Covid. Variante “Xe”, centinaia di casi nel Regno Unito. Mutazioni, in Italia si indaga

Gli esperti: prudenza ma nessun allarmismo. In Italia parte una nuova indagine sulle mutazioni. I campioni sui casi di prime infezioni saranno analizzati dall’Istituto superiore di sanità
Variante "Xe", centinaia di casi nel Regno Unito. Mutazioni, in Italia si indaga
Avvenire

Comprendere la diffusione delle varianti del Sars-CoV-2 è fondamentale per arginare e prevenire eventuali rischi, proprio mentre si affaccia, in Europa, la prima discendente nata, pare, dal matrimonio di Omicron 1 e Omicron 2: ovvero “Xe”. Il ministero della Salute ha disposto che i campioni raccolti ieri sui pazienti, e riferiti a prime infezioni, saranno analizzati dall’Istituto superiore di sanità tramite sequenziamento genomico. Una nuova indagine flash, dunque, quando la Gran Bretagna segnala 600 casi di Xe.

«È apparsa in quel Paese perché dal 24 febbraio loro non hanno nessun tipo di precauzione, agevolando la selezione di varianti – spiega il consulente del ministero della Salute e docente di Igiene all’Università Cattolica, Walter Ricciardi –. Per il momento non sembra più letale, è presto per capire se e quanto ci deve preoccupare ma pare più contagiosa. Le varianti continueranno a selezionarsi e per questo dobbiamo stare attenti». Per evitarle, aggiunge, «dobbiamo vaccinare il mondo, cosa che non stiamo facendo. Se poi alcuni Paesi come la Gran Bretagna fanno finta che sia finita, allora diventano il paradiso delle varianti». Le mutazioni, ammonisce Ricciardi, «si selezionano o nei Paesi dove ci sono pochi vaccinati o nei Paesi senza precauzioni. La fine dell’emergenza giuridica non corrisponde alla fine dell’emergenza sanitaria. Il Covid è la terza causa di morte in Italia, dopo i tumori e la malattie cardiovascolari. Vaccinazioni, Green pass, mascherine comportamenti saggi, vanno mantenuti».

Da quanto appreso finora, Xe «sembra essere un ricombinante di Omicron 1 e 2», dice il direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Ospedale San Raffaele e prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Massimo Clementi. «È normale che ci sia. Per l’influenza di tipo A sono fenomeni che avvengono in continuazione, e quindi anche per Sars-CoV-2 possono verificarsi. Mi sarei preoccupato di più – continua Clementi – se questi ricombinanti ci fossero stati non tra due Omicron ma, per esempio, tra Omicron e Delta, o tra Omicron e qualche altra variante precedente, che magari conferiva maggiore vitalità a una variante patogena già nota. Però non è questo il caso». Adotta la linea della massima prudenza – perché «è troppo presto per le conclusioni» – il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, che invita ad «aspettare e a monitorare, rafforzando la sorveglianza evitando allarmismi ingiustificati». Anche perché, rimarca, «la tendenza evolutiva dei virus, salvo inciampi, è quella di diventare progressivamente sempre più benevoli nei confronti dell’ospite».

Intanto, i dati giornalieri del contagio nel nostro Paese indicano che il tasso di positività è sostanzialmente stabile al 14,5% (dal 14,7 di domenica) con 30.630 nuovi positivi ed altre 125 vittime, il totale delle quali sfiora ormai quota 160mila. Negli ospedali continua a non destare preoccupazione il numero di ricoveri in terapia intensiva, dove i letti occupati sono 483 (6 in meno di domenica), mentre aumentano i pazienti negli altri reparti: 224 in più nelle ultime 24 ore (10.241 in tutto).

Guardando alle terapie intensive, fa sapere il presidente della Società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), Antonino Giarratano, oggi «ci sono tre tipologie di pazienti con Covid-19: i no-vax, che arrivano anche con polmoniti molto gravi e hanno subito bisogno di supporto respiratorio, in alcuni casi anche della circolazione extracorporea». Una seconda categoria è «rappresentata da pazienti fragili vaccinati, come chi soffre di insufficienza cardiaca, respiratoria o renale, cirrosi epatica, diabete, ma anche malati oncologici»; per quest’ultimo gruppo, senza tripla vaccinazione, «avremmo avuto l’80% di mortalità». C’è poi una terza tipologia di pazienti, dichiara Giarratano: sostanzialmente, «chi incorre in problemi gravi come ictus o incidenti e, nel momento in cui viene ammesso in terapia intensiva, si rileva che è positivo, e comunque deve stare in reparti isolati ad hoc per positivi».