L’Oltre guarda al debole

Un filosofo della scienza smentisce che la fede debba costituirsi in religione civile; una studiosa di etica rimarca l’apertura trascendente come possibilità «laica» del Vero.

Ceruti: «Il cristianesimo laicizza la storia. Ripartiamo da Girard»

«Oggi la funzione culturale del cristianesimo è di non stabilirsi come religione civile ma fare esercizio e pratica dell’incontro e dell’ascolto dell’altro». Mauro Ceruti, docente di epistemologia genetica all’università di Bergamo, rilancia nel campo «laico» la portata secolarizzante del messaggio cristiano per un dialogo fruttuoso.

In «Le due paci» (Cortina) lei scrive che la secolarizzazione non va perduta come risultato positivo della storia. Ma cosa non ha funzionato se oggi cresce l’indifferenza religiosa e l’ostracismo laicista?
«Si è avuta una progressiva banalizzazione di tre processi: la secolarizzazione, la cui enfasi positiva è una delle scoperte del Concilio Vaticano II; in secondo luogo, la laicità che spesso viene contrapposta alla Chiesa mentre essa è frutto della rivoluzione di un Dio che regna dalla Croce, e non da un trono; lo spirito scientifico, che nasce da una desacralizzazione della natura».

Come mai allora questi valori "cristiani" si manifestano oggi come anticristiani?
«La secolarizzazione è prevalsa in una sua deriva, ovvero quella consumistica delle società avanzate in un disincanto del mondo in cui non matura più la domande del trascendente. Prevale solo il consumo e questo causa un’asfissia spirituale generando l’esperienza di voler tutto e subito. Questo ha annullato ogni processo verso l’Oltre, un processo umano prima che religioso. In Europa questo si è trasformato in un laicismo riduttivo che presume di far vivere la laicità nello spazio pubblico privo di simboli religiosi, per cui la stessa natura del simbolo dell’uomo viene azzerata».

Quando questo è avvenuto?
«La data-soglia è il 1989, anno fino al quale – anche tra i credenti – era scontato pensare che le religioni avrebbero avuto un ruolo di sempre minor influenza sulla realtà: era condiviso lo schema marxista per cui la religione fa parte della sovrastruttura. Poi dopo il 1989 le religioni hanno fatto una nuova, straordinaria irruzione nella storia. Va sottolineata l’intuizione di Karol Wojtyla che già nel 1986 chiamò a pregare insieme ad Assisi i rappresentanti della diverse religioni (fatto poi ripetuto nel 2002) in un momento in cui le religioni parevano al lumicino. Il secondo incontro di Assisi fu pure profetico perché si era sull’orlo di guerre in nome della religione (che qualcuno pure fece). Queste invocazioni di Dio hanno dimostrato quanto sia stato decisivo il processo laicizzante del cristianesimo nelle vicende della comunità umana. In quegli anni Samuel Huntington teorizzava lo scontro di civiltà in nome delle differenti religioni. E si è troppo dimenticato quanto Giovanni Paolo II fece perché non si compisse nemmeno un passo verso il conflitto di civiltà su base religiosa».

Lei è un grande conoscitore di René Girard. Può la proposta del grande pensatore francese diventare un alfabeto per il "cortile dei gentili"?
«Sì. Ho trovato in Girard una lettura antropologica dei testi del Nuovo e Antico Testamento, come cifra adatta per esplicitare un confronto con i gentili su quel grande Codice dell’umanità che è la Bibbia. Nei nostri colloqui mi diceva: "Nei miei libri non aggiungo nulla al vangelo, faccio solo un tentativo di lettura antropologica, in base alla sola ragione, di quel messaggio evangelico che è teologico". Il vangelo introduce nella storia un punto di discontinuità dal punto di vista razionale visto che racconta dal punto di vista della vittima e non del carnefice. Per questo auspico nell’atrio dei gentili la possibilità di usare la ragione figlia del cristianesimo, ovvero un dialogo che è accoglienza dell’altro. Quindi questo "cortile" può diventare uno spazio laico e razionale in cui per il cristiano vi è il compito non di affermazioni dogmatiche bensì di testimoniare».

Boella: «Prendiamoci cura degli altri. Il dialogo contagi tutti»

Laura Boella, docente di filosofia morale all’Università Statale di Milano, vede nella carità cristiana l’argomento oggi più convincente per suscitare la nostalgia di Dio. E rivendica anche per chi non crede la possibilità di un «oltre» rispetto al mondo «troppo umano» che ci è davanti.

Lei si è occupata di empatia: il dialogo tra cattolici e laici può rientrare in questa dimensione?
«Penso sia importante un atteggiamento di confronto con il mondo in cui vengano messe al centro le questioni etico-politiche. Questo interesse passa per una preoccupazione verso chi vive insieme a noi, un atteggiamento per cui dobbiamo mettere al centro il valore della presenza degli altri. Pur in conflitto con altre impostazioni – come le esperienze teoretiche o economiche – questo valore etico-politico deve essere riaffermato nella sua pari dignità. In tutte le cose che facciamo è molto evidente che "ne va di qualcos’altro". Per un credente questo risulta abbastanza immediato, ovvero il fatto che nella vita vi è un significato non solo pubblico, ma che riguarda la sfera della fede. Per un non credente questo è più indiretto e riveste formulazioni molteplici. Per me, ad esempio, questo si intreccia con il mio indagare la verità, che intendo come "sincerità" e "dire il vero". Il lavoro intellettuale come ricerca del vero: questo è un processo che accomuna credenti e non credenti. Nella nostra vita riscontriamo un piano umano, "troppo umano", e uno trascendente: già a questo livello vi è una scelta di valore. Per me tale prospettiva assume il volto del "ne va di qualcos’altro" quale apertura al mondo: un varco verso l’oltre, al di là del piano terrestre fatto di carriera, obbiettivi, scopi che hanno un senso solo umano».

Uno dei suoi più recenti campi di indagine è la neuroetica (come si intitola un suo volume edito da Cortina). Le neuroscienze possono essere un campo di confronto positivo fra laici e cattolici?
«Ritengo che tra la due culture, quella filosofica e quella scientifica, per non dire quella teologica e quella della scienza, sarebbe insensato riproporre uno scontro tra visioni del mondo. Oggi la scienza ha un così grande successo presso il grande pubblico che sta diventando una sorta di "metafisica popolare". Di fronte a questo sento il dovere, in quanto cittadina ed intellettuale, di creare uno spazio di dibattito come ho cercato di fare con la neuroetica, in cui le prospettive delle scienze sperimentali vengono fatte parlare in altri linguaggi, e i dati sperimentali parlano a me, che sono filosofa. In pratica, si tratta di integrare con una prospettiva morale lo schema dello scambio di esperienze, ovvero l’empatia».

Che le suggerisce l’immagine del "cortile dei gentili" richiamata dal Papa?
«Mi ha fatto venire in mente Ernst Bloch e il suo <+corsivo>Ateismo nel cristianesimo<+tondo> del 1968; si era in una stagione di dialogo tra cristiani e marxisti. E Bloch diceva, dopo aver frequentato dei teologi, che il dialogo non è tale se i due soggetti restano identici. Mi chiedo: il "cortile dei gentili" non dovrebbe poi far sì che chi vi partecipa si sposti un pochino dalle proprie posizioni? Non pretendo che si cambi pelle in questo confronto, ma di avviare un incontro intermedio in cui intervallare la propria esperienza con uno "spostamento" lieve e momentaneo rispetto alle proprie idee. Chi crede e il non credente lasciano da parte le proprie certezze. Ma siamo davvero disposti a metterci un po’ a rischio?».

Cosa vede prioritario da parte del mondo cattolico per l’oggi?
«È fondamentale declinare il divino in termini di amore, ovvero di pietas divina verso le debolezze degli uomini. Oggi vi è una forte fragilità antropologica, per cui c’è bisogno di un’attenzione intrisa di pietas per la debolezza. Penso che questo sia uno dei modi più potenti con cui Dio può riprendere posto nell’esistenza umana».

Lorenzo Fazzini – avvenire