Quammen: “Arriverà un virus peggiore ma non siamo pronti”

In un’intervista esclusiva all’AGI, il saggista e divulgatore scientifico americano, autore del fortunato libro ‘Spillover’ fa un’analisi sulla pandemia che ha causato almeno 6,5 milioni di morti. E una previsione poco rosea

covid intervista David Quammen spillover

AGI – Il Covid è tutt’altro che finito, ma malgrado la strage (almeno 6,5 milioni di morti) poteva andare peggio: un virus respiratorio contagiosissimo (come il Covid) ma con tassi di mortalità anche dieci volte superiori potrebbe arrivare, e “l’umanità non è pronta”. E’ la previsione a tinte fosche di David Quammen, celebre saggista e divulgatore scientifico americano, autore del fortunato libro ‘Spillover’ nel 2012 (edito in Italia da Adelphi) in cui preconizzava proprio il possibile arrivo, probabilmente dall’Asia, di un coronavirus nato da un salto di genere (Spillover, appunto) dagli animali all’uomo.

Dopo la pandemia è tornato sul tema con altri due importanti saggi, ‘Perché non eravamo pronti’ e ‘Senza respiro’, sempre editi da Adelphi. Nel 2020, ricorda in una intervista esclusiva all’AGI, capì subito che forse il dramma da lui ipotizzato stava diventando realtà.

“Il primo segnale che mi ha chiarito che il nuovo virus a Wuhan avrebbe potuto causare una pandemia mi è arrivato via e-mail il 13 gennaio 2020”, racconta. “Era un messaggio dalla rete di allerta per le malattie infettive ProMed, inviato a 80.000 abbonati, me compreso, che menzionava un fatto nuovo sull’epidemia di “polmonite atipica” a Wuhan: ora si sapeva che era causata da un coronavirus”.
“Sapevo dalle mie ricerche per Spillover, come molti scienziati, che la famiglia dei coronavirus conteneva virus particolarmente capaci di una rapida evoluzione, con la capacità nota di passare dagli animali all’uomo e quindi di diffondersi per trasmissione respiratoria. SARS-1, nel 2003, era stato il primo avvertimento. MERS-CoV, nel 2012, lo aveva confermato. Conoscevo la storia e avevo parlato con gli esperti dei coronavirus, quindi ero consapevole che questo nuovo virus proveniente da Wuhan avrebbe potuto diffondersi in tutto il mondo e causare devastazione”.

“L’Italia è stata particolarmente sfortunata”
Come poi è stato, e gli italiani lo sanno bene: il primo paese occidentale a essere travolto. Ma Quammen si smarca dalle polemiche politiche (e dagli strascichi giudiziari) e spiega: “L’Italia, in particolare il nord Italia, è stata profondamente sfortunata, credo, all’inizio del 2020. Il fattore che ha contribuito maggiormente alla portata dell’ondata di Covid che ha colpito la Lombardia non sono stati gli errori commessi dai leader politici e dai funzionari della sanità pubblica, io credo. Penso che sia stato il fatto che il nord Italia era già stato colpito molto pesantemente dal virus, sotto forma di persone infette asintomatiche che inconsapevolmente lo hanno diffuso senza mostrare la malattia. Quei primi ‘spreaders’ potrebbero essere entrati dall’aeroporto di Malpensa: non lo sappiamo, non ho visto prove al riguardo, questa è solo una supposizione logica. Così come i grandi eventi, come la partita di calcio Atalanta-Valencia; potrebbe essere stato un grande momento di super diffusione, ma non abbiamo prove. Non voglio criticare le decisioni prese sui tempi e sull’entità delle misure perché non c’ero e non conosco abbastanza dettagli. Questi giudizi li dovrebbero dare gli italiani”.
Oltre all’impatto drammatico sul piano sanitario e delle vite umane, il Covid ha scatenato anche una serie di polarizzazioni a livello globale: sui vaccini, ad esempio, Quammen parla senza mezzi termini di una “guerra di propaganda”, che “è stata enormemente dannosa, costando molte vite. Deriva da una mistura tossica di ‘ricerca’ superficiale su fonti di Internet fuorvianti, una sorta di ondata populista di animosità verso la scienza in generale, un’ignoranza di cosa sia la scienza e di come funzioni, un’ansia febbrile di alcune persone di compensare le proprie insicurezze e sfiducia diffondendo sui social media ciò che considerano “conoscenza privilegiata” e il cinismo di alcuni politici e personaggi dei media (soprattutto televisivi). È orribile”. Il tutto ovviamente potenziato dalla capacità diffusiva dei social media, contro cui secondo lo scrittore non solo gli scienziati, ma i giornalisti e gli insegnanti dovrebbero lavorare per “educare i giovani a capire cos’è la scienza e ad acquisire le capacità e le abitudini del pensiero critico”.

Le strade “opposte” della politica
Altra polarizzazione, evidente, nelle due opposte visioni su come gestire la pandemia, tra l’”aperturismo” della destra e il “chiusurismo” della sinistra. “Alcune fazioni politiche – spiega Quammen – sostengono sempre che il governo dovrebbe essere più ‘piccolo’, che i poteri normativi dovrebbero essere più deboli. Io (e altri) ho potuto vedere dall’inizio della pandemia che questo avrebbe portato a una dicotomia cruciale: tra libertà personali e salute pubblica. Le libertà personali (dette anche libertà civili) sono ovviamente molto importanti e ne facciamo tesoro nelle società democratiche.

Ma se la libertà personale diventa una priorità assoluta, a scapito della salute pubblica e del benessere delle comunità, allora suppongo che non dovrebbero esistere la patente di guida, i semafori e la polizia. Come andrebbe? Non bene. Il rifiuto delle chiusure temporanee per Covid, dell’obbligo di mascherine e delle campagne vaccinali, è l’equivalente di una sorta di anarchismo da ragazzini applicato al problema di un virus pandemico”.

Anche in Italia, con la vittoria del centrodestra, la gestione è cambiata: via gli obblighi di mascherine e di vaccino, via il bollettino quotidiano, il Covid è derubricato come ormai endemizzato e sostanzialmente superato, ma il saggista dissente da questa linea: “Il nuovo approccio italiano ricorda in qualche modo il vecchio approccio americano sotto Trump. Non ha funzionato. Ha solo peggiorato le cose. Alcune persone (anche alcune persone che rispetto, come Joe Biden) hanno detto che “la pandemia è finita”. È una questione di definizioni. Come definisci “pandemia” e come definisci “finita”? Il virus non è sparito. Il rischio per le persone non vaccinate non è sparito”.

Tuttavia, ricorda lo scrittore, “alcuni dicono che il Covid-19 sia ora entrato nella fase “endemica” in contrasto con la fase di “pandemia”. Come definiscono “endemico”? Non lo fanno, perché non sanno di cosa stanno parlando. Una “pandemia” è una malattia infettiva che si sta diffondendo in tutto il mondo così rapidamente che può arrivare ovunque. Una malattia “endemica” è quella che ora è arrivata ovunque. La malattia non è necessariamente meno grave; ha solo meno persone suscettibili da infettare. Quando le infetta, possono ancora ammalarsi gravemente, possono ancora morire. Si guardi la storia del morbillo. Uccide ancora molti bambini, in paesi senza vaccinazione diffusa, ogni anno. Si guardi la malaria. È endemica in Africa da millenni. Uccide ancora almeno mezzo milione di bambini ogni anno”. Insomma, il SARS-CoV-2 “non se ne andrà. E non ci sono basi scientifiche per presumere che si evolverà necessariamente per essere meno virulento. Dovremmo essere preparati a proteggerci, con la vaccinazione universale e con altre misure quando si verificano gravi ondate, nel futuro indefinito”.

Il monito
Ora, insomma, il rischio è che oltre al virus si diffonda un’altra ‘pandemia’, più subdola ma non meno letale, quella della “cecità”. Il non vedere, o non voler vedere, cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere: “Sebbene SARS-CoV-2 abbia già ucciso almeno 6,5 milioni di persone – ricorda – sarebbe potuta andare molto peggio. Il suo tasso di mortalità tra i casi confermati è stato “solo” di circa l’uno percento. Poteva essere il dieci per cento. Potrebbe arrivare un’altra pandemia virale, con la stessa capacità di trasmissione del SARS-CoV-2, ma con molta più virulenza, un tasso di mortalità più elevato. Potrebbe uccidere dieci volte più persone del Covid, o più”.

Eppure, ammonisce Quammen, “Non siamo pronti per il prossimo virus. Scienziati ed esperti di salute pubblica stanno discutendo su come potremmo avere una migliore preparazione e risposta. Abbiamo bisogno che anche i leader politici si impegnino con questo imperativo. E per convincere i leader politici a impegnarsi, abbiamo bisogno di pressioni da parte del pubblico. Finora, le uniche proteste che vedo sono quelle delle persone ignoranti e che rifiutano la scienza che vogliono meno prevenzione, non di più. A questo punto, sembra che SARS-CoV-2, e probabilmente il prossimo – un altro SARS-CoV, o H5N1-umano, o qualunque sia il prossimo virus a RNA – abbiano una capacità di adattamento maggiore dell’Homo sapiens”. Ma non dobbiamo accettarlo: “Possiamo combattere l’ignoranza così come la malattia. Vaccinare gli anziani con vaccini universali e ‘vaccinare’ i più giovani con una migliore informazione e sensibilizzazione”.

Il covid ha fatto invecchiare precocemente il cervello dei bambini

covid invecchiato precocemente cervello bambini
Covid, bambini

AGI – I continui lockdown dovuti al Covid-19 hanno reso prematuramente più vecchio il cervello degli adolescenti di almeno tre anni.  Sono i cambiamenti osservati nei bambini che hanno affrontato stress cronico e avversità quotidiane durante la pandemia rivelati da uno studio di cui parla il Washington Post.

Pubblicato giovedì su Biological Psychiatry Global Open Science, lo studio è il primo a raffrontare le scansioni delle strutture fisiche del cervello degli adolescenti prima e dopo l’inizio della pandemia e a documentarle le differenze significative, secondo il suo autore, Ian Gotlib, professore di psicologia alla Stanford University.

covid invecchiato precocemente cervello bambini
© Agf

Un bambino con uno smartphone

I ricercatori sono partiti dal sapere che gli adolescenti avevano “livelli di depressione, ansia e paura” più alti rispetto a prima della pandemia, “ma non sapevamo nulla degli effetti diretti sul loro cervello”, ha commentato il professor Gotlib. Inizialmente i ricercatori hanno pensato che vi potessero essere solo delle correlazioni, ma poi hanno constatato di quanto queste fossero forti.

E se ne sono resi conto confrontando le scansioni Mri di un gruppo di 128 bambini, metà effettuate prima e metà alla fine del primo anno di pandemia, riscontrando una crescita nell’ippocampo e nell’amigdala, due aree del cervello che rispettivamente controllano l’accesso ad alcuni ricordi e aiutano a regolare la paura, lo stress e altre emozioni. E verificando al tempo stesso un assottigliamento dei tessuti nella corteccia, che è coinvolta nel funzionamento esecutivo. Cambiamenti che avvengono durante il normale sviluppo adolescenziale, sottolineano i ricercatori, anche se la pandemia sembra averne accelerato il processo, afferma Gotlib. In ogni caso, l’invecchiamento precoce del cervello dei bambini non testimonia uno loro sviluppo normale.

La fotografia della situazione pre-pandemica nei cervelli degli adolescenti, scrive il Post, “proviene da uno studio longitudinale che il team di Gotlib ha iniziato otto anni fa, con l’obiettivo di comprendere meglio le differenze di genere nei tassi di depressione tra gli adolescenti”. In quest’ambito, i ricercatori hanno reclutato 220 bambini dai 9 ai 13 anni, per eseguire scansioni Mri del loro cervello ogni due anni e “mentre stavano raccogliendo la terza serie di scansioni, la pandemia ha interrotto tutte le ricerche dei soggetti da sottoporre a check a Stanford, impedendo agli scienziati di raccogliere dati sulle scansioni cerebrali da marzo 2020 fino alla fine di quell’anno”.

covid invecchiato precocemente cervello bambini
© Claudia Greco / AGF

Così, mentre s’interrogavano su come giustificare l’interruzione, gli scienziati hanno visto l’opportunità di indagare su una questione diversa: in che modo la pandemia stessa potrebbe aver influito sulla struttura fisica del cervello dei bambini e sulla loro salute mentale. “Ciò ci ha permesso di confrontare i sedicenni prima della pandemia con diversi sedicenni valutati dopo la pandemia”, ha affermato Gotlib.

La conclusione? “Per me è che ci sono seri problemi tra la salute mentale e i bambini rispetto alla pandemia“, ha dichiarato il professor Gotlib, “e solo perché si è attenuta non significa che stiamo meglio”.

Aggiornamento Covid, 466 nuovi contagi e due decessi a Reggio Emilia

In Emilia-Romagna sono 3.335 i nuovi casi, quasi 3 mila i guariti. In calo i ricoveri nelle terapie intensive (-3) e in leggero rialzo nei reparti Covid (+11) Il 97,8% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. Otto decessi in Regione


AReggio Emilia oggi si contano 466 nuovi positivi al covid e il decesso di due donne di 86 e 88 anni. In Emilia-Romagna si sono registrati 3.335 casi di positività, in più rispetto a ieri, su un totale di 11.927 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore, di cui 3.421 molecolari e 8.506 test antigenici rapidi. Complessivamente, la percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti è del 27,9%.

Contagi
La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 657 nuovi casi (su un totale dall’inizio dell’epidemia di 390.311), seguita da Modena (479 su 291.198) e Reggio Emilia (466 su 217.464); poi Ravenna (314 su 181.784), Parma (309 su 162.913) e Ferrara (271 su 137.785); quindi Rimini (238 su 179.842), Piacenza (229 su 99.857), Cesena (154 su 108.043) e Forlì (142 su 89.496); infine il Circondario Imolese (76 su 58.912). L’età media dei nuovi positivi di oggi è di 53,7 anni.

I casi attivi, cioè i malati effettivi, sono 45.892 (+335). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 44.905 (+327), il 97,8% del totale dei casi attivi.

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Ricoveri
I pazienti attualmente ricoverati nelle terapie intensive dell’Emilia-Romagna sono 33 (-3 rispetto a ieri, pari al -8,3%), l’età media è di 66,2 anni. Per quanto riguarda i pazienti ricoverati negli altri reparti Covid, sono 954 (+11 rispetto a ieri, +1,2%), età media 75,9 anni.

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 1 a Parma (-1); 2 a Reggio Emilia (invariato); 5 a Modena (+1); 13 a Bologna (-3); 2 a Imola (+1); 4 a Ferrara (invariato); 3 a Ravenna (-1); 1 a Forlì (invariato); 1 a Cesena (invariato); 1 a Rimini (invariato).

Nessun ricovero a Piacenza (come ieri).

Guariti e deceduti
Le persone complessivamente guarite sono 2.992 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 1.853.586.

Purtroppo, si registrano 8 decessi:

2 in provincia di Reggio Emilia (due donne di 86 e 88 anni)
1 in provincia di Parma (una donna di 74 anni)
2 in provincia di Bologna (due donne di 81 e 83 anni)
1 in provincia di Ferrara (una donna di 76 anni)
2 in provincia di Ravenna (due uomini di 85 e 89 anni)
Non si registrano decessi in provincia di Piacenza, Modena, Forlì- Cesena e Rimini.

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 18.127.

Vaccinazioni
Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid. Alle ore 12 sono state somministrate complessivamente 10.911.250 dosi; sul totale sono 3.800.702 le persone over 12 che hanno completato il ciclo vaccinale, il 94,6 %. Le dosi aggiuntive fatte sono 3.800.702.

Il conteggio progressivo delle dosi di vaccino somministrate si può seguire in tempo reale sul portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento: https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid, che indica anche quanti sono i cicli vaccinali completati e le dosi aggiuntive somministrate.

Covid: ministero, non c’è dad per gli alunni positivi

 © EPA

ROMA, 28 AGO – Gli alunni positivi non possono seguire le lezioni in Didattica digitale integrata: “la normativa speciale per il contesto scolastico legata al virus SARS-CoV-2, che consentiva tale modalità, cessa i propri effetti con la conclusione dell’anno scolastico 2021/2022”.

E’ quanto spiega il ministero dell’Istruzione in un vademecum inviato oggi alle scuole con le principali indicazioni per il contrasto della diffusione del Covid-19 in ambito scolastico in vista dell’avvio dell’anno 2022/2023.
ROMA, 28 AGO – Gli alunni positivi non possono seguire le lezioni in Didattica digitale integrata: “la normativa speciale per il contesto scolastico legata al virus SARS-CoV-2, che consentiva tale modalità, cessa i propri effetti con la conclusione dell’anno scolastico 2021/2022”.

E’ quanto spiega il ministero dell’Istruzione in un vademecum inviato oggi alle scuole con le principali indicazioni per il contrasto della diffusione del Covid-19 in ambito scolastico in vista dell’avvio dell’anno 2022/2023.
Ansa 

Covid: 26.662 contagiati, 74 le vittime. Tasso al 16%

 © ANSA

Sono 26.662 i nuovi contagi da Covid registrati nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute.

Ieri i contagiati erano stati 35.004.

Le vittime sono 74, in netto calo rispetto alle 158 di ieri. Il tasso è al 16%, in aumento rispetto al 15,3% di ieri. Sono stati eseguiti in tutto, tra antigenici e molecolari, 166.481 tamponi. Sono invece 342 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, 6 in più rispetto a ieri, mentre gli ingressi giornalieri sono 25. I ricoverati nei reparti ordinari sono invece 8.926, cioè 102 in meno rispetto a ieri. Gli italiani positivi al Coronavirus sono attualmente 1.094.956, ovvero 10.502 in meno rispetto a ieri. In totale sono 21.313.427 i contagiati dall’inizio della pandemia, mentre i morti salgono a 173.136. I dimessi e i guariti sono 20.045.335 con un incremento di 37.084. (ANSA). 

Ritorno tra i banchi Via le mascherine (e finestre aperte) La scuola a settembre è già un caso

«Aprite le finestre». Alla vigilia del terzo anno scolastico dell’era Covid, è ancora questa l’indicazione principale degli esperti dell’Istituto superiore di sanità per ottenere «standard minimi di qualità dell’aria negli ambienti scolastici», contenuta nelle Linee guida del governo pubblicate mercoledì sera in Gazzetta Ufficiale. A studenti, famiglie, insegnanti e, soprattutto, presidi che da mesi chiedevano l’adozione di impianti di ventilazione e purificazione dell’aria, viene, in buona sostanza, riproposto il metodo utilizzato nelle prime fasi dell’emergenza. Che, però, durante l’inverno costringerà, ancora una volta, a restare in classe con cappotto, sciarpa e cappello. «La semplice ventilazione delle aule attraverso l’apertura delle finestre – si legge nelle Linee guida – può migliorare sensibilmente la qualità del-l’aria, favorendo la diluizione e la riduzione sia di agenti chimici liberati all’interno, sia di virus e batteri rilasciati dagli occupanti».

Sempre secondo gli esperti dell’Iss, «l’osservanza di semplici norme quali il divieto di fumo in tutto il perimetro scolastico, l’assenza di arredi e materiali inquinanti, l’igiene e trattamento di pavimenti e superfici, è un prerequisito importante in questo contesto». Soltanto dopo, qualora «sia dimostrato che la qualità dell’aria non sia adeguata», potrà essere preso in considerazione «l’utilizzo di dispositivi aggiuntivi di sanificazione, purificazione e ventilazione». Che su questo aspetto ci sia ancora molto da fare, è confermato anche dai dati di una ricerca dell’Associazione nazionale presidi e della Fondazione Gimbe, effettuata su un campione rappresentativo di dirigenti scolastici. Praticamente, nella quasi totalità delle scuole è stato, appunto, applicato il protocollo “finestre aperte” (285 risposte su 311 dirigenti intervistati), mentre in appena 9 casi sono stati installati “sistemi di ventilazione meccanica control-lata”, in 84 erano presenti “attrezzature per la purificazione e filtrazione dell’aria”, in 15 “rilevatori di CO2” e in 6 scuole non è stato effettuato “alcun intervento”. «È un vero e proprio scandalo», protesta il matematico Marco Roccetti, ordinario di Scienza dei dati all’Università di Bologna. Un azzardo che potrebbe costare caro, non soltanto in termini di contagi ma anche economicamente. Ogni ondata pandemica, ha calcolato Roccetti, costa alle casse dello Stato tra i 5 e i 6 miliardi, tra vaccini, tamponi e mascherine.

«Il costo medio per questi dispositivi – riprende il matematico bolognese – indicativamente varia da poche centinaia di euro per spazi chiusi di 50 metri a diverse centinaia (meno di mille solitamente) per ambienti da 200 metri quadrati. Andrebbero aggiunti, in taluni casi, i costi di adeguamento degli ambienti e quelli di manutenzione periodica. Dunque – argomenta Roccetti – anche considerando un intervento che coinvolga tutta la scuola italiana, come sarebbe giusto, si tratterebbe di costi che verrebbero facilmente riassorbiti o ripagati dall’essere riusciti a evitare o anche solo fortemente mitigare un’ondata del virus».

Un altro aspetto sul quale sarebbe opportuno fare chiarezza è quello legato all’utilizzo delle mascherine in classe. Fino al 31 agosto valgono le regole adottate dal ministero dell’Istruzione dopo la cessazione dello stato di emergenza (31 marzo 2022), che prevedono, per esempio, l’obbligo di indossarla, dai sei anni in su. Misura che, però, è stata sospesa dal decreto 68 del 16 giugno in vista della Maturità. Proprio l’utilizzo delle mascherine a scuola è già diventata materia per la campagna elettorale, con alcuni partiti, per esempio la Lega, dichiaratisi apertamente contrari a prorogare la misura. Sulla ventilazione è, invece, intervenuta ieri la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «È dall’inizio della pandemia – ha scritto su Facebook – che proponiamo di dotare tutti gli istituti di sistemi di ventilazione meccanica controllata, ma il ministro del- la Salute Speranza e quello dell’Istruzione Bianchi continuano a fare orecchie da mercante – nonostante il moltiplicarsi di appelli da parte di esperti, medici e presidi – abbandonando le scuole al loro destino. Gli istituti italiani si apprestano a vivere il terzo anno consecutivo nel caos e senza sicurezza. Con quale faccia questi signori si presentano a guidare di nuovo l’Italia?». Sull’utilizzo delle mascherine si esprimono ancora gli esperti dell’Iss che, nelle Linee guida pubblicate poche ore fa, scrivono: «Sul piano operativo è utile ricordare che l’ottimizzazione dei ricambi dell’aria e, più in generale, della ventilazione, sebbene faccia parte della generale strategia di prevenzione, è solo una delle azioni da intraprendere e da sola incide solo parzialmente nel ridurre il rischio di contaminazione e trasmissione del virus, se non vengono rispettate tutte le altre azioni personali di prevenzione e riduzione del rischio, ed in primis, il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine, il lavaggio delle mani, l’etichetta respiratoria per la tosse e gli starnuti, la sanificazione delle superfici. La riduzione del rischio di contaminazione e diffusione – ricordano gli esperti – si basa proprio sull’attuazione integrata ed organica di queste misure personali e collettive, che rimangono tuttora efficaci».

Insomma, almeno stando a quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale due giorni fa, pare che, nonostante la fine dell’emergenza sanitaria, le precauzioni valgano ancora. Compreso l’utilizzo delle mascherine in classe, il cui obbligo, va nuovamente ricordato, al momento decade il 31 agosto. L’unica certezza, invece, riguarda il licenziamento dei circa 50mila docenti e Ata assunti per far fronte all’emergenza (il cosiddetto “organico Covid”), il cui contratto è scaduto il 15 giugno e non è stato rinnovato. «Il motivo non è chiaro, perché né l’amministrazione scolastica né il governo hanno fornito adeguate spiegazioni », protesta il presidente del sindacato autonomo Anief, Marcello Pacifico. «Rimanendo immutate le condizioni di partenza del nuovo anno scolastico, viene da chiedersi perché è stato prodotto questo ennesimo taglio alla scuola. La risposta appare semplice: esclusivamente per risparmiare soldi – attacca Pacifico – . Ma ancora una volta lo si fa, senza porsi problemi, sulla pelle degli alunni e del personale. Se a questo aggiungiamo che a un mese dall’avvio delle lezioni non abbiamo ancora il protocollo sulla sicurezza, significa che il governo si sta assumendo la responsabilità di una prossima probabile diffusione dei contagi, che nella scuola a queste condizioni troverà terreno fertile. Speravamo che con la riforma del Pnrr qualcosa potesse cambiare: invece nulla».

Secondo Pacifico, l’organico Covid doveva essere prorogato «portandolo su una consistenza anche superiore al primo anno », ricorda il sindacalista. «Se a questo aggiungiamo la conferma delle regole su dimensionamento e formazione delle classi e degli organici, come se il Covid fosse finito, ci rendiamo conto della gravità della situazione – conclude Pacifico –. Eppure i virologi e l’Oms dicono che occorre rimanere con la guardia alta, perché l’emergenza pandemica non è finita. Speriamo di sbagliarci, ma se si arriva in queste condizioni a settembre (considerando che nelle ultime due estati non avevamo questa abbondanza di contagiati), più di qualche classe e scuola rischia di non riprendere le lezioni in presenza».

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Pubblicate in Gazzetta Ufficiale le nuove Linee guida del governo per la «qualità dell’aria negli ambienti scolastici».

Il “consiglio” di mantenere i dispositivi di protezione, per cui però non esiste più alcun obbligo

Alunni con la mascherina in classe: il prossimo anno si ripartirà senza /

Imagoeconomica

Il Covid colpisce la Micronesia, duemila casi in primo focolaio

 © ANSA

Il piccolo Stato della Micronesia, nel Pacifico, ha perso lo status di uno dei pochi Paesi esenti dal Covid, dopo la conferma del primo focolaio a seguito di alcuni casi segnalati la scorsa settimana.

Lo riferiscono diversi media.

A parte alcuni episodi isolati, gli Stati Federati di Micronesia erano riusciti ad evitare il coronavirus per due anni e mezzo grazie alla loro posizione a circa 1.000 miglia (1.600 chilometri) a nord di Papua Nuova Guinea. Questo fino a quando due studenti sono risultati positivi dopo essere arrivati sull’isola di Kosrae da Pohnpei. In una settimana, i casi sono aumentati fino a raggiungere più di 2.072 registrati ieri, causando allarme nella nazione insulare del Pacifico che conta una popolazione di circa 130.000 abitanti,. Otto le persone ricoverate in ospedale, mentre un anziano è morto per le conseguenze legate al virus.
Molti legislatori e alti funzionari hanno contratto la malattia, compreso il vicepresidente Yosiwo George, che è ricoverato in ospedale anche se le sue condizioni non destano preoccupazioni. L’autorità sanitaria ha scoraggiato gli assembramenti e ha consigliato l’uso di mascherine in ogni momento, ma ha detto che “tutti i servizi pubblici rimarranno aperti”. (ANSA). 

«Il Covid mai così contagioso. Ecco perché (e cosa aspettarsi adesso)»

Parla il direttore dell’Istituto Mario Negri: «L’impennata di infezioni non si associa a forme di malattia grave. La quarta dose ci dà tempo. La possibile svolta a primavera 2023, in uno spray»
Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri

Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri

C’è tempo per studiare, nella lunga estate surriscaldata (a sorpresa) anche dal Covid, e Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, non smette mai di farlo. Sulla sua scrivania, nell’ufficio di Bergamo, si accumulano studi e ricerche, l’ultimo pubblicato appena qualche giorno fa dalla rivista Immunity rileva come nei polmoni di chi ha avuto il Covid, o si è vaccinato, fioriscono cellule di tipo B – caratterizzate da una lunga memoria immunitaria – capaci di intervenire quando l’agente infettivo si ripresenta. «È importante – spiega – non solo perché prova come le reinfezioni, attualmente pur cresciute all’8%, siano rare. Ma soprattutto perché conferma la strada già intrapresa in più parti del mondo dell’efficacia di una vaccinazione intranasale capace di compiere lo stesso percorso naturale del virus, cioè dalle alte vie respiratorie in giù, di fatto bloccandone l’accesso ai polmoni». Questo vaccino spray, il prof ne è quasi certo, potrebbe arrivare già la prossima primavera e stravolgere di nuovo la scena della pandemia.

Professore, partiamo dal principio. Che cosa sta succedendo?
Succede quello che non ci aspettavamo: le autorità scientifiche globali avevano previsto che la variante dominate di Covid fino a un mese fa, cioè la BA.2 di Omicron, ci avrebbe messo via via davanti a uno scenario di riduzione della pandemia: meno infezioni, meno ospedalizzazioni, meno morti entro fine giugno. A sparigliare le carte hanno pensato le sottovarianti BA.4 e BA.5, responsabili in questo momento (sono gli ultimi dati dell’Iss) rispettivamente del 40% e del 20% delle infezioni nel nostro Paese. BA.5, in particolare, è il virus più contagioso che abbiamo mai visto al mondo, capace persino di evadere sia l’immunità naturale che quella fornita dai vaccini. Questo sta causando e causerà un numero di infezioni senza precedenti.

E però – questo lo abbiamo ormai imparato – contagiosità, ospedalizzazioni e morti non sono la stessa cosa…
Non lo sono, e infatti la contagiosità di questo virus non si associa a forme di malattia grave come accadeva con Delta. Già Omicron 2 mostrava di non avere la capacità di raggiungere i polmoni e le sottovarianti 4 e 5 si comportano – sembra – allo stesso modo: non a caso abbiamo un 3% di posti in terapia intensiva occupati da pazienti Covid in questo momento e un 9% nei reparti ordinari, a fronte di un numero di infezioni – anche questo è stato detto e lo confermo – di almeno tre volte superiore rispetto ai dati ufficiali.

Niente polmoniti, dunque? Ma allora chi finisce in ospedale e chi muore?
Di polmoniti intersiziali in questa fase se ne vedono molto poche, almeno in base ai riscontri che ho su larga parte dei reparti del Nord Italia. Nel 90% dei casi in ospedale finiscono pazienti fragili e anziani, con altre problematiche, e che risultano contestualmente positivi al tampone. Il che ci dice molto su come dovremmo trattare i conti ufficiali che facciamo ancora sul Covid… Ma il punto che mi interessa sottolineare non è questo e torno subito ai vaccini: i dati ci dicono che la terza dose conserva una buona efficacia nel preservare dalle forme gravi di malattia anche nella lunga distanza. Sempre in questi giorni abbiamo appreso da Lancet che i vaccini disegnati sul Covid di Wuhan hanno risparmiato 20 milioni di vite nel mondo solo nel 2021, un risultato straordinario (seppur raggiunto soprattutto nei Paesi che ai vaccini hanno avuto accesso, cioè quelli ricchi). Di più: la quarta dose, che in tanti scelgono di non fare reputando non ce ne sia bisogno, offre ai più anziani e ai più fragili la possibilità di rinforzare quella protezione riportando gli anticorpi ai valori che si hanno a 14-20 giorni dopo la terza dose. Per quanto? Almeno per due mesi. Ci dà, in buona sostanza, due mesi di tempo.

E poi?
E poi tra settembre e ottobre arriveranno (forse) i nuovi vaccini.

Non disegnati sulle sottovarianti BA.4 e BA.5 però…
Questo lo vedremo: Pfizer, Moderna e Novovax sono già al lavoro anche su Omicron 4 e 5. In ogni caso, se anche fosse disponibile un nuovo vaccino sicuro (come stanno dimostrando le sperimentazioni) disegnato sulla variante di Wuhan e su Omicron 1, quest’ultimo ci offrirebbe un’efficacia del 30% in più rispetto a quelli attuali, già fondamentali come si diceva nel prevenire le forme gravi di malattia e la morte.

Non servirà più tempo alle agenzie regolatorie per dare il via libera a questo nuovo vaccino?
No, Fda ed Ema procedono ormai stabilmente in rolling review (cioè nell’analisi dei dati contestuali alla sperimentazione, ndr) e partecipano direttamente al disegno degli studi in modo da facilitare tutti i passaggi.

Nuovo vaccino per tutti dunque? Servirà tornare all’obbligo?
Nuovo vaccino per chi rischia innanzitutto. Mi ripeto: anziani, fragili, soggetti affetti da malattie croniche. Ma, seppur l’obbligo sia stata la strada giusta in passato, io credo che d’ora in poi sia sufficiente una raccomandazione. La stessa che deve valere ancora, e soprattutto in autunno, per le mascherine nei luoghi al chiuso senza adeguata ventilazione, sui trasporti pubblici, nelle Rsa: è qui che dobbiamo tenere gli occhi puntati. La convivenza col virus, necessaria per il ritorno alla normalità che stiamo giustamente vivendo, richiede responsabilità individuale.

A scuola come la mettiamo però?
Bisogna prepararsi, e in fretta. I dati ci dicono che la ventilazione è fondamentale e ormai esistono decine di device in grado di bloccare la diffusione del virus per aerosol, si tratta di scegliere quello che costa meno. E poi serve vaccinare i bambini, lo dico con chiarezza. Sento ripetere che i piccoli non si ammalano, però i numeri che arrivano dagli Usa dovrebbero farci riflettere: tredici milioni e mezzo di bambini contagiati, 8.500 che hanno sofferto di sindrome infiammatoria multisistemica legata al Covid, 40mila sono stati ospedalizzati e mille sono morti. L’influenza ne ha fatti nello stesso periodo 118. Il vaccino è sicuro e calibrato nel quantitativo su di loro: non corrono rischi e vengono messi al sicuro.

Con ventilazione e vaccini si potrebbe evitare di tornare sui banchi con le mascherine in autunno?
Assolutamente sì.

Ha ancora senso l’isolamento dei positivi?
Andrebbe fortemente ridotto ai soli, eventuali, giorni sintomatici. Sappiamo perfettamente ormai, per altro, che la maggiore contagiosità di questo virus è presintomatica: si circola e si diffonde la malattia quando cioè non si sa di essere positivi. Ha obiettivamente poco senso.

Cosa dobbiamo aspettarci ancora dal virus? Altri mutamenti?
Non possiamo prevederli, ma non dobbiamo più ragionare pensando che tutto ruoti attorno all’uomo. E qui veniamo ai cervi.

Cosa c’entrano i cervi professore?
Studi condotti soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, ma anche in Inghilterra, dove questi animali sono molto diffusi e si muovono liberamente nei giardini delle case e vicino all’uomo, dimostrano come il contagio stia correndo anche tra loro. Difficile stabilire se siamo noi a contagiarli, o il contrario, ma la scoperta ci dice che il Sars-CoV-2 continua la sua corsa ormai inarrestabile in tutte le specie, adattandosi, ricombinandosi e mutando nuovamente in chissà quali forme che magari incontreremo, magari no. Il Covid ci ha insegnato, come aveva già scritto papa Francesco nella sua Laudato si’ e recentemente il direttore di Lancet Richard Horton in un suo libro, che siamo «connessi nella vita e nella morte» con tutto il resto. Se andiamo oltre la domanda su cosa succederà in autunno, e ci chiediamo come prepararci nel lungo periodo ad altre pandemie, la risposta è rimettendoci in equilibrio col mondo che ci circonda. E, per restare sul semplice, correggendo il più possibile il nostro stile di vita e la nostra alimentazione in modo da non farci trovare compromessi nella salute da un altro virus che verrà e che potrebbe approfittare, come questo, della nostra fragilità fisica.

Avvenire