Gli invitati alle Nozze. Il vangelo della XXII domenica del tempo ordinario

«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto».

Questo Vangelo è certamente una chiamata all’umiltà, ed è una luce sempre imprescindibile nella nostra avventura di cristiani: ma questo tema lo troviamo anche nella bellissima prima lettura della liturgia; e forse possiamo permetterci di andare a un livello ulteriore.

Noi cristiani sappiamo che le vere nozze sono quelle dell’Agnello — la liturgia originariamente direbbe: «Beati qui ad Cenam Agni vocati sunt», con riferimento alla grande scena delle nozze dell’Agnello con la sua sposa, la Chiesa, di Ap 19,7.9.

Invitati a queste Nozze che sono il Regno di Dio, noi siamo la Sposa dell’Agnello. Tale invito implica uno stile: in queste Nozze si entra senza mettersi al primo posto.

Abbiamo pensato spesso che il nostro compito fosse farci avanti, mostrarci, sottolineare la nostra presenza, proporci e avere un ruolo importante. Ma san Paolo dice: «Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1Cor 4,9).

A ben vedere il vero problema qual è? Né il primo né l’ultimo posto, ma quello che ci assegna il Padre!

Ci scervelliamo per essere visibili, ma questo è affar Suo. Non c’è da salire sul pinnacolo del tempio, ma se siamo la luce che deve splendere davanti agli uomini, è lui che la accende e la mette sul candelabro (Mt 5,15s).

San Massimiliano Kolbe, posto sul candelabro ad Auschwitz, entrò nelle Nozze diventando una carne sola con lo Sposo, dando spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.

Quando iniziamo a lasciarci assegnare il posto, sperimentiamo la creatività del Padre che fa le sue scelte sorprendenti e salva il mondo per mezzo di ciò che è stolto, debole, ignobile e disprezzato (1Cor 1,27s).

Allora capiamo perché è opportuno invitare alla cena «poveri, storpi, zoppi, ciechi». Sono coloro a cui si annunzia la Buona Novella. Questi ci faranno entrare «nella resurrezione dei giusti».

di Fabio Rosini – Osservatore Romano

La liturgia non è un “fai-da-te” ma l’epifania della comunione ecclesiale

da Osservatore Romano

“La liturgia non è il campo del ‘fai-da-te’, ma l’epifania della comunione ecclesiale”. Queste parole di Papa Francesco sono al centro del messaggio – a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin – ai partecipanti alla settantesima settimana liturgica nazionale, che si apre nel pomeriggio di lunedì 26 agosto a Messina con i vespri presieduti dal vescovo Claudio Magnano, presidente del Centro di azione liturgica. “Il Santo Padre – scrive tra l’altro il porporato – auspica che dalle celebrazioni e dalle riflessioni della Settimana maturi la consapevolezza che la liturgia è luogo privilegiato in cui la santità di Dio ci attira a sé con la sua bellezza, la sua verità e la sua bontà”. Da questa coscienza, prosegue, deriva il compito “prezioso” affidato dal Papa ai convegnisti: “diffondere nel Popolo di Dio lo splendore del mistero vivo del Signore, che si manifesta nella liturgia, con una formazione liturgica protesa a far prendere coscienza a tutti del ruolo insostituibile della liturgia nella e per la Chiesa”.

Il Magnificat e l’arte del rammendo

Con una riflessione su «La sua misericordia di generazione in generazione. Il Magnificat di Maria, uno sguardo nuovo su Dio e sul mondo» — della quale pubblichiamo quasi per intero la parte conclusiva — il predicatore della Casa Pontificia apre nel pomeriggio del 24 agosto, nella basilica di Collemaggio, il programma religioso della 725ª Perdonanza Celestiniana.

da Osservatore Romano

Bradi Barth, «Visitazione»

Sarebbe un fraintendere completamente il Magnificat se lo confinassimo solo nell’ambito delle cose che la Chiesa e il credente devono predicare al mondo. Qui non si tratta di qualcosa che si deve solo predicare, ma di qualcosa che si deve anzitutto praticare. Maria può proclamare la beatitudine degli umili e dei poveri perché è lei stessa tra gli umili e i poveri. Il rovesciamento da lei prospettato deve avvenire anzitutto nell’intimo di chi ripete il Magnificat e prega con esso.

Dio — dice Maria — ha rovesciato i superbi «nei pensieri del loro cuore». Di colpo, il discorso è portato da fuori a dentro, dalle discussioni teologiche, in cui tutti hanno ragione, ai pensieri del cuore, in cui tutti abbiamo torto. L’uomo che vive “per se stesso”, il cui Dio non è il Signore, ma il proprio “io”, è un uomo che si è costruito un trono e vi siede sopra dettando legge agli altri. Ora Dio — dice Maria — rovescia questi tali dal loro trono; mette a nudo la loro non-verità e ingiustizia. C’è un mondo interiore, fatto di pensieri, volontà, desideri e passioni, dal quale — dice san Giacomo — provengono le guerre e le liti, le ingiustizie e i soprusi che sono in mezzo a noi (cfr. Gc 4, 1) e finché nessuno comincia con il risanare questa radice, nulla cambia veramente nel mondo e se qualcosa cambia è per riprodurre, di lì a poco, la stessa situazione di prima.

Come ci raggiunge da vicino il cantico di Maria, come ci scruta a fondo e come mette davvero «la scure alla radice»! Che stoltezza e incoerenza sarebbe la mia se ogni giorno, ai Vespri, ripetessi, con Maria, che Dio «ha rovesciato i potenti dai troni» e intanto continuassi a bramare il potere e imporre la mia volontà su chi mi sta intorno; se ogni giorno proclamassi, con Maria, che Dio «ha rimandato i ricchi a mani vuote» e intanto bramassi senza posa di arricchire e di possedere sempre più cose e cose sempre più raffinate, magari ottenute con mezzi disonesti. Che stoltezza sarebbe la mia se continuassi a ripetere, con Maria, che Dio «guarda verso gli umili», che si accosta a loro, mentre tiene a distanza i superbi e i ricchi di tutto, e poi fossi di quelli che fanno esattamente il contrario.

Così facendo, Maria ci esorta, con dolcezza materna, a imitare Dio, a far nostra la sua scelta. Ci insegna le vie di Dio. Il Magnificat è davvero una meravigliosa scuola di sapienza evangelica. Una scuola di conversione continua. Come tutta la Scrittura, esso è uno specchio (cfr. Gc 1, 23) e sappiamo che, dello specchio, si possono fare due usi molto diversi. Lo si può usare rivolto verso l’esterno, verso gli altri, come specchio ustorio, proiettando la luce del sole verso un punto lontano fino a incendiarlo, come fece Archimede con le navi romane, oppure lo si può usare tenendolo rivolto verso di sé, per vedere in esso il proprio volto e correggerne i difetti e le brutture.

Il Magnificat inizia e termina con la parola misericordia. Dio, dice nell’ultimo versetto, «si è ricordato della sua misericordia». La parola misericordia ricorre nella Bibbia in due contesti e con due significati diversi, anche se interdipendenti. Nella prima e originale accezione, esso indica il sentimento che Dio nutre verso le sue creature; nella seconda, indica il sentimento che le creature devono nutrire le une verso le altre. Dalla misericordia come dono si passa alla misericordia come dovere.

Quello che si dice della misericordia si applica, allo stesso titolo, alla parola Perdonanza. La Perdonanza concessa da Papa Celestino consisteva anzitutto nel perdono di Dio, nella remissione dei peccati; offriva quella stessa indulgenza plenaria per ottenere la quale i cristiani del tempo erano costretti a recarsi in pellegrinaggio in Terra santa o ad altri santuari. Ma perdonanza implicava anche il perdono reciproco, la riconciliazione tra le opposte fazioni, tra famiglie e persone. Non possiamo terminare senza parlare anche di questa misericordia “orizzontale” che è la conseguenza diretta del perdono di Dio. «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste», «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia», ci dice Gesù.

La parabola dei due servitori (Mt 18, 23ss) è la chiave per interpretare correttamente il rapporto tra la misericordia di Dio e quella dell’uomo. Quello che Gesù ha voluto dirci è che dobbiamo essere misericordiosi, non per ottenere misericordia, ma perché abbiamo ottenuto misericordia; dobbiamo perdonare, non tanto perché Dio perdoni noi, ma perché Dio ha perdonato e perdona continuamente a noi. La misericordia di Dio è senza condizioni, ma non è senza conseguenze!

Tali conseguenze consistono, concretamente, nelle opere di misericordia. La Chiesa inculca sette cosiddette “opere di misericordia corporale” che sono poi le stesse elencate da Gesù nel Vangelo: «dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati, seppellire i morti. A queste opere di misericordia corporale, corrispondono altrettante “opere di misericordia spirituale”: consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti.

Queste liste, come sempre, sono indicative, non esclusive. Esse, anzi, andrebbero aggiornate e adattate ai tempi e alle nuove miserie corporali e spirituali dell’umanità. Alle opere di misericordia corporale, per esempio, oggi si dovrebbe aggiungere: «prendersi cura degli anziani» e alle opere di misericordia spirituale: «educare i propri figli», non permettere che i loro soli maestri siano gli estranei o i mezzi di comunicazione sociale.

Ma non si tratta soltanto di aggiungere alcune nuove opere di misericordia a quelle antiche. A conclusione dell’anno giubilare della misericordia papa Francesco scrisse una esortazione apostolica intitolataMisericordia et misera. Il titolo allude all’incontro tra la «misericordia» che è Gesù e la «misera» che è l’adultera del vangelo; in altre parole, l’incontro tra la misericordia di Dio e la miseria umana. In essa il Papa scrive tra l’altro: «Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa […] La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e condivisione».

Non solo dunque “opere di misericordia”, ma una cultura di misericordia! Sono ben note le parole che lo scrittore russo Dostoevskij pone in bocca a uno dei personaggi a lui più cari: «Il mondo sarà salvato dalla bellezza». Ma, a quella affermazione, egli fa seguire subito una domanda: «Quale bellezza salverà il mondo?». È chiaro, anche per lui, che non ogni bellezza salverà il mondo; c’è una bellezza che può salvare il mondo e una bellezza che può perderlo. Di qui la sua conclusione: «Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, e l’apparizione di questo essere infinitamente bello è di certo un infinito miracolo». La bellezza di Gesù è la sua misericordia ed è essa che salverà il mondo. Non dunque l’amore della bellezza, ma la bellezza dell’amore.

La misericordia che salva il mondo, salva anche la cosa più preziosa e più fragile che c’è in questo momento nel mondo, il matrimonio e la famiglia. Avviene, nel matrimonio, qualcosa di simile a quello che abbiamo visto è avvenuto nei rapporti tra Dio e l’umanità. Non per nulla la Bibbia descrive questo rapporto con l’immagine di uno sposalizio. All’inizio di tutto, dicevamo, c’è in Dio l’amore, non la misericordia; questa interviene soltanto dopo la creazione e la ribellione umana.

Qualcosa del genere, dicevo, avviene nel matrimonio. All’inizio non c’è, tra marito e moglie, la misericordia (guai a sposarsi per misericordia!); c’è l’amore, e un amore spesso travolgente. Ma poi, dopo anni, o mesi di vita insieme, emergono i limiti reciproci, i problemi, di salute o di finanze, interviene l’abitudine. Quello che può salvare un matrimonio dallo scivolare in una china senza risalita è la misericordia, intesa nel senso pregnante della Bibbia, e cioè non solo come perdono delle offese, ma anche come compassione e tenerezza. All’eros si aggiunge l’agape, all’amore erotico, l’amore di dedizione e di sofferenza, senza, tuttavia che vada perduto l’eros che dovrebbe perdurare sempre tra gli sposi. San Paolo dava queste raccomandazioni che valgono in modo speciale per i coniugi: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Col 3, 12-13).

La misericordia, come si vede, non si esaurisce nel perdono degli sbagli altrui; indica tutto un insieme di atteggiamenti fatto di pazienza, di comprensione, e soprattutto di tenerezza.

Il matrimonio risente oggi della mentalità corrente dell’“usa e getta”. Se un apparecchio o uno strumento subisce qualche danno o una piccola ammaccatura, non si pensa a ripararlo (sono scomparsi ormai quelli che facevano questi mestieri), ma si pensa subito a sostituirlo. Si vuole la cosa nuova di zecca. Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta del tutto errata e micidiale. Il matrimonio non è come un vaso di porcellana che si può solo sciupare con il passare del tempo, mai migliorare, e una volta che ha avuto un piccolo screzio, anche se incollato, perde quasi tutto il suo pregio.

Il matrimonio appartiene all’ambito della vita e ne segue la legge. La vita non si mantiene come sotto una campana di vetro, al riparo da urti, cambiamenti e agenti atmosferici? La vita è fatta di continue perdite che l’organismo impara a riparare quotidianamente, di attacchi di agenti e virus di ogni tipo che l’organismo prevede e sconfigge, facendo entrare in azione i propri anticorpi. Almeno finché esso è sano. Il matrimonio dovrebbe essere come il vino che, invecchiando, migliora, non peggiora.

Solo la misericordia reciproca è capace di operare questo miracolo. Che cosa suggerire allora ai coniugi che vorrebbero almeno tentare questa strada? Una cosa semplicissima: riscoprire un’arte dimenticata in cui eccellevano le nostre nonne e mamme: il rammendo! Alla mentalità dell’“usa e getta” bisogna sostituire quella dell’“usa e rammenda”. Non c’è bisogno di spiegare cosa significa rammendare gli strappi nella vita di coppia. San Paolo dava ottimi consigli a questo riguardo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasioni al diavolo», «sopportatevi a vicenda, perdonandovi se qualcuno abbia di che lamentarsi dell’altro», «portate i pesi gli uni degli altri» (cfr. Ef 4, 26-27; Col 3, 13; Gal 6, 2).

Non bisogna permettere che il nemico inserisca un cuneo tra sé e l’altro. Si dice: «L’amore non è bello se non è litigarello». Attenti però a non ingannarsi. Questo può essere vero se i piccoli litigi vengono subito superati e ci si riconcilia, altrimenti si trasforma in una lite permanente. La “perdonanza” deve cominciare dentro casa, tra marito e moglie, tra genitori e figli. Se no è solo folklore!

Gesù fece il suo primo miracolo, a Cana di Galilea, per salvare la felicità dei due sposi. Cambiò l’acqua in vino, e tutti alla fine si trovarono d’accordo nel dire che il vino servito per ultimo era stato il migliore. Credo che Gesù sia pronto anche oggi, se lo si invita alle proprie nozze, a operare questo miracolo e far sì che il vino ultimo — l’amore e l’unità degli anni della maturità e della vecchiaia — sia migliore di quello della prima ora.

di Raniero Cantalamessa

M5S ANNULLA IL VERTICE COL PD DELLE 11, ‘PRIMA SÌ A CONTE’

STOP DI DI MAIO, ZINGARETTI RINVIA A DOMANI LA DIREZIONE DEM Si inceppa la trattativa M5s-Pd per il governo. I Cinque Stelle annullano il vertice con i Dem previsto per le 11. ‘Inutile vedersi senza pèrima un sì ufficiale a Conte premier’, fanno sapere dal MoVimento e Di Maio, ai suoi, dice di essere ‘stanco di giochini’. Lettura opposta dal Nazareno, dove non commentano la nota grillina e Zingaretti è riunito con i big del Pd per valutare la situazione: sarebbero le divisioni tra i 5S a frenare il negoziato. Per questo è stata rinviata a domattina alle 10 la Direzione Dem prevista per le 10. Il senatore pentastellato Paragone fa sapere che non voterà la fiducia a un governo giallo-rosso, se dovesse nascere. I mercati, invece, credono al governo: lo spread è in deciso calo a quota 187, Milano guida le Borse europee con +0.5%.

ansa

Italia inclusiva. Le mamme fanno da babysitter alla figlia dell’ambulante

Succede a San Vito Lo Capo. La storia è stata raccontata su Facebook dal blogger Lorenzo Tosa. Le donne: «Vai a lavorare in pace»
Le mamme fanno da babysitter alla figlia dell'ambulante
Avvenire

Lido San Giuliano, una delle spiagge più affollate di San Vito Lo Capo, vicino a Trapani. Sono le 13 di un sabato di fine agosto, la sabbia scotta e una donna, un’ambulante, propone ai turisti la sua merce. La porta sul capo all’interno di una cesta pesantissima. Mentre dietro la schiena, legata con una fascia, c’è la sua bambina.

«Avrà 2 anni e mezzo, forse 3. Chissà da quante ore se ne sta lì, rannicchiata sulla schiena della mamma, sotto il sole – racconta Lorenzo Tosa, il blogger che ha postato la storia sul suo profilo Facebook -. Un gruppo di altre mamme, che hanno assistito alla scena, si avvicina alla donna. “Vai pure – le dicono – Vai pure a lavorare tranquilla. A tua figlia ci pensiamo noi.” E ci hanno pensato davvero».

La piccola ha passato la giornata con gli altri bimbi, ha mangiato insieme a tutti loro al ristorante, ha giocato sul bagnasciuga correndo e facendo il bagno. Quello che tutti bambini dovrebbero fare d’estate al mare. Ma che, parlando di migranti in quest’italia avvelenata dall’odio, sembra una cosa eccezionale tanto da fare il giro del web ed essere rilanciata da migliaia di persone.

È emozionata Desirè Nica, 32 anni, di Roma, che è una delle protagoniste della vicenda, raccontata poi al Corriere della sera: «Ricordo tutto di quella scena – spiega -. Ho visto quella donna accaldata, mi sono alzata per andare verso di lei e aiutarla, una volta là ho trovato un gruppo di mamme con la mia stessa idea. Ci siamo guardate negli occhi e abbiamo pensato tutte la stessa cosa, di chiederle di lasciarci prendere cura della bambina per qualche ora»

Biarritz. Dal G7 mezzo passo su Iran e Amazzonia

Il presidente francese replica alle polemiche di Bolsonaro, ma annuncia solo 20 milioni per gli interventi sui roghi. Trump: potrei incontrare Rohani. Spunta un’ipotesi di intesa anche per la Web-tax
Foto di gruppo a conclusione del G7 a Biarritz, in Francia (Ap)

Foto di gruppo a conclusione del G7 a Biarritz, in Francia (Ap)

Ai piedi del bianco faro di Biarritz, nel Sud-ovest francese, un G7 dai risultati interlocutori, ma vantato come un «successo» dai partecipanti, a cominciare dall’iperattiva accoppiata franco-americana di “mattatori” che ha tenuto banco fino ai tempi supplementari, impegnata tanto nel promuoversi, quanto nel cercare di risolvere i nodi di un mondo lacerato da crisi di ogni tipo.

Autoproclamato leader di una «potenza mediatrice», il presidente Emmanuel Macron, da padrone di casa, ha chiuso questa sera la tre giorni di tavole rotonde del club delle 7 grandi democrazie, Italia compresa, sciorinando tante mezze promesse, imminenti carte deontologiche firmate dal mondo economico, annunci d’intese giunte a buon punto, spaziando dalle grandi crisi regionali in corso, come Iran, Libia, Siria, Ucraina e Kashmir, ai problemi di fondo dell’agenda Onu, come disuguaglianze economiche e pari opportunità. Un lavoro di direttore d’orchestra dei lavori, quello del capo dell’Eliseo, salutato addirittura come «spettacolare» proprio da quell’omologo americano, Donald Trump, da cui alla vigilia si temevano pesci in faccia, o giù di lì, com’era accaduto l’anno scorso al padrone di casa di turno, il canadese Justin Trudeau.

Ma al di là delle potenzialità propiziate dall’abile e rodata diplomazia francese e del clima di ritrovata «unità» fra i Grandi lodato più o meno da tutti, gli annunci più concreti sono giunti sull’Amazzonia, con un fondo internazionale da 20 milioni di euro destinato principalmente all’invio di Canadair contro i roghi, e sull’Iran, con uno spiraglio su un possibile incontro fra Trump e l’omologo Hassan Rohani per trovare una soluzione sul nucleare di Teheran. Nelle «circostanze giuste», un faccia a faccia «realistico», ha detto a sorpresa il capo della Casa Bianca. Non c’è stato, come previsto, alcun documento finale, ma semplici «dichiarazioni».
Almeno a parole, l’happy end è giunto pure sulla “digital-tax” verso i giganti americani del Web. Dalla pentola di Biarritz, è uscito un «ottimo accordo» fra Washington e Parigi, ha assicurato Macron, pronto a ritirare la tassa ad hoc già promulgata in Francia se Trump manterrà la promessa di contribuire al varo, in sede Ocse, di una tassa internazionale contro l’elusione fiscale di colossi come Google.

Finora calato spesso nei panni del guastafeste di tanti sforzi multilaterali, Trump si è invece mostrato felice di poter ospitare a sua volta fra un anno i big del pianeta a ridosso delle elezioni presidenziali Usa, nella città di Miami, evocando persino, fra il serio e il faceto, l’idea di riceverli nel più celebre resort di sua proprietà in Florida. Un’edizione alla quale il capo della Casa Bianca è pronto ad accogliere l’omologo russo Vladimir Putin, ma come semplice invitato e non nel quadro di un vero e proprio G8 (come quelli che avevano preceduto l’annessione russa della Crimea), dato che a Biarritz l’ipotesi di una piena riabilitazione di Mosca non ha ricevuto l’unanimità dei 7, come ha chiarito Macron. Quest’ultimo ha comunque promesso, già a settembre, una nuova riunione del Quartetto Normandia (Russia, Ucraina, Germania, Francia) per una soluzione alla drammatica crisi in Ucraina.

Nella torrenziale conferenza stampa finale della coppia Trump-Macron, lo statunitense ha attaccato a più riprese il bilancio diplomatico del predecessore democratico Barack Obama, palesando il bisogno elettoralistico di potersi attribuire qualche trofeo sulla scena mondiale, anche in termini di distensione nella guerra dei dazi con la Cina, altro punto al centro del G7. Da parte sua, pur di sottolineare la sintonia personale con Trump, Macron è giunto fino a lodare la presunta popolarità in Francia della first lady Melania. Sulle ineleganti frecciate sui social del presidente brasiliano Jair Bolsonaro verso la première dame Brigitte, sullo sfondo della diatriba fra Parigi e Brasilia attorno ai roghi amazzonici, Macron ha invece contrattaccato giudicando l’offensiva soprattutto «triste per i brasiliani».

I lavori si sono chiusi con una smilza dichiarazione di una pagina sui punti condivisi dai 7, al posto del tradizionale e ben più corposo comunicato. La trovata finale di un vertice che molti sperano adesso non destinato solo a un pubblico momentaneo.

 

Diplomate magistrali nel caos. Veneto, tolta la cattedra a 500 maestre

Veneto, tolta la cattedra a 500 maestre

A causa della sentenza del Consiglio di Stato, 1.800 insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria, assunte a tempo indeterminato, sono finite nuovamente nel limbo del precariato

Licenziate alla vigilia del nuovo anno scolastico. È la cattiva “sorpresa” estiva recapitata a 500 maestre del Veneto, assunte a tempo indeterminato nelle scuole dell’infanzia e primaria, che, in questi giorni, si sono viste trasformare il contratto da tempo indeterminato a tempo determinato. Si tratta della coda lunga della sentenza del Consiglio di Stato sulle diplomate magistrali ante 2001-2002, il cui titolo di studio non è più considerato sufficiente per accedere al ruolo e nemmeno per essere inserite nelle graduatorie a esaurimento. In questa situazione, soltanto in Veneto, si trovano 1.800 maestre diplomate e le prime 500 sono già state licenziate a seguito di sentenze a loro sfavorevoli. «La scuola ha un gran bisogno di docenti e, quindi, continueranno ad insegnare, ma da precarie», spiega la segretaria generale della Cisl Scuola regionale, Sandra Biolo. Che ricorda come siano «almeno tremila, le cattedre di sostegno scoperte»e siano esaurite anche le graduatorie delle supplenze. «Dopo anni di sacrifici – riprende Biolo – queste docenti dovranno ricominciare da capo, da precarie, con grande disagio personale e familiare, ma anche della scuola, degli alunni e delle famiglie. La scuola ha bisogno di continuità».

Tutto il Nord in affanno

In questa situazione, che su scala nazionale riguarda più di 50mila diplomati magistrali, accomuna tutte le regioni dei Nord, dove storicamente le scuole soffrono la carenza di insegnanti. «Per comimciare ad affrontare il problema – riprende Biolo – si deve ampliare il numero chiuso chiuso a Scienze della Formazione primaria, che in Veneto è ridicolo. L’Università di Padova, l’unica che eroga questo corso di laurea, mette in palio, ogni anno, 300 posti, di cui 100 nella sede di Verona. Se consideriamo che, ogni anno, le maestre che vanno in pensione sono almeno tre volte tanto, comprendiamo subito la dimensione del problema.Tante scuole, per mancanza di insegnanti, sono costrette ad affidare le supplenze a studentesse».

Decreto “congelato”

Una situazione che il decreto “salva precari”, finito nel limbo della crisi di governo, cercava di affrontare, prevedendo un concorso straordinario e il prolungamento al 30 giugno 2020 dei contratti delle maestre diplomate, anche a fronte di sentenze negative in corso d’anno, proprio per salvaguardare quella continuità didattica, che, invece, ora è rimessa nuovamente in discussione.

da Avvenire

I nodi da sciogliere. Tutti gli interventi di cui il Paese (reale) adesso ha bisogno

Tutti gli interventi di cui il Paese (reale) adesso ha bisogno

avvenire

Serve spegnere il telefonino, per vedere la realtà. E il Paese cosiddetto reale, lontano dalle dirette Facebook e dalle accuse reciproche sui social che hanno contrassegnato la fine del governo giallo-verde, ha bisogno d’essere governato. Servono cioè azioni concrete. A partire dai problemi che rischiano di compromettere il futuro: e se tra questi c’è sicuramente la questione ambientale, agitata in queste ore nei “punti programmatici” dei partiti che cercano un’intesa da portare al capo dello Stato la settimana prossima (insieme al lavoro), di molto altro non c’è traccia. Non si parla di sanità, con gli ospedali al collasso ogni giorno per la mancanza di medici in corsia. Non si parla di famiglia e natalità – o se ne parla soltanto per incassare applausi –, con un piano che pensi davvero a favorire le coppie e permetta di uscire dal profondo inverno demografico. Non si parla di scuola – di nuovo, del futuro del Paese –, con decine di migliaia di insegnanti calpestati nuovamente dal rinvio di un concorso e condannati al precariato (come gli studenti che li vedono alternarsi ogni anno in cattedra, senza continuità). Serve davvero un cambiamento.