti, inoltre, rilevano anche una certa “indifferenza” da parte dei responsabili di comunità davanti a questo vuoto. Quei pochi, poi, che continuano a frequentare sono considerati dai loro coetanei dei veri e propri “alieni”.

Un secondo tema è quello del bigottismo dilagante e della rigidità del contesto parrocchiale, che porta ad un allontanamento maggiore delle giovani generazioni: parroci e catechisti che incutono timore, con il loro imporsi, pur di avere delle assidue presenze al catechismo. Dall’altro canto, però, va rilevata anche la pigrizia dei bambini e dei giovani a partecipare agli incontri previsti, perché attratti da cose che passano (vestiti, successo, denaro…) e anche dal desiderio di bruciare le tappe.

È emersa anche la considerazione che la Chiesa si presenta sempre cauta e lenta nei cambiamenti; in più vuol far vedere che è accogliente, ma in realtà non lo è.

Qui si inserisce anche tutto un discorso sul modo di fare catechismo, il quale non dovrebbe essere assimilato ad una lezione scolastica e che dovrebbe avere catechisti più preparati e non grossolani, capaci di far innamorare e non destare timore con rigidità e giudizio. Alcuni arrivano a dichiarare che così il catechismo non serve a niente, non lascia nessun ricordo e né tantomeno alcun concetto.

Un terzo tema che è venuto fuori molte volte è quello della mancata comprensione della liturgia: molti hanno confessato che per loro la celebrazione eucaristica è considerata noiosa proprio perché nessuno ha mai loro spiegato il senso dei gesti e la bellezza dei significati celati in essi. Si ravvisa, inoltre, una mancata preparazione del celebrante nel tenere l’omelia e nel rendere i temi religiosi vicini e affascinanti, per destare il senso del sacro. A volte si affrontano temi attuali, ma con atteggiamento giudicante, sintomo di ignoranza e di poca accoglienza.

Un quarto tema è quello dei sacramenti, il più delle volte visti come tappe obbligate, elargiti senza convinzione ma solo per convenzione. Molti li celebrano, ma pochi hanno consapevolezza di cosa stanno celebrando. Il più delle volte sono solo un alibi per fare festa.

Un quinto tema è quello dell’operato dei presbiteri: alcuni – cito testualmente le parole degli studenti – “sono veramente insostenibili”, altri non vivono quello che celebrano, altri ancora non si interessano delle situazioni e dei vissuti della loro comunità, tanto che alla richiesta di un aiuto rispondono di rimandare l’appuntamento per via del loro giorno libero.

Accanto ad alcuni che sono seri e che vivono la loro vocazione con impegno, fede e onestà, si stagliano altri molto innamorati del potere, ricercatori ossessionati dei propri interessi, che predicano la povertà, ma vanno a braccetto con i ricchi e i potenti.

Molti studenti, guardando al loro operato, dichiarano con tristezza e rabbia che “la Chiesa purtroppo non è un posto sicuro”.

Suggerimenti pratici
Accoglienza: vorremmo una Chiesa che sappia accogliere concretamente le diversità, che sia più aperta nei confronti delle persone appartenenti ad ogni orientamento sessuale. Si evitino atteggiamenti esclusivi e si sposino quelli inclusivi, per fare della Chiesa una comunità e non una elitè. La Chiesa, inoltre, non dovrebbe aspettarsi che siano i giovani ad andare da lei, bensì il contrario, se è veramente missionaria.

Ascolto attivo e dialogo: vorremmo una Chiesa che sappia ascoltare – prima di parlare – le ragioni altrui, considerando l’altro non un sacco da riempire o un ostacolo da eliminare, ma come una ricchezza da cui anche imparare.

Fare la differenza: significa cambiare mentalità, fare in modo che la gente sia attratta guardando la fede e lo stile di bene dei cristiani. Solo così la Chiesa tornerà ad essere ancora un punto di riferimento per la società. Va limitata, poi, l’istituzione, senza però sradicarla completamente.

Riprogettazione del percorso sacramentale: siano dati da adulti e dopo un percorso di fede consapevole e ricco di esperienza.

Valorizzazione della cultura: si investa in cultura per dare contenuto e sostanza alla fede anche con l’apporto del pensiero razionale, in una reciproca complementarietà.

Auspichiamo che lo scopo di tale cammino sinodale sia veramente non la produzione di fogli o documenti che non leggerà quasi nessuno, ma la volontà di – così come si scriveva già dai tempi del Sinodo dei giovani – «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani».

Cosa trarre dall’esperienza
Consapevole della complessità e della varietà dei temi in gioco, vorrei – alla luce della discussione condotta con gli studenti e dell’esperienza di servizio mia personale all’interno del contesto ecclesiale – fare alcune considerazioni, che possono servire da stimolo e provocazione.

Come molti studiosi hanno ripetuto, viviamo in un tempo in cui è finita la cristianità, ma non il cristianesimo. Papa Francesco, dal canto suo, più volte ha ripetuto che stiamo vivendo “non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”.

Di solito, dinanzi alla complessità e alle difficoltà, la prima tentazione in cui si può cadere è quella di lamentarsi. Già Agostino metteva in guardia gli adulti del suo tempo da questo pericolo quando scriveva: «Voi dite: sono tempi difficili, sono tempi duri. Vivete bene e, con la vita buona, cambiate i tempi: cambiate i tempi e non avrete di che lamentarvi».

Ecco, Agostino pone l’attenzione sulle proprie responsabilità. È da queste che dobbiamo ripartire.

Lo stesso Instrumentum laboris del Sinodo dei giovani (2018) confessava: “molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza”. Di più. Alcuni “chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante”.

Dinanzi a questi graffianti giudizi, la Chiesa non può rimanere indifferente, ma cercare di fare la differenza.

Lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, visto che molti sono coloro che operano nel silenzio della carità, ma a volte va constatata la motivazione “la Chiesa è fatta di uomini”, perché può essere usata come alibi per lasciare le cose come stanno o per non vedere i problemi.

Fare la differenza vuol dire che – per usare le parole del teologo francese Yves Congar – “non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa”.

I giovani chiedono una Chiesa autentica e non di facciata; una Chiesa che ha il coraggio di cambiare le carte in tavola, pur rimanendo fedele al suo Cristo; una Chiesa che ponga un freno ai banchetti per tornare al grande banchetto dell’Eucarestia; una Chiesa che diviene sempre più comunità e sempre meno comitiva.

È importante avvicinare il messaggio evangelico, ma bisogna anche stare attenti a non scontarlo.

Chi non abita il corpo ecclesiale sarà sicuramente più attratto da una Chiesa che vive relazioni autentiche e durature piuttosto che una Chiesa che fa a gara per preparare feste, serate, sagre (con tanto di sponsor), dimenticando il Festeggiato.

La Chiesa non dovrebbe essere una pagina di Facebook che tenta d’accaparrarsi il maggior numero possibile di “like” cercando d’essere “moderna” o “alla moda”; la Chiesa dovrebbe essere madre e maestra di Verità. Il modo più efficace per danneggiare o addirittura distruggere la fede nei giovani è quello di promuovere una falsa e fuorviante distorsione della verità in un tentativo di acquisire popolarità.

Un gruppo di giovani, non ascoltati, in una lettera pubblica sul Sinodo dei giovani ebbero a scrivere: “Noi desideriamo che la Chiesa sia popolare, perché tutti conoscano l’amore di Cristo. Tuttavia, se dobbiamo scegliere tra popolarità e autenticità, scegliamo l’autenticità”.

A volte sembra che la Chiesa viva la parabola della pecorella smarrita al contrario: pur di non perdere le novantanove pecore rimaste nel recinto, ha paura di correre dietro a quella perduta per salvarla. Eppure la “Chiesa in uscita”, tanto cara a papa Francesco, chiede la missionarietà e non chiusura nella propria comfort-zone.

Certamente, praticando lo stile missionario, bisogna mettere in conto il rischio di perdere, almeno all’inizio. Ma è comunque necessario rischiare, consci del fatto che – per dirla con le parole di papa Paolo VI – “il cristianesimo non è facile, ma è felice”.

Un ultimo aspetto su cui il sinodo dovrebbe riflettere e lavorare è quello del ruolo della leadership nelle comunità, evitando con fermezza gli abusi di potere. Tornare alla ricchezza dei contributi offerti dal Concilio Vaticano II – come per esempio, quello della corresponsabilità dei laici – può essere molto salutare.

Un appello
A suggello di queste considerazioni, anche io mi unisco a queste giovani voci degli studenti e con amore di figlio impegnato nella Chiesa rivolgo ai vescovi che si riuniranno in assise questo semplice e schietto appello:

Noi giovani non vogliamo dei vescovi o ministri amiconi, ma amici.
Non vogliamo vescovi e ministri bravi nel fare analisi sociologiche, ma pastori di cui fidarci.
Noi giovani non vogliamo vescovi e ministri che indichino con il loro indice la via vera, buona e bella, ma rimangono al palo.
Non vogliamo vescovi e ministri come farisei che “legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”, ma come Cristo che sapeva guardare e amare il giovane anche se ricco e triste.
Nulla maior est ad amorem invitatio quam praevenire amando, scrive Sant’Agostino all’amico che gli chiedeva come educare i difficili ragazzi dei suoi tempi – “Non c’è invito più grande all’amore che prevenire amando”.
Settimana News

5 lezioni da non dimenticare quando parliamo di Sinodo e sinodalità

Sinodo

1. Dalla riforma del Sinodo (dei vescovi) alla sinodalità

Quando, nell’ottobre 2014, nacque il blog L’Indice del Sinodo (ora confluito come rubrica in Re-blog.it) per accompagnare il primo dei due Sinodi indetti da papa Francesco sulla famiglia, scrivevamo che «parlare di questo Sinodo» significava «ridare vigore e futuro alla stagione del Concilio». Infatti, con quell’evento non solo s’apriva la stagione del ripensamento dello strumento «Sinodo dei vescovi» a un reale confronto e a una maggiore partecipazione di tutto il corpo ecclesiale, ancorché confinata in alcuni momenti; ma anche si riprendeva un’istanza (la sinodalità, appunto) sviluppate dal Concilio e poi mai ripresa in forma compiuta o rielaborata concretamente nella vita delle Chiese locali.
Occorre essere consapevoli – scrive papa Francesco al n. 5 di Episcopalis communio, «che lo Spirito è elargito a ogni battezzato» e che si deve dare ascolto alla «voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di Dio, rendendolo “infallibile in credendo” (esort. ap. Evangelii gaudium, n. 119)».

2. Su Sinodo e sinodalità si è sviluppata un’ampia letteratura (da leggere)

Dal punto di vista del magistero, i testi-base sono:

  • 1 ottobre 2018: istruzione sulla celebrazione delle assemblee sinodali e sull’attività della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi (norme applicative di Episcopalis communio).
  • 18 settembre 2018: costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo dei vescovi.
  • 17 ottobre 2015: il discorso di papa Francesco alla Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.
  • 29 settembre 2006: promulgazione della versione aggiornata da Benedetto XVI dell’Ordo Synodi episcoporum.
  • 1967 promulgazione dell’Ordo Synodi episcoporum.
  • 15 settembre 1965: motu proprio Apostolica sollicitudo con il quale Paolo VI istituisce il Sinodo del vescovi.

Per quanto riguarda l’approfondimento e la riflessione teologica Il Regno ha pubblicato: di Severino Dianich «Chiesa, carismi e sinodalità: attraversati dalla storia» (Regno-att. 16,2019,493); di Rafael Luciani e Serena Noceti «L’Italia verso il Sinodo. Imparare un’ecclesialità sinodale» (Regno-att. 8,2021,257); di Hervé Legrand «La sinodalità non s’improvvisa» (Regno-att. 8,2021,265).

3. La sinodalità «dal basso» è stata spinta specialmente dallo scandalo della pedofilia

Nel febbraio 2020 si è aperta in Germania la I Assemblea del Cammino sinodale, con 4 forum (donna nella Chiesa, morale sessuale, il potere, la figura del sacerdote; cf. Regno-doc. 5,2020,158) che riflettono su altrettanti aspetti chiamati in causa dallo scandalo della pedofilia, così come sono stati messi in luce dalle inchieste diocesane e nazionali.
In Australia, dopo due anni di preparazione, nell’ottobre 2020 si è aperto un concilio plenario, il secondo dopo quello del 1937, come tentativo della Chiesa locale di dare risposta all’enorme crisi di sfiducia apertasi dopo le rivelazioni delle violenze sessuali sui minori e il lungo processo aperto dalle audizioni della Royal Commission (cf. Regno-doc. 15,2021,485). Stesse motivazioni che hanno portato anche la Chiesa irlandese a indire un Sinodo nel 2021.
A latere – nel senso che sono esperienze nate dalle Chiese locali non direttamente sulla spinta degli scandali – ci sono poi l’esperienza dell’Assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi (Città del Messico, 21-28 novembre 2021; cf. Regno-att. 22,2021,683) e l’Assemblea dei laici in Spagna (14-16 febbraio 2020; cf. Regno-att. 6,2020,143).

4. Domanda: siamo capaci di dialogare? Ovvero, come gestiamo il disaccordo?

Già nell’ottobre del 2014 papa Francesco a inizio Sinodo invocava tre doni: quello dell’ascolto; quello della disponibilità al confronto sincero (poi precisato nell’invito a «parlare con parresia» e ad «ascoltare con umiltà»); quello dello sguardo fisso su Gesù, il solo atteggiamento che consenta di «tradurre il lavoro sinodale in indicazioni e percorsi per la pastorale della persona e della famiglia».
Poi, anche memore degli scambi non sempre fraterni che avvenivano dentro e fuori dal Sinodo, nel discorso in occasione 50° anniversario del Sinodo dei vescovi Francesco chiedeva di dare attenzione «al sensus fidei del popolo di Dio», ma anche di saperlo «distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica».
Sarebbe bene rileggere «La lezione del Vaticano II. Diversità e disaccordo nella Chiesa» di Joseph A. Komonchak (Regno-att. 4,2021,121): infatti, qui è sotteso un punto cruciale sul quale oggi si pongono le maggiori resistenze quando il papa chiede di vivere la sinodalità e quando le Chiese locali s’accingono a praticarla: il rapporto tra comunione e diversità.
In effetti lo stesso Francesco, in un appunto presentato da La Civiltà cattolica (5 settembre 2020), afferma che vi è il rischio che negli attuali sinodi il «cattivo spirito» condizioni «il discernimento, favorendo posizioni ideologiche (da una parte e dall’altra), favorendo estenuanti conflitti fra settori e, quel che è peggio, indebolendo la libertà di spirito così importante per un cammino sinodale».
Così, se da un lato sulle discussioni più spinose del Sinodo per l’Amazzonia (come l’ordinazione dei viri probati), il papa ha detto che non c’era stato «nessun discernimento», giustificando così l’aver avocato a sé la responsabilità di rimandare ogni decisione, rimane aperto il campo sul che fare quanto alle decisioni scaturite nei sinodi delle Chiese locali.
E qui torna in campo la questione della Chiesa tedesca.

5. Un fantasma s’aggira per il Sinodo. Ovvero: la sinodalità non è scontata

Ormai pare sia diventato il bersaglio preferito di chi della sinodalità proprio non vuol sentire parlare: il Cammino sinodale tedesco viene additato come esempio di totale cedimento allo spirito del mondo. Così le accuse del presidente dell’episcopato cattolico polacco e della Conferenza dei vescovi dei paesi nordici, di cui abbiamo parlato qui; ma anche – l’11 aprile – la lettera aperta (fraterna, s’intende!) di 74 prelati prevalentemente statunitensi e africani (con il curioso caso dei vescovi della Tanzania al completo) che accusano i testi prodotti dal Cammino sinodale d’essere influenzati «dall’analisi sociologica e dalle ideologie politiche contemporanee, inclusa quella del “gender” [sic]».
I documenti su cui i partecipanti hanno discusso e che poi sono stati votati – dicono in particolare i 74 presuli – «guardano alla Chiesa e alla sua missione attraverso le lenti del mondo piuttosto che attraverso le lenti delle verità rivelate nella Scrittura e nell’autorevole Tradizione della Chiesa». Interessante notare che le argomentazioni sono le medesime portate dai critici del Rapporto finale della Commissione indipendente francese (CIASE) sulla pedofilia (cf. Regno-att. 4,2022,79).
Mons. Bätzing ha dunque nuovamente risposto – il 14 aprile sul sito della Conferenza episcopale tedesca – ribadendo che la decisione d’intraprendere il Cammino sinodale è stata dettata dalla necessità d’affrontare le cause sistemiche degli abusi e del loro insabbiamento (cf. sopra, lezione n. 3), come «tentativo di rinnovare da parte nostra un annuncio credibile della buona novella». E domanda ai confratelli in che modo essi hanno pensato di rispondere a questo problema, in particolare all’abuso di potere, che da un lato è il pilastro sul quale s’innestano tutte le altre violenze e dall’altro è lungi da essere un problema ormai risolto.
«La partecipazione dei fedeli alle decisioni a tutti i livelli dell’azione ecclesiale (…) non danneggerà in nessun modo l’autorità del ministero gerarchico, ma credo anzi gli darà una nuova fondata accettazione presso il popolo di Dio».
Bätzing ha ammesso che ci sono state opinioni molto diverse su questioni come la benedizione delle coppie dello stesso sesso o l’ordinazione di donne diacono o sacerdoti; ma mentre le decisioni sinodali che riguardano la Chiesa tedesca saranno approvate ed entreranno in vigore, quelle che riguardano la Chiesa universale saranno considerate e offerte come proposte per la discussione comune.