Una vigna, il padrone, i vignaioli. Sono questo i protagonisti di un racconto che vuole aiutarci a leggere nella fede la storia del popolo di Dio. Anzitutto il rapporto padrone-vigna viene presentato come un rapporto di appartenenza totale; non solo il padrone ha piantato la vigna, ma ha compiuto una serie di interventi positivi: siepe, frantoio, torre. Possiamo immaginare che le azioni siano anche state altre (prima lettura), in ogni modo il padrone ha mostrato interesse, premura, azioni efficaci per la sua vigna. Troviamo un'eco nella parabola (con tratti allegorici) di Is 5 che ci aiuta anche a cogliere l'aspetto affettivo del rapporto del padrone con la vigna: "canterò per il mio diletto un cantico d'amore per la sua vigna". Non si tratta solo di rapporto di possesso ma anche di un rapporto d'amore; la vigna assume i caratteri della persona amata. Nel testo di Is segue immediatamente la delusione del "diletto": "egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". All'azione premurosa corrisponde un risultato deludente. E' così anche nel vangelo solo che anzichè essere la vigna a deludere, sono coloro cui la vigna è stata affidata che cercano di tenere per sè, quasi fosse diventata loro proprietà, i frutti del raccolto, arrivando persino a compiere nefandezze e ad uccidere il figlio del padrone. Non hanno però messo in conto che il padrone rimane padrone e possa tornare a riprendersi ciò che gli appartiene. Hanno pensato sconsideratamente che la lontananza del padrone li mettesse al sicuro da ogni verifica. L'allegoria è assai chiara: noi siamo la vigna del Signore che deve produrre buoni frutti in risposta alla sua cura ed al suo amore; la sua lontananza non ci deve far pensare che non ci sia un suo ritorno ed una richiesta dei frutti raccolti.
don Fabrizio Crotti