Fede e bellezza. Agata e Lucia, quel legame di santità che unisce Catania e Siracusa

L’incontro ideale fra le due martiri. A Catania l’898° anniversario della traslazione delle reliquie da Costantinopoli. A dicembre Siracusa accoglierà le spoglie della patrona. I cammini d’arte
Santa Lucia a Siracusa e Sant'Agata a Catania

Santa Lucia a Siracusa e Sant’Agata a Catania – Foto di Orazio Mezzio e Giovanni Crisafulli

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Agata e Lucia. Catania e Siracusa. La devozione nel Sud Est della Sicilia ha il loro volto. È donna. Come l’Etna, “a muntagna” che si erge come un faro all’orizzonte. Loro come un vulcano di fede e di santità per una terra assetata di giustizia, di speranza, di futuro, per un popolo che ha bisogno di fermezza e di luce. E fermezza e luce sono Agata e Lucia per il popolo siciliano, insieme a santa Rosalia, dall’altra parte dell’isola, a Palermo. Ma quello di Agata e Lucia è un legame speciale, unico. È un rapporto ideale fra sorelle, amiche, compagne di strada, sebbene non si siano conosciute, incontrate fisicamente e non siano – come in tanti credono nelle due città – cugine o parenti.

La processione di sant’Agata a Catania, che si svolgerà il 17 agosto

La processione di sant’Agata a Catania, che si svolgerà il 17 agosto – Giovanni Crisafulli

Quando morì martirizzata Agata, nel 251, Lucia non era nata. Nascerà trentadue anni dopo. Le loro storie si incontrano quando Lucia, il 5 febbraio del 301, si recò a Catania per pregare per la guarigione della madre sul sepolcro di Agata, subito fortemente venerata. Fu allora che la martire catanese le apparve in sogno, sancendo quel legame così stretto fra le due donne, che si intreccerà nel procedere del tempo, fino a noi: «Sorella mia Lucia, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi porgere a tua madre? Anche tu, proprio come me, subirai il martirio per la tua fede in Cristo». Lucia ritornò a Siracusa col cuore pieno di gioia e di speranza. La madre guarì e la drammatica profezia si avverò poco tempo dopo: la giovane fu martirizzata il 13 dicembre del 304, durante le persecuzioni di Diocleziano. Subito santa, pure lei. Insieme i loro corpi furono trafugati e portati a Costantinopoli nel 1039 dal generale Maniace. Ma se le spoglie di Agata torneranno a Catania nel 1126, quelle di Lucia andranno a Venezia nel 1204. E lì resteranno. Bisognerà aspettare 800 anni, il 2004, per un primo, eccezionale ritorno, a Siracusa. Poi ritorneranno nel 2014. A distanza di altri dieci anni, in occasione dell’Anno Luciano indetto in diocesi, l’Arcivescovo aretuseo Francesco Lomanto ha chiesto al Patriarca Francesco Moraglia che le sacre spoglie tornassero ancora in città. E così sarà dal 14 al 26 dicembre prossimi. Sarà un ritorno itinerante sulle orme percorse dalla giovane Lucia fino a sant’Agata.

Un momento delle tradizionali celebrazioni per santa Lucia a Siracusa, dove dal 14 al 26 dicembre arriveranno da Venezia le spoglie della santa

Un momento delle tradizionali celebrazioni per santa Lucia a Siracusa, dove dal 14 al 26 dicembre arriveranno da Venezia le spoglie della santa – Orazio Mezzio

Le sacre spoglie della martire siracusana saranno traslate infatti anche nella diocesi di Catania: il 28 e il 29 saranno nella Cattedrale etnea, e durante il tragitto da Siracusa sosterà prima a Carlentini (lì dove si fermò Lucia nel suo pellegrinaggio) e a Belpasso (dove c’è una fortissima devozione per la santa). C’è, dunque, un altro ritorno di Lucia: quello ai piedi di Agata. Agata e Lucia, di nuovo insieme. «Le due Chiese si incontrano per accogliere gli insegnamenti delle due sante vergini e martiri ha detto Lomanto -. La loro testimonianza cristiana contagia e sollecita tutti noi. A ciascuno è richiesto di compiere un cammino personale di fede, vero e profondo, per accogliere Dio, vivere con Lui e testimoniarlo di fronte alle sfide odierne e ai segni dei tempi». In attesa dell’evento di dicembre, acquista un significato inedito la festa estiva di Sant’Agata, il 17 agosto, che ricorda l’898° anniversario della traslazione delle reliquie da Costantinopoli a Catania. «Oggi la nostra città sta cercando di uscire dalle derive dell’incuria della persona e dell’ambiente e un cristiano, un devoto non può non essere protagonista di questo cambiamento, altrimenti la sua fede sarebbe vana», ha detto nei giorni scorsi l’arcivescovo Luigi Renna, ricordando l’avvicinarsi del Giubileo, che si aprirà in diocesi il 29 dicembre, in Cattedrale, per una «provvidenziale coincidenza», sotto il segno di Agata e Lucia insieme.

La cripta della chiesa di Sant'Agata la Vetere, una delle tappe del Cammino di Sant'Aituzza

La cripta della chiesa di Sant’Agata la Vetere, una delle tappe del Cammino di Sant’Aituzza – G.Matarazzo

Le tappe della loro vita si possono ripercorrere in itinerari guidati nelle due città. A Catania si può vivere il cammino di “Sant’Aituzza”: si parte dalla chiesa di S. Agata la Vetere costruita al di sopra del pretorio romano, dove secondo la tradizione, si pensa la giovane martire abbia subìto il processo e poi il martirio. In chiesa, sulla sinistra una grande statua di Santa Lucia ricorda la visita della santa siracusana al sepolcro di Agata. Un gagliardetto dei Berretti Verdi della Cappella di Santa Lucia appoggiato sui candelieri – come la partecipazione ogni anno alla festa – fa capire quanto assiduo e forte sia il legame fra le due comunità. Si prosegue nel Santuario di S. Agata al Carcere, dove si svolsero i momenti centrali della storia della martire, e poi con la chiesa di S. Biagio in S. Agata alla Fornace, a piazza Stesicoro: qui l’altare dedicato alla Santa sorge sul punto esatto in cui vennero preparati i tizzoni ardenti sopra i quali Agata venne fatta rotolare durante l’ultimo supplizio. Il percorso termina al Museo diocesano, in via Etnea, al fianco della Cattedrale: situato all’interno dell’Antico seminario dei Chierici, il museo ospita, fra altri preziosi tesori, il fercolo in argento che porta in processione i reliquiari di sant’Agata e l’arredo sacro utilizzato in duomo durante le celebrazioni in onore della patrona

La vista di Piazza Duomo a Catania dalle terrazze del Museo diocesano

La vista di Piazza Duomo a Catania dalle terrazze del Museo diocesano – G.Matarazzo

«Tra una visita guidata dei gioielli ex voto donati alla santa e il racconto delle vicende del suo martirio attraverso i dipinti che la raffigurano, vedo questa donna come modello, ricolma delle migliori virtù cristiane: buona, bella, coraggiosa e paziente – dice la direttrice del Museo diocesano, Grazia Spampinato –. Il messaggio attualissimo da tramandare alle nuove generazioni è quello che la dignità e la libertà sono ideali ancora validi dopo tanti secoli. E hanno una radice: il seguire Gesù. Questo vedo in Agata quando assisto all’uscita del prezioso busto reliquiario dell’orafo senese Giovanni di Bartolo per l’annuale incontro della Santa con il suo popolo. In questo tempo nel quale le processioni religiose sembrano procedere in un terreno ambiguo al limite tra il sacro ed il profano, tra la fede e le tradizioni popolari, il culto delle reliquie della santa e il suo peregrinare per la città ricordano a tutti i suoi devoti quale è la missione loro affidata: imitare la fede coraggiosa e certa di Agata e innestare nella vita quotidiana di questa martoriata città il desiderio di una continua rinascita».

Il fercolo di Sant'Agata custodito al Museo diocesano di Catania

Il fercolo di Sant’Agata custodito al Museo diocesano di Catania – G.Matarazzo

A Siracusa, l’Ufficio diocesano per la pastorale del Turismo e la Deputazione della Cappella di Santa Lucia, in collaborazione con Kairòs, hanno disegnato un itinerario spirituale, storico e artistico “Sui passi di Lucia”. Sette tappe. Si parte dalla chiesa e dalle catacombe di Santa Lucia al Sepolcro che custodisce il loculo della sepoltura della Santa e diverse testimonianze artistiche, come il celebre dipinto del Caravaggio raffigurante il “Seppellimento di Santa Lucia”. Si prosegue alle Catacombe di San Giovanni e dopo al Santuario della Madonna delle Lacrime. La Madonna piange in una casa di via degli Orti, vicino ai luoghi di Lucia, nella sua “Borgata”: da qui Maria e Lucia “ci parlano con gli occhi”.

Piazza Duomo a Siracusa

Piazza Duomo a Siracusa – G.Matarazzo

L’itinerario continua fra le chiese di San Giacomo apostolo ai miracoli e quella di Santa Maria della Conciliazione, fino a Santa Lucia alla Badia in piazza Duomo, dove si può ammirare la tela del martirio di Deodato Guinaccia e la volta dipinta da Marcello Vieri, che raffigura l’evento miracoloso del patrocinio sulla città nel 1646 (l’arrivo di navi cariche di grano durante la carestia) come spiega l’iscrizione in latino nell’arco che delimita il presbiterio: «Mentre una crudele fame tormenta le viscere della sicula gente, la protettrice Lucia l’allontana dal suolo natio». Il percorso finisce in Cattedrale, l’incontro con il simulacro argenteo di santa Lucia che in occasione della festa viene salutato dai devoti al grido di “Sarausana jè”. Siracusana è. Un urlo di appartenenza.

Cattedrale di Siracusa, la cappella dedicata alla patrona, cuore del cammino 'Sui passi di Lucia'

Cattedrale di Siracusa, la cappella dedicata alla patrona, cuore del cammino “Sui passi di Lucia” – G.Matarazzo

«Sì, Lucia è luce vera per ogni siracusano – dice Giuseppe Piccione, presidente della Deputazione della Cappella di Santa Lucia –. In tempi di buio come quelli che viviamo, chi può sostenerci nel cammino e donarci quella luce di speranza in fondo al tunnel se non la luce di una di una ragazzina coraggiosa, piccola, fragile che sfida l’Impero romano e le convenzioni dell’epoca? Lucia a Siracusa, come Agata a Catania. Entrambe immediatamente riconosciute sante dalla gente. Agata che ferma la lava, Lucia che salva dalla carestia. Entrambe nobili ricche che hanno rinunciano a una vita di privilegio per dare tutto ai poveri e compiere scelte radicali, mille anni prima di Francesco. Storie antiche, che parlano al futuro. Con una freschezza e una bellezza senza tempo». Agata e Lucia di nuovo insieme, oggi, sono allora speranza e monito. «La Luce dello stesso martirio, di Agata e Lucia, che ha imporporato la terra di Sicilia nei primi secoli – conclude l’arcivescovo Renna –, si fa memoria viva, perché si rinnovi il miracolo di una rigenerazione nella fede delle comunità e dei nostri territori».

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Africa. Congo, rifiutano di convertirsi all’islam: assassinati 14 cristiani

I civili sono stati catturati dai miliziani del’Adf al confine tra il Nord Kivu e l’Ituri: da anni i ribelli uccidono per il controllo delle risorse, ammantando di un falso jihadismo le loro azioni
Fotogramma del video della cattura dei civili da parte dell’Adf

Fotogramma del video della cattura dei civili da parte dell’Adf – Web

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Quattordici cristiani, molti dei quali giovanissimi, sono stati uccisi con i panga e a colpi di kalashnikov in una zona della provincia congolese del Nord Kivu non lontano da quella dell’Ituri per mano dei ribelli delle Forze alleate democratiche (Adf). Si tratta di un gruppo armato che nel 2019 ha annunciato la propria affiliazione allo Stato islamico, accentuando così la connotazione jihadista della sua agenda politica. Il motivo dell’esecuzione è stato il loro aperto rifiuto di convertirsi all’islam. Il massacro, avvenuto una decina di giorni fa nei pressi del centro di Eringeti, è documentato in un video diffuso dal gruppo jihadista e rilanciato in Europa da fonti della società civile. Il commento delle immagini, a dir poco agghiaccianti, è in lingua kiswahili; in particolare, la voce algida e compassata è quella di un giovane congolese preso prima in ostaggio dagli islamisti e costretto poi a convertirsi per evitare la pena capitale. Le stesse fonti riferiscono che ogni settimana si verificano uno o due raid, vere carneficine, nei villaggi o nei campi, a volte anche sulle strade in terra battuta: uccidono, incendiano e sequestrano impunemente ragazzi e ragazze cristiani o animisti, che successivamente vengono sottoposti a sedute d’indottrinamento invasive: una sorta di lavaggio del cervello che trasforma queste reclute in automi in grado di compiere indicibili nefandezze, grazie anche alla somministrazione di sostanze stupefacenti. L’ultimo attacco, in sequenza temporale, è avvenuto a Maji Moto, tra Oicha e Eringeti, circa 40 chilometri da Beni, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, con un bilancio di almeno 4 morti.

Nel corso degli ultimi dieci anni è stata segnalata la presenza di mercenari libici, sudanesi e ciadiani, a fianco delle Adf. Quest’ultimo è un gruppo eversivo ugandese, in passato finanziato dal governo di Khartum, che proprio nell’ex Zaire, in prossimità del confine con l’Uganda, ha allestito le proprie basi operative. A combattere a fianco delle Adf, in questa zona nordorientale della Repubblica democratica del Congo, vi sarebbero miliziani che parlano arabo, appartenenti alla famiglia estesa dei Baggara, insediata nel Sudan Occidentale e nel Ciad Orientale.

In queste ore la popolazione locale continua a fuggire per il costante incalzare dei ribelli dell’Adf i quali hanno intensificato negli ultimi mesi le azioni di destabilizzazione, soprattutto nella circoscrizione di Beni, finanziandosi grazie al trasporto illegale transfrontaliero di cacao, legname pregiato e oro, oltre che attraverso aiuti economici provenienti dall’estero (soprattutto da mercanti e uomini d’affari salafiti). Vera ragione degli assalti mascherati spesso da motivi religiosi. Lo spopolamento di queste aree sarebbe funzionale anche allo sfruttamento del petrolio, unitamente alla creazione di altri campi di addestramento e indottrinamento, che potrebbero intensificare ulteriormente la presenza jihadista nel cuore dell’Africa. È dunque evidente l’utilizzo dell’ideologia islamista per fini lucrativi e al contempo eversivi, una strategia che trova il suo infelice riscontro anche nella fascia saheliana, in Somalia e nel Nord del Mozambico.

Nel frattempo, la situazione è sempre critica nella città congolese di Goma, capoluogo del Nord Kivu, sotto la costante minaccia dei ribelli filo ruandesi del movimento M23 i quali hanno come principale obiettivo il controllo dei traffici minerari, soprattutto di coltan, diamanti e quant’altro. Nel Nord Kivu sono presenti anche altre formazioni armate tra le quali figurano i Mayi-Mayi, una milizia popolare dedita al banditismo. Inquietante è l’indifferenza della comunità internazionale che sembra stare alla finestra a guardare.