Epistolario teologico sulla questione del male

Paolo Cattorini, già professore di bioetica all’Università dell’Insubria, non è nuovo alla riflessione sul male, e forse più precisamente la questione che il male pone a Dio.

In precedenza in Aver cura di Dio. Un’etica per resistere al male del 2022, l’autore ha offerto in rassegna tutte quelle espressioni che rimandano a teodicee percorse nella storia del pensiero e della filosofia, per rendere Dio non contraddittorio agli occhi dell’essere umano di fronte all’esperienza del male. Ogni affermazione è puntigliosamente esaminata filosoficamente e teologicamente per mostrare che no, il male non si può giustificare. E che se lo facessimo, Dio perderebbe le caratteristiche del Dio cristiano.

Nell’ultima parte di questo testo troviamo pagine intense sul vivere l’esperienza del male di fronte a Dio, con la preghiera come via di affermazione e contenitore di tutti i sentimenti che sperimentiamo davanti a Dio, con la consapevolezza del male, vivendo un’esperienza di «male».

Il volume pubblicato a fine 2023 a cura dello stesso Paolo Cattorini – La fede, oltre le tenebre. Un epistolario teologico sulla questione del male (SUSIL edizioni) – appare dunque come il secondo lato di un dittico.

Non più la riflessione circa la giustificazione di Dio, che deve essere smascherata per gli orridi filosofici e teologici che arriva a sostenere – gli amici di Giobbe fanno scuola – piuttosto una riflessione diretta sul male in relazione a Dio, alla teologia.

Domande ai molti interlocutori

Così detta, l’espressione ci sembra troppo vaga. Il tema però è vasto e sembra quasi un poco presuntuoso pensare di offrire una riflessione esaustiva. Ed è forse per questo che l’autore ha scelto non solo di esporre le proprie riflessioni ma di condividerle ponendo quesiti a molti interlocutori, filosofi, teologi, pastori, amici, anche non credenti. Insomma, tratti sul tema, lasciando così aperto il discorso perché difficile esaurire i tanti aspetti.

Per ogni interlocutore, Cattorini espone un aspetto del complesso tema a cominciare con il rapporto del male con l’origine positiva, in riferimento alla filosofia di Pareyson, in dialettica con le affermazioni di Jüngel, e per lo più con i diversi interrogativi che pone il testo biblico, da Genesi sino al Nuovo Testamento.

Questa molteplicità di voci e questa sorta di frastagliamento del buco nero che è il tema del male aiuta il lettore perché, appunto, di petto non si può affrontare; il tema interpella quando l’esistenza rimanda a un’esperienza di male e così dai titoli si potrà scegliere, senza paura di perder pezzi.

Se invece letto di seguito, lascerà la libertà di costruire una sintesi. Ed è proprio a servizio di una sintesi di cui abbiamo bisogno, seppur nella consapevolezza della sua parzialità che crediamo di trovare il motivo di alcuni interlocutori inventati da Cattorini. Di fronte a passaggi importanti, meglio costruire un personaggio fittizio che lasciare inespresso l’aspetto. Ai due, infatti, sono riservati temi fondamentali perché sono la radice delle domande che esprimiamo davanti al male. Al fittizio Brüller l’autore scrive una lettera su «Dio mistero del mondo»; e a Dort, secondo personaggio fittizio, ne scrive una che intitola: «Fede oltre l’ombra, rifiuto dell’ombra».

Già la struttura del testo suggerisce, dunque, che del male non possiamo dare spiegazione, come non la ricevettero Adamo ed Eva, Giobbe e alla fine Gesù.

E, nello stesso tempo, è in questa esperienza che siamo interpellati profondamente, come lo è Paolo Cattorini, che riflette sull’esperienza del male, sulla relazione tra questa esperienza e quella di Dio in modo rigoroso, non celando il proprio coinvolgimento esistenziale.  Infatti, non manca una lettera a sé stesso, riprendendo l’espressione del card. Martini che parlava del non credente che è in ognuno, al di là della propria fede.

La tenebra e Dio

La domanda è formulata con precisione perché si tratta di dare voce al fatto che la «tenebra sia un’opacità prodotta da Dio nel suo divenire. Dio, infatti, è nel modo del divenire. E diviene restando colui che è» (p. 205; il corsivo è nel testo).

Ma è da qui che inizia il percorso che non può zittire la domanda, ma che offre al credente la via per non tacitarla. Il ritorno alla Scrittura, dove in primis Dio è detto e si dice, in cui scopriamo che «nel tempo egli onora la promessa, scartando le possibilità diverse» (p. 205; il corsivo è nel testo).

Il Paolo credente raccoglie la sfida del tempo affidandosi a ciò che la Chiesa aspetta: la risurrezione dai morti e la vita che verrà. Ma l’impegno e direi la raccomandazione è quella di tenere aperta la domanda, quale primo segno dell’attesa.

E forse non è un caso che le lettere successive interpellino su temi correlati. Dopo la lettera a e di Luca Mazzinghi su la risposta della Sapienza biblica, ci sono queste lettere: Invocare la trascendenza, Manzoni e la provvidenza, l’Irrazionalità del male e la positività dell’origine.

Il male è un enigma, inquieta e ci impedisce un affidamento a Dio ingenuo, ma Dio lo vorrebbe?

Ha sempre ragione Giobbe a mettersi una mano sulla bocca, ma con il testo di Cattorini siamo aiutati a tacitare la lamentazione deprimente e la bestemmia. Ci vengono offerte, invece, parole per interrogare e parole da dire quando, a confronto con Dio, potremo fare nostre le parole di Giobbe: Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto (Gb 42,5).

Fede di Abramo, fede cristiana

di: Roberto Mela
in settimananews.it

Francesco MosettoFede di Abramo e fede cristiana. Un percorso biblico, LAS, Roma 2023, pp. 148, € 10,00. (qui su Amazon con 5% sconto)

copertina

Francesco Mosetto, professore emerito della Università Pontificia Salesiana, sezione di Torino, traccia un ampio percorso biblico sul tema della fede, centrale per il credo ebraico e per quello cristiano.

Nell’Introduzione egli ripercorre la tematica della fede cristiana nella storia della teologia: teologia patristica e medievale, magistero recente delle Chiesa cattolica (dalla Dei Filius alla Dei Verbum e nel magistero postconciliare), tradizione orientale ortodossa e teologia protestante.

La teologia si era andata irrigidendosi in una concettualista astratta. Il concilio Vaticano II ha recuperato la dimensione personale ed esistenziale della fede. Questo sollecita il recupero della ricchezza del dato biblico e a far tesoro dell’esperienza liturgica e spirituale dell’Oriente cristiano.

Circa la fede di Gesù, esiste un paradigma “scolastico” e una nuova prospettiva. Il tema della fides Jesu può essere affrontato oggi con serenità grazie ai guadagni relativi a una visione dialogica e personalistica della fede, a complemento della sua dimensione cognitiva, più frequente in passato.

Storia e fede. Agostino a Pavia. Vicissitudini di un simbolo del cristianesimo

Le reliquie del santo, portate a Cagliari nel VI secolo, furono acquistate da Liutprando nell’VIII secolo per dare lustro a Pavia capitale longobarda

Giovanni di Balduccio, Arca di Sant'Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia

Giovanni di Balduccio, Arca di Sant’Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia – WikiCommons

Franco Cardini, storico medievista, e Guido Oldani, poeta già candidato al Nobel, saranno i protagonisti dell’incontro “Pavia città di sant’Agostino. Dal doctor Gratiae a Liutprando” il 16 febbraio alle ore 17 presso la Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia. L’incontro sarà introdotto dal vescovo Corrado Sanguineti e coordinato da Giovanni Gazzaneo, responsabile di “Luoghi dell’Infinito”, mensile di arte e cultura di “Avvenire”, che propone a febbraio una monografia dedicata all’Italia longobarda e a Pavia capitale del regno. L’evento si colloca nel quadro delle celebrazioni per il tredicesimo centenario della traslazione del corpo del vescovo di Ippona, che vedono come principale promotore il Comitato Pavia città di Sant’Agostino, sorto a seguito del pellegrinaggio di Benedetto XVI alla tomba del santo nel 2007.

Facciamo un gioco. Identifichiamo tre personaggi di tutta la nostra storia ai quali – dovendo ridurci all’assolutamente essenziale- non potremmo comunque mai rinunziare. Primo: il più elegante e al tempo stesso il più profondo tra coloro che sono riusciti a esprimere l’essenza dell’esperienza umana, il Maestro indiscusso di Erasmo da Rotterdam, di Pascal e di Dostoevskij. Senza dubbio Aurelio Agostino. Secondo: colui che, scrivendo di se stesso senza mai perdere al tempo stesso una prospettiva universale, ha saputo indagare la nostra esperienza intima aprendo le porte all’introspezione d’Ignazio di Loyola, alla psicologia del profondo di Carl Gustav Jung e alla psicanalisi di Sigmund Freud. Ancora Aurelio Agostino. Terzo: il pensatore antico senza il quale sarebbe impensabile traghettare il platonismo nella fede cristiana e saper esprimere la Modernità al pari del Petrarca, di Goethe e di Heidegger. Sempre Aurelio Agostino. Era nato verso il 354 a Tagaste in Numidia, oggi Souk Ahras in Algeria: in quell’Africa settentrionale ch’era una delle aree più ricche e più colte di tutto l’impero, patria di Settimio Severo e di Apuleio. Autentico fondatore del genere letterario dell’autobiografia impregnata di valori introspettivi con le Confessiones, 13 libri redatti tra 397 e 401, egli fornì all’agiografia cristiana la chiave interpretativa del passaggio dalla gioventù avvolta nel turbine dei peccati carnali alla spiritualità cristiana attraverso la “porta stretta” della conversio. Accanto alle tentazioni dei sensi, era la passione filosofica a travolgerlo: innamorato di Platone, si lasciò avvincere dal fascino delle dottrine manichee impregnate di temi gnostici. Nacque da quelle sollecitazioni la sua intensa meditazione sul tema del libero arbitrio. Il 24 agosto del 410 Roma era caduta nelle mani dei Visigoti di Alarico e venne saccheggiata per tre giorni, mentre l’imperatore Onorio restava acquattato nella sua città di Ravenna, protetta dalle paludi padane. L’eco della profanazione del Caput mundi fu immenso, in tutto l’impero e fuori di esso. Si avvertì che un’epoca era finita. Agostino Si gettò nello studio e in oltre una dozzina di anni – tra 413 a 426 circa – espose il suo pensiero in un’altra, estrema opera monumen-tale, il De civitate Dei, composto di 22 libri. Frattanto le cose precipitavano. Tra 429 e 430 il popolo germanico dei Vandali era passato in Africa e lì stava conquistando tutta l’area appartenente alla pars Occidentis dell’impero. Agostino spirò nella sua Ippona il 28 agosto del 430, proprio mentre i barbari assediavano la città. Complesse e incerte le notizie relative alle reliquie del Doctor Gratiae: una testimonianza abbastanza attendibile ci è giunta attraverso Paolo Diacono che riecheggia Beda il Venerabile. Sembra dunque che nel 504 il re vandalo Trasamondo avesse esiliato i Sardegna san Fulgenzio di Ruspe e altri vescovi cattolici nordafricani: lì, a Cagliari, le reliquie del santo – che i vescovi avevano portato con loro – trovarono asilo in una cappella ipogea, sita ai giorni nostri in largo Carlo Felice, nel quartiere di Stampace. A tale luogo sacro si accede ancor oggi, attraverso una scala a chiocciola, dall’androne di palazzo Accardo. Sembra in effetti che l’ambiente che ospitò le reliquie fosse una grotta già usata in età romana e trasformata in cripta di una chiesa gotica elevata nel XV secolo appunto in onore di Agostino. Ma allora le ossa del santo vi erano già state prelevate da circa sette secoli. Durante l’VIII secolo il potere bizantino, che nell’isola tirrenica era stato ristabilito fino dal 534, era ormai scarsamente in grado di controllarla: tuttavia la sua flotta continuava a proteggerla, sia pure con grave sforzo e molta incertezza, dalle incursioni dei musulmani provenienti dall’Africa settentrionale. Sembra che sia stato il re longobardo Liutprando, evidentemente in cerca di sacri trofei con i quali illustrare la sua capitale di Pavia, a inviare a Cagliari nel 722-723 una delegazione con una forte somma in denaro per ottenere le reliquie di Agostino delle quali dispose la deposizione nella nuova, prestigiosa chiesa pavese di San Pietro in Ciel d’Oro. Di quella prima sepoltura mancano oggi le tracce: durante il XIV secolo essa fu comunque sostituita dalla mirabile arca in marmo candido, opera di maestri campionesi messa in opera a quel che pare attorno al 1360 nella sagrestia dell’Ordine degli eremitani agostiniani, luogo oggi scomparso. Di quella sistemazione dava notizia Francesco Petrarca in una lettera a Giovanni Boccaccio del 22 dicembre 1365 (raccolta ora nelle sue Seniles, V, 1). Dal 1739 l’arca è collocata nel presbiterio. Tra l’era delle riforme dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo e il Novecento il monumento e il contenitore delle reliquie subirono varie vicissitudini fino a tornare nel presbiterio, alle spalle dell’altar maggiore, dov’è auspicabile rimanga stabilmente.

L’8 febbraio a Padova Paola Bignardi ha presentato ai docenti delle aree di filosofia e teologia della Facoltà le conclusioni dell’indagine sui giovani che hanno abbandonato la Chiesa (ma non la fede)

© Tony Antoniou

Cerco dunque credo? Si intitola così l’atteso volume che uscirà a fine marzo, curato da Paola Bignardi e da Rita Bichi per i tipi di Vita e Pensiero.

La pubblicazione, che si preannuncia corposa, presenta i risultati della ricerca sui “giovani in fuga” svoltasi nel 2023, promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano, a cui ha collaborato anche la Facoltà teologica del Triveneto.

Ulteriori dati dell’indagine sono stati anticipati da Paola Bignardi, intervenuta nell’incontro con i docenti delle aree di filosofia e teologia svoltosi nella sede della Facoltà a Padova nella mattinata di mercoledì 8 febbraio 2024.

Contemporaneamente si sono incontrati anche gli altri docenti, per un totale di circa novanta persone, espressione della didattica e della ricerca della Facoltà.

Perché si allontanano dalla Chiesa
Rivolgendosi ai filosofi e ai teologi, Paola Bignardi ha sintetizzato i risultati della ricerca in dieci punti, concentrando l’attenzione su due di essi: le diverse tipologie di allontanamento e la trasformazione dell’esperienza della fede in spiritualità.

Sono state identificate sei tipologie di allontanamento: allontanamento evolutivo (l’esperienza del catechismo da ragazzi li ha convinti che quello che hanno imparato di religioso è “cosa da ragazzi”, per cui è trascurabile diventando adulti); allontanamento per disinteresse (nessun interessamento vero la dimensione trascendente); allontanamento esistenziale (a fronte delle domande di senso della vita, la proposta religiosa non ha dato una risposta soddisfacente); allontanamento critico (presa di distanza verso la formazione cristiana, soprattutto rispetto ad alcuni temi morali); allontanamento maturativo (vissuto per scelta, per onorare la propria intelligenza, la propria inquietudine, il proprio comprensibile scetticismo); allontanamento “arrabbiato” (la Chiesa li ha delusi e non vogliono più avere contatti con il mondo ecclesiale).

Per la maggior parte degli intervistati la presa di coscienza del proprio allontanamento dalla Chiesa avviene tra i 16 e i 17 anni.

La pratica religiosa spesso è stata abbandonata anche prima, in genere dopo la cresima, ma è solo dopo qualche anno che diviene una scelta esplicita e consapevole.

È molto significativo che alcuni di loro si siano allontanati dagli ambienti ecclesiali dopo essere stati impegnati nelle parrocchie come educatori o capi scout, dunque con responsabilità educative e organizzative.

Dopo l’abbandono, l’esperienza di fede diventa “spiritualità”, intesa in molti modi, come, ad esempio: un viaggio alla ricerca di sé stessi, avere un centro, farsi delle domande, fare spazio all’ascolto dell’ignoto, fare introspezione.

Non rifiuto ma ricerca
I giovani parlano per immagini, non per concetti. Una ragazza si rappresenta con un’immagine efficace: «Mi sento come in una stanza buia in cerca dell’interruttore». Un altro descrive così il suo abbandono della Chiesa, ma non della fede: «Non mi ritengo ateo, non mi ritengo una persona che non crede più in Dio, che non ha un lato spirituale; semplicemente non penso che quello sia il mio modo di pregare, di essere parte, di dimostrare il mio lato spirituale, perché è una cosa che io vivo più come una cosa individuale, più come una cosa relativa a me e non a un gruppo di persone. Alla fine, mi ritrovavo sempre a ripetere le solite preghiere un po’ a pappagallo perché tutti le dicevano e a non crederci davvero».

Queste narrazioni esprimono una metamorfosi del credere, cioè una trasformazione dell’esperienza religiosa in navigazione solitaria, una fede molto intima e sostanzialmente personale, a tratti individualistica.

Di queste diverse trasformazioni dell’esperienza della fede in spiritualità ne sono state evidenziate in particolare tre: interiorità, natura e connessione.

Interiorità, intesa come incontro con il proprio io profondo, con i dubbi e con le domande più scomode.

Natura, intesa come “luogo” della spiritualità, contesto in cui immergersi per recuperare una forma di contatto con Dio. La creazione continua a essere “via” che conduce a Dio.

Infine, connessione, intesa non come legame, ma come un processo; è il sentire che la propria vita non è gettata nel mondo, abbandonata alla propria solitudine, ma è in relazione a “qualcosa” o a “qualcuno”, indeterminato o personale, altro o Altro.

Questa esperienza di “connessione” si pone agli antipodi della religione istituzionale perché la Chiesa – dicono questi giovani – fa come “da filtro” e non permette di sperimentare il legame in quanto troppo rigida, perché in essa è già tutto precostituito.

Questa accurata esplorazione nel mondo giovanile, realizzata a dieci anni di distanza dal volume intitolato Dio a modo mio (2013), conferma che è in atto un mutamento antropologico molto profondo.

Le trasformazioni in atto nel modo di vivere l’umano rendono sempre più necessario il superamento dello schema interpretativo Chiesa-mondo, tipico delle costituzioni conciliari, a favore di un approccio più antropologico alle questioni religiose, intese come rapporto diretto tra Vangelo e uomo.

Tale spostamento si colloca nel quadro generale del processo di reinterpretazione del cristianesimo nell’attuale contesto culturale e sociale e lascia aperte molte domande. Di fatto, con le varie forme di “allontanamento”, i giovani chiedono alla Chiesa una maggiore affidabilità e coerenza con l’originaria esperienza evangelica. Sperando che non sia ormai già troppo tardi.

settimananews