Benedetto XVI L’INTERVISTA INEDITA DEL 1988 Quando paragonò il Concilio a un’esplosione «Ecco come ha cambiato il volto della Chiesa»

Benedetto XVI: "Vi racconto il mio Concilio" - La Stampa

Pubblichiamo un ampio stralcio dell’intervista, inedita in Italia, che l’allora cardinale Joseph Ratzinger prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede concesse nel 1988 a Manfred Schell per il quotidiano tedesco Die Welt. Il testo completo comparirà nel nuovo volume dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger curata dalla Libreria Editrice Vaticana.

Signor cardinale, quanto accade intorno all’arcivescovo Lefebvre è una questione significativa anche per lo spazio di lingua tedesca. Come giudica la pretesa formulata di volere salvaguardare il complessivo e intatto deposito della fede?

Sino ad oggi ogni Concilio ha suscitato reazioni avverse, perché ogni Concilio pone degli accenti diversi e gli uomini se ne sentono coinvolti, si oppongono a essi. In questo senso, da un punto di vista storico, la nascita di questa opposizione rappresenta un processo assolutamente normale. A riguardo bisogna considerare che lo spettro dell’opposizione formatasi a partire dalla tradizione è abbastanza ampio e complesso. Si va dai gruppi quasi settari ad altri gruppi fortemente fanatici che contestano al papa la sua legittimità sino a credenti che vivono fedelmente all’interno della Chiesa pur provando un certo disagio.

In questo quadro qual è il peso di Lefebvre?

Senza dubbio Lefebvre ha costituito l’organizzazione maggiormente solida dal punto di vista giuridico e teologico che ha sempre custodito la propria sobrietà, non ha cioè nulla a che fare con le apparizioni o altre forme simili di devozione particolare. Si è invece sempre attenuto alla teologia preconciliare, acquisendo così una consistenza che ha un grande peso giuridico e fattuale su cinque continenti.

Lefebvre è l’interlocutore più serio. La pretesa che solo lì la fede sia preservata nella sua interezza corrisponde a quello che quel gruppo pensa di se stesso. La Chiesa con il suo magistero non può accettare un’esclusività di questo tipo. Sempre la Chiesa nel suo insieme, con il papa e i vescovi, deve essere il luogo della vita credente e nel suo insieme impegnarsi a custodire e mantenere viva e attuale la fede sia nella sua originalità quanto nella sua pienezza. Penso che debba soprattutto essere raggiunta un’intesa sul fatto che può aversi fede intera solo nell’unità con la Chiesa.

Lei è fiducioso che si possa arrivare a un’intesa con Lefebvre?

Non bisogna mai rinunciare alla speranza.

Appena trentacinquenne lei è stato, insieme a Küng e al molto più anziano Rahner, perito conciliare di personalità del calibro del cardinale Frings. Rahner è morto. Küng è considerato il figliol prodigo della Chiesa. Lei è a capo della Congregazione per la Dottrina della fede. Il Concilio Vaticano II e le sue conseguenze è ancora il suo tema. Il Concilio ha mutato il volto della Chiesa? Un pezzo di identità cattolica è andato perduto?

Il volto della Chiesa è certamente munon tato, basti pensare all’ampiezza della riforma liturgica. Si è avuta una serie di rilevanti cambiamenti, simile a una catena di esplosioni. La grande controversia riguarda proprio la questione se questa trasformazione abbia intaccato anche l’identità. Ora l’identità non è statica, ogni generazione deve riconquistarla, e questo vale soprattutto per i tempi di crisi. Se si pensa all’illuminismo europeo o anche alla Rivoluzione industriale del XIX secolo si vede come anche la Chiesa dovette sempre di nuovo ricercare la propria identità attraverso profondi processi di rinnovamento. Dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo sperimentato una trasformazione del mondo che è più radicale dei rivolgimenti di allora e che ha persino assunto la forma di una rivoluzione culturale. Con nuovi mezzi di comunicazione di massa, nuovi mezzi di trasporto e nuove innovazioni tecnologiche il sostrato spirituale delle società si è notevolmente trasformato. È del tutto evidente che in questo processo di fermentazione la Chiesa stessa dovette manifestarsi affermarsi in modo nuovo.

È una trasformazione che fu resa più difficile dal fatto che da un lato gli antichi fattori identitari sembravano vacillare, ma d’altro era percepibile un dinamismo dell’affermazione della propria identità che scaturiva dal di dentro. Questa lotta per l’identità è conclusa, ma è in pieno svolgimento.

Lei stesso ha affrontato molte cose con occhio critico. Una volta ha paragonato il post-Concilio a un cantiere. La Chiesa ha forse smarrito il piano di costruzione?

No, non direi. Si tratta semplicemente di usare più comunione e ridurre l’individualismo e l’egoismo di gruppo. In un tempo in cui la “capacità di fare” è parte integrante del principale modello di comportamento c’è anche la tentazione di dire: bene, rimbocchiamoci le maniche e facciamo la Chiesa. La Chiesa però non dev’essere fatta, ma vissuta.

La critica per cui il Vaticano II si sia svolto in modo troppo unilaterale è evidente. Ma l’accusa di unilateralismo è interpretata diversamente a seconda che provenga da teologi conservatori o progressisti e alla fine c’è la comune richiesta di un nuovo concilio di cui la Chiesa avrebbe bisogno. Ha bisogno di un nuovo Concilio?

La questione di un nuovo concilio non è attuale. E già solo per il fatto che dobbiamo ancora lavorare su quello che ci ha dato l’ultimo concilio. Un concilio rappresenta una grande sfida per la Chiesa. Molto è messo in movimento e messo in crisi. A volte un organismo necessita un’operazione ma poi ha bisogno del tempo per rigenerarsi e delle normali cure. Chiesa e concilio sono in un rapporto simile.

Peraltro, disponiamo della forma del Sinodo dei vescovi che in un modo meno esigente aiuta a realizzare una forma di vita comunionale nella Chiesa ed una comprensione condivisa sul cammino successivo in essa. È questa la strada giusta: integrare l’eredità del Vaticano II nella storia complessiva. Non abbiamo bisogno di sempre nuovi programmi, ma soprattutto anche serenità interiore.

Cosa, dalla sua prospettiva, bisognerebbe conservare del Concilio, cosa rivedere e cosa maggiormente accentuare?

Innanzitutto, molto semplicemente è valido tutto quello che dicono i testi vincolanti del Concilio, e che alla lunga ancora non è stato valorizzato del tutto. Se poi nel concreto dovessi evidenziare alcuni aspetti concreti, sottolineerei innanzitutto il rilievo nuovo dato alla Bibbia e alla comune eredità dei Padri; poi la visione dell’uomo personalistica, e inoltre le affermazioni sulla natura della Chiesa; metterei poi in rilievo l’accento posto sull’ecumenismo e infine sull’intuizione fondamentale del rinnovamento liturgico. Per quel che riguarda quest’ultimo punto, bisogna tuttavia dire anche questo: nel concreto la riforma della liturgia non sempre si è realizzata in modo tale che fosse realmente utile alle persone. Giungo così alla seconda parte della Sua domanda. Insieme al grande “sì” riguardo a quello che il Concilio stesso ha voluto, bisognerà comunque riflettere con nuova serietà sugli arbitri compiuti. Al nostro “sì” al mondo dobbiamo aggiungere che il mondo ha bisogno di autocritica, di obiezione critica, che la solidarietà abbia un fondamento critico. Il potenziale critico di cui dispone il cristiano rispetto ai processi deve pienamente operare.

(Traduzione di Pierluca Azzaro)

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