Disturbi apprendimento per 250.000 studenti, diagnosi precoci

(ANSA) – Sono 254.614 i bambini e gli adolescenti con disturbi specifici dell’apprendimento per l’anno scolastico 2016-2017 censiti dal Miur in base alle certificazioni presentate a scuola dai genitori. Praticamente, il 2,9% della popolazione studentesca. Si tratta di alunni e alunne che non hanno malattie, ma il loro cervello è fatto in maniera diversa da quello degli altri alunni.
Per chi è dislessico o presenta disgrafia, disortografia, discalculia l’importante è arrivare a una diagnosi veloce, che si può già fare tra la fine della seconda elementare e la terza, e fornire ai bambini gli strumenti che portano a una riorganizzazione del cervello. “Questi disturbi non si correggono con la terapia, ma con strumenti compensativi, facendo usare ai bambini disgrafici il computer dove trovano la tastiera con le lettere già pronte senza impegnare la loro energia per scriverle, audiolibri per i dislessici, la calcolatrice per i discalculici, per fare solo alcuni esempi”, spiega Stefano Vicari, responsabile dell’Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

A Roma Dream World Cup, calcio a 5 per pazienti psichiatrici

La nazionale di calcio italiana per la Dream World Cup © ANSA

(ANSA) – Nove squadre in campo, organizzate in due gironi da 5. E’ la Dream World Cup, una manifestazione sportiva che vede in campo 150 pazienti psichiatrici per un torneo di 4 giorni, in un torneo che si svolge presso il Palazzetto dello sport di Roma.
Le squadre che partecipano al torneo sono Italia, Spagna, Argentina, Cile, Francia, Giappone, Perù, Ucraina e Ungheria. Doveva essere presente anche il Senegal, che però non ha potuto partecipare per motivi economici. Come data di apertura del torneo è stato scelto il 13 maggio, giorno in cui ricorre il quarantennale della legge Basaglia che obbligò la chiusura definitiva di tutti i manicomi.
“Per i ragazzi è importante l’attività sportiva quotidiana, perché le persone con un disturbo psichiatrico hanno un rischio di una vita media del 20% inferiore rispetto alle persone che non hanno disturbi psichici – spiega Santo Rullo, Psichiatra della Nazionale italiana – perché sono condannate dalla malattia e dagli psicofarmaci a una vita sedentaria e all’aumento del peso”.
“Lo sport per I pazienti psichiatrici è importante perché li aiuta con reinserimento sociale e soprattutto a produrre tutta una serie di antidepressivi naturali” Così in occasione della Dream World Cup parlano Francesco Trento e Volfango De Biase, autori del documentario ‘Crazy for football’, vincitore del David di Donatello 2017.

“Religion2Go!”, l’app che mette online oggetti e luoghi di culto

“Religion2Go!”, l’app che mette online oggetti e luoghi di culto

Al progetto stanno lavorando il Centro per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) e il Centro per le scienze religiose (ISR) della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Entro la fine dell’anno sarà disponibile una nuova app che permetterà di virtualizzare oggetti e luoghi di culto, così da essere condivisi, attraverso le moderne tecnologie, anche a grandi distanze. Grande l’interesse riscontrato dai ricercatori tra le varie realtà religiose presenti in Italia.

ceinews.it

Calcio in tv. Annullato il bando Mediapro. Sky può salvare la Serie A

Annullato il bando Mediapro. Sky può salvare la Serie A

I club di calcio italiani sono stati saggi ad ad affidare la guida della Lega Serie A a un navigato banchiere come Gaetano Micciché. Per come si stanno mettendo le cose con i diritti televisivi per i prossimi tre campionati, l’esperienza bancaria del direttore generale di Intesa Sanpaolo nonché presidente di Banca Imi rischia di doversi rivelare straordinariamente preziosa la prossima estate.

Com’è che Mediapro ha conquistato i diritti delle partite di Serie A

La situazione è caotica e merita un riassunto. La Lega si aspettava di incassare più di un miliardo a stagione dalla vendita dei cinque pacchetti di diritti televisivi nazionali per i campionati 2018-2019, 2019-2020 e 2020-2021. Dopo la prima, disastrosa, asta di giugno 2017, al secondo tentativo di vendita, lo scorso 6 gennaio, Sky e Mediaset Premium, gli unici due operatori interessati, hanno fatto offerte inferiori ai prezzi minimi fissati dalla Lega. L’incasso complessivo sarebbe stato di 779 milioni di euro a stagione contro i 990 della base d’asta.

Fallita l’asta e fallito anche il tentativo di trovare un accordo tramite trattative private con le tv, la Lega ha scelto di aprire l’unica busta arrivata per un altro tipo di asta, quella dedicata agli intermediari indipendenti, cioè soggetti che non controllano emittenti tv ma che hanno il ruolo di rivendere i diritti alle televisioni secondo le regole previste dal Decreto Melandri. Quell’offerta, firmata da Mediapro, era da 1,05 miliardi di euro. La Lega, soddisfatta, l’ha accettata e questo gruppo spagnolo il 5 febbraio si è aggiudicato il diritto di vendere i pacchetti delle partite della Serie A alle tv.

Un momento di Sky Calcio Show, trasmissione simbolo del calcio su Sky

Un momento di Sky Calcio Show, trasmissione simbolo del calcio su Sky

L’intermediario vuole fare l’editore: così il bando non vale

Prima ancora che Mediapro – nel frattempo passato sotto il controllo del fondo cinese Orient Hontai – pubblicasse il bando per la rivendita dei diritti, lo scenario della tv a pagamento italiana è cambiato. Sky e Mediaset hanno firmato un’alleanza per la condivisione di canali e contenuti sia sul satellite che sul digitale terrestre, facendo capire a Mediapro che nessuno era disposto a lanciarsi in un’asta per comprare i diritti del calcio.

A quel punto gli spagnoli hanno proposto un bando in cui vendevano alle tv non solo le partite, ma pacchetti “completi”: 270 minuti per ogni match di Serie A, compresi i dibattiti in studio prima e dopo la partita e le inserzioni pubblicitarie, che sarebbero state gestite direttamente dall’intermediario. Così l’intermediario diventava qualcosa di simile a un editore, confermando una perplessità che l’Antitrust aveva già espresso dopo l’assegnazione del bando agli spagnoli. Sky ha fatto ricorso al Tribunale di Milano, che gli ha dato ragione. Vendendo interi pacchetti – ha spiegato il giudice Claudio Marangoni –, Mediapro «intenderebbe estendere di fatto la sua influenza nel mercato a valle della raccolta pubblicitaria e della fornitura di contenuti, in una sorta di integrazione verticale tra detti mercati».

La Lega chiamata a ripartire da zero (o quasi)

Ora il bando di Mediapro non è più valido. Gli spagnoli a questo punto dovrebbero pubblicarne un altro, ma probabilmente soprassederanno. È chiaro che fin dall’inizio Mediapro contava di potere realizzare un “suo” canale della Lega più che rivendere i diritti agli operatori. I club non hanno accettato. Versati a marzo alla Lega i 64 milioni di anticipo per i diritti della prossima stagione, gli spagnoli hanno chiesto più tempo per presentare la fideiussione a garanzia degli altri 1,2 miliardi di euro previsti dal contratto: finché restava l’incognita del ricorso di Sky, era la spiegazione, non avrebbero avuto la sicurezza di disporre dei diritti.
La decisione del Tribunale ha confermato la fondatezza delle cautele di Mediapro. La Lega ha dato tempo fino al 22 maggio, scadenza che, ha avvertito ieri il presidente del Coni e commissario dell’associazione dei club Giovanni Malagò, «vale ancora, oggi più che mai». Se Mediapro si dovesse ritirare dalla partita, si tornerebbe alla situazione di gennaio, con la Lega chiamata a trovare un acquirente – stavolta nel giro di poche settimane – per i diritti delle trasmissioni dei prossimi tre campionati.
Giovanni Malagò, presidente del Coni e commissario della Lega Serie A (foto Ansa)

Giovanni Malagò, presidente del Coni e commissario della Lega Serie A (foto Ansa)

Presidenti in ansia: i diritti tv valgono metà del loro fatturato

Il candidato ovviamente c’è già: è ancora Sky, che ieri ha promesso «un’importante offerta» che possa «dare certezza agli appassionati e allo stesso tempo garantire il futuro dei club e di tutto il sistema calcio». Rispetto a gennaio, l’emittente britannica si trova ora in una situazione migliore. Grazie all’accordo trovato con Mediaset potrebbe gestire i diritti – venduti separatamente in base alle piattaforme di trasmissione – praticamente in esclusiva, status che le consentirebbe di rilanciare rispetto alle offerte presentate all’inizio dell’anno (tutte inferiori ai prezzi minimi proposti dalla Lega eccetto che per il Pacchetto A, quello con le partite dei club principali).
C’è poco tempo per trovare un accordo. I presidenti dei club hanno un disperato bisogno di quei soldi. Secondo i calcoli del sito specializzato Calcio&Finanza, gli incassi dei diritti contano per circa la metà dell’intero fatturato delle squadre di Serie A. Per molte società rappresentano più del 60% dei ricavi. Di solito la Lega versa i soldi dei diritti a luglio. Senza la sicurezza di quelle entrate, a molti presidenti non resterebbe che sperare nell’intercessione di Micciché per ottenere pazienza dalle banche creditrici.

Migranti. In gommone per salvare il fratellino leucemico. Ora è in cura al Gaslini

L’accoglienza di una bimba con la madre, dopo uno sbarco sulle coste italiane (Ansa)

L’accoglienza di una bimba con la madre, dopo uno sbarco sulle coste italiane (Ansa)

Dalla sua camera da letto in ospedale vede il mare. Quello stesso mare che lui ha attraversato, malato di leucemia, a bordo di un gommone, col fratello più grande e un cugino. Uno dei tanti viaggi della speranza che partono dalle coste libiche e finiscono a Lampedusa o a Pozzallo. Un’altra storia drammatica, come tante che arrivano dalla Libia, ma questa forse ancora più terribile perché il protagonista ha solo 14 anni. È malato, lontano dai genitori, accudito giorno e notte dal fratello più grande che non lo ha mai mollato. Adesso Khaled è a Genova, in una camera dell’ospedale pediatrico Gaslini. Perché è qui che dal Policlinico di Catania, che lo ha preso subito in cura dopo il soccorso in mezzo al mare, lo hanno trasferito.

Khaled ha bisogno di un trapianto. Nel frattempo però è subentrata un’infezione gravissima. Un’infezione presa durante la traversata in mare. Batteri super resistenti, in un corpicino, già affaticato dai cicli di chemio e dalle terapie. Khaled adesso si trova in una camera con vista mare. Come tutte quelle dell’ospedale Gaslini di Genova. Un ospedale pensato, esattamente 80 anni fa, a misura di bambino. E oggi lo è ancora. Da quando è arrivato, un mese fa circa, ha già subito diversi interventi e anche un ciclo di cure per sconfiggere quella malattia che i medici di Tripoli non sono riusciti a fermare.

«In questo momento Khaled è vivo ed è senza leucemia. Ma il percorso è ancora lungo e tutto in salita» racconta Carlo Dufour, direttore dell’Unità di Ematologia. Khaled è ancora molto grave. Ma i medici del Gaslini non si perdono d’animo. Come lui, ogni anno, dall’estero vengono accolti circa mille piccoli pazienti. «Accettare pazienti molto fragili, provenienti da Paesi particolarmente sfortunati con malattie gravissime, è quasi all’ordine del giorno per noi» prosegue il medico abituato a combattere guerre molto difficili, sempre in salita. «Adesso stiamo controllando l’infezione – prosegue –. La cosa più importante è che in questo momento Khaled è vivo ed è senza leucemia. È un miracolo». Ma come Khaled, solo negli ultimi sei, sette mesi, al Gaslini ne sono arrivati diversi. Tutti in condizioni disperate.

Come il ragazzo albanese. «Non ha attraversato il Mediterraneo su un gommone – spiega Dufour – ma non è certo arrivato qui in ambulanza. Ha viaggiato su mezzi di fortuna ed è potuto arrivare da noi grazie al ricongiungimento familiare». Anche lui aveva una gravissima malattia che, se non curata, sarebbe stata letale. «Lo abbiamo inserito in un protocollo clinico per un farmaco speciale che ha assunto prima del trapianto. Il farmaco ha funzionato e si è portato via tutta la leucemia – spiega –. Era una forma molto rara, difficile da controllare ma grazie al protocollo e a una gara di solidarietà che ha impegnato tutti i medici in prima linea oggi è trapiantato e sta bene».

Al Gaslini arrivano anche i piccoli migranti malati che raggiungono l’Italia e l’Europa in modo più sicuro e legale, attraverso i corridoi umanitari. «I nostri interlocutori sono Sant’Egidio e la Caritas – spiega Dufour – con loro attiviamo una task force che si prende in carico il piccolo paziente dalla partenza all’arrivo in Italia. All’inizio mi chiamano, mi fanno vedere delle cartelle, se le hanno, le analisi del sangue. E io, cosa vuole che dica? Portatemelo. Anche se la percentuale di guarigione è bassa, intorno al 4-5%, è sempre meglio di zero». E così è successo ad esempio, con Mustafa (il nome è di fantasia) un ragazzino siriano che viveva in un campo profughi in Libano. «Aveva una malattia gravissima, curabile solo con trapianto – spiega –. Prima della partenza, ci siamo messi in contatto con un medico che lavorava nel campo profughi e gli abbiamo fornito alcune medicine necessarie per iniziare a curare il ragazzo.

Quando è arrivato al Gaslini – prosegue – le sue condizioni erano molto meno drammatiche di quelle che mi aspettavo. Anche questo è stato un percorso tutto in salita, abbiamo dovuto ad esempio asportare un pezzo di polmone prima del trapianto, ma alla fine siamo riusciti. Ora è un ragazzo trapiantato, sta bene e vive in provincia di Milano».

avvenire

Inchiesta . Islam, dentro la questione generazionale. Il rapporto tra genitori e figli

Islam, dentro la questione generazionale. Il rapporto tra genitori e figli

Con la vicenda tragica della giovane Sana, uccisa dalla sua famiglia – ora ad essere indagate oltre a padre, fratello e zio, ci sono anche la madre e la zia – perché non aveva accettato un matrimonio combinato, torna ad aprirsi il dibattito sul mondo islamico e le sue regole. Sul tavolo, con evidenza, uno scontro generazionale sempre più accentuato: da un lato c’è la riuscita integrazione dei più giovani, che nel nome della cultura occidentale invocano per sé libertà e decisioni impensabili dal punto di vista di genitori intransigenti e “all’antica”; dall’altro la radicalizzazione, nei giovani e nei giovanissimi, delle posizioni più distorte dell’islam, formate alla scuola di frequentazioni sbagliate, spesso corroborate dal web.

Sana Cheema, 26 anni, cittadina italiana da un anno (dopo 14 di residenza a Brescia), è stata strangolata il 18 aprile scorso nel suo villaggio natale in Pakistan. I colpevoli confessi sono il padre e un fratello: non accettavano che la ragazza avesse rifiutato il matrimonio combinato dalla famiglia e volesse sposare invece un altro coetaneo in Italia.

Sana Cheema, 26 anni, cittadina italiana da un anno (dopo 14 di residenza a Brescia), è stata strangolata il 18 aprile scorso nel suo villaggio natale in Pakistan. I colpevoli confessi sono il padre e un fratello: non accettavano che la ragazza avesse rifiutato il matrimonio combinato dalla famiglia e volesse sposare invece un altro coetaneo in Italia.

Il tutto, a volte, viene aggravato da contesti familiari fuori controllo, con genitori protagonisti di aggressioni violente che nulla hanno a che fare con i costumi religiosi che dicono di professare. In mezzo, c’è ciò che forse accomuna il mondo islamico a quello occidentale, più di quanto siamo abituati a pensare: la mancanza di dialogo con le nuove generazioni, l’incompatibilità tra visioni del mondo e persino tra vocabolari, il vuoto scavato dall’emergenza educativa. Con l’aggravante di un messaggio religioso interpretato in modo sbagliato, come ben dimostrano le parole pronunciate proprio dal padre di Sana in carcere, in Pakistan, nelle ultime ore: «Se è morta, è stato solo per un disegno di Allah – ha detto l’uomo –. È vero, Sana era ormai più italiana che pachistana, aveva ormai una mentalità diversa dalla nostra, ma nessuno voleva imporle nulla».

Anche Sanaa Dafani, marocchina di 18 anni, è stata barbaramente uccisa dal papà; è avvenuto a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, il 15 settembre 2009. Sanaa doveva essere punita perché voleva vivere all’occidentale e si era fidanzata con un giovane italiano, a sua volta ferito nell’estremo tentativo di difendere la ragazza.

Anche Sanaa Dafani, marocchina di 18 anni, è stata barbaramente uccisa dal papà; è avvenuto a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, il 15 settembre 2009. Sanaa doveva essere punita perché voleva vivere all’occidentale e si era fidanzata con un giovane italiano, a sua volta ferito nell’estremo tentativo di difendere la ragazza.

Sul fronte delle indagini, la vicenda di Brescia resta peraltro ancora da chiarire in molti punti. Tranne quello essenziale: che Sana non è morta perché è caduta sullo spigolo di un divano, come ha sostenuto ancora il padre, ma perché qualcuno l’ha strangolata. Domani pomeriggio, in ricordo della giovane, proprio a Brescia si terrà una manifestazione di sostegno alle donne. Il mondo islamico che dice no alla violenza e alle contraddizioni ancora una volta vuol far sentire la sua voce. Ecco in questa pagina, tre testimonianze diverse che dicono come è possibile affrontare la questione generazionale a tutti i i livelli: in famiglia, dentro le comunità (religiose e non) nelle scuole e nei luoghi della nostra quotidianità.

11 agosto 2006: Hina Saleem, ventenne pakistana, viene uccisa a Sarezzo (Brescia) dal padre Mohammed, che poi la seppellisce con la testa rivolta alla Mecca. L’omicida sarà condannato a 30 anni di reclusione; nelle motivazioni della sentenza Hina viene riconosciuta vittima di un ’’possesso-dominio’’ da parte del padre che non accettava il suo stile di vita all’occidentale.

11 agosto 2006: Hina Saleem, ventenne pakistana, viene uccisa a Sarezzo (Brescia) dal padre Mohammed, che poi la seppellisce con la testa rivolta alla Mecca. L’omicida sarà condannato a 30 anni di reclusione; nelle motivazioni della sentenza Hina viene riconosciuta vittima di un ’’possesso-dominio’’ da parte del padre che non accettava il suo stile di vita all’occidentale.

da Avvenire

Assisi. Alla Merkel la Lampada della pace. «Costruiamo un mondo più fraterno»

La cancelliera Angela Merkel con il presidente Juan Manuel Santos (a destra) e padre Mauro Gambetti (Ansa)

La cancelliera Angela Merkel con il presidente Juan Manuel Santos (a destra) e padre Mauro Gambetti (Ansa)

“Chiamare a raccolta le forze civili dell’Europa” e “convocare persone e governi capaci di rinunciare a interessi particolaristici, privilegi e miopi esercizi di sovranità” per “un orizzonte di unità che sappia valorizzare le differenze e perseguire un destino di pace e di sviluppo”. Lo ha chiesto il custode del Sacro convento di Assisi, padre Mauro Gambetti, alla Cancelliera tedesca Angela Merkel, consegnandole la Lampada della Pace con la fiamma che promana dalla tomba di san Francesco per la sua opera a favore della “pacifica convivenza dei popoli”.

Padre Gambetti, come riporta l’Agenzia Sir, si è detto convinto che “le grandi sfide che sono davanti a noi – la globalizzazione dei mercati, il grido della Terra, le disuguaglianze economiche e sociali, le migrazioni epocali e gli spettri della xenofobia – devono catapultarci in un’audace avventura per la costruzione di una nuova Europae di un mondo nuovo, più fraterno”. Il Custode ha ricordato anche “quanti vivono il programma Erasmus”. E quindi esperienze di “integrazione, superamento dei confini, convivenza pacifica”. “Belli i nostri giovani! Tuttavia abbiamo davanti a noi grandi sfide”. “Lei e il suo Paese – ha detto rivolgendosi a Merkel – avete la responsabilità e il dovere di imprimere un movimento di crescita per il bene del mondo intero”.

Dopo avere ricevuto la Lampada della pace dal presidente della Repubblica della Colombia, Juan Manuel Santos,Angela Merkel ha tenuto un discorso in cui ha affrontato una serie di temi internazionali.

“In Siria – ha detto – si verifica una delle maggiori tragedie umanitarie dei nostri tempi. La metà degli abitanti è in fuga all’interno e all’esterno del Paese. Queste persone hanno bisogno di una luce di speranza che ancora non si vede”. Quello nel Paese mediorientale è, a suo avviso, “un conflitto di interessi regionali”. “Si pensa troppo poco alla gente che ne vive le conseguenze”, ha affermato. Proprio “la crisi in Siria e nei Paesi vicini ce lo ricordano: la pace non è scontata”. “Molto spesso la gente si stacca da questo cammino. Uno che invece persevera è il presidente Santos che ha raggiunto la pace nel suo Paese”.

“L’Italia – ha aggiunto Merkel – attraversa una fase politica delicata, e qui non voglio entrare, ma noi in Germania vogliamo risolvere con voi i grandi problemi, le sfide della nostra epoca”. Una delle sfide indicate è quella dell’accoglienza dei rifugiati africani. “Non dobbiamo pensare solo al nostro benessere ma bisogna affrontare le cause della fuga, dell’esodo – ha continuato -. Non abbiamo mai avuti così tanti rifugiati”. E il “grande compito” è quello di “occuparci dei loro problemi nella ricerca di una soluzione. Se vogliamo vivere in pace con i nostri vicini – ha concluso – dobbiamo occuparci anche dei problemi degli altri, cercare di risolverli”.

“L’Italia è stato uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea – ha poi sottolineato la cancelliera tedesca -, per questo bisogna partire da qui per costruire la pace”. Ma “un Paese da solo non ce la può fare”. E ha aggiunto: “La pace ha bisogno di lavoro”, “l’Europa oggi non vive pace e sicurezza”, ricordando i conflitti di Crimea e Ucraina. Poi, la Cancelliera ha indicato nell’Unione europea una “prova di convivenza pacifica dei popoli”, spiegando che “l’integrazione europea è un progetto di pace”. Presenti, tra gli altri, alla consegna della Lampada della Pace a Merkel, l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, il legato pontificio per le Basiliche, cardinale Agostino Vallini, e il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassettiassieme al vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino.

Ricordando che “dalla Westfalia all’Umbria l’Europa è un continente della diversità”, la Cancelliera ha sostenuto che “la sua accettazione è un presupposto per la convivenza”. Nel suo discorso ha poi citato De Gasperi e Schuman, “convinti in un futuro di pace, se si fosse creata una comunità europea”. Di qui l’impegno assunto da Merkel a “portare avanti l’Unione europea”. Rivolgendosi agli altri capi di Stato, ha detto: “Dobbiamo collaborare”.

avvenire