Miss Universo si terrà in Israele a dicembre, è la prima volta

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Israele ospiterà per la prima volta nella sua storia il concorso di bellezza Miss Universo la cui prossima edizione, la 70/ma, si terrà a dicembre nella città costiera di Eilat, nel sud di Israele. Lo ha annunciato oggi il ministro israeliano del Turismo, Yoel Razvozov.

“In Israele siamo contentissimi”, ha detto il ministro in un videomessaggio, “spero sinceramente che a dicembre celebreremo non solo la nuova Miss Universo qui in Israele, ma soprattutto la fine della pandemia”. L’edizione 2020 di Miss Universo era stata annullata a causa della crisi sanitaria. Poi si è tenuta nei mesi scorsi negli Stati Uniti. (ANSA).

Anna Frank diventa mito grazie ad Ari Folman. Fuori concorso a Cannes il film del regista israeliano

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Una volta si diceva cartone animato e si pensava subito a un film solo per bambini; poi si è cominciato a parlare di graphic novel e tutto è cambiato sintonizzando il mondo degli adulti su temi e storie che hanno a che fare più con la realtà che con la favola. E poi arrivò l’israeliano Ari Folman che oggi porta fuori concorso al festival il suo nuovo lavoro DOV’E’ ANNA FRANK.

La prima sorpresa, mentre sullo schermo scorrono le immagini, pulite e levigate da un tratto lieve proprio come in un’antica favola, viene dalla scelta di spostare l’obiettivo sull’amica del cuore, l’immaginaria Kitty a cui Anna Frank indirizzava le lettere raccolte nel celebre diario scritto durante l’occupazione nazista dell’Olanda. Nel film Kitty si ritrova trasportata nel tempo all’Amsterdam di oggi, proprio nella casa abitata oltre 70 anni fa dalla sua coetanea. Se Kitty è viva e vegeta -pensa lei stessa – la stessa sorte deve essere toccata ad Anna, nonostante le paure, la caccia nazista agli ebrei, i bombardamenti e la guerra ancora non decisa. Così Kitty esce di casa, incontra un ragazzo, Peter, che si batte per portare in salvo irregolari, immigrati, perseguitati, e con lui va alla ricerca dell’amica più cara. A guidarla è il prezioso diario che il papà di Anna, Otto, le aveva regalato e che ora è fitto di ricordi, speranze, storie quotidiane. Ma ciò che Kitty trova fuori dalle mura della vecchia casa non è il sogno di pace e libertà che ha diviso con l’amica: brutalità, polizia, indifferenza, paura del diverso stanno ancora lì e salvare anche un solo perseguitato sembra un’impresa. Il giovane Peter (lo stesso nome dell’unico ragazzo che Anna ha amato) sa cosa deve fare, Kitty scopre che oggi la sua amica vive ovunque e da nessuna parte perché dove un solo individuo è in pericolo, lì c’è anche lei. (ANSA).

Ingegno evangelico

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La Holy Family School di Nazaret accoglie ogni giorno oltre 140 ragazzi con disabilità

04 novembre 2020

Il grande campo del mondo, nel quale il Seminatore continua a spargere il Suo seme, è popolato da uomini e donne fieri e grati della magnifica possibilità, irrevocabilmente concessa all’umano, di spendere per altri le loro qualità migliori: uomini e donne che — a dispetto del dilagante difetto di compassione che mina la convivenza civile — costruiscono legami rocciosi e inventano soluzioni ingegnose capaci di sostenere e risollevare vite prostrate dalle difficoltà e dal dolore. Succede anche in Israele, a Nazaret: in questa cittadina, abitata da 90.000 persone arabe (il 30 per cento delle quali cristiane, il 70 per cento musulmane), sorge la Holy Family School che ogni giorno, dalle 7.30 alle 17.30, offre accoglienza e cure a 142 bambini e ragazzi — dai 3 ai 21 anni — colpiti da gravi forme di handicap (quali a esempio autismo, sindrome di Down, spina bifida).

La scuola — nella quale attualmente lavorano 145 persone — è stata inaugurata nel 1975 dai Servi della Carità, i guanelliani, che avevano ricevuto l’invito a fondarla dalla Custodia di Terra Santa. Il primo nucleo della struttura aveva sede nell’ex convento delle clarisse che per tre anni diedero ospitalità a Charles de Foucauld, giunto lì mosso dal desiderio di vivere «la stessa vita di Nostro Signore Gesù», e cioè «l’esistenza umile e oscura di Dio, operario di Nazaret».

Nel 1992 la scuola è stata ampliata con quattro nuovi grandi padiglioni e oggi, oltre alle aule per l’attività didattica, offre ai propri ragazzi una piscina per l’idroterapia, una grande area verde per la giardino-terapia, un laboratorio di arte e di falegnameria, una sala per la musicoterapia, tre sale multisensoriali, una per l’informatica e spazi riservati allo sport e al gioco. «Obiettivo della Holy Family School — racconta il vicedirettore, padre Marco Riva, guanelliano, 56 anni (di cui 28 trascorsi in Israele) — è accogliere evangelicamente, ossia offrire alle giovani vite che ci vengono affidate solidi legami oltre a prestazioni ineccepibili: ogni essere umano ha bisogno di relazioni personali significative per vivere una vita buona. I miei tre confratelli e io, insieme ai nostri collaboratori, ci impegniamo affinché i ragazzi si sentano accolti e amati, non solo ben assistiti. Per noi la professionalità comporta competenze di alto livello mai disgiunte da una dimensione affettiva fatta di dedizione, costanza, sensibilità, delicatezza, spirito di sacrificio».

Tra gli operatori della scuola, aggiunge il sacerdote, è nata un’alleanza speciale, dovuta in larga misura agli alunni che ogni giorno — con i loro slanci di affetto, i loro sorrisi, il loro bisogno primario di amore e accudimento — insegnano ad apprezzare la vita e le sue felici sorprese, aiutano a comprendere cosa conta veramente e a ridimensionare i problemi.

Nel corso di ogni giornata i bambini e i ragazzi svolgono molteplici attività che hanno lo scopo di stimolarli, farli stare meglio e permettere loro di esprimere le capacità che posseggono. Il programma quotidiano è preparato dallo staff — composto da maestre, medici, psicologi e assistenti sociali — che ha il delicato compito di capire le attitudini e le passioni che ciascun giovane via via manifesta al fine di ampliare gli interventi educativi e riabilitativi. Nel pomeriggio gli studenti fanno ritorno poi a casa: «Riteniamo importante che mantengano un legame affettivo costante con la famiglia, il grembo nel quale sono venuti al mondo e nel quale devono continuare a sentirsi amati e protetti», prosegue padre Marco. «Ci prendiamo molta cura anche dei genitori per i quali organizziamo regolari incontri con il proposito di offrire loro sostegno, coinvolgerli nel percorso educativo e riabilitativo dei figli, far conoscere le opportunità assicurate ai disabili dalla legge israeliana, favorire e incoraggiare legami d’amicizia: è importante che possano condividere preoccupazioni, gioie e speranze». Proprio per venire incontro alle esigenze dei genitori, i padri guanelliani hanno in progetto di dare accoglienza, a partire dal prossimo anno, anche ai giovani disabili di età superiore ai 21 anni: a questo scopo stanno preparando all’interno della scuola un’area ad hoc e studiano quali attività lavorative proporre oltre a quelle di falegnameria già avviate.

Riconosciuta dallo Stato di Israele, la Holy Family School dipende dai ministeri della Salute, dell’Educazione e delle Opere sociali, e ha promosso forme di collaborazione con le amministrazioni locali: una prevede che una volta al mese gruppi di studenti di tre scuole pubbliche di Nazaret trascorrano una giornata insieme ai bambini e ai ragazzi disabili giocando e dedicandosi ad attività didattiche e sportive. Si sta pensando di incrementare queste occasioni di incontro e di amicizia sia perché regalano felicità grande a tutti i partecipanti sia perché contribuiscono a costruire una società sempre più inclusiva e sensibile alle esigenze delle persone con handicap.

«Inoltre — afferma padre Marco — desideriamo poter condividere lo spirito evangelico che guida e plasma la nostra opera e la nostra stessa esistenza: il servizio, che comporta abitare la Terra sentendosi responsabili degli altri». Il cristianesimo vive così: mostrando che Dio mai abbandona le Sue creature.

di Cristina Uguccioni / Osservatore

Un gelato per Gaza

Ha riaperto, in sincronia con la stagione estiva, la prima gelateria artigianale e sociale di Gaza, un locale dai colori allegri, pieno di luce e, soprattutto, di gelati fatti con frutta vera, a chilometro zero, e offerti «in sospeso» (come il caffè a Napoli) a chi non può permetterseli. Il negozio era stato inaugurato a fine ottobre 2019, ma il rischio pandemia e la chiusura precauzionale da marzo a maggio di tutti i locali avevano messo a repentaglio un progetto che era ancora agli esordi.

L’iniziativa, promossa da una ong italiana Vento di Terra e una ong palestinese del campo profughi di Al Burej, è stata salvata dai palestinesi della striscia di Gaza. Senza aiuti esterni — dato che il confine è sigillato da marzo anche per i cooperanti stranieri, causa covid-19 — gelatai, agricoltori e trasportatori hanno continuato a mandare avanti l’attività senza ricevere nessuno compenso, con gelati d’asporto e gelati offerti soprattutto nelle scuole.

Il “marchio” si è diffuso, consentendo alla gelateria di Nasser street, in piena Gaza City, di riaccogliere una clientela consolidata anche nei tempi di chiusura forzata per il coronavirus. Chiariamoci: nella Striscia, nonostante guerre e povertà, i gelati esistono da sempre, ma sono gli ice-cream confezionati o preparati con polverine di latte e di vari gusti artificiali, e rappresentano un lusso non alla portata di tutti. «Gelato di Gaza, gelateria sociale» (sull’insegna del locale è scritto proprio così, in italiano e senza troppe leziosità) utilizza invece i prodotti dei contadini della Striscia ed ha come obiettivo non solo quello di garantire a tutti il diritto piacevolissimo di un gelato, ma anche — se le cose si metteranno bene — di investire i guadagni in altre attività per aiutare la popolazione.

L’iniziativa, finanziata inizialmente dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, si articola su una piccola rete di strutture operative: la prima è la gelateria stessa, dove tre giovani camerieri servono coppette e coni e gli avventori possono lasciare offerte e aiuti. Su una parete del locale, il giorno dell’inaugurazione, è stata appesa una grande bacheca, a prima vista una specie di quadro astratto: si tratta delle forme e dei volumi dei contenitori per i gelati in sospeso, disegnati dai primi degustatori, i bambini del villaggio beduino di Um al Nasser, uno dei luoghi più vulnerabili e disastrati della striscia.

La seconda struttura operativa è formata da una ventina di contadini locali che si occupano del rifornimento di frutta fresca e latte. A preparare e impastare creme e gusti ci pensano due palestinesi gelatai professionisti, formati da maestri italiani, in un laboratorio di pasticceria nel campo profughi di Al Burej. A tutto ciò bisogna poi aggiungere un elemento fondamentale, il tuktuk, un furgoncino che porta i gelati negli angoli più remoti e poveri. I tuktuk sono ormai diventati un simbolo di Gaza: consegnano acqua, cibo, merci e prodotti di tutti i generi, senza fermarsi mai, neanche nei periodi di guerra. Il furgone dei gelati non passa certo inosservato: coni, ghiaccioli, coppette e frutta di ogni tipo, dipinti su uno sfondo giallo, coprono ogni centimetro della carrozzeria. Il tuktuk, guidato da un’autista impiegato nell’impresa, è sempre in giro: gelati nelle scuole, gelati in “sospeso”, gelati venduti per la strada, sul lungomare.

«Il gelato attrae e piace tantissimo; il fatto di essere preparato secondo la scuola italiana gli dà un fascino particolare. I palestinesi sono veramente bravi. In molti sono pronti a giurare che il gelato artigianale di Gaza sia persino più buono di quello fatto in Italia», ci racconta Maria Stella Jacopino, attuale responsabile di Vento di Terra in Terra Santa, bloccata a Gerusalemme in queste settimane dalla seconda ondata della pandemia. «Nella striscia, almeno per il momento, la situazione è più sotto controllo. Il blocco degli ingressi e delle uscite ha limitato il contagio». La gelateria — spiega — è sostenuta soprattutto dalla generosità dei palestinesi di Gaza: «Anche se i soldi sono pochi, nella striscia è normale, quando si compra un gelato, lasciare una piccola somma per offrirlo a chi non ha nulla. Le persone più abbienti acquistano poi volentieri gelati per i bambini di un’intera scuola o per eventi e feste di comunità».

«A Gaza — osserva ancora — è molto forte il senso del volontariato, dell’aiutarsi l’uno con l’altro». Del resto, i sacrifici fatti dai dipendenti nei tempi duri della chiusura forzata hanno consentito all’impresa, praticamente in fasce, di sopravvivere. Se la gelateria artigianale riuscirà ora a consolidarsi e a decollare, i profitti andranno in altri progetti sociali.

Dal tuktuk dei gelati si passerà ad un secondo tuktuk che stavolta porterà libri ai bambini e agli adolescenti più poveri. Fiabe, racconti, avventure. Per sognare, magari mangiando un gelato alla fragola. Sembra che sia il gusto più popolare nella striscia.

di Elisa Pinna / Osservatore Romano

Preoccupazione della Santa Sede su iniziative unilaterali che potrebbero mettere ulteriormente a rischio la pace in Medio oriente

Un murale contro le annessioni dipinto a Rafah (Afp)

Osservatore Romano

Il Governo israeliano ha annunciato il rinvio delle annessioni di parte dei Territori palestinesi. Fonti dell’Esecutivo hanno reso noto che nei prossimi giorni avranno luogo delle consultazioni con l’amministrazione statunitense. Forte preoccupazione su possibili azioni unilaterali che potrebbero mettere ulteriormente a rischio la ricerca della pace fra israeliani e palestinesi, e la delicata situazione in Medio oriente, è stata nel frattempo espressa dal segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin. Il 30 giugno, incontrando separatamente sia l’Ambasciatrice degli Stati Uniti d’America che l’Ambasciatore dello Stato di Israele, il porporato — come segnalato da un comunicato della Sala stampa della Santa Sede — ha ribadito che lo Stato d’Israele e lo Stato di Palestina hanno il diritto di esistere e di vivere in pace e sicurezza, dentro confini riconosciuti internazionalmente.

Parolin ha perciò fatto appello alle parti affinché si adoperino a riaprire il cammino del negoziato diretto, sulla base delle rilevanti risoluzioni dell’Onu, facilitato da misure che servano a ristabilire la fiducia reciproca e abbiano, come disse Papa Francesco l’8 giugno 2014 nell’Invocazione per la pace in Terra Santa, «il coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza». In quello storico incontro, il presidente israeliano Peres ed il presidente palestinese Abbas erano stati invitati dal Santo Padre in Vaticano per invocare, tutti insieme, la pace e il dialogo.

Il 20 maggio scorso, la Sala stampa della Santa Sede aveva reso noto che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, era stato raggiunto telefonicamente da Saeb Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che aveva informato la Santa Sede «circa i recenti sviluppi nei territori palestinesi e della possibilità che la sovranità israeliana venga applicata unilateralmente a parte di dette zone, cosa che comprometterebbe ulteriormente il processo di pace». Anche in quell’occasione, la Santa Sede aveva ribadito «che il rispetto del diritto internazionale, e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite, è un elemento indispensabile affinché i due popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati, con i confini internazionalmente riconosciuti prima del 1967».

La dichiarazione di applicare la sovranità israeliana su parte dei Territori palestinesi sarebbe dovuta essere stata annunciata tra ieri e oggi, ma, come accennato, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di posticiparla. «Nei prossimi giorni — ha fatto sapere l’ufficio del premier — ci saranno ulteriori discussioni» con l’amministrazione statunitense, depositaria del piano del presidente, Donald Trump, sulla cui scia Israele si è mosso riguardo al controverso progetto di annessione, che ha provocato forti proteste anche in Europa.

Le annessioni «accresceranno le minacce nei confronti di Israele», hanno scritto in una lettera gli ambasciatori a Tel Aviv di Italia, Germania, Francia e Spagna. Anche il premier britannico, Boris Johnson, ha auspicato «da entusiasta difensore e amico di lunga data» di Israele, che le annessioni non vadano avanti. Nel confermare il rinvio delle annessioni, il Likud — il partito di Netanyahu — ha detto che è «necessario avere l’appoggio pieno degli Stati Uniti», mentre a Gaza e in Cisgiordania, i palestinesi nuovamente hanno manifestato contro l’iniziativa israeliana.

Conflitto israelo-palestinese: vescovi cattolici Terra Santa, «Chiese e leader spirituali indichino un altro cammino»


Gerusalemme


SIR – Toscana Oggi 

Forse è giunto il tempo in cui «le Chiese e i leader spirituali indichino un altro cammino, insistano sul fatto che tutti, Israeliani e Palestinesi, sono fratelli e sorelle in umanità». Lo affermano i vescovi cattolici di Terra Santa al termine della loro assemblea, constatando i fallimenti nella risoluzione del conflitto

EUROVISION: VINCE L’OLANDA, ITALIA SECONDA CON MAHMOOD. BALLERINI DI MADONNA CON BANDIERE ISRAELE E PALESTINA

BAL Duncan Laurence con ‘Arcade’ in gara per l’Olanda ha vinto l’edizione 2019 dell’Eurovision Song Contest a Tel Aviv. Al secondo posto l’Italia con ‘Soldi’ di Mahmood che è stata battuta sul filo di lana del voto dopo essere stata per una buona parte della gara in testa. Fuori programma di Madonna: due ballerini della popstar si sono presentati sul palco le bandiera israeliana e palestinese e poi si sono abbracciati 

Pace ostacolata / DA GAZA NUOVI LANCI DI RAZZI, COLPITO OSPEDALE ASHKELON

ISRAELE INVIA CORAZZATI. USA: HA DIRITTO AD AUTODIFESA Da Gaza su nuovi lanci di razzi, con due pèersone uccise, e colpi di mortaio contro Israele, che replica mandando al confine la settima brigata corazzata, cui potrebbero essere affidate “missioni offensive”. Colpito l’ospedale di Ashkelon. Netanyahu ordina di continuare i raid contro Hamas e la Jihad islamica, promettendo che pagheranno ‘un prezzo molto pesante’ per i loro attacchi. E incassa l’appoggio degli Usa, che ne sostengono il diritto all’autodifesa. Il bilancio delle vittime vede nove palestinesi da una parte, un israeliano dall’altra. 

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