Pandemia. Ansia e depressione dei giovani. Negli Stati Uniti è già emergenza

La principale figura di medicina pubblica ha parlato di una «devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti»
Ansia e depressione dei giovani. Negli Stati Uniti è già emergenza

Secondo l’agenzia federale Usa per la prevenzione delle malattie, i suicidi di ragazzi tra i 10 e i 24 anni, rimasti stabili per decenni, sono aumentati del 60% fra il 2007 e il 2018 – .

Elizabeth Allen rivive spesso quella serata. Era rientrata da una passeggiata e aveva trovato il marito steso sul divano, lo sguardo al soffitto. Aveva pensato a un malore della suocera, ma non aveva sentito alcuna urgenza nel tono con cui le aveva detto: «È successa una cosa terribile». La figlia di una loro carissima amica si era tolta la vita. La 14enne da un anno si era isolata, aveva perso interesse in tutto. La madre era preoccupata, ma la seguiva, le parlava, le stava vicino. Non era bastato.

Elizabeth aveva subito visto negli occhi lucidi del marito che al dolore per l’amica – che non aveva che quell’unica bambina – si mescolava un terrore più personale. Anche la loro primogenita da mesi soffriva di depressione, alternata ad attacchi di panico che li avevano fatti accorrere due volte a scuola e una volta al pronto soccorso. La 17enne vedeva regolarmente una psicologa e questa aveva consigliato di parlare al loro medico di medicinali ansiolitici. Sono seguiti tre mesi che Elizabeth ricorda come un tunnel di brutte notizie: «Ho cominciato a fare più attenzione ai giovanissimi attorno a me, o forse il fatto di parlare più apertamente delle nostre difficoltà ha fatto venire a galla le esperienze altrui. E ho scoperto la portata della sofferenza che mi circonda ». In poco tempo la 50enne del Colorado ha contato una dozzina di adolescenti molto vicini alla sua famiglia che erano finiti all’ospedale – per qualche ora o qualche giorno –per crisi d’ansia o depressione, autolesionismo, tentato suicidio, psicosi, anoressia, tic improvvisi e violenti.

Le visite al pronto soccorso e i ricoveri non avevano però risolto i problemi. In alcuni casi avevano costretto la famiglia a cercare risorse per affrontare l’emergenza. In altri, quando le risorse a disposizione sembravano esaurite, avevano messo di fronte i genitori a un’amara impotenza: i loro figli non stavano bene e non sapevano che cosa fare per aiutarli. Lo scorso dicembre, il “chirurgo generale” degli Stati Uniti, la principale figura di salute pubblica nel Paese, ha diffuso un rarissimo avviso al pubblico, dichiarando l’esistenza di una «devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti americani». Molti medici se l’aspettavano: la pandemia aveva tolto a milioni di ragazzini, per due anni – un’eternità per un giovanissimo – almeno uno, spesso tutti e tre i pilastri di uno sviluppo sano: esercizio fisico, dialogo quotidiano e in persona con i coetanei, sonno regolare e abbondante, quest’ultimo rimpiazzato da sessioni interminabili davanti agli schermi e dalla persistente, angosciante incertezza. Ma le proporzioni dell’emergenza e un’analisi più approfondita dei suoi contorni hanno portato a concludere che i lockdown hanno solo esacerbato una vulnerabilità latente da una decina d’anni. Già nel 2019, infatti, l’American Academy of Pediatrics osservava che «i disturbi della salute mentale hanno superato le condizioni fisiche » come i problemi più comuni che causano «menomazione e limitazione» tra gli adolescenti. E secondo l’agenzia federale Usa per la prevenzione delle malattie, i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), i suicidi tra i 10 e i 24 anni, rimasti stabili per decenni, sono aumentati del 60% fra il 2007 e il 2018.

«Negli ultimi vent’anni, i principali rischi per la salute che gli adolescenti statunitensi affrontano sono cambiati: il consumo di alcol, sigarette e droghe è diminuito mentre l’ansia, la depressione, il suicidio e l’autolesionismo sono aumentati vertiginosamente », spiega Severiano San Juan, pediatra del New Jersey dal 1999. Il medico, insieme ad alcuni colleghi, ha di recente fatto una ricerca nei suoi archivi e calcolato che fino a 15 anni fa al massimo il 2 per cento dei pazienti si rivolgeva a lui per problemi mentali. Ora lo fa la metà. G li adolescenti lo sanno e lo dicono senza timidezza: la nostra generazione non è serena, non è spensierata, siamo più turbati di voi adulti alla nostra età. Sanno di aver bisogno di aiuto e sanno quanto è difficile trovarne. Non ci sono servizi di salute mentale pubblici negli Stati Uniti. Andare dallo psicologo costa, molto. E anche i genitori abbastanza privilegiati da potersi permettere un ciclo di terapia devono aspettare in media due mesi per trovare un posto libero. Gli altri stringono forte i loro figli e sperano in bene. I centri di ricerca, intanto, si interrogano sulle cause, per poter invertire la spirale del dolore. Parlano della pandemia, naturalmente. E, ovviamente, delle reti sociali, anche se il loro ruolo non è del tutto chiaro. Si sa che espongono cervelli assetati di accettazione sociale a un diluvio senza precedenti di stimoli e di modelli di confronto, spesso privi di contesto e di elementi “reali” che rendano più facile interpretarli, catalogarli, disinnescarli. «Vediamo più cose di quante ne vedevate voi, e più complicate da elaborare, e sempre, senza sosta. Davanti a noi ci sono sempre immagini, parole, idee, giudizi, comportamenti da imitare o da respingere. A volte mi sembra di impazzire», dice Clara, 17 anni, di New York. Il 95% degli adolescenti Usa ha uno smartphone e la metà dice di essere online “costantemente”.

Julia Potter, direttore del Centro per la salute degli adolescenti del Boston Medical Center, punta il dito anche verso un’altra possibile causa, citata da molti studi: «La pubertà oggi inizia molto prima, in pochi decenni si è abbassata dai 16 ai 12 anni. La curiosità naturale dello sviluppo apre i ragazzi a una valanga di informazioni quando non hanno ancora la maturità per gestirle, perché la corteccia frontale si sviluppa tardi». Poi c’è il sonno. In generale, gli adolescenti oggi dormono meno. Sempre secondo i Cdc, solo un quarto degli studenti delle superiori dorme otto ore a notte, in calo rispetto al 31,1% del 2007 e al 35% del 1997. E infine la crescente solitudine. Qui è facile trovare il legame con i videogiochi e i social, che prendono il posto della compagnia al parco o della squadra di calcetto. Si parla spesso della solitudine degli anziani, un problema serio e reale. Negli Stati Uniti il 40 per cento degli under 24 dice di essere solo “molto spesso” o “quasi sempre”. Per gli over 74, la percentuale scende al 27. La generazione collegata a tutti gli angoli della Terra a tutte le ore del giorno e della notte è la più sola di sempre.

Elizabeth non si era accorta che l’ansia di sua figlia faceva parte di un’emergenza nazionale. Scoprirlo prima ha acuito il suo senso di impotenza, quindi ha scatenato l’istinto a fare di tutto per alleggerire un po’ il fardello sulle spallucce dei suoi ragazzi. Ho cercato di riversarmi dentro mia figlia, di essere con lei in ogni istante, di portare il suo peso per lei. Poi ho capito che non posso e, in effetti, non devo. Allora ho fatto un passo indietro e cercato di ascoltare di più». È stata sua figlia a darle, se non una soluzione, una pista da seguire. «Un giorno, vedendomi angosciata, mi ha urlato, arrabbiata, che lei non è la sua ansia. Che soffre, ma che non posso vivere come se la malattia mentale avesse preso il suo posto. È la realtà con cui lei, e molti suoi coetanei, devono vivere, ma non li definisce. È la loro sfida. Ma non sono una generazione perduta».

Covid: pm Torino, morte da virus diversa da morte con virus

 © ANSA

“Un conto è una morte per Covid, ben altro una morte con Covid”.

La procura di Torino prende posizione sulla causa effettiva dei decessi di pazienti che nella primavera del 2020, durante la prima ondata dell’epidemia, furono colpiti dal coronavirus.

La considerazione è nelle richieste di archiviazione presentate dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo (alcune delle quali sono già state accolte) dei fascicoli aperti sulle Rsa del capoluogo piemontese. Secondo il magistrato accertare la presenza di un nesso causale tra la malattia e la morte è tecnicamente possibile anche se all’epoca dei fatti non venivano eseguite autopsie. (ANSA).

Emilia-Romagna pronta per la quarta dose: interessati gli over 80, gli ospiti delle strutture per anziani anche di età inferiore e le persone fragili tra i 60 e i 79 anni

Vaccinazioni anti Covid. Emilia-Romagna pronta per la quarta dose: interessati gli over 80, gli ospiti delle strutture per anziani anche di età inferiore e le persone fragili tra i 60 e i 79 anni. Escluso chi ha contratto l’infezione dopo la dose ‘booster’

Si parte domani su tutto il territorio con le prenotazioni, e da giovedì con le somministrazioni. Disponibili i consueti canali di prenotazione, dai punti Cup (sportelli o online) al Fascicolo sanitario elettronico, alle farmacie. Donini: “La lotta al virus non è finita, mettiamo in sicurezza i nostri anziani e i più fragili”

Bologna – Emilia-Romagna pronta a partire già domani, mercoledì 13 aprile, con le prenotazioni per la quarta dose del vaccino anti Covid-19 riservata, come prevedono le direttive nazionali, a tre categorie: gli anziani dagli 80 anni in su, le persone tra i 60 e i 79 anni (quindi nati dal 1943 al 1962) se affette da specifiche patologie critiche indicate dal ministero della Salute, e infine gli ospiti dei presidi residenziali per anziani (Cra e Rsa) a prescindere dall’età, che saranno vaccinati in via prioritaria. Complessivamente una platea potenziale composta da circa 500mila cittadini.

Le somministrazioni inizieranno il giorno successivo, giovedì 14 aprile.

Già avviata dall’1^ marzo, invece, la somministrazione della quarta dose (o seconda dose di richiamo – second booster) alle persone gravemente immunodepresse.

Per poter ricevere il secondo booster occorre aver completato il ciclo vaccinale primario (prima e seconda dose), seguito dalla terza dose (di richiamo), dopo un intervallo minimo di almeno quattro mesi da quest’ultima. La Regione ha già inviato le indicazioni operative alle Aziende sanitarie, che si sono organizzate in tempi rapidi per partire con prenotazioni e somministrazioni.

“La lotta al virus non è finita, dobbiamo mettere in sicurezza i nostri anziani e le persone più fragili- sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini– E la macchina organizzativa è già pronta per sostenere questa nuova fase della campagna vaccinale. Manteniamo alta l’attenzione nei nostri comportamenti nella vita quotidiana, per mantenere quella normalità di vita conquistata a così duro prezzo”.

L’organizzazione

Sul fronte organizzativo, in Emilia-Romagna per la prima settimana dell’attuale campagna di vaccinazione sono obbligatorie le prenotazioni e rimane attiva per i cittadini la possibilità di fissare l’appuntamento per la vaccinazione attraverso i soliti canali (Cup, Fascicolo sanitario elettronico e farmacie); le Aziende sanitarie invieranno a tutte le persone che rientrano nelle tre categorie identificate un sms informativo sull’opportunità di sottoporsi alla vaccinazione.

Dalla settimana successiva all’avvio (la data precisa sarà comunicata nei prossimi giorni) sarà invece possibile, esclusivamente presso gli hub provinciali, accedere anche senza prenotazione.

Per quanto riguarda le somministrazioni della quarta dose ogni Azienda sanitaria, contestualmente, si prepara a partire con cinque percorsigli hub vaccinali ancora aperti, le Case della salute, i medici di medicina generale, domicilio per le persone in regime di assistenza domiciliare o impossibilitate a muoversi da casa e, infine, presso ambulatori di centri specialistici ospedalieri che hanno in carico pazienti con quadri clinici complessi.

Tiziana Gardini

In allegato l’elenco delle patologie per le quali è raccomandata la quarta dose di vaccino

Fonte: Regione Emilia Romagna

Covid: 53.253 i positivi, 90 le vittime in 24 ore. Dati 10 Aprile 2022

 © ANSA

(ANSA) – ROMA, 10 APR – Sono 53.253 i nuovi contagi da Covid nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute.

Ieri erano stati 63.992.

Le vittime sono invece 90, in calo rispetto alle 112 di ieri. Sono 352.265 i tamponi molecolari e antigenici per il coronavirus effettuati nelle ultime 24 ore, ieri erano stati 438.449. Il tasso di positività è al 15,1%, in aumento rispetto al 14,6% di ieri. Sono 465 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, 3 in più rispetto a ieri nel saldo tra entrate ed uscite. Gli ingressi giornalieri sono 39. I ricoverati nei reparti ordinari sono 10.038, ovvero 15 in più rispetto a ieri. Sono 1.246.556 le persone attualmente positive al Covid, 8.691 in più nelle ultime 24 ore. In totale sono 15.292.048 gli italiani contagiati dall’inizio della pandemia, mentre i morti salgono a 160.748. I dimessi e i guariti sono 13.884.744, con un incremento di 45.139 rispetto a ieri. (ANSA). 

Covid: 63.992 i positivi, 112 le vittime in 24 ore. Dati 9 aprile 2022

 © ANSA

(ANSA) – ROMA, 09 APR – Sono 63.992 i nuovi contagi da Covid nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute.

Ieri erano stati 66.535.

Le vittime sono invece 112, in calo rispetto alle 144 di ieri. Sono 438.449 i tamponi molecolari e antigenici per il coronavirus effettuati nelle ultime 24 ore.
Ieri erano stati 442.029. Il tasso di positività è al 14,6%, in calo rispetto al 15% di ieri. Sono 462 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, stabili rispetto a ieri nel saldo tra entrate ed uscite. Gli ingressi giornalieri sono 42. I ricoverati nei reparti ordinari sono 10.023, ovvero 79 in meno rispetto a ieri.
Sono 1.237.865 le persone attualmente positive al Covid, 11.742 in meno nelle ultime 24 ore. In totale sono 15.238.128 gli italiani contagiati dall’inizio della pandemia, mentre i morti salgono a 160.658. I dimessi e i guariti sono 13.839.605, con un incremento di 76.051 rispetto a ieri. (ANSA). 

Covid, ci sono nuovi sintomi. E doppie e triple infezioni, anche nei vaccinati

Covid, ci sono nuovi sintomi. E doppie e triple infezioni, anche nei vaccinati

Vertigini, importanti sintomi gastrointestinali e doppie, triple infezioni, anche in soggetti vaccinati. E’ questo il ventaglio dei sintomi che i medici di famiglia stanno riscontrando nelle ultime settimane. Ad affermarlo è Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione nazionale dei medici di famiglia.

I nuovi sintomi

“Nelle ultime settimane stiamo riscontrando caratteristiche un po’ diverse da quelle delle ondate precedenti. La febbre è sempre presente ma negli ultimi casi osservati è più alta e dura almeno un paio di giorni” osserva Scotti “sembra che alcuni sintomi abbiano guadagnato intensità, come quelli gastrointestinali e il mal di testa”.

Alla luce della diffusione delle mutazioni Omicron che hanno provocato la risalita dei casi in Europa, il National Health Service britannico ha aggiunto altri sintomi all’elenco dei disturbi provocati dalla malattia. Oltre a febbre, tosse continua e perdita di olfatto e gusto, anche fiato corto, sentirsi stanchi o esausti e la sensazione di corpo dolorante, perdita di appetito, diarrea e sentirsi genericamente poco bene male.

Secondo il segretario della Fimmg inoltre, negli ultimi mesi, si verifica “una sorta di ritardo diagnostico di 24- 48 ore: nelle prime ondate alla comparsa dei sintomi corrispondeva il tampone positivo, oggi la positività compare dopo 1-2 giorni dai sintomi”.

La preoccupazione dei medici di famiglia

La preoccupazione più grande è l’incidenza, sottolinea Scotti, “quando il virus entra in una famiglia tutti i soggetti vengono contagiati. In questo momento il 30% dei miei pazienti sono positivi”. Un dato allarmante è lo “shift generazionale”, ovvero lo spostamento dell’infezione verso i soggetti più anziani, i pazienti più vulnerabili.

La variante XE

E mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità accerta che Omicron BA.2 è responsabile di oltre il 90% delle infezioni nel mondo continua il monitoraggio della variante XE del coronavirus scoperta nel Regno Unito. Secondo l’Oms le prime stime su questa mutazione suggeriscono che potrebbe essere il 10% più contagiosa di Omicron 2, ma “questo dato richiede ulteriori conferme”.

Si tratta di una variante ricombinante dei due principali sottotipi della Omicron, BA.1- BA.2: “XE appartiene alla variante Omicron fino al momento in cui non saranno riportate differenze significative nella trasmissione e nelle caratteristiche della malattia, inclusa la gravità” afferma l’Oms. Della stessa famiglia fanno parte anche le varianti XD e XF (ricombinanti di Delta e Omicron) da poco identificate e al momento poco diffuse.

Secondo l’epidemiologo Carlo La Vecchia dal punto di vista clinico la variante XE non sembra essere più grave degli altri sottotipi di Omicron.

Se e quanto la nuova mutazione sia già in Italia è ancora presto per dirlo: “Lo sapremo probabilmente nei prossimi giorni, alla luce dei risultati della survey avviata dall’Istituto superiore di sanità, ma non mi sorprenderei se fosse già tra noi”, spiega il professore ordinario di Statistica medica all’Università degli Studi di Milano. L’allerta è partita dal Regno Unito: “Lì sono stati documentati più di 600 casi. Dagli ultimi dati sembra che XE possa essere più contagiosa di circa il 10%, ma è incerto il fatto che questo basti per farle prendere il sopravvento su Omicron 2 e creare un’altra ondata. Non credo che questo accadrà”.

L’efficacia dei vaccini

“E’ importante distinguere tra infezione e malattia grave- sottolinea La Vecchia- Sappiamo che il vaccino protegge dalla malattia grave ma chi è vaccinato può infettarsi con queste nuove varianti”.

Ieri dall’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) e dall’Ema (Agenzia europea del farmaco) è arrivata l’indicazione che per gli adulti di età inferiore ai 60 anni con sistema immunitario normale, non ci sono attualmente prove che vi sia un valore aggiunto in una quarta dose. Tuttavia entrambe le agenzie hanno convenuto che una quarta dose (o secondo booster) può essere somministrata agli adulti di età pari o superiore a 80 anni dopo aver esaminato i dati sul rischio più elevato di Covid grave in questa fascia di età e sulla protezione fornita da una quarta dose. “Tra qualche mese dovremmo avere maggiori informazioni sui vaccini aggiornati alle varianti e sulla loro efficacia” conclude La Vecchia.

rainews

Covid. Variante “Xe”, centinaia di casi nel Regno Unito. Mutazioni, in Italia si indaga

Gli esperti: prudenza ma nessun allarmismo. In Italia parte una nuova indagine sulle mutazioni. I campioni sui casi di prime infezioni saranno analizzati dall’Istituto superiore di sanità
Variante "Xe", centinaia di casi nel Regno Unito. Mutazioni, in Italia si indaga
Avvenire

Comprendere la diffusione delle varianti del Sars-CoV-2 è fondamentale per arginare e prevenire eventuali rischi, proprio mentre si affaccia, in Europa, la prima discendente nata, pare, dal matrimonio di Omicron 1 e Omicron 2: ovvero “Xe”. Il ministero della Salute ha disposto che i campioni raccolti ieri sui pazienti, e riferiti a prime infezioni, saranno analizzati dall’Istituto superiore di sanità tramite sequenziamento genomico. Una nuova indagine flash, dunque, quando la Gran Bretagna segnala 600 casi di Xe.

«È apparsa in quel Paese perché dal 24 febbraio loro non hanno nessun tipo di precauzione, agevolando la selezione di varianti – spiega il consulente del ministero della Salute e docente di Igiene all’Università Cattolica, Walter Ricciardi –. Per il momento non sembra più letale, è presto per capire se e quanto ci deve preoccupare ma pare più contagiosa. Le varianti continueranno a selezionarsi e per questo dobbiamo stare attenti». Per evitarle, aggiunge, «dobbiamo vaccinare il mondo, cosa che non stiamo facendo. Se poi alcuni Paesi come la Gran Bretagna fanno finta che sia finita, allora diventano il paradiso delle varianti». Le mutazioni, ammonisce Ricciardi, «si selezionano o nei Paesi dove ci sono pochi vaccinati o nei Paesi senza precauzioni. La fine dell’emergenza giuridica non corrisponde alla fine dell’emergenza sanitaria. Il Covid è la terza causa di morte in Italia, dopo i tumori e la malattie cardiovascolari. Vaccinazioni, Green pass, mascherine comportamenti saggi, vanno mantenuti».

Da quanto appreso finora, Xe «sembra essere un ricombinante di Omicron 1 e 2», dice il direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Ospedale San Raffaele e prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Massimo Clementi. «È normale che ci sia. Per l’influenza di tipo A sono fenomeni che avvengono in continuazione, e quindi anche per Sars-CoV-2 possono verificarsi. Mi sarei preoccupato di più – continua Clementi – se questi ricombinanti ci fossero stati non tra due Omicron ma, per esempio, tra Omicron e Delta, o tra Omicron e qualche altra variante precedente, che magari conferiva maggiore vitalità a una variante patogena già nota. Però non è questo il caso». Adotta la linea della massima prudenza – perché «è troppo presto per le conclusioni» – il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, che invita ad «aspettare e a monitorare, rafforzando la sorveglianza evitando allarmismi ingiustificati». Anche perché, rimarca, «la tendenza evolutiva dei virus, salvo inciampi, è quella di diventare progressivamente sempre più benevoli nei confronti dell’ospite».

Intanto, i dati giornalieri del contagio nel nostro Paese indicano che il tasso di positività è sostanzialmente stabile al 14,5% (dal 14,7 di domenica) con 30.630 nuovi positivi ed altre 125 vittime, il totale delle quali sfiora ormai quota 160mila. Negli ospedali continua a non destare preoccupazione il numero di ricoveri in terapia intensiva, dove i letti occupati sono 483 (6 in meno di domenica), mentre aumentano i pazienti negli altri reparti: 224 in più nelle ultime 24 ore (10.241 in tutto).

Guardando alle terapie intensive, fa sapere il presidente della Società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), Antonino Giarratano, oggi «ci sono tre tipologie di pazienti con Covid-19: i no-vax, che arrivano anche con polmoniti molto gravi e hanno subito bisogno di supporto respiratorio, in alcuni casi anche della circolazione extracorporea». Una seconda categoria è «rappresentata da pazienti fragili vaccinati, come chi soffre di insufficienza cardiaca, respiratoria o renale, cirrosi epatica, diabete, ma anche malati oncologici»; per quest’ultimo gruppo, senza tripla vaccinazione, «avremmo avuto l’80% di mortalità». C’è poi una terza tipologia di pazienti, dichiara Giarratano: sostanzialmente, «chi incorre in problemi gravi come ictus o incidenti e, nel momento in cui viene ammesso in terapia intensiva, si rileva che è positivo, e comunque deve stare in reparti isolati ad hoc per positivi».