La sinagoga di Roma in cui si recherà in visita il 17 gennaio Benedetto XVI, la stessa in cui il 13 aprile 1986 andò Giovanni Paolo II, ha poco più di un secolo di vita, non molto rispetto alla lunga e complessa storia di convivenza tra papi ed ebrei nella città di Roma. L’alto edificio che si erge sul Lungotevere, proprio di fronte all’isola Tiberina, in vista della cupola di San Pietro, rappresenta in realtà proprio la fine di tale convivenza e sottolinea il cambiamento avvenuto nella condizione degli ebrei a Roma, ormai cittadini a pieno titolo dello Stato italiano e non più sudditi discriminati dello Stato papale. La sinagoga, o meglio, come fu chiamata, il Tempio maggiore, fu costruita fra il 1901 e il 1904 nello spazio del vecchio ghetto.
Era questo un trapezio di tre ettari, lungo 270 metri circa verso il Tevere, 180 dall’altra parte, per una profondità di 150 metri circa. La demolizione del ghetto, in attuazione del piano regolatore di Roma Capitale del 1873, iniziò nel 1885 e durò un anno. Il quartiere, così come lo vediamo oggi nei suoi tre isolati di stile umbertino (uno di palazzine liberty su via Catalana, e due su via Portico d’Ottavia), fu finito di ricostruire nel 1911. Contemporaneamente, la costruzione dei muraglioni sul Tevere consentiva la bonifica della zona e metteva termine alle terribili inondazioni della città. La demolizione del ghetto obbediva a ragioni concrete, quali l’estremo degrado del vecchio ghetto e la politica urbanistica del nuovo Stato, ma anche a precise ragioni politicoideologiche: ciò che si abbatteva era il simbolo della subordinazione e della discriminazione degli ebrei. Essa ebbe tuttavia pesanti costi umani, a causa della necessità di spostare gli abitanti verso altre zone: Trastevere e Monteverde per i più poveri, l’Esquilino, dove nel 1914 sarà inaugurato il tempio di via Balbo, per i più benestanti.
L’edificio che riuniva le antiche sinagoghe, le Cinque Scole, pur semidistrutto da un incendio nel 1893, continuò a essere utilizzato durante la costruzione della nuova grande sinagoga, per essere poi, inspiegabilmente, demolito nel 1908.
ll progetto della sinagoga era degli architetti Costa e Armanni, lo stile quello eclettico greco-assiro-babilonese, vicino a quello più moresco che aveva già ispirato la costruzione delle sinagoghe di Torino e Firenze. Lo spirito, quello di innalzare un edificio di culto che simboleggiasse la raggiunta uguaglianza e libertà, dopo le limitazioni pesantissime che, fin dai tempi del codice teodosiano, del V secolo e poi ancor più nel 1555 con la costruzione del ghetto, avevano limitato il numero delle sinagoghe, la loro altezza e ancor più la loro visibilità.
L’inaugurazione, nel 1904, fu solenne. Il 2 luglio il re Vittorio Emanuele III vi si recò in visita, il 27 luglio ci fu una solenne cerimonia religiosa di consacrazione, il giorno successivo l’inaugurazione civile, alla presenza delle autorità. Gli ebrei romani avevano ormai il loro pubblico edificio di culto, ben visibile nella città.
Nel 1943 è negli uffici comunitari adiacenti al tempio che fu raccolto e pesato l’oro portato dai
romani, ebrei e non ebrei, da consegnare ai nazisti. Scrive nel suo 16 ottobre 1943 Giacomo Debenedetti: «Guardinghi, come temendo un rifiuto, come intimiditi di venire ad offrire dell’oro ai ricchi ebrei, alcuni ‘ariani’ si presentarono.
Entravano impacciati in quel locale adiacente alla sinagoga, non sapendo se dovessero togliersi il cappello o tenere il capo coperto, come notoriamente vuole l’uso rituale degli ebrei. Quasi umilmente domandavano se potevano anche loro… se sarebbe stato gradito…». Pochi giorni dopo l’episodio dell’oro, gli edifici del tempio e della comunità furono perquisiti, la biblioteca ricca di manoscritti antichi impacchettata e inviata in Germania. Il 16 ottobre del 1943, gli ebrei razziati nella zona del vecchio ghetto furono radunati a fianco della sinagoga, sotto il Portico d’Ottavia, in quello che è ora largo 16 ottobre e dove una lapide ne ricorda la deportazione e lo sterminio. Dopo la razzia il tempio fu chiuso, mentre gli ebrei sopravvissuti vivevano dispersi e clandestini. Il giorno dopo la liberazione di Roma, il 5 giugno 1944, il tempio fu riaperto solennemente e il 10 riprese a celebrarsi il culto.
Più recentemente, il 9 ottobre 1982, la sinagoga fu oggetto di un gravissimo attentato terroristico palestinese, a colpi di mitra e granate. Morirono due persone, tra cui un bambino di due anni, Stefano Taché, e molti rimasero feriti. Da allora la presenza di blindati della polizia è diventata usuale accanto alla Sinagoga, il simbolo primo dell’emancipazione e della libertà degli ebrei romani – di Anna Foa avvenire 10/01/2010