Papa in dialogo con la CEI sulle sfide di oggi della Chiesa e del mondo

Il Papa in Aula nuova del Sinodo con i membri della Conferenza Episcopale Italiana

Circa tre ore di domande e risposte tra Francesco e i vescovi italiani, riuniti in Aula Nuova del Sinodo per la 77.ma Assemblea generale. Tra i temi, come riferito da alcuni vescovi a margine dell’incontro: la pace, le finanze, l’ambiente, le ideologie, il ministero di vescovi e sacerdoti, la carità verso poveri e rifugiati. Al termine del colloquio, il Pontefice ha fatto dono ai presuli del libro “Fratellino” che riporta i drammi di un giovane migrante fuggito dall’Africa

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Il libro "Fratellino" regalato dal Papa ai vescovi italiani
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Giovani e vocazioni, finanze ed ideologie, ministero dei sacerdoti e seminari, pace, ambiente e attenzione per la carità. Caratteristica, quest’ultima, della Chiesa italiana verso la quale ha manifestato grande stima. È stato un dialogo franco e sereno quello di oggi pomeriggio, 22 maggio, tra Papa Francesco e gli oltre 200 vescovi della Conferenza Episcopale italiana, riuniti per la 77.ma Assemblea generale in Vaticano. Il Papa ha aperto i lavori dell’appuntamento primaverile dei vescovi, al via oggi fino al 25 maggio in Aula Nuova del Sinodo, sul tema “In ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Passi verso il discernimento”.
Domande e risposte
Circa tre ore il colloquio del Papa con i presuli di tutte le regioni del Nord, Sud e Centro Italia, iniziato in anticipo con un momento di preghiera comune e con il saluto del Pontefice ai vescovi delle zone colpite dal nubifragio in Emilia-Romagna. L’intero incontro, a porte chiuse, è stato poi intervallato – come consuetudine in queste occasioni – da domande (una quindicina oggi pomeriggio) e risposte. Tra gli argomenti principali, come riferito da alcuni vescovi a margine dell’incontro, il calo di vocazioni, i seminari e i loro possibili accorpamenti. Un tema, quest’ultimo, affrontato dal Papa anche nell’udienza di fine marzo scorso con i vescovi della Conferenza episcopale calabra. Focus anche sul ministero dei sacerdoti, ai quali, come sempre, il Pontefice ha chiesto ai vescovi di mostrare vicinanza.

Incoraggiamento alla carità
Non è mancato un riferimento alla pace, in Ucraina e nel mondo, urgenza che riguarda tutti, poi alle ideologie del nostro tempo, quindi i diversi problemi culturali e la questione delle finanze, che spesso rappresentano una difficoltà per la Chiesa. Al centro anche le problematiche ambientali per le quali è necessario un cambio di mentalità. Uno “stile nuovo” è anche quello richiesto dal percorso sinodale che coinvolge la Chiesa dei cinque continenti: la tematica è stata al centro di alcune domande. Insieme a questo anche l’invito ad avere attenzione alle povertà, vecchie e nuove, e soprattutto a non far mancare mai la carità. In particolare sull’aspetto caritativo, il Papa ha espresso la sua stima verso la Conferenza episcopale italiana, impegnata da anni nell’accoglienza di migranti e rifugiati.
In dono il libro “Fratellino”
E proprio in tema di migranti, Papa Francesco, al termine dell’incontro, ha fatto dono ad ognuno dei vescovi della CEI del libro “Fratellino”, volume che racconta in modo lucido e a tratti crudo la vita del migrante Ibrahima Balde, trascritta dal poeta Amets Arzallus Antia. Si tratta della storia di un giovane della Guinea che ha lasciato il proprio Paese per ricercare il fratello piccolo, partito a sua volta per raggiungere l’Europa. Destinazione mai raggiunta. L’autore riporta i drammi vissuti in prima persona: la traversata del deserto, il traffico di esseri umani, la prigionia, le torture, il viaggio in mare, la morte. Papa Francesco ha citato in più occasioni il volume, edito in Italia da Feltrinelli, sia in alcune conferenze stampa in aereo di ritorno dai viaggi apostolici, sia in alcune udienze. L’ultima, quella con i rifugiati giunti in Europa attraverso l’iniziativa comune di Sant’Egidio, Chiese evangeliche, Tavola valdese e Chiesa italiana, ricevuti in Vaticano il 18 marzo. Un “libretto”, lo ha definito il Papa, che tratteggia in tutta la sua drammaticità “la Via Crucis” di tanti fratelli e sorelle nel mondo.

Il saluto ai vescovi dell’Emilia-Romagna colpita dalle alluvioni
A margine dell’Assemblea il Papa ha salutato i vescovi dell’Emilia-Romagna, colpita in questi giorni da incessanti e devastanti alluvioni. Dopo aver ascoltato il racconto del dramma che stanno vivendo le persone e appreso dei tanti gesti di solidarietà messi in campo, Francesco ha chiesto di portare la sua partecipazione alle comunità assicurando la personale preghiera. Era stato il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI e arcivescovo di Bologna, a raccontare all’inizio dell’incontro quanto accaduto con il nubifragio, le varie situazioni di difficoltà vissute dalla gente e i tanti gesti di solidarietà e di aiuto. Poi al termine, Zuppi insieme al vicepresidente della Ceer, monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia, a monsignor Giovanni Mosciatti, vescovo di Imola, monsignor Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro, e a monsignor Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, hanno avuto modo di salutare personalmente il Papa ed esprimergli gratitudine “per il suo messaggio di solidarietà dei giorni scorsi”. In una nota, i presuli sottolineano di aver “accolto” lo stimolo del Pontefice “per un’ulteriore riflessione sul rispetto del Creato e la custodia della casa comune”. “Gli abbiamo ricordato – dicono – che i romagnoli sono tenaci ma le prove si stanno ripetendo troppo spesso e che abbiamo bisogno della sua preghiera e vicinanza”.
Baturi: dal Papa l’invito a un nuovo slancio di evangelizzazione
Quanto al dialogo a porte chiuse del Papa con i vescovi, ha riferito dettagli pure il segretario generale della Conferenza episcopale, monsignor Giuseppe Baturi, che a Tv2000 ha parlato di “un incontro importante perché a contatto con i problemi del Paese e della Chiesa”. “Il Papa – ha spiegato il vescovo – ha sottolineato l’urgenza di un nuovo slancio di evangelizzazione che passa attraverso una testimonianza credibile… I vescovi sono chiamati ad avere compassione dell’uomo, ad averne cura soprattutto nelle situazioni di difficoltà e bisogno. È stato un incontro che ci ha incoraggiati a proseguire su questa strada che trova nel cammino sinodale un alveo privilegiato di confronto e lavoro”.
vaticannews

L’iniziativa. La Cei regala 8mila Bibbie per i detenuti

La consegna simbolica al carcere di Paliano. Le Bibbie saranno distribuite in 100 istituti penitenziari impegnati in percorsi spirituali, di formazione e catechesi. Mons. Baturi: segno di speranza
La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane

La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane – Siciliani-Gennari / Cei

«Un segno di fraternità e di speranza»; così monsignor Giuseppe Baturiarcivescovo di Cagliari segretario generale della Cei, definisce il dono di 8.000 Bibbie ai detenuti di 100 istituti penitenziari italiani impegnati in percorsi spirituali, di formazione e catechesi.

La consegna simbolica è avvenuta oggi alla Casa di reclusione di Paliano (Frosinone), nell’ambito di una Liturgia della Parola.

L’iniziativa vede la collaborazione dell’Ispettorato Generale dei cappellani delle carceri e dell’associazione “Prison Fellowship Italia”, nata nel 2009 in seno al Rinnovamento nello Spirito per la promozione integrale dei detenuti e l’evangelizzazione all’interno degli Istituti penitenziari.

La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane

La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane – Siciliani-Gennari / Cei

Le Bibbie arriveranno nelle mani dei carcerati attraverso i cappellani e i volontari dell’associazione.

«Entrare in queste periferie umane – afferma monsignor Baturi – è per noi un atto di fede: Gesù si identifica, continua ad identificarsi, con queste persone che chiedono di essere visitate. Per noi la visita significa farci presenti portando il tesoro più grande che abbiamo, la Parola di Dio, come segno di una nuova fraternità, della certezza che da qui si può ricominciare nella vita personale e sociale».

Non è un caso che questo gesto si compia alla vigilia della Pasqua: l’auspicio, spiega il segretario generale della Cei, è che «possa rinascere vita laddove sembra albergare spesso il disagio o la disperazione. La Pasqua dice che è possibile sperare in una vita anche in quei luoghi che parlano di morte o di mortificazione. Noi crediamo in Cristo che libera da tutte le catene in tutti i contesti; ogni uomo ha diritto a ricevere questo annuncio».

La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane

La Cei regala 8mila Bibbie alle carceri italiane – Siciliani-Gennari / Cei

«La Bibbia è uno strumento che offriamo per la rinascita spirituale dei detenuti, perché possano riprendere in mano la loro vita. La Parola di Dio aiuta ad essere consapevoli del male fatto e a scoprire le potenzialità di ciascuno», sottolinea don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri d’Italia.

«Il progetto – ricorda – si inserisce in quel cammino di attenzione della Chiesa verso chi è stato privato della libertà personale e di incoraggiamento per quanti operano nelle carceri, che si concretizzerà a livello locale con iniziative di preghiera e sensibilizzazione».

«Attraverso alla Bibbia, i detenuti possono entrare nel Mistero della salvezza che riguarda loro e le famiglie: conoscere Gesù, unico salvatore, li aiuta a pensare sé stessi e gli altri in modo nuovo. Lo stiamo sperimentando con l’itinerario educativo chiamato ‘Il Viaggio del Prigioniero’, che presenta la figura di Gesù detenuto così come è raccontato nelle pagine del Vangelo di Marco», osserva Marcella Clara Reni, presidente di “Prison Fellowship Italia”, che esprime gratitudine alla Cei per questo dono così importante.

Italia. Messaggio dei Vescovi per la Festa dei lavoratori (1° maggio 2023): “Giovani e lavoro per nutrire la speranza”

Pubblichiamo il Messaggio dei Vescovi per la Festa dei lavoratori (1° maggio 2023) dal titolo: “Giovani e lavoro per nutrire la speranza”.

I dati sull’occupazione in Italia mettono in luce un fatto assai preoccupante: circa un quarto della popolazione giovanile del nostro Paese non trova lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. Il quadro ci deve interrogare su quanto la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre comunità investono per dare prospettive di presente e di futuro ai giovani. Essi pagano anche il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza la formazione, fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza. Come sottolinea papa Francesco nell’esortazione apostolica Christus vivit: «Il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società» (n. 270). Conosciamo molto bene l’impatto sulla vita ordinaria di tale situazione: vengono rimandate le scelte di vita e si rimuove dall’orizzonte futuro la generazione di figli.
La crisi demografica in corso nel nostro Paese aggrava la situazione. I giovani diventano sempre più marginali. Le giovani donne conoscono un ulteriore peggioramento delle opportunità lavorative e sociali. Preoccupa anche il numero elevato di giovani che lasciano il Sud, le Isole e le aree interne per cercare fortuna nelle aree metropolitane del Nord Italia o che addirittura abbandonano per sempre la terra di origine. Un’attenzione particolare merita la situazione di precarietà lavorativa che vivono molti giovani: dove scarseggia la domanda di lavoro i giovani sono sottopagati, vedono frustrate le loro capacità e competenze e perciò interpellano la coscienza dei credenti in tutti gli ambiti lavorativi e professionali. Si avverte la fatica di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, per cui molte professionalità non trovano accoglienza nei giovani. Desta preoccupazione anche il tasso dei giovani che non studiano né lavorano (NEET), quelli che finiscono nelle reti della criminalità, del gioco d’azzardo, del lavoro nero e sfruttato, del mondo della droga e dell’alcolismo.
Papa Francesco, in relazione al tema dei giovani, ha più volte parlato di un’«unzione», di un dono di grazia, manifestazione dell’intrinseca dignità della persona, fonte e strumento di gratuità. Senza il lavoro non viene infatti a mancare solamente una fonte di reddito – peraltro importantissima – ma i giovani disoccupati «crescono senza dignità, perché non sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità» (Visita pastorale a Genova, Incontro con il mondo del lavoro, 27 maggio 2017).
Per porre rimedio a questa crisi epocale, nello spirito del Cammino sinodale, desideriamo condividere percorsi di vera dignità con tutti. Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare. Ci impegniamo a condividere la bellezza e la fatica del lavoro, la gioia di poterci prendere davvero cura gli uni degli altri, la fatica dei momenti in cui gli ostacoli rischiano di far perdere la speranza, i legami profondi di chi collabora al bene in uno sforzo comune. Sollecitiamo la politica nazionale e territoriale a favorire l’occupazione giovanile e facciamo sì che il rapporto scuola-lavoro, garantito nella sua sicurezza, aiuti a frenare l’esodo e lo spopolamento, soprattutto nei territori con maggiore tasso di disoccupazione.
Su questo cammino ci mettiamo in dialogo e in ascolto di quelle esperienze cariche di novità e di speranza, come Economy of Francesco, il Progetto Policoro, le cooperative sociali, le Fondazioni di Comunità, le buone pratiche in campo economico, lavorativo e di microcredito, che sono state censite anche in occasione dell’ultima Settimana Sociale di Taranto.
Ascoltare questi giovani ci aiuta ad incontrarli, assieme a tanti altri che hanno sicuramente molto da dire, ai quali ci offriamo come compagni di viaggio. Vogliamo trovare il modo ed il tempo per sognare il loro stesso sogno di un’economia di pace e non di guerra; un’economia che si prende cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Desideriamo un’economia custode delle culture e delle tradizioni dei popoli, di tutte le specie viventi e delle risorse naturali della Terra, «un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”» (Patto tra il Papa e i giovani di Economy of Francesco, Assisi 24 settembre 2022).
Oggi siamo chiamati a condividere passi e contributi di tanti, perché questa «economia di Vangelo» non rimanga solamente un sogno. Prendiamo sul serio le aspirazioni dei giovani, le loro critiche all’esistente ed i loro progetti di futuro. Portiamo il nostro contributo ovunque si disegnino e si realizzino le politiche del lavoro, le contrattazioni collettive ed aziendali, le molteplici forme dell’imprenditorialità e della finanza. Una nuova visione dell’economia attenta al grido dei poveri e della Terra, dei giovani che rischiano di essere «impoveriti» del loro futuro, trovi spazio nel mondo culturale ed accademico, e alimenti le prospettive della politica a tutti i livelli. Valorizziamo anche i beni della Chiesa con lo scopo di favorire opportunità lavorative per i giovani nella logica dell’ecologia integrale di Laudato si’. Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani. Abbiamo bisogno dell’alleanza tra l’economia, la finanza, la politica, la cultura per costruire reti di accompagnamento per i giovani.
Questi germogli saranno i segni sicuri di una nuova primavera fatta di relazioni buone tra le persone, di famiglie capaci di aprirsi alla vita con coraggiosa speranza, di una società della solidarietà e della cura reciproca. Siamo certi che l’azione dello Spirito sta suscitando nel mondo germogli di novità grazie anche alle future generazioni. Si sta già realizzando sotto i nostri occhi la profezia di Gioele: «Diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,1).

Roma, 20 marzo 2023
Solennità di san Giuseppe

La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace

Cei. Un video per la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani

L’iniziativa internazionale di preghiera ecumenica cristiana in programma dal 18 al 25 gennaio
Un video per la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani

Un video per raccontare il senso e le prospettive della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, anche attraverso i social media. È la novità che accompagna quest’anno l’iniziativa internazionale di preghiera ecumenica cristiana in programma dal 18 al 25 gennaio, con l’obiettivo di favorire la comunicazione e la promozione nei territori.Curato dall’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, con la regia di Maria Amata Calò e la supervisione dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, il video colloca la Settimana all’interno del Cammino sinodale e ne sottolinea l’attualità, in un momento storico di grandi conflittualità. “I cristiani stanno in questa società per continuare a dire che vale la pena costruire un mondo più giusto, anche quando si vedono ingiustizie, fallimenti e ferite come quella della guerra”, afferma Mons. Derio Olivero, Vescovo di Pinerolo e Presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, evidenziando che “questa Settimana aiuterà a lavorare sulla serietà della costruzione di relazioni”.

“Le Chiese cristiane possono stare insieme, possono collaborare e alzare la voce contro le ingiustizie che subiscono donne, bambini, e dare una comune testimonianza che tutti, come discepoli di Cristo, nonostante le nostre differenze, possiamo testimoniare lo stesso Cristo e lo stesso Vangelo”, sottolinea Dionisios di Kotyeon, Vescovo ausiliare del Metropolita ortodosso d’Italia Polykarpos.

“La tentazione è quella di pensare che l’ecumenismo sia di soppesare bene ciò che abbiamo in comune e ciò che ci differenzia e per una settimana enfatizzare gli elementi comuni facendo finta che gli altri non esistano”, osserva il Pastore Daniele Garrone Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei), per il quale il motto di quest’anno – “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia (Is 17) – invita ciascuno “a guardare se stesso, ad imparare e ad imboccare insieme la strada della conversione”.

Covid-19. Le misure della Cei: sì alle acquasantiere e al segno della pace

Una lettera inviata ai vescovi con le nuove indicazioni per la celebrazione della Messa. Si potrà ripristinare lo scambio del segno della pace. Si raccomanda la mascherina in alcuni casi

Le misure della Cei: sì alle acquasantiere e al segno della pace

Siciliani – da Avvenire

“È importante ricordare che non partecipi alle celebrazioni chi ha sintomi influenzali e chi è sottoposto a isolamento perché positivo al SARS-CoV-2; si valuti, in ragione delle specifiche circostanze e delle condizioni dei luoghi, l’opportunità di raccomandare l’uso della mascherina; è consigliata l’indicazione di igienizzare le mani all’ingresso dei luoghi di culto; è possibile tornare nuovamente a ripristinare l’uso delle acquasantiere; è possibile svolgere le processioni offertoriali; non è più obbligatorio assicurare il distanziamento tra i fedeli che partecipino alle celebrazioni; si potrà ripristinare la consueta forma di scambio del segno della pace; si consiglia ai Ministri di igienizzare le mani prima di distribuire la Comunione; nella celebrazione dei Battesimi, delle Cresime, delle Ordinazioni e dell’Unzione dei Malati si possono effettuare le unzioni senza l’ausilio di strumenti”.

Questi sono alcuni dei consigli contenuti in una lettera inviata dalla Presidenza della Cei ai vescovi italiani sulle misure di prevenzione della pandemia, benché la normativa di prevenzione dalla pandemia da Covid-19 non sia stata oggetto di interventi recenti del Governo. Tenuto conto delle specifiche situazioni locali – si precisa nel testo – “i singoli vescovi possono, comunque, adottare provvedimenti e indicazioni più particolari”.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale della Lettera inviata dalla Presidenza della CEI ai Vescovi contenente alcuni consigli e suggerimenti relativi alle misure di prevenzione della pandemia.

La normativa di prevenzione dalla pandemia da Covid-19 non è stata oggetto di interventi recenti del Governo. Sembra, tuttavia, opportuno continuare a condividere i seguenti consigli e suggerimenti:
• è importante ricordare che non partecipi alle celebrazioni chi ha sintomi influenzali e chi è sottoposto a isolamento perché positivo al SARS-CoV-2;
• si valuti, in ragione delle specifiche circostanze e delle condizioni dei luoghi, l’opportunità di raccomandare l’uso della mascherina;
• è consigliata l’indicazione di igienizzare le mani all’ingresso dei luoghi di culto;
• è possibile tornare nuovamente a ripristinare l’uso delle acquasantiere;
• è possibile svolgere le processioni offertoriali;
• non è più obbligatorio assicurare il distanziamento tra i fedeli che partecipino alle celebrazioni;
• si potrà ripristinare la consueta forma di scambio del segno della pace;
• si consiglia ai Ministri di igienizzare le mani prima di distribuire la Comunione;
• nella celebrazione dei Battesimi, delle Cresime, delle Ordinazioni e dell’Unzione dei Malati si possono effettuare le unzioni senza l’ausilio di strumenti.
Tenuto conto delle specifiche situazioni locali i singoli Vescovi possono, comunque, adottare provvedimenti e indicazioni più particolari.

Cei. Pregare e celebrare come Natale comanda

Online il sussidio curato dall’Ufficio liturgico nazionale per il tempo di Avvento e quello natalizio. Con una serie di file audio per eseguire al meglio i canti e le melodie proposte
Il sussidio Cei per l'Avvento e il tempo di Natale

Il sussidio Cei per l’Avvento e il tempo di Natale – .

Avvenire

Sussidio, dal latino subsidium, cioè soccorso, aiuto. E un aiuto può servire eccome anche nell’affrontare un tempo come quello di Avvento, tanto denso e importante quanto ad alto rischio di distrazione per i mille impegni della vita ordinaria che si intensificano con l’avvicinarsi delle festività di fine anno. La Cei – per la cura dell’Ufficio liturgico nazionale – offre quindi il suo sussidio per l’Avvento e il Natale per cercare di viverlo nel modo più consapevole. Il titolo è Un bambino è nato per noi! (Isaia 9,5) ed è disponibile sul sito chiesacattolica.it.

«Come comunità cristiana ci apprestiamo a metterci in cammino per iniziare un nuovo anno liturgico in cui vivere il mistero di Cristo nella storia» scrive nella presentazione il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, sottolineando che «il cammino mistagogico dell’anno liturgico ha inizio con l’Avvento, tempo di grazia in cui si intrecciano la memoria delle attese per la venuta del Figlio di Dio, nato nel tempo dalla Vergine Maria, e la speranza amorosa della Chiesa per il ritorno glorioso del suo Sposo alla fine dei tempi».

«Per vivere con maggiore profondità la ricchezza della liturgia dell’Avvento e del Natale potrà essere utile avvalersi di questo sussidio che, ricollegandosi alle prospettive indicate dai vescovi italiani per il secondo anno del Cammino sinodale, si articolerà in “Cantieri” per aiutare le nostre comunità parrocchiali a scoprire la ricchezza dei libri liturgici, a mettersi in ascolto delle narrazioni esistenziali, a valorizzare i servizi e i ministeri ecclesiali, a favorire la partecipazione all’agire simbolico di quanti vivono la disabilità». Si tratta nello specifico de “Cantiere della celebrazione”, che offre indicazioni per valorizzare il linguaggio verbale e non verbale della liturgia e una melodia per il Salmo responsoriale; del “Cantiere della Parola”, che propone una lettura teologica e spirituale delle pericopi bibliche; del “Cantiere della Preghiera”, che presenta un commento all’orazione colletta, per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione e alcuni suggerimenti per favorire un atteggiamento inclusivo verso le persone con disabilità.

L’attenzione alla musica liturgica vede quest’anno non solo l’indicazione di canti e melodie con i relativi spartiti, ma anche una serie di file audio, con esecuzioni ad hoc, con cui il coro parrocchiale o di un’altra comunità trova una traccia concreta da seguire e con cui misurarsi.

Abuso di potere nella Chiesa

di: Domenico Marrone

Il tema dell’abuso di coscienza e di potere fu evidenziato da papa Francesco sia nella Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2018 sia nell’incontro del successivo 25 agosto, durante il viaggio in Irlanda, con un gruppo di gesuiti, ha ribadito in modo simile che «l’elitismo, il clericalismo favoriscono ogni forma di abuso. E l’abuso sessuale non è il primo. Il primo è l’abuso di potere e di coscienza»[1].

Anche il motu proprio Vos estis lux mudi ha voluto includere l’abuso di autorità tra le circostanze che rendono punibile il comportamento di cui all’art. 1 §1 a)i, che parzialmente si richiama al can. 1395 §2 CIC.

La Chiesa si è a più riprese occupata del tema degli abusi, anche in tempi recenti, sia a livello di riflessione che di provvedimenti e protocolli operativi[2]. Tuttavia la rilevanza del tema ha riguardato per lo più gli abusi sessuali e psicologici nei confronti di minori da parte di ministri della Chiesa, soprattutto presbiteri. Si tratta di aspetti indubbiamente preponderanti, ma non certamente esaustivi. Un tema che non ha avuto finora sufficiente attenzione è l’abuso di potere e di coscienza.

Il tema dell’abuso spirituale non è nuovo, anche se la parola è nuova. Ci sono testi su di esso nella tradizione. Ma forse è anche vero che la nostra sensibilità oggi è maggiore. Probabilmente è cresciuta come risultato della riflessione sull’abuso sessuale, e molto di ciò che abbiamo imparato lì può essere applicato alle dinamiche in comunità e anche alla Chiesa come tale.

«L’abuso appartiene sempre a un processo di corruzione e trasformazione dell’autorità legittima in una dinamica perversa di potere, supremazia, dominio, di possesso nei confronti di una o più persone che si trovano in una situazione di vulnerabilità esistenziale e di dipendenza»[3].

A proposito di vulnerabili
I documenti civili ed ecclesiastici utilizzano le espressioni “persone vulnerabili” o “adulti vulnerabili” per indicare un particolare gruppo di persone che, a causa dell’età, della malattia o della disabilità, non sono in grado di prendersi cura di se stesse. In effetti, i documenti ecclesiastici parlano della protezione dei minori e delle “persone vulnerabili” (Francesco 2019a).

La lettera apostolica Vos estis lux mundi ha fornito la seguente definizione: «Per persona vulnerabile si intende qualsiasi persona che si trovi in uno stato di infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che, di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere e di volere o comunque di resistere all’offesa» (Francesco 2019b, art. 1, §2 b).

Questa definizione, che corrisponde a quella che viene definita «vulnerabilità speciale» (UNESCO 2005), si differenzia dalla “vulnerabilità radicale” in quanto indica una condizione umana comune[4]. Se non si tiene conto di questa differenza, l’espressione “persone vulnerabili” potrebbe suggerire che solo un gruppo speciale di persone sia suscettibile di abuso, mentre tutti gli altri adulti sono al sicuro.

È necessario, quindi, tenere conto della distinzione tra vulnerabilità speciale e radicale o generale. Da un punto di vista antropologico, la vulnerabilità radicale rientra nella condizione umana. Non è una carenza di un determinato gruppo, ma una caratteristica comune degli esseri umani. Deriva dal termine latino vulnus (ferita). La vulnerabilità è una possibilità, non un fatto[5]; indica la possibilità di essere feriti.

Pertanto, la vulnerabilità radicale indica la capacità di essere esposti agli altri, mentre essere esposti agli altri implica la possibilità di essere feriti. La vulnerabilità «espone gli esseri umani all’essere benedetti e feriti, al bene e al male»[6].

L’apertura agli altri implica sempre un rischio. Per questo motivo, la vulnerabilità, in quanto tale, non è una carenza. Essere ricettivi e, quindi, vulnerabili, è una condizione necessaria per un’autentica vita umana. Intesa in questo modo, la vulnerabilità radicale rende possibile l’autentico sviluppo della vita umana nell’incontro con gli altri.

Nel contesto cristiano, la vulnerabilità è una condizione per il discepolato. Chi non è aperto e colpito dalla chiamata di Gesù non è in grado di seguirlo. I discepoli devono essere aperti per essere colpiti. Infatti, Ignazio di Loyola elogia coloro che sono disposti a essere colpiti, «los que más se querrán affectar»[7]. Ancora una volta, la capacità di essere colpiti, cioè la vulnerabilità, non è un’imperfezione ma una condizione necessaria del discepolato. L’apertura agli altri rende possibile l’abuso spirituale; pertanto, le persone generose sono più a rischio[8].

Di conseguenza, l’abuso spirituale può avvenire a causa dell’apertura umana agli altri, non per una sorta di carenza da parte delle vittime. Questa conclusione rifiuta il principio sbagliato che postula che ciò che rende possibile l’abuso sono alcune caratteristiche delle persone che lo subiscono.

Nella cultura cattolica, l’aspetto istituzionale è cruciale al punto da garantire l’autorità anche di leader che non hanno qualità carismatiche. Ad esempio, i ministri ordinati e i superiori nominati hanno un’autorità riconosciuta nella Chiesa, indipendentemente dalle loro qualità personali. Questa autorità istituzionale può certamente aumentare in virtù dei doni carismatici dei leader, ma il supporto istituzionale è sufficiente a sostenere la loro autorità.

Inoltre, poiché la fede cristiana non è individualista, l’insegnamento cattolico invita il credente ad ascoltare la voce di Dio attraverso la mediazione ecclesiastica. In quanto parte del popolo di Dio, i credenti sono chiamati a vivere la loro fede e ad ascoltare la voce di Dio attraverso la Chiesa.

Alle radici del comportamento abusante
Se si volesse andare alla radice della dinamica del comportamento abusivo, penso che potremmo risalire all’antica e sempre attuale tentazione del “sarete come Dio”. In altre parole, nella dinamica dell’abuso il ministro sacro “si fa come Dio”, perché appare come il “protagonista” che possiede doni, visioni, capacità e personalità che sostituendosi e prendendo il posto di Gesù come modello, e dello Spirito Santo come “datore di vita”: è una tentazione subdola ma reale che, prendendo spunto dall’identificazione sacramentale con Cristo sacerdote, è un possibile sbocco dell’inclinazione narcisista più o meno presente in tutti[9].

Punto di partenza è dato ovviamente dalle pagine evangeliche in cui non soltanto si descrive la figura del buon pastore, che dà la vita per le pecore a differenza del mercenario, ma soprattutto si presenta la dimensione del servizio di chi è chiamato in una posizione di “preminenza”: «Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (Mc 10,42-45).

Non è soltanto un atteggiamento interiore ma si manifesta in modi di agire che evidenziano l’autentico servizio. Sono espressioni applicabili direttamente all’esercizio del governo che abbracciano però tutta la dimensione “ministeriale”, dal momento che anche l’attività di governo è esercitata per un fine spirituale. E non è soprattutto un mestiere o una tecnica da imparare ma un’identità ministeriale da vivere nella progressiva unione con Cristo Pastore.

La riflessione conciliare sulla Chiesa ha voluto ribadire in modo particolare questa dimensione ministeriale sottolineando che, in certo senso, proprio chi è maggiormente rivestito di autorità ha uno speciale ruolo di servizio: «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri, infatti, che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza»[10].

Sulla stessa linea si muovono sia la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges con cui è stato promulgato il Codice di Diritto Canonico del 1983 sia il Catechismo della Chiesa cattolica che, al n. 876, afferma: «Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente “servi di Cristo” (Rm 1,1), ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi “la condizione di servo” (Fil 2,7). Poiché la parola e la grazia di cui sono i ministri non sono loro, ma di Cristo che le ha loro affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti».

L’abuso spirituale
Cos’è l’abuso spirituale? Non c’è ancora una definizione precisa, che metta tutti d’accordo. Per il momento, propongo come definizione di lavoro: l’abuso spirituale è un termine collettivo o, come si dice nel mondo anglosassone, un “termine ombrello”, per varie forme di abuso emotivo e/o di potere nel contesto della vita spirituale, religiosa.

L’abuso di coscienza, o abuso spirituale, può verificarsi in qualsiasi religione o comunità di fede; tuttavia, assume caratteristiche, dinamiche e strategie diverse a seconda degli specifici contesti istituzionali in cui si verifica; pertanto, sebbene non sia un fenomeno esclusivo del cristianesimo, vale la pena studiarlo nel contesto cristiano.

Nella Chiesa cattolica, l’abuso spirituale è caratterizzato da alcuni elementi istituzionali specifici: in particolare le congregazioni religiose, il magistero universale, il diritto canonico, i voti di obbedienza, l’infallibilità papale e l’efficacia dei sacramenti; pertanto, l’abuso spirituale nel contesto cattolico merita un’analisi specifica.

Il primo problema legato alla definizione di questo fenomeno è il suo stesso nome. Il nome più comune per questo fenomeno è “abuso spirituale”, ma alcuni autori parlano di “abuso di potere spirituale” o “abuso religioso”, mentre altri usano l’espressione “abuso di coscienza”, soprattutto in ambito cattolico.

A mio avviso, “abuso spirituale”, “abuso di potere spirituale” e “abuso religioso” sono quasi sinonimi, mentre “abuso di coscienza” è un tipo leggermente più specifico di abuso spirituale che danneggia la coscienza del credente[11].

Il secondo problema è quello della definizione stessa. Come si definisce l’abuso spirituale? Quali sono le sue caratteristiche essenziali? Il libro pionieristico su questo tema è quello di Johnson e VanVonderen intitolato The Subtle Power of Spiritual Abuse (Johnson e VanVonderen 1991). In esso gli autori affermano che «l’abuso spirituale è il maltrattamento di una persona che ha bisogno di aiuto, di sostegno o di un maggiore potere spirituale, con il risultato di indebolire, minare o diminuire il potere spirituale di quella persona»[12].

Inoltre, gli stessi autori hanno fornito una descrizione: «L’abuso spirituale può verificarsi quando un leader usa la sua posizione spirituale per controllare o dominare un’altra persona. Spesso si tratta della prevaricazione dei sentimenti e delle opinioni di un’altra persona, senza tener conto di ciò che ne risulterà per il suo stato di vita, le sue emozioni o il suo benessere spirituale»[13].

«L’abuso spirituale si verifica quando un leader con autorità spirituale usa tale autorità per costringere, controllare o sfruttare un seguace, causando così ferite spirituali»[14].

Queste definizioni si concentrano su tre elementi: l’abuso dell’autorità spirituale, l’atto di approfittare di un seguace e il danno che ne deriva per la vittima. Un breve libro pubblicato nel 1994 lo descrive come segue: «Con l’abuso spirituale intendo la negazione della libertà spirituale che si attua quando si dice a una persona che c’è una sola strada per arrivare a Dio»[15]. Sebbene questa definizione sia piuttosto generica, evidenzia un tema centrale: la perdita della libertà.

L’abuso spirituale ruota intorno al potere. L’abuso non è una conseguenza del potere, ma del suo cattivo uso. La prima caratteristica dell’abuso spirituale è la violazione dei confini. La violazione dei confini spirituali viola la privacy della persona. La persona perde lo spazio protettivo che la sua dignità merita. Qui avvengono le cose più intime della vita spirituale. Le aree del forum internum e del forum externum, che dal diritto canonico sono strettamente separate, si confondono. In questo contesto l’obbedienza diventa uno strumento di potere e di dominio.

Tra la violazione dei confini e la proibizione del contatto, c’è uno spazio di mancanza di libertà, quello che Erving Goffmann chiama “l’istituzione totale” e che viene spesso citato insieme ai pensieri di Robert Lifton sul “lavaggio del cervello” o “controllo del pensiero”. La leadership è perfetta, illuminata da Dio (più o meno direttamente), quindi inattaccabile. Chiunque abbia un problema viene trasformato in un problema.

Ambito di governo e ambito della coscienza: una distinzione necessaria
Un aspetto particolarmente rilevante per il nostro tema, riguarda una distinzione fondamentale: quella tra ambito di governo e ambito della coscienza.

Per tutelare la piena libertà interiore e proteggere lo spazio sacro della coscienza, la Chiesa ha sempre promosso una netta distinzione tra foro interno e foro esterno, tra ambito della coscienza e ambito di governo. La commistione di questi ambiti è stata infatti, sovente, causa di gravi abusi di potere da parte dell’autorità religiosa.

In ambito ecclesiale è bene tenere sempre come orizzonte ultimo e irrinunciabile il rispetto della dignità della persona nella sua individualità.

Sarà opportuno vigilare sul concetto di “comunione” che non di rado viene interpretato in modo ideologico come un agire in unità perfetta di intenti e in una unanimità di scelte, provocando così l’annullamento dell’individuo in favore della comunità.

Questa “diluizione” dell’individuo nel tutto ha portato, in diverse occasioni, a considerare facilmente sacrificabili il benessere e i diritti della persona in favore degli interessi dell’istituzione. La comunione dovrebbe invece, manifestarsi nei diversi contesti quale segno della comunione ecclesiale che è analoga a quella di un corpo vivo e operante, caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità[16].

Caratteristiche del sistema abusante
Fonti principali dell’abuso due fattori: una personalità manipolatrice (solitamente di chi ha il compito di guida), e un sistema abusivo che appartiene alla struttura stessa e alle regole e alle consuetudini di un’istituzione.

Gli aspetti che caratterizzano questo sistema sono la manipolazione delle coscienze, che viene conseguita attraverso la violazione dell’intimità della persona e l’instaurazione di rapporti di soggezione totale, e la riorganizzazione della vita individuale e comunitaria affinché tutto, assolutamente tutto, venga ricondotto e affidato a chi riveste l’autorità. Questo sistema, evidentemente, ha effetti devastanti sulla libertà della persona.

Questo apparato di manipolazione, tanto subdolo quanto efficace, spinge la persona a fidarsi unicamente di “uno”[17], a consegnarsi completamente in una relazione che diviene progressivamente, attraverso calcolati abusi di potere e di coscienza, una gabbia da cui è impossibile uscire: le vittime sono condizionate a tal punto da divenire incapaci di reagire e di assumere qualsiasi decisione autonomamente.

Le aree più colpite dal virus dell’abuso sono due:

l’area relazionale, dove emergevano sintomi problematici nella vita fraterna e comunitaria, quali incapacità a instaurare relazioni sincere e trasparenti, attitudine generalizzata alla menzogna o a nascondere la verità, sfiducia reciproca, mancanza di rispetto, giochi di alleanze, interpretazioni soggettive dei comportamenti altrui e tendenza perenne al sospetto;
l’area della gestione dell’autorità, dove emerge un diffuso pregiudizio nei confronti dell’autorità che provocava atteggiamenti di distanza, di timore o di contrapposizione ostinata verso chiunque avesse responsabilità di governo.
Alla luce di quanto evidenziato, è chiaro che risulta molto difficile se non impossibile, che un sistema abusivo venga risanato senza un intervento esterno. La presa di coscienza di questa difficoltà, ha suscitato una seria riflessione sul concetto di vigilanza nella Chiesa. È indispensabile un’attenzione costante sui mezzi, le norme, gli stili di governo, le consuetudini nella vita comunitaria e nella gestione dell’autorità, e deve implicare anche il grave dovere di intervenire tempestivamente, qualora vengano individuati elementi di corruzione nel sistema o l’uso di strumenti abusanti.

Quali gli elementi su cui è bene che l’autorità ecclesiastica vigili per non incorrere in comportamenti abusanti?

Un primo elemento è il rispetto della libertà individuale. Nessun fine, seppur lodevole, può giustificare la predisposizione di strumenti e prassi che potrebbero ledere in qualsiasi modo la dignità personale o il diritto di autodeterminazione. L’adesione a un carisma e l’ammissione in una realtà ecclesiale è la risposta libera e volontaria a una chiamata divina, e tale adesione non annulla mai la libertà personale e, di conseguenza, la responsabilità individuale. Laddove non si promuove la responsabilità personale, non si contribuisce alla salvezza delle anime, poiché l’uomo – insegna la Chiesa – può volgersi al bene solo nella libertà[18].

Un secondo elemento è la tutela dello spazio della coscienza. A tal riguardo il diritto è molto chiaro. Il Codice di Diritto Canonico dispone: «Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità» (can. 220). La difesa dell’intimità sancita da questo canone, da una parte, determina il divieto di imporre a chiunque l’apertura dell’animo e la condivisione della propria intimità, dall’altra, obbliga seriamente al segreto tutti coloro che vengono a conoscenza di aspetti e questioni che fanno parte dell’ambito della coscienza di un fratello.

Dall’imposizione di questo vincolo si deduce chiaramente che non è accettabile obbligare, tramite norme e regolamenti, l’apertura della coscienza ad alcuno né tantomeno risulta ammissibile mettere in comune quanto accolto in confidenza, per un malinteso senso di comunione. Purtroppo dobbiamo constatare che in non poche realtà ecclesiali la normativa ha facilitato varie forme di invasione della coscienza e dell’intimità dell’altro, innescando in vari casi abusi con esiti molto gravi a vari livelli soprattutto laddove viene regolamentata la manifestazione della coscienza ai superiori.

Per questo la Chiesa ha sempre promosso una netta distinzione tra foro interno e foro esterno, tra ambito della coscienza e ambito di governo. Proprio la commistione di questi ambiti, infatti, risulta essere una delle caratteristiche principali di un sistema abusivo giacché implica la riorganizzazione della vita delle persone affinché tutti gli aspetti della vita esteriore e interiore vengano consegnati nelle mani di chi ha il compito di governare.

Purtroppo, la cultura cattolica tende spesso ad assolutizzare la mediazione ecclesiastica e a dimenticare che essa deve interagire con altre mediazioni, soprattutto con quella della coscienza personale[19].

Cosa succede quando questa autorità spirituale sostenuta dalla Chiesa viene usata male? In che misura la Chiesa è parte dell’abuso spirituale?

Per quanto riguarda la più ampia crisi degli abusi sessuali, dell’abuso di potere e dell’abuso di coscienza, i vescovi francesi hanno dichiarato di «riconoscere la responsabilità istituzionale della Chiesa per la violenza subita da così tante vittime»[20]. I vescovi cileni hanno invece sottolineato che la responsabilità dell’abuso è degli autori[21]; tuttavia, poiché l’abuso spirituale consiste nell’uso improprio di un’autorità spirituale che, in ambito cattolico, è sempre sostenuta dalla Chiesa, non è mai una questione tra due individui, ma implica sempre una responsabilità ecclesiastica.

Ai fedeli viene insegnato a fidarsi della Chiesa e dei suoi rappresentanti. Frasi come “chi obbedisce non sbaglia” o “la voce del vescovo è la voce di Dio” sono frequenti nella cultura cattolica[22].

Narcisismo, egoismo, clericalismo, personalità manipolativa, egocentrismo e altre caratteristiche sono presentate come attributi chiave[23].

Esistono anche sistemi abusanti nella Chiesa. Ci sono istituzioni, comunità, statuti e culture cattoliche che facilitano gli abusi[24]. La cultura cattolica tende ad assolutizzare l’autorità spirituale dei suoi rappresentanti e dei suoi insegnamenti. Identificare la voce dei rappresentanti ecclesiali con quella di Dio o l’insegnamento ordinario della Chiesa con quello di Dio è un abuso.

Ad esempio, in un ambiente ecclesiale che professa un’idea rigida di obbedienza, anche se il superiore non è mosso da egoismo, può abusare della sua autorità spirituale e danneggiare gravemente i suoi sudditi. In questo caso, dietro l’abuso spirituale non c’è un individuo perverso, ma un sistema abusante. Non ci sono solo individui abusanti, ma anche strutture, pratiche, istituzioni e insegnamenti abusanti. In sintesi, l’abuso spirituale può essere causato sia da individui sia da sistemi abusanti.

[1] Cf. La Civiltà Cattolica, 4038, 449.

[2] Cf. F. Lombardi, «Verso l’incontro dei vescovi sulla protezione dei minori», in Civ. Catt. 2018 IV 532-548; Id., «Dopo l’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”», ivi 2019 II 60-73; Id., «Protezione dei minori. I passi avanti del Papa dopo l’incontro di febbraio 2019», ivi 2020 I 155-166; e, infine, il volume monografico Abusi, della collana «Accènti» de La Civiltà Cattolica (giugno 2018). Per un inquadramento generale, cf. G. Cucci – H. Zollner, Chiesa e pedofilia. Una ferita aperta. Un approccio psicologico-pastorale, Àncora, Milano 2010.

[3] A. Cencini, A. Deodato, G. Ugolini, “Abusi nella Chiesa, un problema di tutti. Oltre una lettura difensiva o riduttiva” in: La rivista del clero italiano, 2019 – 4, pp. 254-255.

[4] Cf. Montero, Orphanopoulos Carolina. 2022. Vulnerabilidad. Hacia una Ética Más Humana. Madrid: Dykinson.

[5] Cf. Ivi.

[6] Langberg, Diane. 2020. Redeeming Power: Understanding Authority and Abuse in the Church. Grand Rapids: Brazos Press, p. 19.

[7] Ignatius of Loyola. 1985. Ejercicios Espirituales. Introducción, Texto, notas y Vocabulario por Cándido de Dalmases. Santander: Sal Terrae, n. 97.

[8] Lannegrace, Anne 2018. “Dérives sectaires et abus de pouvoir, une approche psychologique”. In Dérives Sectaires Dans Des Communautés Catholiques. Edited by Conférence des Évêques de France. Paris: Secrétariat general de la Conférence des évêques de France, pp. 35–57.

[9] A volte alcuni assolvono l’esercizio del proprio potere, nelle proprie “facoltà di e su”, sicuramente con carisma; alcuni con forza e violenza, o per tratti caratteriali propriamente di orgoglio o per copertura compensatoria di un Io fragile, lì dove la delirante grandiosità del Sé aveva ancor più bisogno di adulazione e di assoggettamento sociale. Secondo le teorizzazione psicoanalitiche sull’origine e l’evoluzione, con annesse eventuali forme patologiche del Sé, (e qui si veda Helnz Kohut), un Sé grandioso è la compensazione di un Io fragile, a sua volta determinato da un’inadeguata rispondenza delle figure di accudimento alle necessità fisiologiche ed emotive del bambino: la scarsa empatia e sensibilità genitoriale induce ad una frammentazione del Sé che, in parte, può ingenerare forme patologiche espresse attraverso bisogni di grandiosità ed esibizionismo.

[10] LG 18.

[11] Fernández, Samuel. 2020. “Towards a Definition of Abuse of Conscience in the Catholic Setting”. Gregorianum 102: 557–74. [

[12] Johnson, David, and Jeff VanVonderen. 1991. The Subtle Power of Spiritual Abuse. Bloomington: Bethany House, p. 20.

[13] Johnson, David, and Jeff VanVonderen. 1991. The Subtle Power of Spiritual Abuse. Bloomington: Bethany House, p. 20-21.

[14] Blue, Ken. 1993. Healing Spiritual Abuse: How to Break Free from Bad Church Experiences. Illinois: InterVarsity Press, p. 12.

[15] Linn, Matthew, Sheila Fabricant Linn, and Dennis Linn. 1994. Healing Spiritual Abuse and Religious Addiction. London: Paulist Press, p. 12.

[16] Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, n. 20.

[17] H. Zollner, A. Deodato, A. Manenti, G. Ugolini, G. Bernardini, Abusi sessuali nella Chiesa? Meglio prevenire, Milano 2017, p. 42.

[18] GS 17.

[19] Fernández, Samuel. 2020. “Towards a Definition of Abuse of Conscience in the Catholic Setting”. Gregorianum 102: 557–74.

[20] Conférence des Évêques de France. 2021. Résolutions Votées par les Évêques de France le 8 Novembre 2021. Lourd. Disponibile online: https://eglise.catholique. fr/sengager-dans-la-societe/lutter-contre-pedophilie/ 520492-esolutions-votees-par-les-eveques-de-france- en-assemblee-pleniere-le-8-novembre-2021/ (ultimo accesso 21/12/2021).

[21] Conferencia Episcopal de Chile. 2021. Hacia Caminos de Reparación. Orientaciones para Autoridades Eclesiásticas. Santiago: CECh, disponibile online: http://www.iglesia.cl/prevenirabusos/caminosdereparacion/ (ultimo accesso 10/1/2022).

[22] Fernández, Samuel. 2021. “Reconocer las señales de alarma del abuso de conciencia”. In Abusos y Reparación. Sobre los Comportamientos no Sexuales en la Iglesia. Edited by Daniel Portillo Trevizo. Madrid: PPC, pp. 47–65.

[23] Cf. Poujol, Jacques. 2015. Abus Spiritueles. S’affrancir de L’emprise. Paris: Empreinte.

[24] Chartier-Siben, Isabelle. 2021b. L’Arche: Walking with Our History. Disponibile online: https://cestadireweb.org/chercher-a-comprendre-les-abus/ (ultimo accesso 17/1/2022).
Settimana News

Sinodo e sindrome: un divertissement

di: Marcello Matté

Sinodo: camminare insieme. Sindrome: correre insieme. Concorrere e concorrenza. Nel gioco dei significati pregiudiziali, un invito per il cammino sinodale della Chiesa.

Sinodo e sindrome: termini entrambi di derivazione greca.

Sinodo: camminare insieme.

Sindrome: correre insieme.

Stiamo apprezzando di questi tempi il significato ricco di carica positiva della parola sinodo e lo abbiamo posto a titolo di un consistente lavoro di Chiesa.

Ci siamo detti che “cammino sinodale” rischia di essere una tautologia, ma ci siamo ripetuti tuttavia che il cammino di Chiesa non è evangelico o missionario se non è “cammino insieme”. Nella realtà del vissuto la tautologia è tutt’altro che scontata.

Sindrome è termine associato a significati allarmanti. Una costellazione di sintomi clinici, organici o psicologici, che denuncia una malattia, una diagnosi preoccupante, una terapia – se c’è – lunga e faticosa.

Com-ponendo i termini mi si affaccia una suggestione: camminare insieme annuncia un valore; correre insieme denuncia una patologia.

Trattenendo l’accostamento nell’ambito dell’esperienza ecclesiale di questo tempo, mi viene di pensare che il passo di Chiesa è quello del cammino, non quello della corsa.

Per ogni appello che ascolto – e apprezzo – a imprimere un’accelerata, sento il fiatone di quelli che non ce la fanno.

Se il sinodo diventa sindrome rischiamo di perdere il “syn”. E sarebbe una malattia.

Non si deve certo rinunciare a un cammino più energico e volitivo. Ma non lasciamo indietro nessuno che abbia dalla sua soltanto la buona volontà. E poco fiato.

Il termine “concorrenza” (traduzione letterale di sindrome) viene usato con significato ambivalente.

Il sostantivo concorrenza allude a una competizione, dove uno vince sull’altro. E, nei suoi riferimenti commerciali, sappiamo che concorrenza può comportare anche “farsi lo sgambetto”, “giocare scorretto”.

Il verbo concorrere, invece, disegna percorsi diversi che convergono verso un medesimo fine; elementi che finiscono per con-vergere.

La “comunione” (insieme) prevale sull’“ordine” (primo, secondo, terzo…).

Il Consiglio permanente della CEI ha pubblicato nel 1981 il celebre documento La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, entrato nella coscienza ecclesiale come Ripartire dagli ultimi.

Nel 1986 (dopo la nomina di Ruini a segretario della CEI?) mons. Chiarinelli commentava: «Nel 1981 siamo ripartiti dagli ultimi, ma siamo stati bravi: in nemmeno cinque anni abbiamo già raggiunto i primi».

Settimana News

A Reggio Emilia chi è finito in strada ed ha perso tutto trova molto più di una casa

8xmille Chiesa cattolica: la Locanda San Francesco, è una delle opere al centro della nuova campagna informativa della CEI

Non è mai solo una firma. È di più, molto di più. Questo il claim della nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in evidenza il significato profondo della firma: un semplice gesto che vale migliaia di opere.

Cei. Il messaggio per la Quaresima 2022: tempo di opportunità di amore creativo

Per il cristiano questo non è semplicemente il tempo segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia, è invece un tempo dello Spirito, un tempo di pienezza
Conversione all’ascolto, conversione alla realtà, conversione alla spiritualità

Conversione all’ascolto, conversione alla realtà, conversione alla spiritualità – Archivio Avvenire

Di seguito pubblichiamo il messaggio della presidenza della Cei per la Quaresima 2022.

Carissimo, carissima,
la Quaresima di quest’anno porta con sé tante speranze insieme con le sofferenze, legate ancora alla pandemia che l’intera umanità sta sperimentando ormai da oltre due anni. Per noi cristiani questi quaranta giorni, però, non sono tanto l’occasione per rilevare i problemi quanto piuttosto per prepararci a vivere il mistero pasquale di Gesù, morto e risorto. Sono giorni in cui possiamo convertirci ad un modo di stare nel mondo da persone già risorte con Cristo (cfr. Col 3,1). La Chiesa come comunità e il singolo credente hanno la possibilità di rendere questo tempo un “tempo pieno” (cfr. Gal 4,4), cioè pronto all’incontro personale con Gesù.
Questo messaggio, dunque, vi raggiunge come un invito a una triplice conversione, urgente e importante in questa fase della storia, in particolare per le Chiese che si trovano in Italia: conversione all’ascolto, alla realtà e alla spiritualità.

Conversione all’ascolto
La prima fase del Cammino sinodale ci consente di ascoltare ancora più da vicino le voci che risuonano dentro di noi e nei nostri fratelli. Tra queste voci quelle dei bambini colpiscono con la loro efficace spontaneità: «Non mi ricordo cosa c’era prima del Covid»; «Ho un solo desiderio: riabbracciare i miei nonni». Arrivano al cuore anche le parole degli adolescenti: «Sto perdendo gli anni più belli della mia vita»; «Avevo atteso tanto di poter andare all’università, ma adesso mi ritrovo sempre davanti a un computer». Le voci degli esperti, poi, sollecitano alla fiducia nei confronti della scienza, pur rilevando quanto sia fallibile e perfettibile. Siamo raggiunti ancora dal grido dei sanitari, che chiedono di essere aiutati con comportamenti responsabili. E, infine, risuonano le parole di alcuni parroci, insieme con i loro catechisti e collaboratori pastorali, che vedono diminuite il numero delle attività e la partecipazione del popolo, preoccupati di non riuscire a tornare ai livelli di prima, ma nello stesso tempo consapevoli che non si deve semplicemente sognare un ritorno alla cosiddetta “normalità”.
Ascoltare in profondità tutte queste voci anzitutto fa bene alla Chiesa stessa. Sentiamo il bisogno di imparare ad ascoltare in modo empatico, interpellati in prima persona ogni volta che un fratello si apre con noi. Nella Bibbia è anzitutto Dio che ascolta il grido del suo popolo sofferente e si muove con compassione per la sua salvezza (cfr. Es 3,7-9). Ma poi l’ascolto è l’imperativo rivolto al credente, che risuona anche sulla bocca di Gesù come il primo e più grande dei comandamenti: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» (Mc 12,29; cfr. Dt 6,4). A questo tipo di ascolto la Scrittura lega direttamente l’amore verso i fratelli (cfr. Mc 12,31). Leggere, meditare e pregare la Parola di Dio significa preparare il cuore ad amare senza limiti.
L’ascolto trasforma dunque anzitutto chi ascolta, scongiurando il rischio della supponenza e dell’autoreferenzialità. Una Chiesa che ascolta è una Chiesa sensibile anche al soffio dello Spirito. In questo senso, può essere utile riprendere quanto il Consiglio Episcopale Permanente scriveva nel messaggio agli operatori pastorali, lo scorso settembre: «L’ascolto non è una semplice tecnica per rendere più efficace l’annuncio; l’ascolto è esso stesso annuncio, perché trasmette all’altro un messaggio balsamico: “Tu per me sei importante, meriti il mio tempo e la mia attenzione, sei portatore di esperienze e idee che mi provocano e mi aiutano a crescere”. Ascolto della Parola di Dio e ascolto dei fratelli e delle sorelle vanno di pari passo. L’ascolto degli ultimi, poi, è nella Chiesa particolarmente prezioso, poiché ripropone lo stile di Gesù, che prestava ascolto ai piccoli, agli ammalati, alle donne, ai peccatori, ai poveri, agli esclusi».

Questa prima conversione implica un atteggiamento di apertura nei confronti della voce di Dio, che ci raggiunge attraverso la Scrittura, i fratelli e gli eventi della vita. Quali ostacoli incontra ancora l’ascolto libero e sincero da parte della Chiesa? Come possiamo migliorare nella Chiesa il modo di ascoltare?

Conversione alla realtà
«Quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Con queste parole Paolo annuncia il mistero dell’incarnazione. Il Dio cristiano è il Dio della storia: lo è a tal punto, da decidere di incarnarsi in uno spazio e in un tempo precisi. Impossibile dire cosa abbia visto Dio di particolare in quel tempo preciso tanto da eleggerlo come il momento adatto per l’incarnazione. Di certo la presenza del Figlio di Dio tra noi è stata la prova definitiva di quanto la storia degli uomini sia importante agli occhi del Padre.
L’epoca in cui Gesù è vissuto non si può certo definire l’età dell’oro: piuttosto la violenza, le guerre, la schiavitù, le malattie e la morte erano molto più invasive e frequenti nella vita delle persone di quanto non lo siano oggi. In quell’epoca e in quella terra si moriva certo di più e con maggiore drammatica facilità di quanto non avvenga oggi. Eppure in quel frangente della storia umana, nonostante le sue ombre, Dio ha visto e riconosciuto “la pienezza dei tempi”.
L’ancoraggio alla realtà storica caratterizza dunque la fede cristiana. Non cediamo alla tentazione di un passato idealizzato o di un’attesa del futuro dal davanzale della finestra. È invece urgente l’obbedienza al presente, senza lasciarsi vincere dalla paura che paralizza, dai rimpianti o dalle illusioni. L’atteggiamento del cristiano è quello della perseveranza: «Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25). Questa perseveranza è il comportamento quotidiano del cristiano che sostiene il peso della storia (cfr. 2Cor 6,4), personale e comunitaria.
Nei primi mesi della pandemia abbiamo assistito a un sussulto di umanità, che ha favorito la carità e la fraternità. Poi questo slancio iniziale è andato via via scemando, cedendo il passo alla stanchezza, alla sfiducia, al fatalismo, alla chiusura in sé stessi, alla colpevolizzazione dell’altro e al disimpegno. Ma la fede non è una bacchetta magica. Quando le soluzioni ai problemi richiedono percorsi lunghi, serve pazienza, la pazienza cristiana, che rifugge da scorciatoie semplicistiche e consente di restare saldi nell’impegno per il bene di tutti e non per un vantaggio egoistico o di parte. Non è stata forse questa “la pazienza di Cristo” (2Ts 3,5), che si è espressa in sommo grado nel mistero pasquale? Non è stata forse questa la sua ferma volontà di amare l’umanità senza lamentarsi e senza risparmiarsi (cfr. Gv 13,1)?
Come comunità cristiana, oltre che come singoli credenti, dobbiamo riappropriarci del tempo presente con pazienza e restando aderenti alla realtà. Sentiamo quindi urgente il compito ecclesiale di educare alla verità, contribuendo a colmare il divario tra realtà e falsa percezione della realtà. In questo “scarto” tra la realtà e la sua percezione si annida il germe dell’ignoranza, della paura e dell’intolleranza. Ma è questa la realtà che ci è data e che siamo chiamati ad amare con perseveranza.

Questa seconda conversione riguarda allora l’impegno a documentarsi con serietà e libertà di mente e a sopportare che ci siano problemi che non possono essere risolti in breve tempo e con poco sforzo. Quali rigide precomprensioni impediscono di lasciarsi convincere dalle novità che vengono dalla realtà? Di quanta pazienza è capace il cuore dei credenti nel costruire soluzioni per la vita delle persone e della società?

Conversione alla spiritualità
Restare fedeli alla realtà del tempo presente non equivale però a fermarsi alla superficie dei fatti né a legittimare ogni situazione in corso. Si tratta piuttosto di cogliere “la pienezza del tempo” (Gal 4,4) ovvero di scorgere l’azione dello Spirito, che rende ogni epoca un “tempo opportuno”.
L’epoca in cui Gesù ha vissuto è stata fondamentale per via della sua presenza all’interno della storia umana e, in particolare, di chi entrava in contatto con lui. I suoi discepoli hanno continuato a vivere la loro vita in quel contesto storico, con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti: ma la sua compagnia ha modificato il modo di essere nel mondo. Il Maestro di Nazaret ha insegnato loro a essere protagonisti di quel tempo attraverso la fede nel Padre misericordioso, la carità verso gli ultimi e la speranza in un rinnovamento interiore delle persone. Per i discepoli è stato Gesù a dare senso a un’epoca che altrimenti avrebbe avuto ben altri criteri umani per essere giudicata.
Dopo la sua morte, dall’assenza fisica di Gesù è fiorita la vita eterna del Risorto e la presenza dello Spirito nella Chiesa: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani» (Gv 14,16-18; cfr. At 2,1-13). Lo Spirito domanda al credente di considerare ancora oggi la realtà in chiave pasquale, come ha testimoniato Gesù, e non come la vede il mondo. Per il discepolo una sconfitta può essere una vittoria, una perdita una conquista. Cominciare a vivere la Pasqua, che ci attende al termine del tempo di Quaresima, significa considerare la storia nell’ottica dell’amore, anche se questo comporta di portare la croce propria e altrui (cfr. Mt 16,24; 27,32; Col 3,13; Ef 4,1-3).
Il Cammino sinodale sta facendo maturare nelle Chiese in Italia un modo nuovo di ascoltare la realtà per giudicarla in modo spirituale e produrre scelte più evangeliche. Lo Spirito infatti non aliena dalla storia: mentre radica nel presente, spinge a cambiarlo in meglio. Per restare fedeli alla realtà e diventare al contempo costruttori di un futuro migliore, si richiede una interiorizzazione profonda dello stile di Gesù, del suo sguardo spirituale, della sua capacità di vedere ovunque occasioni per mostrare quanto è grande l’amore del Padre.
Per il cristiano questo non è semplicemente il tempo segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia: è invece un tempo dello Spirito, un tempo di pienezza, perché contiene opportunità di amore creativo che in nessun’altra epoca storica si erano ancora presentate.

Forse non siamo abbastanza liberi di cuore da riconoscere queste opportunità di amore, perché frenati dalla paura o condizionati da aspettative irrealistiche. Mentre lo Spirito, invece, continua a lavorare come sempre. Quale azione dello Spirito è possibile riconoscere in questo nostro tempo? Andando al di là dei meri fatti che accadono nel nostro presente, quale lettura spirituale possiamo fare della nostra epoca, per progredire spiritualmente come singoli e come comunità credente?

Avvenire

L’Irc “concorre al pieno sviluppo della personalità”

Mons. Calogero Marino, vescovo di Savona-Noli, in occasione della Giornata diocesana di sensibilizzazione alla scelta dell’ora di religione

“Sono convinto che l’insegnamento della religione cattolica, inserito nel quadro delle finalità della scuola, concorra al pieno sviluppo della personalità degli allievi, in sintonia con i principi della Costituzione Italiana e con le aspettative e le speranze della nostra gente”. Lo ha scritto il vescovo di Savona-Noli, mons. Calogero Marino, nel messaggio “L’insegnamento della religione al servizio della persona nella scuola” inviato in occasione della Giornata diocesana di sensibilizzazione alla scelta dell’ora di religione che verrà celebrata domenica 16 gennaio.

L’intenzione del vescovo è quella di “richiamare l’attenzione delle nostre comunità nei confronti dei giovani e dell’importanza della testimonianza cristiana nella scuola, ambiente nel quale i giovani stessi devono trovare spazio e ascolto per la loro formazione e la loro crescita”. “Mi piace, infatti, sottolineare che l’educazione ha come fine la promozione della persona umana in tutte le sue dimensioni e che ai giovani occorre dar credito e offrire fiducia”, prosegue mons. Marino, sottolineando che “sono temi, questi, sui quali il Sinodo si è già soffermato e che necessitano ancora di interventi e approfondimenti”.

“Vogliamo riconoscere alla scuola una missione per così dire strategica – continua il presule – da una parte essa è chiamata a far maturare le facoltà intellettuali e spirituali e a promuovere lo sviluppo della capacità di giudizio; dall’altra essa ha il compito di mettere a contatto i ragazzi con il patrimonio culturale generato e custodito dalle passate generazioni, di preparare alla vita professionale e di favorire la disposizione reciproca a comprendersi e ad aiutarsi. Anche e soprattutto a scuola si impara a dar peso e credito alla solidarietà e all’accoglienza”.

“L’insegnamento della religione cattolica – evidenzia il vescovo –, all’interno di tale contesto formativo, è reso possibile dall’impegno di tanti uomini e donne per la stragrande maggioranza laici un servizio che chiede professionalità specifiche e che si configura come via proficua di collaborazione con lo Stato e con le famiglie per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese, un servizio educativo a favore delle nuove generazioni offerto a tutti, nella scuola di tutti”.

Mons. Marino ricorda poi che “il diritto di avvalersi di tale insegnamento, che viene oggi esercitato dalla maggioranza delle famiglie, non è solo un’opportunità” ma “fa appello, infatti, alla responsabilità educativa dei genitori, alla scelta matura da parte degli studenti e all’accompagnamento che è chiesto anche alle nostre Comunità ecclesiali. L’Irc – precisa il vescovo – non prevede che l’alunno aderisca personalmente al credo religioso cristiano, ma che percepisca, conosca ed apprezzi il significato dei valori che scaturiscono dalla fede, riconoscendo che si tratta di convinzioni vissute e condivise da molti nel nostro Paese”.

Sir, 12 gennaio 2022

Cei. Non si terrà la marcia della pace di fine anno prevista a Savona

Per evitare assembramenti sarà sostituita da una veglia, il 31 alle 19.30 nel Duomo di Savona, seguita alle 20.50 dalla Messa, che sarà trasmessa in diretta su Tv2000
Una passata edizione della Marcia della pace di fine anno

Una passata edizione della Marcia della pace di fine anno – Siciliani

Il prossimo 31 dicembre 2021 non si svolgerà la tradizionale Marcia della Pace, prevista quest’anno a Savona. “L’aumento esponenziale dei contagi di Covid-19 in questi ultimi giorni e le ulteriori misure urgenti per il contenimento dell’epidemia previste dal decreto-legge 24 dicembre 2021 ci hanno portato a decidere per l’annullamento di un evento che normalmente richiama centinaia di persone e che avrebbe potuto causare assembramenti”, comunica la Cei. Al posto della Marcia ci sarà, a partire dalle 19.30, nel Duomo di Savona una Veglia con testimonianze e la messa alle 20.50 che sarà trasmessa in diretta su Tv2000.

Il testo del comunicato Cei

 

“Comunichiamo che il prossimo 31 dicembre 2021 non si svolgerà la tradizionale Marcia della Pace, prevista a Savona. L’aumento esponenziale dei contagi di Covid-19 in questi ultimi giorni e le ulteriori misure urgenti per il contenimento dell’epidemia previste dal decreto-legge 24 dicembre 2021 ci hanno portato a decidere per l’annullamento di un evento che normalmente richiama centinaia di persone e che avrebbe potuto causare assembramenti”.

“Al posto della Marcia ci sarà, a partire dalle 19.30, nel Duomo di Savona una Veglia con testimonianze e la celebrazione eucaristica (alle 20.50) che sarà trasmessa in diretta su Tv2000. Riteniamo, infatti, di non perdere l’occasione per rilanciare il Messaggio di papa Francesco per la 55a Giornata Mondiale della Pace (1°gennaio 2022), dal titolo “Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura”. È il tema che fa da sfondo al numero speciale di dicembre della rivista “Mosaico di pace” (www.mosaicodipace.it), promossa da Pax Christi, che organizza anche una diretta Facebook la mattina del 31 dicembre (ore 10) sulla propria pagina. Nella convinzione che la Pace è il bene prezioso che tutti insieme dobbiamo costruire, invitiamo uomini e donne di buona volontà a unirsi con noi nella preghiera e nella riflessione attraverso il canale televisivo e gli strumenti social”.

Avvenire

 

Quale il messaggio di questo Natale? Si può rispondere senza esitazione: la speranza!

Papa Francesco, nel suo discorso ai membri del collegio cardinalizio e della Curia romana, ha invitato a percorrere la «via dell’umiltà» perché in essa è custodita la «lezione del Natale»: l’umiltà, infatti, rappresenta «la grande condizione della fede, della vita spirituale, della santità». Cristo è venuto nel mondo attraverso questa via e ci ha mostrato «una meta», che non si raggiunge con la forza della volontà, ma attraverso la partecipazione, la comunione fraterna e lo spirito missionario. Parole stupende che sono valide, ovviamente, per la Chiesa universale e ci restituiscono appieno il senso profondo del cammino che abbiamo intrapreso.

La Chiesa italiana, oggi, sta percorrendo la strada della sinodalità in un momento storico che è avvolto dalle tenebre della pandemia. Eppure all’orizzonte c’è la grande luce del Natale, che riscalda, ispira e rischiara il percorso. Un Bambino che si dona e che, con il suo atto d’amore, diventa criterio con cui rileggere gli avvenimenti. Non è un caso, dunque, che il tempo di Natale sia anche occasione per fare il bilancio dell’anno e per considerare i rapporti con i propri familiari, con gli amici, i colleghi e con quanti abitano le nostre giornate.

Ancora una volta, purtroppo, siamo in grande apprensione per la nuova ondata pandemica. Il Censis, nel suo ultimo rapporto, parla di «un’Italia irrazionale»: per alcuni milioni di italiani, che pretendono «di decifrare il senso occulto della realtà», il Covid addirittura non esiste e il vaccino è inutile. In nome di un diritto soggettivo di scegliere per la propria vita in totale autonomia, molte persone finiscono per dimenticarsi dei fragili, degli anziani e dei poveri, rompendo, in questo modo, i legami alla base della solidarietà umana. Mai come oggi è dunque necessaria l’umiltà: nel giudizio, nei rapporti interpersonali, nell’amore verso il prossimo.

Anche per questi motivi, non possiamo e non dobbiamo abituarci allo stillicidio, praticamente quotidiano, di morti sul lavoro e alle tragedie immani che continuano a compiersi, nell’inerzia colpevole della comunità internazionale, tra coloro che sono costretti a lasciare la loro terra per sfuggire alle violenze e alla fame. Il loro dramma ricorda che anche quest’anno il mondo è stato segnato da tensioni e da guerre e che alla maggioranza dell’umanità è ancora precluso il diritto a una vita libera e dignitosa. Avremo modo di aprire uno squarcio di speranza durante la seconda edizione dell’Incontro “Mediterraneo frontiera di pace” che si svolgerà a Firenze dal 23 al 27 febbraio 2022. Convinti, come ricorda il Papa nel Messaggio per la 55ª Giornata mondiale della pace, che «tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico».

Il pensiero commosso e la preghiera vanno anche alle vittime di gravi fatti di cronaca che nel 2021 hanno chiamato in causa, direttamente o indirettamente, le responsabilità di alcuni o l’incuria sistematica. Voglio qui ricordare in particolare, unendo il Nord e il Sud d’Italia, i tragici fatti del Mottarone e quelli recentissimi di Ravanusa. A fronte di questo quadro a tinte fosche, però, non bisogna cedere alla tentazione della rassegnazione, come nei giorni scorsi ci ha raccomandato il presidente Mattarella. Nell’imminenza della fine del suo mandato intendo rinnovargli il ringraziamento per la testimonianza che ha reso al Paese nel corso di questi sette anni. In lui possono riconoscersi tutti gli italiani – e sono la stragrande maggioranza – che anche quest’anno hanno dato prova di responsabilità e di solidarietà, di impegno rigoroso e di fratellanza operosa soprattutto con le persone più bisognose.

Quale il messaggio di questo Natale? Si può rispondere senza esitazione: la speranza! Che è bene ricordare non è la realizzazione di un desiderio, quanto di una sorpresa. Un evento che accade e sblocca una situazione che sembra irrisolvibile. Come i magi e i pastori, che si presentano a riverire un piccolo bambino adagiato in una mangiatoia. Mi piacerebbe che all’interno della comunità cristiana fossimo portatori di speranza in questo modo: provando a stupirci reciprocamente, a entusiasmarci l’un l’altro con la sorpresa dell’amore. Nel buio delle paure e dei rapporti per interesse, abbiamo la possibilità di portare un po’ di carità.

Il Signore che viene si lascia accogliere da chi ha occhi per stupire i fratelli con l’amore. Così l’amore arriva come la luce nelle tenebre. Se la contemplazione della scena della mangiatoia ci indurrà a diventare portatori di speranza agli altri, allora vorrà dire che l’Avvento è stato un cammino di umiltà che ci permette di vivere il Natale da cristiani.

di Gualtiero Bassetti, cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana

Cei. Il cammino sinodale va sul Web

La Cei lancia il portale Internet che accompagnerà il percorso della Chiesa italiana fino al 2025 Condivisione, ascolto, partecipazione. E uno stile nuovo per comunicare l’impegno di cambiare
Il cammino sinodale va sul Web
Avvenire

Il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia ha anche un ambiente digitale. È online il sito www.camminosinodale.net che accompagnerà l’intero percorso, articolato in tre fasi – narrativa, sapienziale e profetica – dal 2021 al 2025. L’immagine della testata esprime il senso del progetto: le cattedrali delle diocesi italiane sono unite graficamente a formare un’unica cupola, su di esse si snoda una strada tracciata da tanti volti. Il rimando è al Concilio Vaticano II e, in modo particolare, alla costituzione Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (n.1).

Il sito offrirà, man mano che verranno elaborati, tutti gli strumenti testuali e video per l’animazione sul territorio e, allo stesso tempo, cercherà di puntare a uno stile di comunicazione integrato, integrale e inclusivo. Integrato, perché la visione ecclesiale non continui a essere letta e interpretata in settori distinti; integrale, perché si è parte di una grande comunità; inclusivo, perché nessuno deve essere escluso dalle comunità. Nella memoria di quanto vissuto fino a oggi – e la tabella al centro del sito lo rappresenta efficacemente – si dipana l’orizzonte futuro. C’è infatti una memoria da non disperdere. È come uno scrigno prezioso che dai vari Convegni ecclesiali nazionali (Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995, Verona 2006, Firenze 2015) si apre per accogliere l’essenza stessa del “camminare insieme” (sinodalità) in un contesto mutato.

È questione di stile e di metodo. La condivisione di quanto vissuto nelle Chiese locali, secondo quel processo di condivisione e partecipazione tipico delle reti sociali, focalizza proprio questo aspetto. Tutte le diocesi vivono il Cammino, e questa unità d’intenti dà forma a una comunicazione che non è semplice facciata ma concretezza di un’esperienza che dà gioia. Traendo spunto dal linguaggio tecnologico, si potrebbe definire questo processo con la coppia di termini input/output. Essi indicano, rispettivamente, sia l’immissione e l’emissione di dati attraverso elaboratori elettronici, sia i dispositivi hardware che permettono tali azioni.
Il portale vorrebbe proprio attivare questo doppio processo: ricevere impulso da uno sviluppo ecclesiale che appassiona e coinvolge tutto il Popolo di Dio ed emettere questo entusiasmo con una serie di proposte che possono tenere ben fisso l’orizzonte. Nel Documento preparatorio della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi si ricorda che, «illuminato dalla Parola e fondato nella Tradizione, il cammino sinodale si radica nella vita concreta del Popolo di Dio. Presenta infatti una peculiarità che è anche una straordinaria risorsa: il suo oggetto – la sinodalità – è anche il suo metodo. In altre parole, costituisce una sorta di cantiere o di esperienza pilota, che permette di cominciare a raccogliere fin da subito i frutti del dinamismo che la progressiva conversione sinodale immette nella comunità cristiana» (n.25). È una conversione, questa, che interessa in modo particolare la comunicazione. Parte da qui, infatti, quella dinamicità che è movimento continuo di relazione e apertura verso l’altro. Non si tratta di un’operazione culturale, ma di una scelta di campo che presuppone il raccordo tra il comunicare, il pensare e il vivere ciò che si comunica. È questione di stile (sinodale). Si tratta di quel di più che la sinodalità può dare in dono ai linguaggi comunicativi odierni. Con quel senso di stupore che non ammette «notizie gerarchizzate o preconfezionate». La conversione comunicativa, richiesta dal cammino sinodale, è una chiara presa di coscienza: occorre partire dall’ascolto. È questo il primo passo, perché ascoltare è comunicare e, allo stesso tempo, comunicare è ascoltare. Non una ridondanza di parole ma un ambiente digitale che diventa esso stesso Cammino. Con un impegno anche sulle parole che nascono dall’ascolto perché anche il parlare deve essere in stile sinodale/dialogico/inter-locutorio. E, perciò, umile, propositivo, intelligente, frutto di discernimento personale… Dal sito all’impegno; dall’impegno alla vita personale; dalla vita personale alle comunità.

IL FESTIVAL DEI MEDIA CEI «L’informazione ponga domande»

«La comunicazione ha un grande spazio che è aiutare a porre le domande giuste, a far percepire la sfida che è dinanzi a noi. Senza questo rischia di essere un’informazione che non comunica. Soprattutto nel contesto della cultura digitale, con milioni di informazioni ogni giorno». È l’allarme quello di monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione nella prima giornata della Festa della Comunicazione “Media Cei Insieme per… passione!”. Tema dell’evento le parole di Cristo “La gente, chi dice che io sia” … “Ma voi, chi dite che io sia?”. Monsignor Fisichella, va oltre. «La prima domanda che ci dobbiamo fare è “chi sono io?”. Nel momento in cui Gesù chiede “ma voi chi dite che io sia?”, sta chiedendo ai suoi discepoli chi sono loro, se sono veramente capaci di seguire, se hanno occhi per vedere il mistero che hanno davanti a loro, se hanno orecchie capaci di ascoltare veramente il suo messaggio, se hanno parole per comunicarlo in maniera coerente ». E alla domanda su cosa avrebbe risposto lui alla domanda di Cristo, l’arcivescovo risponde. «Gli avrei detto “sei il senso della mia vita”. Davanti a Cristo non si può rimanere neutrali, dopo l’incontro con lui non si è più come prima». Ma, torna ad avvertire, «c’è il grande rischio di non cogliere la complessità della realtà che ci viene posta dinanzi». In primo luogo, sottolinea Fisichella, «il grande evento della rivelazione di Gesù che è la capacità di Dio di parlare il nostro linguaggio per fare capire a noi chi siamo veramente». Ricordando che «l’uomo è chiamato ad amare, perché il primo incontro di Dio con l’uomo è una relazionalità di amore. Se non riscopriamo questa dimensione profonda che è la natura stessa di Dio, non riusciremo a dare una risposta soddisfacente alla sofferenza, al limite, alla morte dell’innocente, alla violenza. E la presenza dell’amore di Dio non è una teoria ma sono fatti concreti ». Come i Venerdì della Misericordia di papa Francesco dei quali Fisichella è stato l’organizzatore. «Il Papa dice che bisogna sollecitare la cultura dell’incontro, perché nell’incontro si crea relazionalità e ci si sente amati. Non possiamo dimenticare che nel Vangelo il Signore ci dice “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”, e anche “siate perfetti come perfetto è il Padre vostro”. Le due affermazioni si illuminano a vicenda. Devi scoprire la misericordia come la via che ti porta alla perfezione, che ti unisce di più a Dio». E, conclude, «quella del Papa è la provocazione a scoprire che cosa si nasconde dietro quelle persone, un richiamo alla vicinanza, a non giudicare, a sostenerle. Per mostrare come l’orizzonte della speranza cristiana è molto più forte di qualsiasi debolezza, ma anche una sollecitazione a seguire l’esempio. Il Papa desidera che questo sia il cammino dei credenti».

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L’arcivescovo lancia l’allarme sul «grande rischio di non cogliere la complessità della realtà che ci sta davanti»

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