L’azione della Chiesa del futuro sarà silenziosa anche se indispensabile. Il cibo senza sale è semplicemente da buttare. Il mondo senza l’azione dei cristiani rischia di perdere gusto

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Settimana News

La profonda crisi che stiamo vivendo rischia di creare sconforto e panico. Sembra di essere arrivati sull’orlo di un precipizio; invece, è il tempo della razionalità, della lettura libera e completa, dell’analisi storica e salvifica senza paure o finzioni. È il vero tempo di Dio e dell’incarnazione!

Alla fine scopriremo che non è tutto finito, anzi: è solo tempo di cambiare! Ma per fare questo ci vuole coraggio, lungimiranza ed è necessaria una “visione”, una proposta di scenario futuro che possa rincuorarci e così poter leggere, senza fare tragedie, i continui terremoti che ogni giorno vengono segnalati all’interno del mondo ecclesiale.

Per questo propongo una delle pagine evangeliche più conosciute: quella del sale della terra e della luce del mondo (Mt 5,13-16).

La luce è un elemento fisico che agisce distinguendosi da ciò che deve essere illuminato: più la luce si allontana e più riesce a illuminare; più si avvicina e più rischia di sparire. La luce deve distinguersi, altrimenti perde il suo significato.

Il sale invece è un altro elemento fisico e agisce annullandosi all’interno del cibo che deve insaporire. La sua missione è fare senza visibilità, senza che qualcuno se ne accorga. Eppure, senza il suo apporto, il cibo perde il sapore e diventa immangiabile.

Per secoli la Chiesa ha agito prevalentemente come luce. La luce diffusa dal sacerdozio e dalla sua sacralità. Qui ci sta tutta la dinamica del mistero e anche della sua potenza. La Chiesa mediatrice e pontefice, da una parte, e, dall’altra, il popolo illuminato, sorretto, salvato. Lo schema ha retto per secoli e adesso sta scricchiolando in maniera quasi inattesa. La crisi del clero e dei religiosi, l’allontanarsi dei fedeli, la gerarchia relegata nell’angolo dell’insignificanza con la scusa del “tanto, non c’è più bisogno di voi!”.

La società civile si è presa in carico alcune problematiche che un tempo erano di esclusiva competenza ecclesiale: la formazione delle nuove generazioni, la sanità, la cura per gli anziani e persino l’attenzione verso i poveri e i diseredati di tutto il pianeta. Quasi senza accorgersene, la gente si è trovata a pensare e ad agire come se la Chiesa non ci fosse.

È tutto finito? No, assolutamente no!

Io penso che il tempo della luce doveva finire, perché è proprio in quel paradigma che si annidavano tutti i germi che ci hanno condotto a fenomeni cancerogeni, come gli scandali a sfondo sessuale o la corruzione del potere.

Ora è arrivato il tempo del sale!

Il sale è ben poca cosa (improprio parlare di minoranza, meglio chiamarla “poca cosa” (come i cinque pani e i due pesci) rispetto alla quantità di cibo che deve insaporire.

Non ha più senso parlare di maggioranza o minoranza. I cristiani non devono essere né minoranza e tanto meno maggioranza. I cristiani saranno sempre pochi (meglio dire ancora “poca cosa”) ma rivolti a tutti gli altri. Non ha senso una pastorale rassegnata che abbia come scopo l’arrivare a una piccola parte, perché dobbiamo e vogliamo giungere a tutti. Noi abbiamo come missione proprio questa: dare gusto a tutta la realtà.

Come fare?

Ci sono molti aspetti della Chiesa che sono arrivati al capolinea e bisogna pensare di girare pagina. Il cristianesimo identitario ha finito il suo percorso, soprattutto dopo che, negli ultimi secoli, ha provocato tragedie inenarrabili create dai nazionalismi benedetti da qualche vescovo o da qualche patriarca di turno.

In linea con questo, stanno sparendo molte tra le realtà alle quali eravamo più affezionati: scuole cattoliche, sanità cattolica, stampa cattolica, banche cattoliche, fondazioni cattoliche, cooperative cattoliche…

Siamo arrivati all’ultima stazione per un cristianesimo burocratico che sta rubando tempo alle relazioni, per i grandi piani pastorali, la catechesi di massa, l’overdose di riunioni, l’uso smodato dei social, gli anni santi, i pellegrinaggi e i santuari, le megacelebrazioni, le divise e i paramenti…

Non è più tempo di scorciatoie per arrivare a Dio, come l’uso dei sacramenti come ticket per l’eternità o la confessione che, da sola, dovrebbe riconciliarti con il tuo passato.

Il sale agisce umilmente, in silenzio, senza farsi vedere (se lo si vede, vuol dire che non è sale, ma si tratta di sassetti… e fanno male!).

L’azione della Chiesa del futuro sarà silenziosa anche se indispensabile. Il cibo senza sale è semplicemente da buttare. Il mondo senza l’azione dei cristiani rischia di perdere gusto.

La forza del futuro sta tutta nelle comunità cristiane, piccole o anche grandi, ma con un pastore e con al centro delle relazioni d’amore. Comunità che celebrano quello che cercano di vivere ogni giorno, che fanno dell’eucaristia il vero “culmen et fons”, il punto di arrivo e di ripartenza. Una comunità in gara nel volersi bene, soprattutto verso coloro che sono più in difficoltà.

Non c’è bisogno di riempirsi la bocca della parola “poveri”, perché i poveri sono connaturati nella spontaneità dell’attenzione amorosa. Non è quello che abbiamo imparato dagli Atti degli Apostoli (At 2,42-47)? Al centro ci deve essere la vita, la quotidianità fatta di piccole cose, dove c’è spazio per tutti: credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, ricchi e poveri, conservatori e progressisti, devoti e non, giovani e vecchi, uomini e (finalmente) donne. Tutto all’interno di un sistema di responsabilità, dove la gerarchia sarà ancora necessaria, costruita sulle fondamenta della paternità.

Nella Chiesa il termine “democrazia”, infatti, ha un altro sapore, non ha niente a che fare con il potere della maggioranza o “una testa, un voto”. Nella Chiesa vige il potere della responsabilità e della santità.

I giovani, soprattutto quelli di oggi, proprio quelli che si stanno allontanando (o forse si sono già allontanati per sempre!) hanno bisogno di questo e non di piani catechistici. L’evangelizzazione vera, è la vita! Non c’è bisogno di campagne vocazionali, perché la “chiamata” viene da sola, dall’esempio.

È un altro modo di essere Chiesa, di fare Chiesa. Di essere prete, di formare i nuovi preti, dove non può esserci carrierismo.

Un’altra modalità di rapportarsi con il mondo e con le istituzioni, dove è normale la collaborazione mettendo sul tavolo solo la ricerca del bene che, per fortuna, rimane unico. È un modo silente e concreto di agire, senza tanti titoli o pubblicità.

Io ne sono convinto: c’è un futuro!