Nel pomeriggio dell’8 Settembre 2019 si Celebra la S. Messa in Ghiara alle ore 18. In mattinata S. Messe confermate. Pomeriggio sospese

Nel pomeriggio dell’8 Settembre 2019 si Celebra la S. Messa in Ghiara alle ore 18; tutte le altre messe sospese per partecipare o seguire la S. Messa con il Vescovo.
Dalle ore 18, in diretta dalla Basilica della Ghiara a Reggio Emilia, il Centro Comunicazioni sociali della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla trasmette in diretta la celebrazione eucaristica di apertura del nuovo anno pastorale. La Messa è presieduta dal Vescovo Massimo Camisasca.

Sinodo per l’Amazzonia: una mostra per raccontarlo

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Sono settimane caldissime per l’Amazzonia, scossa dall’emergenza incendi che ha portato le sue ferite all’attenzione del mondo. Ma per aiutare davvero la grande foresta non basta l’indignazione: occorre prima di tutto conoscere le sue storie e accompagnare i suoi popoli.

È lo spirito del Sinodo convocato da Papa Francesco sul tema «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» che si terrà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre. Un evento per accompagnare il quale il Centro missionario Pime di Milano ha ideato una MOSTRA ITINERANTE a disposizione per iniziative di animazione in diocesi, parrocchie e gruppi missionari.

La mostra «Il grido dell’Amazzonia», racconta perché la grande foresta è un tesoro prezioso e le sfide che oggi si trova ad affrontare; unendole alle storie di alcuni testimoni che hanno donato la vita per questa regione e ai temi che saranno al centro del Sinodo.

Alziamo la testa dai telefonini e guardiamo più in alto

Non è facile decidere quali notizie fra quelle che il mondo ci trasmette ogni giorno e ogni minuto possano interessare chi si trova a leggere queste righe. Penso quanto fosse più facile fare il lavoro del giornalista quando i mezzi moderni di trasmissione non avevano rubato anzitempo gli ultimi fatti su cui dare notizia e regalare al lettore un tempo più lento per meditare. Oggi e sufficiente avere un telefonino, anche il più modesto per rendere quasi inutile comperare il giornale del giorno e questo obbliga i quotidiani a rendere le proprie pagine interessanti non tanto ragionando sui fatti del momento quanto cercando nella vita dell’uomo le difficoltà da superare ogni giorno. Le grandi scoperte in quel universo del quale abbiamo finalmente capito di essere una minuscola parte, ci lasciano stupiti per un primo tempo. Poi ormai decisi ad andare avanti anche senza una idea di quanta fatica e quanto lavoro questa strada comporti all’uomo siamo capaci di immaginare viaggi quasi turistici. Naturalmente questi da offrire a prezzi i cui zeri oggi, non sono ancora leggibili. Allora non siamo più capaci di meraviglia? Perduta la misura del metro che finora aveva regolato la vita di ogni giorno ed ogni novità sulla terra in quali mezzi di misura ragioneranno le prossime generazioni? A chi verrà attribuita l’immensità dei mondi che in un silenzio, che per ora crediamo infinito, compone spazi che ancora non sappiamo leggere perché al di fuori della nostra misura. E poi l’uomo ancora legge e scrive secondo una misura da lui stesso creata, e fino a quando i nostri numeri sosterranno quella immensità di tempo e di luogo che appena abbiamo intravisto? E la nostra mente come riuscirà a mettersi nella nuova prospettiva di quell’universo che credevamo fosse come una splendida coperta di stelle a ripararci da ogni male? E cantavamo di paradisi e di dei a seconda di una fede piccola, che ci era sufficiente misurare con il nostro metro di casa e che cercavamo di rinchiudere in quattro mura decorate per averli vicino. Il nostro mondo che vive di piccoli e grandi litigi, che oscura la bellezza e la profondità dei nostri giorni vissuti su questa terra con inutili lotte di parole e di sfide di grandezza e di potenza, quando guarderà più in alto, quando scoprirà la sua reale misura nei confronti di quel cosmo che lentissimamente andiamo scoprendo? Quando aiuteremo i nostri giovani e non accontentarsi del poco che la società oggi sembra offrire per aiutarli, invece di mettere i loro piedi sulla strada delle scoperte, delle curiosità, dello studio di quei mondi senza misura che abbiamo attorno e che ci richiama alla ragione del nostro nascere e crescere, per lasciare poi ad altri quella parte di strada comune dove era stato toccato camminare per un poco anche a noi.

Avvenire

Don Manenti, prete e psicologo

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don Manenti

Fabrizio Rinaldi, che ha inviato questo scritto sulla figura e sul pensiero di don Alessandro Manenti, è direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose dell’Emilia e docente di Antropologia teologica, di Escatologia e di Cristologia.

Martedì 27 agosto è morto don Alessandro Manenti, presbitero della diocesi di Reggio Emilia, psicologo e psicoterapeuta, docente, accompagnatore, collega e carissimo amico. Chi ha avuto il dono e il piacere di conoscerlo sa che non è possibile in poche righe descrivere la complessità di una figura così poliedrica.

Riservato sulla sua vita personale, Manenti preferiva non si parlasse tanto di lui anche in ambito pubblico quanto piuttosto delle prospettive di vita e di pensiero che si aprivano attraverso i numerosi e intensi dialoghi che intratteneva.

Ho deciso dunque di tratteggiare qualche aspetto della sua persona a partire da alcuni dei suoi scritti più significativi, ammettendo fin da subito l’inevitabile incompletezza di questa operazione.

Il pensare psicologico. Aspetti e prospettive (1996)

Don Sandro ha sempre cercato di promuovere un dialogo interdisciplinare, chiamando in causa diversi orientamenti di psicologia, spiritualità e formazione. Questa ricerca si è declinata costantemente nella sua vita sia sul piano teorico (convegni, pubblicazioni, fondazione dell’Istituto per formatori e della rivistaTredimensioni) sia in quello pratico, e lo ha portato, tra le altre cose, a collaborare in modo stabile con la scuola di psicoterapia adleriana di Reggio Emilia.

Dopo anni di esperienza in questo campo, ne Il pensare psicologico, don Sandro delinea una proposta epistemologica per la psicologia: fedele al proprio metodo empirico, essa deve partire dal vissuto delle persone, sviluppare modelli concettuali per comprenderlo e aiutare i soggetti nelle loro difficoltà. Ma, proprio quando la persona è più libera da condizionamenti vari (ideologie, esperienze del passato, pressioni ambientali), le domande esistenziali si fanno più profonde e intense: non più preoccupato di risolvere i problemi contingenti, il soggetto si interroga su cosa fare della propria libertà e della propria vita.

La psicologia non può offrire una risposta a partire da costruzioni teoriche (altrimenti perde la sua specificità diventando una sorta di filosofia) ma deve rimanere accanto al soggetto e valutare, con il suo metodo empirico, la bontà delle sue risposte.

La psicologia si trova, quindi, a delineare linee di antropologia, constatando come alcune scelte portano la persona a chiudersi progressivamente alle relazioni e fanno come appassire la vita, altre invece promuovono uno sviluppo ulteriore, una maggiore disponibilità all’incontro e una creatività nel dare forma alle proprie intuizioni.

A questo livello la psicologia si ritrova, in ultima istanza, a dialogare con le discipline che si occupano di chi è l’uomo e di quale sia una vita bella e buona, e può portare un contributo significativo a patto di entrare in questo dialogo rimanendo fedele al proprio metodo.

Vivere gli ideali /1. Tra paura e desiderio (1988)

Una delle attività principali di don Sandro, che ha condotto con immutata passione anche negli ultimi anni di vita, è stata quella di accompagnare il cammino di crescita delle persone.

La sua prospettiva interdisciplinare ha sempre cercato di aiutare il soggetto a coniugare insieme il proprio vissuto con una prospettiva di senso aperto alla trascendenza che, per i cristiani, trova forma e compiutezza nella relazione con Cristo.

Nel testo Vivere gli ideali egli descrive alcune prospettive riduttive a cui va incontro la vita spirituale quando prevalgono nel soggetto la noia, la paura o il senso del dovere.

Ma il centro del libro ruota intorno al concetto che seguire il Dio cristiano non è fare un patto di interesse quanto piuttosto accettare una logica che supera la propria e che può apparire azzardata e quasi assurda. Il soggetto che prende seriamente sia il proprio vissuto sia l’annuncio del Vangelo si trova prima o poi a un “punto critico” nel quale sperimenta come Dio non garantisce di proteggere la sua vita da imprevisti e sofferenze. Anzi, lo invita a una relazione così stretta con Sé da richiedere una «rinuncia all’autogestione» della propria vita, una donazione radicale che può portarlo fin sulla croce.

È in questo passaggio critico che si infrange la religiosità funzionale (Godin) e che il soggetto può fare un atto di fede profondo, un «colpo di testa fatto con cuore» che supera la logica del tornaconto e che cambia radicalmente la sua prospettiva esistenziale.

Coppia e famiglia. Come e perché (1993)

Don Sandro si è molto speso non solo nell’accompagnamento di singoli ma anche di coppie, famiglie e gruppi. Per diversi anni è stato anche direttore del consultorio familiare della diocesi di Reggio Emilia.

In un continuo intreccio tra riflessione ed esperienza di accompagnamento, egli ha individuato una proficua convergenza tra l’approccio psicologico di tipo sistemico e la visione del matrimonio trasmessa e proposta dalla Chiesa cattolica. In entrambi i casi al centro dell’attenzione non c’è una persona, ma la relazione tra le persone ed è questa relazione che deve crescere e maturare affinché la famiglia possa vivere la sua vocazione.

Sempre a partire dai vissuti concreti, è possibile riconoscere uno stile tipico di quella specifica famiglia, un modo abituale di rapportarsi alle novità e ai problemi che si presentano e che coinvolge la famiglia tutta, intesa come un insieme.

Questa modalità comune e condivisa, più o meno consapevolmente, dai singoli membri (il come) può essere esplicitata, criticata, rivista e soprattutto confrontata con quello che le persone realmente desiderano per la propria famiglia (il perché).

Anche in questo caso più le domande diventano esplicite, intense e, al tempo stesso, capaci di toccare la vita concreta, affettiva e relazionale della famiglia e più “il vangelo del matrimonio” diventa capace di sprigionare la sua forza attrattiva e salvante.

Vivere gli ideali/2. Tra senso posto e senso dato (2004)

Scritto a 16 anni di distanza rispetto a Vivere gli ideali/1, questo testo ne riprende i contenuti di fondo ma attraverso una prospettiva ben diversa.

Don Sandro è stato molto attento a cercare e a creare spazi di dialogo e di confronto anche con il mondo e con il pensiero di persone non credenti purché aperte a condividere una ricerca di maggiore verità e comprensione.

Tra le tante persone accompagnate da don Sandro non si contano solo seminaristi, suore o famiglie, più o meno in crisi. Ci sono anche laici, imprenditori, uomini e donne che avvertivano l’esigenza di approfondire la conoscenza di sé e di affrontare più consapevolmente le domande che la vita suscitava loro.

Al tempo stesso, don Sandro ha sviluppato il dialogo con il mondo “laico” attraverso convegni, collaborazioni e dialoghi con esperti di altre discipline (es. diritto civile e canonico) e con discipline affini ma con orientamento diverso (come la scuola di psicoterapia adleriana).

Nel testo Vivere gli ideali/2, don Sandro descrive la vita interiore del soggetto in termini esplicitamente relazionali, comprendendo l’uomo come un essere in continuo dialogo con la vita e il suo mistero.

Anche il linguaggio utilizzato è volutamente molto laico, alternando capitoli più tecnici (come quello sul circolo ermeneutico) a capitoli più evocativi e descrittivi. Infatti – ricorda don Sandro – non è necessario conoscere le leggi della fisica per capire se il proprio termosifone in casa funziona o è rotto. È sufficiente appoggiare la mano e sentire se è caldo. Così anche “l’uomo comune” non deve essere necessariamente esperto di psicologia o di teologia ma, se diventa attento al proprio vissuto, si accorge se il suo dialogo con la vita e il suo significato sta funzionando o meno.

Comprendere e accompagnare la persona umana (2013)

Don Sandro non è mai stato un pensatore sistematico, il suo scopo non era realizzare un sistema concettuale ben definito in tutti i suoi aspetti quanto piuttosto aprire prospettive, domande, orizzonti nuovi di significato.

Questo testo riprende molte intuizioni maturate in anni di colloqui formativi e di confronti tra colleghi. Come al solito, però, egli non si limita a suggerire “tecniche” ma sviluppa riflessioni che vanno a toccare la concezione stessa di persona umana. Per questo egli insiste a più riprese sulla «dialettica di base», una visione antropologica che intende la persona come un essere costitutivamente sbilanciato verso il trascendente eppure mai capace di realizzare in pieno questa sua propensione. Fedele al cielo ma anche fedele alla terra, solo così l’uomo può vivere con passione la sua vita e i suoi desideri più profondi.

È questa visione che attraversa tutti gli scritti di Manenti e che si sviluppa in molteplici risvolti e prospettive sia psicologiche sia educative e, infine, spirituali.

Tredimensioni

Da poco terminato come studente l’Istituto di psicologia della Pontificia Università Gregoriana, don Alessandro intuì l’importanza di rendere più diffuse e accessibili tante competenze interdisciplinari che realmente possono far fare un salto di qualità ai percorsi formativi dentro e fuori la Chiesa.

Questa intuizione si concretizzò in varie forme, tra le quali l’apertura della collana “Psicologia e Formazione” (edita dalle Dehoniane di Bologna) insieme ad Amedeo Cencini, la fondazione di una Scuola per formatori divenuta negli anni un Istituto superiore per formatori affiliato alla stessa Università Gregoriana.

Nel 2004 inizia anche la rivista Tredimensioni che, espressione dell’Istituto per formatori, si propone di rilanciare continuamente il dialogo e l’integrazione tra psicologia, spiritualità e formazione.

Don Alessandro ha iniziato molti percorsi e ha sempre cercato di rendere persone e istituzioni autonome dalla sua figura. Non attaccato ai ruoli, negli ultimi anni ha progressivamente lasciato tutti i ruoli di direzione e di docenza che rivestiva presso vari enti accademici.

In occasione del suo 70° compleanno e con la fine del suo ruolo di direttore della rivista, Tredimensioni gli ha dedicato un intero numero, non per celebrare la sua persona ma per rilanciare alcune delle sue prospettive di pensiero più promettenti.

Per motivi organizzativi, il numero è uscito nel 2019 pochi mesi prima della sua morte. A quello rimandiamo chi vuole conoscere meglio la sua figura e il suo pensiero.

settimananews

Riscoperte. Chiaromonte, storia di un’eresia controvoglia

Il critico Filippo La Porta nel suo ultimo saggio indaga la vita e l’opera di uno dei più misconosciuti e interessanti intellettuali del ’900, assai affine a Pasolini
Nicola Chiaromonte, filosofo e politico nato a Rapolla (Potenza) nel 1905, morto a Roma nel 1972

Nicola Chiaromonte, filosofo e politico nato a Rapolla (Potenza) nel 1905, morto a Roma nel 1972

da Avvenire

Basta leggere la Nota biografica che apre l’ultimo libro di Filippo La Porta,Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà(Bompiani. Pagine 144. Euro 11.00), per rendersi conto di quanto intensa e ricca, di quanto libera e privilegiata – seppure votata a una specie di esilio perenne -, sia stata la vita di questo saggista anomalo: uno dei più singolari del Novecento italiano, ma anche dei più misconosciuti. Bene ha fatto, allora, La Porta, a erigere non dico un monumento (tantomeno aere perennius), ma almeno una lapide a quello che fu un maestro d’irregolarità, non per niente inscritto dal critico tra tra quelli “disorganici” e “involontari” del secolo scorso, come recita il titolo d’un volume stampato per le Edizioni di Storia e Letteratura meno d’un anno fa. Se si eccettua l’eccellente e frondosa biografia di Cesare Panizza pubblicata da Donzelli nel 2017, non abbiamo quasi nulla di organico e articolato sulla vita e l’opera di questo intellettuale militante, ma disingaggiato, che oggi, in tempi di macerie ideologiche, possiamo avvertire quale fraterno interlocutore: dico il sodale di Ignazio Silone non di rado vituperato dalla sinistra ufficiale – col quale fondò una rivista indimenticabile come Tempo presente, che durò dal 1956 al 1968 e che ebbe tra i collaboratori parte della migliore giovane intelligenza italiana: da Leonardo Sciascia a Alberto Arbasino, da Elémire Zolla a Vittorio Gorresio, solo per dire di nomi che testimoniano d’una disposizione sempre plurale, dell’assoluta mancanza di pregiudizi dei due direttori.

Dicevo della biografia di Chiaromonte (il lettore appassionato di Platone, Proudhon, Herzen, Tolstoj): che lo vede, lui nato il 12 luglio 1905, formarsi a Roma sino al 1934 (per riapprodarvi definitivamente nel 1953), poi esule antifascista in una Parigi che lascia nel 1941, per tornarci però nel 1949, dopo un lungo soggiorno newyorkese. Chiaromonte, consumata un’iniziale infatuazione dannunziana, diventa discepolo di due maestri eccentrici come Adriano Tilgher (che nel 1925 aveva osato dare alle stampe Lo spaccio del bestione trionfante, stroncatura del pensiero di Giovanni Gentile) e di Ernesto Buonaiuti (il prete padre del modernismo poi scomunicato), i quali, in qualche modo, gli prepararono una strada altrettanto solitaria, mentre guadagna subito l’amicizia del socialista Andrea Caffi (pacifista intransigente e irriducibile critico dell’Unione sovietica) e di Mario Pannunzio, di Alberto Moravia e del critico letterario Paolo Milano, ma l’omicidio Matteotti lo costringe presto a un avvicinamento a Piero Gobetti e poi, negli anni Trenta, alla cospirazione antifascista nei gruppi di Giustizia e Libertà.

Senza dire della partecipazione, nel 1936, alla guerra di Spagna, quando s’arruola nella leggendaria squadriglia aerea di André Malraux. Fondamentale poi l’amicizia con il simpatetico Albert Camus, che conosce ad Algeri nel 1941, ma va anche ricordata quella con Leo Valiani e Aldo Garosci, che incontra per la prima volta a Casablanca. Vorrei sottolineare l’importanza del capitolo in qualche modo fondativo intitolato La passeggiata di Nicola. Mi convince molto -e mi piace assai – questo Chiaromonte che ciondola di mattina, si dissipa e fa pigre soste tra via Po e Villa Borghese, tra una luminosa via Veneto (così lontana da quella notturna e felliniana) e Piazza Fiume. Vi ritrovo quasi la traduzione in biologia di quella disposizione, solo apparentemente divagante, del personal essay caro a La Porta – che nasce con Montaigne, ma che si nutre soprattutto del senso di responsabilità dell’empiristica e anti-ideologica tradizione inglese – , di cui Chiaromonte ci ha dato testimonianza esemplare, al cui limpido moto argomentativo sapeva assoggettare tutti i temi che gli stavano a cuore. Tra gli altri: il primato dell’etica sulla politica; il continuo senso della “misura”; il dovere di essere sempre se stessi, di essere autentici insomma, anche nell’ineludibile momento di recita sociale; il rifiuto dell’imperativo a essere a tutti i costi moderni (che, contro il diffuso psicologismo, lo porta persino a un’interpretazione non negativa del senso di colpa); l’assoluta non acquiescenza al «mondo com’è»; l’idea di «un’epoca di malafede», ovvero «di credenze mantenute a forza»; un anticomunismo «intransigente e filoatlantico», ma nemico risoluto dell’«egomania» («una nuova barbarie»), e cioè d’una concezione che riduce l’esistenza a mero consumismo; attrazione e insieme repulsione per l’Italia, e decisa avversione per ogni nazionalismo; ma si potrebbe continuare.

Così come mi persuade a fondo – all’incrocio tra pensiero greco classico ed esistenzialismo cristiano-, la definizione che La Porta conia quando vuole restituircene la vocazione autentica, profonda, e parla di ‘umanesimo scettico, malinconico », avversario giurato di quell’«umanesimo fanatico» che è – sono parole di Chiaromonte – «il peggior nemico dell’uomo perché ben deciso a non lasciare in pace nessuno, vista la terribile sicurezza che egli ha di sapere `what is good for you’». Inattuale dentro la più compromessa inattualità, scrittore di idee rigorosamente individuali, chiare e distinte, ancorate all’esperienza e al senso comune, avverse a ogni tipo di assolutizzazione e mitizzazione, Chiaromonte non contrappone un’ideologia a un’altra ideologia, «ma cerca nella letteratura e nel teatro, nel passato culturale (e nella sua alterità), i necessari anticorpi morali». Degna di nota (e del tutto condivisibile) è la presa di distanza di La Porta dal giudizio – a suo dire limitativo di Chiaromonte su Manzoni e dalla avversione di questi sempre più netta nei confronti del cinema, giudicato privo di profondità. Ma se devo segnalare il capitolo più originale e stimolante del libro, non avrei dubbi a indicare quello dedicato al rapporto con Pasolini, due «laici aperti al sacro» «nell’epoca della desacralizzazione», «due reazionari» di sinistra: parimenti eretici.

Società. «Cristiani antidoto al sovranismo, ma anche alla realtà semplificata»

L’arcivescovo di Bologna al seminario di Mcl a Senigallia riprende l’analisi di Costalli: la vera minaccia è la delegittimazione dei corpi intermedi. Associazioni e movimenti devono mettersi in gioco
L'arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi

L’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi

I cattolici sono meno divisi di un tempo in politica e a ricompattarli è l’insofferenza per populisti e sovranisti. Parola di don Matteo: «I populismi seminano il sospetto e creano una post-verità in cui tutto sembra uguale ed invece non lo è. Semplificano la realtà dell’economia, delle famiglie, della povertà, che invece è complessa. Ridicolizzano le istituzioni e conducono al plebiscitarismo…» L’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi – che i fedeli chiamano “don Matteo” da quand’era parroco in Trastevere, prima di diventare vescovo ausiliare di Roma – tra qualche settimana sarà creato cardinale e nella sua prima uscita pubblica dopo la nomina ha descritto l’associazionismo cattolico come una rete alternativa al populismo e al sovranismo.

«Ha ragione Costalli quando dice che la vera minaccia è la delegittimazione dei corpi intermedi, che fanno la fatica di collegare i pezzi dei problemi e cercano di rammendare un Paese lacerato», ha spiegato intervenendo al secondo giorno del seminario del Movimento cristiano lavoratori a Senigallia. Poco prima, e dopo i saluti del vescovo di Senigallia Francesco Manenti e del nuovo assistente nazionale Mcl don Francesco Poli, era intervenuto infatti il presidente di Mcl Carlo Costalli, il quale aveva dichiarato che «negli ultimi anni, con Renzi e fino all’ultimo governo, i corpi intermedi sono finiti sotto tiro, la disintermediazione ha colpito al cuore anche un Paese come l’Italia che ha sempre potuto vantare una presenza e una vivacità della società civile.

La grande trasformazione in cui siamo immersi ha riproposto in modo nuovo la contraddizione della prima modernità, con la destrutturazione dei corpi intermedi verso l’utopia di un mondo interconnesso e disintermediato. I poli di riferimento non sono più lo Stato e il cittadino, ma lo spazio dei flussi e le moltitudini di utenti/clienti. La grande questione dell’essere corpo intermedio nella società liquida, dove massima è la potenza dei mezzi e scarsi sono gli obiettivi, è che senza un forte pensiero di libertà e senza una critica matura verso le promesse di una società accelerata e dell’innovazione come fine, non sarà facile fare i conti con la frammentazione sociale».

L’arcivescovo ha detto che «l’antidoto al populismo, come ci insegna papa Francesco, è l’umanesimo cristiano e la ricostruzione di reti è l’unico modo per affrontare la grande solitudine del nostro tempo. Certo, i corpi intermedi devono ridisegnarsi e imparare ad abbassarsi, come Cristo». Quindi, ha constatato che «oggi nel mondo cattolico si avverte questa esigenza e certi antagonismi del passato sono diventati molto relativi: questa è una grande opportunità che si presenta ad associazioni e movimenti, che, pur senza perdere la loro soggettività, devono cercare questa collaborazione».

Zuppi ha contrapposto la visione dell’umanesimo cristiano a quella dei sovranismi che «cedono alla tentazione di amplificare il piccolo» e ha chiarito che «la testimonianza non basta», esortando movimenti e associazioni a «non farsi fregare, a non accontentarsi delle frattaglie, mettendosi al servizio, di fatto dei sovranismi». I corpi intermedi, cui è dedicato il seminario di Senigallia, sono invece uno strumento per cogliere la complessità dei problemi dei giovani e delle famiglie, «per le quali le istituzioni fanno troppo poco».

Quindi, parlando dell’Europa, l’arcivescovo ha spiegato che «indipendenza e sovranità vengono confuse: gli Stati possono essere formalmente indipendenti e non essere sovrani perché le decisioni si prendono altrove; invece, limitando l’indipendenza degli Stati europei con l’interdipendenza di una moneta, un esercito, un fisco comuni, si garantisce la difesa della loro sovranità. L’alternativa è dunque andare a libro paga di potenze straniere o fare dell’Europa un museo». Il futuro porporato è convinto che a livello europeo si possano affermare le proprie ragioni, ma che il sovranismo sia sterile: «Va bene dare una spallata ma poi quelli sono i tuoi interlocutori: i sovranisti sono indipendentisti che non fanno il bene del loro Paese», ha concluso.

da Avvenire

Parole, stile e senso della politica. Si fa presto a dire poltrone

La cultura di un popolo parte dalle parole con cui la racconti, dai contenuti che la abitano. Perché il sole è sole dappertutto, ma quello del deserto scalda di più, e l’idea di futuro in un Paese appena uscito dalla guerra è diversa dal dibattito sulla crescita economica in una democrazia stabile. Il ragionamento vale anche per il concetto di politica. Che può vuol dire etica della responsabilità, impegno per il bene comune, visione di insieme al servizio della comunità. O viceversa utilizzo privato del patrimonio collettivo, puro esercizio di potere, disprezzo delle regole o loro manipolazione in nome di una quantomeno curiosa per non dire infìda idea di popolo. In Italia, forse da sempre, ma particolarmente dopo Mani Pulite, per tanti “Parlamento” è diventato sinonimo di sporcizia, di corruzione, di “mangiatoia”. Così gli accordi tra i partiti, su cui si fonda l’esercizio della democrazia, vengono relegati a “inciuci”, i cambi di maggioranza diventano “golpe”, i seggi, gli scranni parlamentari e governativi sono “poltrone”. E di quelle comode, con i braccioli grandi, da cui chiamare con un cenno del capo il cameriere perché ti porti un cocktail.

Dietro c’è il rifiuto della politica vissuta come professione o, meglio vocazione, c’è soprattutto l’idea che chi la esercita non sia altro che un parassita foraggiato da una burocrazia ostile alla gente comune. La stessa proposta di riduzione numerica dei parlamentari, priorità, sembra, della nuova coalizione di governo, non si basa tanto sull’esigenza di snellire l’attività del “Palazzo” quanto su una più banale, per quanto magari utile, logica di risparmio. Un progetto che va di pari passo alla modifica dell’istituto referendario, presentato anch’esso come potenziale grimaldello anti parlamentare. Dall’altra parte un ex azionista di maggioranza, l’uomo della sfiducia senza dimissioni, sebbene indebolito, fa breccia nel cuore dei “suoi” definendo “poltronificio” la nuova intesa di governo, e aspetta, dice, le prossime elezioni per una nuova consacrazione. Perché nella retorica della moderna narrazione è sacra solo la delega popolare. Come se i nuovi “eletti”, usciti dal voto, non andassero a occupare i medesimi posti che oggi dileggiano e mortificano.

Il problema sta appunto lì, nel contenuto delle parole, nell’idea che lo scranno, la “poltrona” sia per sua natura sporca e chi vi si siede corrotto e disonesto. Naturalmente non è, o almeno non è sempre e solo, così. Anche oggi esiste una “chiamata”, accettata, alla politica, una vocazione al servizio del bene comune, all’esercizio di quella che Paolo VI definiva «la più alta forma di carità». E non si tratta solo di guardare all’indietro, di leggere l’attualità con i parametri di ieri, di recuperare la stagione dei De Gasperi, dei La Pira, dei Moro. Semmai occorre, questo sì, pulirsi gli occhi dalla nebbia del pregiudizio per leggere nel modo giusto la realtà.
Allora non basterà più rifugiarsi nelle frasi fatte, nel “sono tutti uguali”, nel “non cambierà mai niente”. Perché persino oggi, nella stagione invasa dai social, resiste l’impegno certosino e oscuro dell’arte dell’ascolto, della volontà di mediazione, della visione di futuro. L’idea di bene comune non è morta affatto e per tanti, soprattutto giovani, vale ancora, riletta con il vocabolario moderno, la lezione di don Sturzo, che nel 1925 scriveva: «La politica è per sé un bene, il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività: tante volte può essere anche un dovere per il cittadino».

Proprio così. La logica del servizio vanta ancora maestri e allievi. Li vedi, partendo dal basso, nelle aule delle scuole che insegnano l’accoglienza, con le maniche arrotolate negli oratori per giocare con i bambini, nei centri d’ascolto di chi fa fatica, tra gli anziani di un ricovero, allo sportello di chi cerca lavoro. Ma anche nelle aule universitarie, nelle scuole di formazione, negli istituti di scienze religiose e sociali.

E poi, andando più su si arriva all’impegno in quartiere, qualcuno in Consiglio comunale, qualcun altro in Regione o in Parlamento. Con il corollario, imprescindibile, se si è cristiani, della preghiera, che tradotta in vita vissuta significa no al linguaggio dell’insulto, no al rancore come mezzo di propaganda, no alla demonizzazione dell’avversario. L’esempio da seguire è chi fa dell’umiltà la radice della propria grandezza, del talento un bene a disposizione della comunità, della cultura uno strumento di educazione alla bellezza.
Ci sono anche quelli che stanno su una poltrona che scotta, ma senza cedere alla paura e alla vertigine del potere, con l’ambizione giusta di chi sa che la felicità più vera è quella regalata agli altri. Perché al centro non mettono se stessi ma chi si affida a loro. È la logica seguita dai grandi di sempre. Come Mandela, come Martin Luther King, come il Papa. Che non a caso, tra i suoi titoli ha quello, bellissimo, di servus servorum Dei, cioè “servo dei servi di Dio”. I politici fanno altro, ma almeno per lo stile del dire e del fare possono ispirarsi.

da Avvenire

La festa. Il cardinale Bassetti, da 25 anni vescovo accanto alla gente

L’8 settembre 1994 veniva consacrato vescovo a Firenze. A Perugia domenica 8 settembre la Messa per celebrare l’anniversario con i pastori dell’Umbria e della Toscana
Il cardinale Gualtiero Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti

Avvenire

Era l’8 settembre 1994 quando nella Basilica di San Lorenzo a Firenze veniva ordinato vescovo Gualtiero Bassetti. Già rettore del Seminario e vicario generale della Chiesa fiorentina, era stato nominato pastore della diocesi di Massa Marittima-Piombino da Giovanni Paolo II il 9 luglio dello stesso anno. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa liturgica della natività della Beata Vergine Maria, l’allora 52enne prete originario di Popolano di Marradi riceveva l’ordinazione episcopale con l’imposizione delle mani dell’arcivescovo di Firenze e suo “amico e maestro”, il cardinale Silvano Piovanelli. Domani, domenica 8 settembre 2019, Bassetti – adesso cardinale, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei – festeggia i 25 anni da vescovo con una Messa solenne che presiederà alle 18 nella Cattedrale di San Lorenzo a Perugia. Saranno presenti i vescovi dell’Umbria e della Toscana.

L'ordinazione episcopale di Bassetti a Firenze l'8 settembre 1994

L’ordinazione episcopale di Bassetti a Firenze l’8 settembre 1994

Il grazie a tre Papi

Il cardinale Bassetti, nel suo invito rivolto a tutti, scrive: «Con il cuore ricolmo di gioia, ringrazio il Signore Gesù, Pastore grande del gregge, per quel po’ di bene che ho potuto fare nelle Chiese cui sono stato inviato:Massa Marittima-Piombino, Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Perugia-Città della Pieve. Pur avendo cercato di seminare la parola del Vangelo, di animare le comunità cristiane e di far sorgere la speranza, sento il bisogno di invocare la misericordia di Dio per tutte le mie omissioni e debolezze». Poi prosegue: «Sono stati anni di impegno, di prove, ma anche di gioie e soddisfazioni. Ho camminato al fianco di tanti sacerdoti e ho consacrato molti giovani come presbiteri e non pochi presbiteri come vescovi. Ho seguito diversi religiosi e religiose nella ricerca della loro vocazione, così come tanti seminaristi. Ho cercato di essere vicino ai fedeli laici». Quindi il grazie agli ultimi tre Papi. «Una particolare preghiera di ringraziamento – sottolinea ancora Bassetti – desidero elevare per i Pontefici che ho conosciuto e che hanno avuto un ruolo decisivo nella mia vita: san Giovanni Paolo II, che mi ha fatto il dono dell’episcopato nel 1994; Benedetto XVI, che mi ha elevato ad arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve; papa Francesco, che ha voluto crearmi cardinale e affidarmi la guida della Conferenza episcopale italiana. Una preghiera desidero elevare per quanti ogni giorno mi sono stati a fianco, presbiteri, religiosi e laici, e che con me hanno condiviso il “giogo soave” del governo pastorale». Infine il richiamo alla festa mariana. «A tutti do appuntamento l’8 settembre, nella Cattedrale di Perugia. Pregheremo e loderemo insieme il Signore, cui è da sempre affidata la mia vita, e invocheremo anche l’intercessione della Beata Vergine Maria, la dolcissima madre di Gesù e madre nostra. Alla luce del suo sorriso è legata la mia vita sacerdotale e di vescovo».

Papa Francesco con il cardinale Bassetti

Papa Francesco con il cardinale Bassetti

I 10 anni alla guida dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve

Nel 2019 ricorre, oltre al 25° di ordinazione episcopale di Bassetti, anche il 10° anniversario della sua nomina ad arcivescovo di Perugia-Città della Pieve avvenuta il 16 luglio 2009. Ricorrenza che sarà celebrata il prossimo 4 ottobre, solennità di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, giorno in cui dieci anni fa il porporato toscano aveva fatto ufficialmente il suo ingresso nell’arcidiocesi umbra come successore dell’arcivescovo Giuseppe Chiaretti dimessosi per raggiunti limiti di età. L’anniversario sarà ricordato con il concerto del Coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina, in programma nella serata del 4 ottobre nella Cattedrale di Perugia.

L'ingresso di Bassetti a Perugia nel 2009

L’ingresso di Bassetti a Perugia nel 2009

Il prete fiorentino che riunirà i vescovi del Mediterraneo

Nato a Popolano di Marradi il 7 aprile 1942, Bassetti viene ordinato prete a Firenze nel Duomo di Santa Maria del Fiore dal cardinale Ermenegildo Florit il 29 giugno 1966. Dopo numerosi anni da rettore dei Seminari fiorentini Minore e Maggiore, è nominato nel 1992 vicario generale dal cardinale Silvano Piovanelli, che due anni più tardi, l’8 settembre 1994, lo ordina vescovo e guida la diocesi di Massa Marittima-Piombino. Quattro anni dopo Bassetti diventa vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, guidando la diocesi toscana per un decennio (1999-2009) per poi diventare arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Da pastore della Chiesa del capoluogo umbro viene eletto prima vice-presidente della Cei(2009-2014) e poi presidente dei vescovi italiani il 24 maggio 2017. È membro delle Congregazioni per i vescovi, per il clero e per le Chiese orientali (quest’ultimo incarico arrivato lo scorso agosto) e del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Nel primo Concistoro di papa Francesco, il 22 febbraio 2014, viene creato cardinale e al compimento del suo 75° anni di età Bergoglio lo conferma alla guida dell’arcidiocesi perugino-pievese con la formula «donec aliter provideatur».

Gualtiero Bassetti ad Arezzo

Gualtiero Bassetti ad Arezzo

Come presidente della Cei, Bassetti ha ideato l’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” che porterà a Bari, nel febbraio 2020, oltre cento pastori di tre continenti (Europa, Asia e Africa) e che sarà concluso da papa Francesco. L’incontro, nato da un’intuizione del cardinale che si è ispirato a Giorgio La Pira (sindaco “santo” di Firenze particolarmente caro a Bassetti che più volte lo ha indicato come modello per i cattolici impegnati in politica e a servizio del bene comune), affronterà temi come la vita ecclesiale, le migrazioni, la giustizia sociale, lo sviluppo, il dialogo fra le fedi e vuole sollecitare le Chiesa a mobilitarsi per la riconciliazione fra i popoli.

L'Assemblea generale della Cei con l'introduzione del cardinale Bassetti lo scorso maggio

L’Assemblea generale della Cei con l’introduzione del cardinale Bassetti lo scorso maggio