Papa Francesco in Sinagoga: “Ebrei nostri fratelli maggiori nella fede”

Storica visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma (LeFOTO). Terzo Pontefice alla Sinagoga dopo Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986, e Benedetto XVI sei anni fa, il 17 gennaio del 2010.

Giunto a Largo XVI ottobre, il Papa è stato accolto dal presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, dal presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), Renzo Gattegna, e dal presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia.

Il Pontefice ha deposto i fiori sulla lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943 e ha percorso poi Via Catalana, fino all’effige in ricordo di Stefano Gai Taché, il bambino ucciso nell’attentato terroristico del 1982. Anche qui ha deposto una corona di fiori e incontrato la famiglia Taché e i feriti nell’attentato. Quindi ha raggiunto a piedi il Tempio Maggiore: sulla scalinata l’incontro con il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni. Insieme l’ingresso nella Sinagoga. Presenti, con la Comunità romana, esponenti di diverse Comunità ebraiche d’Europa.

Calorosamente applaudito, papa Francesco, in un clima molto amichevole, si è lungamente trattenuto a salutare tutti i presenti, esponenti del mondo ebraico italiano ed europeo. Moltissime le strette di mano, i sorrisi, le battute di cordiale saluto. Tra i presenti in Sinagoga anche il prefetto di Roma Franco Gabrielli e il commissario straordinario della città Francesco Paolo Tronca.

 

– Ecco i punti principali del discorso del Pontefice:

“Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede”, ha detto Francesco rivolgendosi alla comunità ebraica. “Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo”

“Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”,  ha affermato papa Francesco.

“Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche”, ha aggiunto Francesco, tra gli applausi.

“Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.

“Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggidesidero ricordarli col cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. Così papa Francesco nel suo discorso alla Sinagoga di Roma

 

Gattegna al Papa, operare insieme contro pregiudizi anti-ebrei –  Il panorama dei rapporti tra cattolici ed ebrei, “innegabilmente positivo, non deve indurre alcuno a interrompere il cammino intrapreso per raggiungere nuovi e ulteriori progressi”. Lo ha detto il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, nel suo discorso durate la visita del papa in Sinagoga. In particolare, ha affermato, “ritengo necessario realizzare una strategia comune che consenta un’ampia diffusione presso tutta la popolazione, della conoscenza del grande lavoro svolto e del consolidamento dei sentimenti di rispetto reciproco di amicizia e di fratellanza che fino ad oggi sono rimasti circoscritti ai vertici religiosi e culturali; ancora circolano con frequenza pregiudizi e discorsi improntati a un disprezzo che ci offende e ci ferisce”.

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Il punto sui rapporti religiosi con l’ebraismo in occasione della Giornata del 17 gennaio

di Norbert Hofmann

Il 17 gennaio 2013, giorno in cui viene celebrata la Giornata dell’ebraismo nelle Chiese di Italia, Polonia, Austria e Paesi Bassi, è un’ottima occasione per ripensare alle attività intraprese dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo nel 2012. Dal 1965 il compito di questa commissione è tradurre nella realtà l’orientamento suggerito dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4), ravvivarlo continuamente nelle relazioni concrete tra ebrei e cristiani e approfondire l’amicizia reciproca, impartendole impulsi sempre nuovi. In questo testo conciliare, fondamentale per il dialogo ebraico-cattolico, viene evidenziato quale intento prioritario quanto segue: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”. Questo dialogo fraterno ha in ultima analisi lo scopo di incoraggiare la collaborazione tra ebrei e cattolici per la giustizia e per la pace, di rafforzare l’impegno per la tutela del creato, e, sulla base di una crescente amicizia, di approfondire la conoscenza e la stima reciproche, affinché sia possibile rendere una testimonianza comune della presenza e dell’opera salvifica di Dio in questo mondo. Se è vero che la crisi maggiore del nostro tempo è la crisi di Dio, ovvero l’oblio di Dio e l’estromissione di Dio dall’esistenza quotidiana, allora ebrei e cristiani sono chiamati soprattutto oggi a rendere sempre presente questo Dio, in tutte le circostanze, a parlare di Lui e ad annunciare i suoi insegnamenti a favore di una pacifica e gioiosa convivenza di tutti gli uomini.

(©L’Osservatore Romano 17 gennaio 2013)

La storia delle relazioni ebraico-cristiane

di Walter Kasper

La storia delle relazioni ebraico-cristiane è complessa e difficile. Accanto a momenti positivi, in cui alcuni vescovi presero degli ebrei sotto la loro protezione contro pogrom o stermini di massa, vi sono stati periodi bui, che sono rimasti particolarmente impressi nella coscienza collettiva ebraica. Da parte cattolica, la dichiarazione del Vaticano ii, Nostra aetate, ha rappresentato la svolta decisiva. Essa è irrevocabile – come Benedetto xvi ha chiaramente ribadito anche durante la sua visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio 2010. È irreversibile per il semplice fatto che le argomentazioni teologiche centrali della dichiarazione Nostra aetate sono fermamente stabilite in due costituzioni conciliari del più alto livello: la costituzione dogmatica sulla Chiesa (nn. 6, 9, 16) e la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (nn. 3, 14). Forse per descrivere la relazione tra ebraismo e cristianesimo più di una chiarificazione concettuale è utile l’immagine che Paolo usa nella Lettera ai Romani. Egli parla della radice di Israele in cui i rami selvatici dei gentili sono stati innestati (Romani, 11, 16-20). Questa immagine, evocando il profeta Isaia (11, 1), esprime il senso della distinzione nell’unità in due modi. Da una parte, si dice che i rami selvatici innestati non sono cresciuti dalla radice stessa e non possono derivare da essa. D’altra parte la Chiesa deve trarre il suo vigore e la sua forza dalla radice che è Israele. Se i rami innestati sono tagliati dalla radice, si seccano, s’indeboliscono e infine muoiono.

(©L’Osservatore Romano 16 gennaio 2013)

Il dovere del dialogo tra cristiani ed ebrei

Lo spirito della Nostra aetate non è svanito; il dialogo giudeo-cristiano è e resta un dovere della Chiesa. Non a caso infatti "le nostre relazioni con il giudaismo sono uniche, poiché esso è la nostra radice". Lo ha affermato, mercoledì 14 luglio, il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nel ringraziare per il conferimento del premio "Cardinal Bea award for services to Jewish-Christian relation" da parte della congregazione delle suore di Notre Dame de Sion. Il premio gli è stato conferito "per la sua attività svolta – si legge nella motivazione – in qualità di presidente della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo. Nel suo discorso di ringraziamento il porporato ha riconosciuto che i progressi compiuti nella comprensione reciproca e nel cammino di riconciliazione, si devono in gran parte alle visite apostoliche di Giovanni Paolo ii e di Benedetto XVI in Terra Santa, e ai loro continui incontri con le comunità ebraiche, a Roma e in molti altri dei Paesi visitati. L’impegno per superare pregiudizi e preclusioni, ha fatto notare il porporato, si inserisce "nel cammino della Chiesa dopo il Concilio" ed è "in linea con gli sviluppi dei nostri tempi". La ricerca dell’amicizia e dei punti in comune con l’ebraismo è stata occasione anche per rilanciare il dialogo ecumenico, in quanto "la realtà di una cristianità divisa è un peccato e uno scandalo". La cerimonia della consegna del premio è avvenuta nell’ambito del capitolo generale della congregazione fondata da Theodore Ratisbonne, un ebreo convertito. Nel dare il benvenuto al cardinale Kasper, la superiora generale uscente, suor Maureen Cusick, aveva spiegato le motivazioni alla base del conferimento del premio. In particolare, è stato riconosciuto al porporato "un ruolo centrale nell’allacciamento delle relazioni tra Israele e Santa Sede". La religiosa aveva poi ricordato i meriti del cardinale Kasper nel denunciare gli orrori della Shoah, "riconoscendo che l’antisemitismo è una forma di odio etnico, culturale e religioso che l’umanità deve sradicare".

 (©L’Osservatore Romano – 18 luglio 2010)