Il papa, l’Ucraina, la “bandiera bianca”

di: Daniele Menozzi settimananews.it
papa francesco
AP Photo/Alessandra Tarantino (Associated Press / LaPresse)

Papa Francesco ha rilasciato un’intervista alla Radio Televisione Svizzera che andrà in onda il 20 marzo. Ne sono però stati anticipati i brani relativi all’atteggiamento del pontefice verso le guerre attualmente in corso. Ha così suscitato ampio clamore mediatico – con relative polemiche – il brano a proposito del conflitto in Ucraina. Il sito vaticano ha quindi ritenuto opportuno riportare il testo integrale dell’intervista.

La trasmissione – dedicata al colore bianco – ha sollecitato Bergoglio a esprimere sotto diversi profili (il valore del bianco per la Chiesa, il significato delle macchie sul bianco, le ragioni dell’abito bianco del papa, ecc.) le sue valutazioni sul tema. In questo quadro l’intervistatore ha posto la questione della «bandiera bianca»: alzarla in Ucraina significherebbe legittimare la prepotenza del più forte? Francesco ha osservato che si tratta di «una interpretazione». Chi la alza, per avviare un negoziato «con l’aiuto delle potenze internazionali», compie un atto non di resa, ma di coraggio, nel caso in cui la popolazione coinvolta nel conflitto si trovi in condizioni catastrofiche.

Interpretazioni
Di fronte alle domande dei giornalisti, la Sala stampa vaticana ha poi precisato che il papa intendeva invitare alla tregua e alla ricerca della pace attraverso le vie diplomatiche. Le parole del portavoce vaticano manifestano la posizione ufficiale della Santa sede. Ma è evidente che non corrispondono esattamente alle espressioni usate dal pontefice. Non a caso le interpretazioni dell’intervista si sono orientate in diverse direzioni.

Alcuni hanno fatto riferimento alla visione geopolitica del pontefice. Staccandosi da un Occidente in cui il cattolicesimo è in regresso e volgendosi in particolare verso l’evangelizzazione della Cina, Francesco si allinea alla posizione dei numerosi paesi, che, senza approvare l’attacco della Federazione russa, disapprovano la linea tenuta dalla NATO sul conflitto nell’Europa orientale.

Altri hanno ritenuto che si trattasse di un rilancio dell’istanza di protagonismo politico della Chiesa cattolica sulla scena internazionale. Il tentativo di mediazione – che aveva trovato espressione nella nomina di un inviato speciale del papa presso le capitali interessate al conflitto – aveva certo ragioni umanitarie, ma al contempo collocava Roma al vertice della politica mondiale. Dopo il fallimento di quell’iniziativa, l’odierna proposta di un negoziato appare un’autocandidatura a quel ruolo cui le Nazioni Unite si sono mostrate inadeguate.

Altri ancora hanno pensato a un infortunio diplomatico, che l’intervento della Sala stampa vaticana ha poi corretto. Non sarebbe del resto la prima volta. Il 25 agosto 2023, al momento di ricevere un gruppo di giovani cattolici russi, Francesco ha ricordato come carattere identitario del loro paese la costruzione dell’impero russo di Pietro il Grande e Caterina II.

Come si è subito fatto notare, da quel discorso discendeva la legittimazione delle conquiste russe in Europa orientale ed in particolare giustificava il nazionalismo russo, che, a differenza di quello occidentale, non si basa sul popolo, ma sullo spazio.

In linea col pontificato
Ci si può tuttavia chiedere se non esista una diversa interpretazione che, collocando le parole di Francesco nell’itinerario delle sue prese di posizione su pace e guerra, non sia in grado di fornirne una lettura coerente con la linea complessiva del pontificato. A questo proposito conviene seguire, sia pure sinteticamente, lo svolgimento delle sue prese di posizione.

Dopo l’ascesa al governo della Chiesa universale, Bergoglio ha preso atto di quanto la teologia morale aveva ricavato dal Catechismo universale della Chiesa cattolica pubblicato nel 1997. Le condizioni poste per l’unica guerra qui presentata come moralmente lecita – quella per la legittima difesa – erano talmente rigide che ormai era impossibile ritenere eticamente giustificabile il ricorso alle armi in qualsiasi forma. Francesco ha quindi proclamato che davanti a un conflitto, l’atteggiamento evangelicamente corretto per un credente è la «nonviolenza attiva».

Questo atteggiamento richiede ovviamente un’adeguata costruzione di strumenti di intervento popolare perché, davanti al profilarsi di un’aggressione armata, sia possibile mettere in campo un’azione efficace. Si tratta infatti di spezzare il circolo vizioso della violenza bellica senza per questo consentire alla forza di prevalere sul diritto. Il mondo cattolico non ha fatto granché in questo ambito. Si è così mostrato del tutto impreparato al momento in cui si è profilata nel febbraio 2022 la violazione del diritto internazionale con l’aggressione della Federazione russa all’Ucraina.

Francesco ha allora preso atto di questa situazione. Ha esplicitamente rinviato al successore la pubblicazione di un’enciclica sulla nonviolenza attiva, ha ribadito la necessità di rivedere una ormai inservibile teologia della guerra giusta e ha sottolineato che, intanto, non si poteva fare altro che ricordare la liceità morale della legittima difesa.

Un attacco militare che salta i canali negoziali per risolvere le vertenze è sempre eticamente inaccettabile. Ma il criterio fondamentale per giudicare la liceità morale della legittima difesa è la proporzionalità: il male cui si vuole porre rimedio con il ricorso alle armi deve essere inferiore al male che si provoca con la loro utilizzazione. Mi pare che le parole di Francesco trovino qui la loro ovvia spiegazione.

Interrompere il male, aprire un negoziato
Nell’intervista il papa ha ricordato che la guerra è sempre e comunque una «pazzia». Ha aggiunto che tutti gli attuali governanti, per quanto consapevoli di questa deriva irrazionale, non sono in grado di resistere alle pressioni della spasmodica ricerca del profitto attraverso la continua produzione di armi. In questo contesto ha posto il problema dell’applicabilità del canone della legittima difesa alla guerra in corso nell’Europa orientale.

Le tragiche condizioni della popolazione ucraina – a più riprese caratterizzate dal papa attraverso l’impego del vocabolario del martirio – lo hanno indotto a chiedersi se esista ancora proporzionalità tra il male della resistenza armata e il male dell’invasione russa. La risposta del papa è negativa. A questo punto si può richiamare una successiva risposta all’intervista della Radio Televisione Svizzera.

Alla domanda del rapporto del papa con l’errore, Bergoglio ha osservato che tutti facciamo errori in quanto siamo tutti peccatori. Del resto in altre occasioni il papa ha ammesso che di aver dovuto correggere asserzioni sbagliate. Sembra si possa dunque ricondurre anche il giudizio sulla proporzionalità dei mali nella guerra in Ucraina a una valutazione contingente che può essere rivista.

Per il momento, sulla base delle informazioni in possesso del papa, resta la sua considerazione che non sussistono più i presupposti circa la moralità della guerra di legittima difesa. Ciò non vuol dire una legittimazione dell’aggressione russa e tanto meno una resa all’invasore. Bergoglio ha chiaramente detto che occorre un’iniziativa internazionale per avviare un negoziato, che ponga termine alle sofferenze della popolazione.

Una volta raggiunta questa condizione essenziale, toccherà alle trattative stabilire le condizioni per una coesistenza in cui dirimere le varie questioni politiche sul tappeto. Il punto cruciale è l’interruzione di un male sproporzionato al ripristino con la forza delle armi del diritto violato. Il nuovo ordine internazionale, giuridicamente garantito dalle potenze promotrici del negoziato, sarà frutto del dialogo.

Se le cose stanno così, come sembra di poter arguire dal cammino compiuto da Bergoglio sul tema della guerra e della pace, si può replicare a quanti dubitano, già preparando il conclave, delle sue condizioni di salute con una sua frase: si governa la Chiesa con la testa e non con le gambe.