In «Arabia meridionale» per una Chiesa vicina, delle genti

Quando parla del servizio che sta per iniziare, della realtà che lo attende, usa l’immagine della Chiesa in cammino, spiega l’importanza di essere vicini alle persone, indica nell’appartenenza un valore da far crescere. Monsignor Paolo Martinelli, 63 anni, frate minore cappuccino, dal 2014 vescovo ausiliare di Milano, è il nuovo vicario apostolico dell’Arabia Meridionale. Una regione molto vasta che comprende gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e lo Yemen, per una popolazione di circa 43 milioni di persone, tra cui, più o meno, un milione di cattolici. La nomina, di papa Francesco, è arrivata lo scorso 1° maggio. «Da una parte – spiega monsignor Martinelli – è stata certamente una sorpresa perché non me l’aspettavo. Dal-l’altra parte i frati cappuccini sono molto impegnati in quell’area e da oltre un secolo ne esprimono il vicario apostolico. Quando ho ricevuto la comunicazione della nomina ho capito subito di che cosa si trattava, essendo questa una missione ben conosciuta nel mio ordine. Ho vissuto tutto con grande gratitudine e con un profondo desiderio di preghiera ».

La sua nuova comunità è composta quasi del tutto da lavoratori migranti. Il suo predecessore, monsignor Paul Hinder la definisce una Chiesa pellegrina.

L’accostamento tra Chiesa di migranti e Chiesa pellegrina è molto bello. In questa prospettiva nell’essere Chiesa composta da migranti, provenienti da tanti Paesi diversi, si esprime qualche cosa di essenziale per tutta la Chiesa. Significa concepirsi conti- nuamente in cammino, verso la pienezza del regno di Dio. Si tratta di offrire a tutti i fedeli in modi adeguato alle proprie condizioni di vita la possibilità di approfondire la propria fede, la vita cristiana in tutti i suoi aspetti, facendo sentire la vicinanza della Chiesa alla gente, nella gioia e nel dolore. I fedeli nell’Arabia meridionale frequentano molto la Chiesa, chiedono i sacramenti, sentono con particolare intensità la celebrazione eucaristica. È importante far crescere il senso di appartenenza alla Chiesa come popolo di Dio.

Domani inizierà il suo servizio. Come?

Sarà una cosa molto semplice: inizierò il mio ministero celebrando la santa Messa nella Cattedrale di San Giuseppe ad Abu Dhabi, sede del vicariato apostolico, insieme al mio predecessore, monsignor Paul Hinder, ai sacerdoti e ai fedeli.

La sua nomina, come si diceva, conferma l’importanza della presenza francescana in questa terra così particolare.

Direi, da una parte, che la famiglia francescana è da sempre coinvolta nel Medio Oriente, nella Terra santa. Questa presenza è radicata nella esperienza stessa di san Francesco d’Assisi. Si tratta di una storia di otto secoli che intreccia i francescani con il Medio Oriente. Dall’altra parte i frati cappuccini sono impegnati da tanto tempo proprio nella penisola arabica e portano avanti una preziosa presenza con i migranti e di dialogo interreligioso, in particolare con i fedeli musulmani.

Tornando a Hinder, cosa le ha consigliato in particolare?

Ci sentiamo regolarmente, mi sta piano piano introducendo in questa nuova missione. È un uomo di grande sapienza ed equilibrio. Ha fatto cose straordinarie in questi anni. La realtà del vicariato è molto cresciuta sotto il suo episcopato. Avremo modo di stare insieme presto e sono desideroso di ascoltare tutti i suoi preziosi

consigli.

Immagino che un ruolo importante come punto di riferimento lo svolgerà il Documento sulla fratellanza umana.

Si tratta di un testo fondamentale. Essendo stato firmato proprio ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar penso che noi abbiamo il dovere e la responsabilità di custodirne la memoria e di approfondirne le implicazioni culturali, sociali e religiose. Data l’attuale situazione mondiale, questo documento sta diventando ogni giorno sempre più importante.

Elemento molto importante in una realtà dove i cristiani sono minoranza sarà il dialogo interreligioso, da calare nella realtà quotidiana.

Credo ci siano diversi livelli di relazioni interreligiose. Da una parte è necessario approfondire la conoscenza reciproca, favorire il dialogo; dall’altra parte occorre mostrare il contributo che le religioni possono e devono dare allo sviluppo della pace, della giustizia e della fratellanza universale. In questa prospettiva è molto interessante il lavoro che il vicariato sta facendo attraverso le scuole cattoliche. Oltre all’immenso lavoro fatto dalle parrocchie, che servono pastoralmente oltre un milione di cattolici presenti in questa zona, è decisivo il lavoro fatto dalle nostre scuole; infatti molti studenti sono musulmani. Si tratta di una grande occasione di confronto. Il ruolo dell’educazione è fondamentale per il dialogo concreto tra cattolici e musulmani.

Qual è la maggior preoccupazione, se c’è, e la più grande gioia che l’accompagnano all’inizio di questo cammino?

Da una parte sento certamente il timore di essere chiamato ad affrontare una esperienza pastorale tanto diversa da quanto ho vissuto finora. Si tratta di una realtà complessa, non mancano ricchezze ma anche situazioni dolorose come quella drammatica dello dello Yemen. Dall’altra parte sono contento di poter contare su collaboratori molto validi e ben radicati sul territorio. Non pochi frati cappuccini che troverò nell’Arabia meridionale sono stati miei studenti a Roma, quando insegnavo teologia. Questa è per me una grande gioia. Sono soprattutto certo che il Signore è presente ed è all’opera anche in quella terra. È importante rinnovare il mio affidamento totale al Signore.

Lei è stato a lungo vescovo ausiliare di Milano, cosa vorrebbe esportare di ambrosiano in questa nuova esperienza?

Porto con me la ricchezza di questi otto anni vissuti al servizio della Chiesa ambrosiana. Inoltre, anche la Chiesa di Milano sta riflettendo da anni sull’essere “Chiesa dalle genti”, popolo di Dio formato da fedeli portatori di culture, tradizioni e carismi diversi. Porto con me questo spirito perché anche in Arabia meridionale la Chiesa sia sempre più unita e pluriforme.

Avvenire