La lettera apostolica «Misericordia et Misera» contiene non uno, ma quattro elogi del silenzio. Preziosi per entrare davvero nel mistero del Natale

Ci ho messo cinquant’anni per imparare a pregare. Prima pensavo che significasse ripetere preghiere imparate a memoria. Oppure lodare, ringraziare, chiedere. Ora, grazie agli incontri provvidenziali con una mistica come Antonella Lumini, l’eremita cittadina di Firenze, o un sacerdote guanelliano con il cognome sgrammaticato, Paolo Scquizzato, ho capito che pregare è innanzitutto fare silenzio e accogliere lo Spirito. L’ho cercato disperatamente questo silenzio dentro di me, nel mio corpo sempre affamato di emozioni e nel mio (piccolo) cervello sempre invaso di pensieri. In questa città eterna che mai tace. L’ho trovato e ora non lo lascio più. Mi verrebbe quasi da citare Papa Francesco, che c’invita a essere docili alle sorprese dello Spirito Santo. Ma correrei il rischio di passare per papista ed essere obbligato a sorbirmi le rampogne di quelli che dicono che Bergoglio piace troppo. E allora, una volta di più, vorrei tacere.

Poi, però, succede che tra la fine del Giubileo e l’ultima settimana d’Avvento, mi accorgo che la Lettera ApostolicaMisericordia et Misera, sempre da Francesco firmata, contiene non uno, ma quattro elogi del silenzio.

Silenzio che ci fa ascoltare Dio

Quando Francesco propone l’incontro fra Gesù e l’adultera, narrato nel capitolo 8 del vangelo di Giovanni, come icona del tempo della misericordia, sottolinea il ‘silenzio’ con cui Cristo risponde a chi voleva giudicare e condannare quella donna. Tace e disegna per terra, quasi distratto. Non è maleducazione o incapacità di replicare all’interrogativo tendenzioso dei dottori della legge. E’ un ‘silenzio’ che apre uno spazio, un’assenza di parole “che vuole lasciar emergere la voce di Dio nelle coscienze, sia della donna sia dei suoi accusatori”. Così, quest’ultimi “lasciano cadere le pietre dalle mani e se ne vanno ad uno ad uno”. L’adultera, si pente se non è già pentita, ma comunque riesce “a guardare al futuro con speranza” e “a rimettere in moto la sua vita”.

Silenzio come magnanimità

Poco dopo, nello stesso documento, il Papa consiglierà ai sacerdoti incaricati di ‘celebrare’ la misericordia, nei confessionali, lo stesso atteggiamento silenzioso di Gesù davanti all’adultera. Silenzio che è magnanimità, ma anche ammissione della propria condizione di peccatori.

Silenzio come condivisione

Più avanti, sempre nella Lettera apostolica di fine Anno Santo, quando ci invita a vivere concretamente la misericordia, Francesco sottolinea l’efficacia di una presenza silenziosa accanto a chi soffre. Stare accanto all’altro, partecipando alle sue difficoltà, senza inutili parole, è segno di vicinanza, amore, e non un atto di resa, afferma il Papa. Dunque, ‘esserci’ in modo silenzioso appartiene al linguaggio della consolazione.

Silenzio operoso

Infine, nel testo, Francesco ricorda l’esperienza forse più forte del suo Giubileo: quei “venerdì della misericordia” durante i quali ha compiuto brevi ma intense visite private in luoghi di dolore e solidarietà, portando – appunto – una consolazione e un affetto fatti semplicemente di presenza, quasi silenziosa. In quei luoghi, spiega “ho potuto toccare con mano quanto bene è presente nel mondo”, un bene “spesso non conosciuto perché si realizza quotidianamente in maniera discreta e silenziosa”. Dunque, un elogio evangelico, ma provocatorio nell’era dei social e del giornalismo digitale, delle opere buone fatte di nascosto, senza clamore o pubblicità. Riflessione che suscita l’inquietante dubbio che un gesto strombazzato ai quattro venti sia non altrettanto efficace o forse isolato, di facciata.

Ecco quattro buone ragioni per stare zitti, ovviamente davanti al presepe lampeggiante, in questo tempo di Natale. Auguri.

vinonuovo.it