Ecco il senso di una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa. Il libro di Fabio Fabene

(Mario Morcellini, Formiche) Un testo di agile lettura che ha il vantaggio di mettere in trasparenza quanto sta cambiando nella Chiesa, incoraggiando un’operazione di valorizzazione delle nuove figure del ministero. Mario Morcellini recensisce il libro di monsignor Fabio Fabene, “Sinfonia di ministeri. Una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa” — Un testo breve ma animato da una chiara convinzione: il richiamo urgente al protagonismo dei laici nella comunità ecclesiale per restituire orizzonti di senso a una visione dei ministeri ricca di multiformi vocazioni e carismi. È questo il senso dell’ultimo libro di Fabio Fabene: “Sinfonia di ministeri. Una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa” (San Paolo Edizioni).

CONCISTORO «No alla corruzione». Il Papa: pastori non eminenze

La «strada di Gesù» non è quella «di chi, magari senza nemmeno rendersene conto, “usa” il Signore per promuovere se stesso», non è quella «di chi – come dice san Paolo – cerca i propri interessi e non quelli di Cristo». Lo ha ricordato il Papa ai nuovi e vecchi porporati riuniti nel Concistoro, settimo del pontificato, per la creazione di nuovi cardinali. La cerimonia si è svolta in San Pietro con misure speciali anti-Covid.

Domenica 15 novembre, quarta Giornata mondiale dei poveri

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Sotto il colonnato alla vigilia della festa

14 novembre 2020

Sotto il colonnato del Bernini sabato mattina non si parla d’altro: «Domani, che è domenica, alle 10 il Papa celebra la messa e ci ha invitato dentro in basilica» dice, con il piglio da “portavoce”, Anna, 72 anni, che in zona San Pietro conoscono tutti.

«Purtroppo per la pandemia non si può fare il pranzo tutti insieme come l’anno scorso» fa presente la donna, che a Francesco vorrebbe regalare una rosa. Nelle parole di Anna c’è tutta la consapevolezza che l’invito rivolto dal Papa ai più poveri per la messa, nella Giornata a loro dedicata, è una riaffermazione della dignità di ogni persona indipendentemente dal suo conto in banca, dal fatto che non ha una casa o un cambio di vestiti e fatica a metter su pranzo e cena.

Le “braccia” del colonnato del Bernini sono sempre lì, spalancate per accogliere ogni donna e ogni uomo. Ma la constatazione che una delle “braccia” è resa “viva” proprio dalle persone emarginate, rende l’immagine suggerita dal colonnato ancora più forte e chiara. Perché proprio il “punto di riferimento” che Papa Francesco ha voluto sotto il colonnato per assicurare ai più poveri docce, servizi di accoglienza e anche un ambulatorio — dove da 2 settimane si fanno 50 tamponi al giorno — sta a ricordare, senza retorica, che qui davvero la Giornata del povero si celebra ogni giorno, con i fatti.

Domenica 15 novembre alla messa per la quarta edizione della Giornata mondiale — organizzata dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione — saranno simbolicamente presenti “solamente” cento persone, in rappresentanza di tutti i poveri del mondo. Accompagnate da volontari e benefattori. E a proclamare le letture saranno proprio coloro che ogni giorno vengono assistiti dalle associazioni caritative.

La celebrazione sarà in diretta su Rai 1, Tv2000, Telepace e sulle emittenti cattoliche del mondo collegate al Dicastero per la comunicazione e sarà trasmessa in streaming su Vatican News.

«Tendi la mano al povero» è l’espressione del libro del Siracide (7, 32) scelta dal Papa per “fotografare” la grande povertà che oggi abbraccia il mondo. La pandemia sta rendendo ovunque evidente una povertà dimenticata: la fragilità. E il povero è fragile per definizione, perché manca del necessario per vivere e la sua stessa esistenza dipende dalla generosità e della solidarietà degli altri.

Quest’anno la Giornata ha un valore forse ancora più “provocatorio” perché la pandemia sta facendo toccare con mano che ogni donna e ogni uomo è debole, dipende dagli altri: vale per i potenti e per chi vive sotto un ponte.

Il messaggio suggerito da questo evento è che «non ci si salva da soli ma insieme». Ecco che l’immagine della “mano tesa”, scelta dal Papa per la Giornata, rammenta che non può mai essere “a senso unico”: chi la tende deve avere la certezza che viene raggiunta da un’altra mano, senza stare a calcolare chi l’ha tesa per primo.

E se la Giornata mondiale dei poveri nel tempo del covid-19 ha il suo “cuore” nella celebrazione che Francesco presiederà domenica mattina all’altare della cattedra in San Pietro e il suo “segno” nel quotidiano e non episodico servizio di accoglienza sotto il colonnato del Bernini, davvero ogni casa — meglio, ogni persona — è “sede” della celebrazione. Oggi più che mai in ogni dimora e in ogni luogo — soprattutto negli ospedali — le persone si tendono reciprocamente le mani. Perché nessuno sia solo nei problemi, nella malattia, nella morte.

Lo “racconta” efficacemente il logo della Giornata: sulla soglia di una porta aperta s’incontrano due persone che si tendono la mano. Una chiede aiuto, l’altra vuole offrirlo. Ma non si comprende chi tra le due sia “il povero”. Poveri, in realtà, siamo tutti. Ci sono due braccia tese, come quelle del colonnato berniniano. E soprattutto la porta resta spalancata.

di Giampaolo Mattei – Osservatore

Festa Roma: premio Kineo a Afineevsky per docufilm sul Papa. In Vaticano il 22 ottobre riconoscimento Humanity Award

ansa

Il Premio Kineo compie 18 anni, e dopo Venezia per la prima volta è a Roma, in concomitanza con la 15/a Festa del Cinema. Il Kineo Movie for Humanity Award, assegnato a chi promuove temi sociali e umanitari, sarà consegnato in Vaticano Giovedì 22 ottobre 2020, ore 11.00 presso i Giardini Vaticani (Palazzina Leone XIII), da Rosetta Sannelli, ideatrice del riconoscimento, al regista russo che vive in America Evgeny Afineevsky, per il suo docufilm Francesco. Il regista è stato candidato agli Oscar e agli Emmy nel 2016 con Winter on Fire e nel 2018 ha ricevuto 3 nomination agli Emmy per Cries from Syria.
Francesco illustra il pensiero e le opere del Papa, una personalità di grande spessore, a prescindere dal credo o dai giudizi personali di ciascuno. La sua coscienza civile, l’impegno verso il rispetto dell’ambiente al fine di preservarlo per le future generazioni e la sua coscienza della storia in relazione alle tragedie del nostro secolo sono, i tratti di una sublime umanità che risaltano in ogni scena del film, che mostra veri drammi umanitari: il genocidio degli Armeni, la guerra in Siria e la migrazione verso l’Europa, la guerra in Ucraina, la persecuzione dei Rohingya.
Il Kineo, oltre ai premi alle classiche categorie, assegna due riconoscimenti speciali: il Movie for Humanity Award e il Kineo Green & Blue Award, dedicati a chi nel cinema promuove temi sociali, umanitari e ambientali. (ANSA).

Vaticano. Quattro guardie svizzere positive al Covid

Lo ha detto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. Attualmente con loro salgono a sette i casi in Vaticano
Quattro guardie svizzere positive al Covid

Ansa

Qauttro casi di positività tra le Guardie Svizzere. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha riferito che “nel corso del fine settimana sono state riscontrate alcune positività al COVID19 tra le Guardie Svizzere. Allo stato attuale – ha aggiunto – si tratta di 4 persone, con sintomi, tutte poste in isolamento. Si sta procedendo in queste ore alle verifiche necessarie tra quanti possono essere stati in contatto diretto con loro. Nel frattempo, come da disposizioni emanate la scorsa settimana dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, tutte le guardie, in servizio e non, portano le mascherine, all’aperto e al chiuso, e osservano le misure sanitarie prescritte”.

“Le quattro guardie – ha concluso Bruni – si vanno ad aggiungere ad altre tre positività riscontrate nelle ultime settimane tra residenti e cittadini dello Stato, tutti con sintomi lievi e per i quali sono state osservate tutte le necessarie misure di isolamento presso la propria abitazione e verifica delle persone coinvolte”.

Avvenire

 

Abolire la pena di morte in tutte le sue forme

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Osservatore Romano

Nuovo appello del Papa a «tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà» perché lottino «non solo per l’abolizione della pena di morte in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà». L’invito di Francesco è contenuto nel tweet postato sull’account @Pontifex sabato 10 ottobre, data in cui dal 2003 si celebra in tutto il mondo la Giornata contro le esecuzioni capitali.

Lettera circolare della Congregazione per l’educazione cattolica alle scuole, alle università e alle istituzioni educative

Osservatore

La Congregazione per l’educazione cattolica, competente per l’educazione in generale, le scuole, le università cattoliche ed ecclesiastiche nonché per l’accompagnamento di tutti coloro che sono impegnati nei processi di formazione delle giovani generazioni, ha condiviso con tutte le istituzioni le enormi difficoltà vissute durante questo anno, che ha visto la sospensione e chiusura delle attività didattiche e accademiche.

Mentre in alcune parti del mondo ricominciano le attività nelle scuole e nelle università, e in altre si sta andando verso la loro conclusione, il dicastero della Santa Sede, con questa lettera circolare, esprime vicinanza e incoraggiamento alle famiglie, ai docenti e dirigenti, al personale amministrativo e, soprattutto, agli studenti.

L’educazione è una straordinaria occasione di rilancio della vita sociale e culturale di tutte le società, ed è il migliore investimento per costruire il futuro, formando le giovani generazioni.

10 settembre 2020
La diffusione del covid-19 ha profondamente cambiato la nostra esistenza e il modo di vivere: «Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa»1. Alle difficoltà sanitarie si sono aggiunte quelle economiche e sociali. I sistemi educativi di tutto il mondo hanno sofferto la pandemia a livello sia scolastico sia accademico. Ovunque si è cercato di assicurare una celere risposta mediante piattaforme digitali per la didattica a distanza, la cui efficacia è stata però condizionata da una marcata disparità delle opportunità educative e tecnologiche. Secondo alcuni recenti dati forniti delle agenzie internazionali, circa dieci milioni di bambini non potranno avere accesso all’istruzione nei prossimi anni, aumentando il divario educativo già esistente.

A ciò si unisce la drammatica situazione di scuole e università cattoliche che, senza sostegno economico dello Stato, rischiano la chiusura o un radicale ridimensionamento. Eppure, le istituzioni educative cattoliche (scuole e università) hanno saputo, anche in questo caso, farsi frontiera avanzata della preoccupazione educativa ponendosi a servizio della comunità ecclesiale e civile, assicurando un servizio formativo e culturale di carattere pubblico, a beneficio dell’intera comunità.

Educazione e relazione

In questo contesto, purtroppo ancora incontrollato in diverse parti del mondo, sono emerse alcune sfide. Anzitutto, la didattica a distanza — sebbene necessaria in questo momento di estrema criticità — ha mostrato come l’ambiente educativo fatto di persone che si incontrano, interagendo direttamente e “in presenza”, non costituisca semplicemente un contesto accessorio all’attività educativa, ma la sostanza stessa di quel rapporto di scambio e di dialogo (tra docenti e discenti), indispensabile per la formazione della persona e per la comprensione critica della realtà. Nelle classi, nelle aule e nei laboratori si cresce insieme e si costruisce un’identità di relazione. In tutte le età della vita, ma tanto più nell’infanzia, nell’adolescenza e nella prima età adulta il processo di crescita psico-pedagogico non può realizzarsi senza l’incontro con gli altri e la presenza dell’altro fa nascere le condizioni necessarie per il fiorire della creatività e dell’inclusione. Nel campo della ricerca scientifica, dell’investigazione accademica e, in generale, dell’attività didattica, le relazioni interpersonali costituiscono il “luogo” in cui transdisciplinarità e interdisciplinarità emergono come criteri culturali fondamentali per arginare i rischi di frammentazione e disintegrazione dei saperi, nonché per l’apertura di questi stessi saperi alla luce della Rivelazione.

La formazione degli educatori

L’ampia diffusione e la persistenza nel tempo della pandemia hanno suscitato un diffuso senso di incertezza anche nei docenti e negli educatori. Il loro preziosissimo apporto — profondamente cambiato durante gli anni, tanto dal punto di vista sociale quanto dal punto di vista tecnico — ha bisogno di essere sostenuto attraverso una solida formazione continua che sappia andare incontro alle esigenze dei tempi, senza perdere quella sintesi tra fede, cultura e vita, che costituisce la peculiare chiave di volta della missione educativa attuata nella scuola e nell’università cattolica. Sui docenti gravano tante responsabilità e il loro impegno deve sempre di più trasformarsi in un’azione reale, creativa e inclusiva. Grazie a loro si alimenta uno spirito di fraternità e condivisione non solo con i discenti, ma anche tra le generazioni, le religioni e le culture, nonché tra l’uomo e l’ambiente.

La persona al centro

Affinché ciò avvenga, occorre sempre rimettere al centro dell’azione educativa la relazione con la persona concreta e tra le persone reali che costituiscono la comunità educativa; relazione che non può trovare casa sufficiente nell’interazione mediata da uno schermo o nelle impersonali connessioni della rete digitale. La persona concreta e reale è l’anima stessa dei processi educativi formali e informali, nonché fonte inesauribile di vita per la sua natura essenzialmente relazionale e comunitaria, che sempre implica la duplice dimensione verticale (aperta alla comunione con Dio) e orizzontale (comunione tra gli uomini). L’educazione cattolica — ispirandosi alla visione cristiana della realtà in tutte le sue espressioni — mira alla formazione integrale della persona chiamata a vivere in maniera responsabile una specifica vocazione in solidarietà con gli altri uomini.

In un mondo, in cui «tutto è intimamente relazionato»2, ci sentiamo uniti nel trovare — secondo l’antropologia cristiana — percorsi formativi nuovi che ci consentano di crescere insieme utilizzando gli strumenti relazionali che ci offre la tecnologia di oggi, ma soprattutto aprendoci all’insostituibile ascolto sincero della voce dell’altro, donando tempo per una comune riflessione e progettualità, facendo tesoro dei racconti personali e progetti condivisi, degli insegnamenti della storia e della saggezza delle generazioni passate. In un simile processo di formazione nella relazione e nella cultura dell’incontro trova spazio e valorizzazione anche la “casa comune” con tutte le creature, poiché le persone, proprio mentre si formano alla logica della comunione e della solidarietà, già lavorano «per recuperare la serena armonia con il creato»3, e per configurare il mondo come «spazio di una vera fraternità» (cfr. Gaudium et spes, 37).

Il servizio come fine

La situazione attuale ha fatto emergere con forza l’esigenza di un patto educativo sempre più comunitario e condiviso, che — traendo forza dal Vangelo e dagli insegnamenti della Chiesa — concorra in generosa e aperta sinergia alla diffusione di un’autentica cultura dell’incontro. Per questo, le scuole e le università cattoliche sono chiamate a formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità. Nel servizio, infatti, possiamo sperimentare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr. At 20, 35) e che il nostro non può più essere il tempo dell’indifferenza, degli egoismi e delle divisioni: «Tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell’affrontare la pandemia», dal momento che «la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone»4. La formazione al servizio nella società per la promozione del bene comune interpella tutti a «unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna»5.

Lavorare in rete

L’evidenza che «la pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi»6 chiede alle istituzioni educative — cattoliche e non — di contribuire alla realizzazione di un’alleanza educativa che, come in un movimento di squadra, abbia l’obiettivo di «ritrovare il passo comune per ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione»7. Ciò può essere favorito da una rete più integrata di cooperazione, la quale si configura come un punto di partenza per fissare e condividere alcuni obiettivi irrinunciabili verso cui far convergere — in modo creativo e concreto — modelli di convivenza alternativi rispetto a quelli di una società massificata e individualista8. Si tratta di una responsabilità ampia e aperta a tutti quelli che hanno a cuore la costruzione di un rinnovato progetto educativo di lungo periodo, sulla base di istanze etiche e normative condivise. Un prezioso contributo può essere dato dalla pastorale scolastica e universitaria nonché dai singoli cristiani presenti in tutte le istituzioni educative.

Conclusione

La Congregazione per l’Educazione Cattolica — come già espresso nel comunicato del 14 maggio 20209 — rinnova la propria vicinanza ed esprime vivo apprezzamento a tutte le comunità educative delle istituzioni scolastiche e universitarie cattoliche che, nonostante l’emergenza sanitaria, hanno garantito lo svolgimento delle proprie attività per non interrompere quella catena educativa che è alla base non solo dello sviluppo personale, ma anche della vita sociale. Nella prospettiva della futura programmazione scolastica e accademica, pur fra incertezze e preoccupazioni, i responsabili della società sono chiamati a dare maggiore rilevanza all’educazione in tutte le sue dimensioni formali e informali, coordinando gli sforzi per sostenere e assicurare, in questo tempo difficile, l’impegno educativo di tutti.

È tempo di guardare avanti con coraggio e speranza. Le istituzioni educative cattoliche hanno in Cristo — via, verità e vita (cfr. Gv 14, 6) — il loro fondamento e una fonte perenne di «acqua viva» (cfr. Gv 4, 7-13) che rivela il senso nuovo dell’esistenza e la trasforma. Pertanto, ci sostenga la convinzione che nell’educazione abita il seme della speranza: una speranza di pace e di giustizia.

Città del Vaticano, 10 settembre 2020

Giuseppe Cardinale Versaldi
Prefetto

Angelo Vincenzo Zani
Arcivescovo titolare di Volturno
Segretario

Prot. n. 553/2020

1. Papa Francesco, Momento straordinario di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro, 27.03.2020.
2. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, 137.
3. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, 225.
4. Papa Francesco, Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020.
5. Papa Francesco, Messaggio per il lancio del Patto educativo, 12 settembre 2019.
6. Papa Francesco, Udienza generale, 12 agosto 2020.
7. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, 20 febbraio 2020.
8. Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Educare all’umanesimo solidale. Per costruire una civiltà dell’amore a 50 anni dalla «Populorum progressio», 16 aprile 2017, VI.

Il cardinale Parolin ha ordinato ventinove sacerdoti dell’Opus Dei

La celebrazione nella basilica romana di Sant’Eugenio

Vita, semplicità e missione. Su queste tre parole ha sviluppato il suo pensiero il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nell’omelia tenuta durante il rito di ordinazione sacerdotale di 29 membri della Prelatura personale dell’Opus Dei. La celebrazione si è svolta sabato mattina, 5 settembre, nella basilica romana di Sant’Eugenio. I 29 candidati provenivano da Italia, Spagna, Messico, Guatemala, Cile, Uruguay, Costa d’Avorio, Slovacchia, Argentina, Costa Rica, Olanda, Uganda, e Perú.

Nella sua riflessione il cardinale ha ripreso le letture della liturgia, commentando le parole di Gesù che si proclama il Buon pastore. «È piuttosto radicata l’idea — ha osservato — che il pastore designi esclusivamente la conduzione del gregge». Certamente, il pastore è «colui che guida il gregge». Tuttavia, nel Vangelo emerge «una prospettiva più ampia» e si nota «la differenza che Gesù fa tra il pastore e il mercenario».

Il primo, ha sottolineato il porporato, «non riveste prima di tutto un ruolo, ma assume uno stile di vita». Il pastore infatti, soprattutto ai tempi di Gesù, «non veniva inteso come qualcuno che aveva una mansione da svolgere» ma come uno che «condivideva ogni cosa con il proprio gregge»; non viveva «come voleva, ma come era meglio per il gregge»; non si fermava dove «desiderava, ma dove stava il gregge». In effetti, «si spostava con le pecore e trascorreva il giorno e la notte in loro compagnia». Più che condurre il gregge «ci viveva immerso».

Dunque, l’immagine del pastore sembra riferirsi non anzitutto «al governo, ma alla vita». Difatti, ha aggiunto il segretario di Stato, «non a caso Gesù caratterizza il pastore come colui che dà la propria vita per le pecore». Da qui l’invito a considerare il ministero sacerdotale come «una questione di vita». Perché i preti, «assimilati al Buon pastore immerso nel suo gregge», non sono «in primo luogo chiamati a fare qualcosa» — magari neppure quella per cui si sentono più portati — ma «a dare e a condividere la vita». Così potranno «realizzare in pienezza la chiamata ad agire in persona Christi che caratterizza il sacramento dell’ordine». E questo «non solo nell’amministrazione dei sacramenti, ma incarnando lo stile di Gesù». Così come scrisse san José María Escrivá de Balaguer, «il sacerdote, chiunque egli sia, è sempre un altro Cristo».

Si comprende perciò la ragione per cui la vita del sacerdote è «una chiamata a testimoniare la gioia nell’incontro tra Dio e noi, la gioia che Dio prova nell’usarci misericordia». Essere pastori oggi, ha fatto notare il porporato, «significa, soprattutto, diventare testimoni di misericordia». E il tempo della misericordia è proprio quello che «ha proclamato il Papa nell’imminenza dell’apertura dello scorso giubileo». La grazia dell’oggi ecclesiale e le esistenze dei sacerdoti si incontrano così «nel segno del pastore misericordioso che dà la vita per il suo gregge».

Il cardinale ha poi fatto riferimento ad alcune conseguenze pratiche che derivano dall’esempio del Buon pastore, mettendo in risalto le parole e il perdono «che devono caratterizzare la vita del prete». Rivolgendosi agli ordinandi, il porporato ha raccomandato: «Le parole con cui predicherete e userete dovranno essere parole di vita». La predicazione, ha aggiunto, «ha sempre al centro il kerygma, la novità perenne e risanante della morte e risurrezione di Cristo per noi, ed è il fondamento dell’annuncio». Da qui l’invito ai nuovi sacerdoti, affinché ricordino che nella predicazione «prima di esortare va sempre proclamata la bellezza della salvezza». Infatti è «da questa bellezza che noi siamo attratti per vivere di conseguenza, per avere una vita morale all’altezza di questa chiamata».

Il segretario di Stato ha poi ricordato il pensiero di san Paolo contenuto nella seconda lettura, laddove l’apostolo ricorda «l’imprescindibilità del perdono». In questa chiave, ha invitato i nuovi preti a essere «ambasciatori di misericordia, portatori del perdono che risolleva l’esistenza, sacerdoti che amano disporre i fratelli e le sorelle a lasciarsi riconciliare con Dio». Nasce da qui il bisogno di prestare molta attenzione al sacramento della confessione. Perché è lì che i presbiteri hanno modo di essere «dispensatori di quelle grazie, di quel perdono cui il mondo di oggi ha estremo bisogno».

La seconda parola indicata dal cardinale per descrivere la figura del pastore è stata la semplicità. «Pensiamo — ha detto — ai pastori presenti alla nascita di Gesù: non rappresentavano certamente il vertice culturale del popolo e non erano l’espressione compiuta della purezza rituale». Eppure, ha aggiunto, «furono i primi chiamati ad accogliere il Messia apparso in terra». In particolare il porporato ha ricordato il giovane Davide, che «in quanto pastorello non era stato annoverato dal padre tra i figli idonei a essere consacrati». Ma il Signore, ha fatto notare, «guarda il cuore, ama i piccoli e cerca i semplici». A questo proposito, il celebrante ha invitato a guardare all’esempio di santa Teresa di Calcutta, di cui ricorreva la memoria liturgica. «Conoscete il cammino semplice che delineò — ha detto — tratteggiando in poche parole il tragitto essenziale del credente». Quindi ha ricordato una sua frase: «Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace». Si tratta di «parole semplici per collegare i poli dell’esistenza: Dio e gli altri». Infatti, «il primo e decisivo passo suggerito è trovare ogni giorno tempo per fare silenzio ed entrare nella preghiera». Questa dimensione «costitutiva del credente» è «fondamento dell’edificio spirituale», così come la definiva il fondatore dell’Opus Dei, «non mancando di ricordare che essa è sempre feconda». Poi, rivolgendosi agli ordinandi, ha assicurato che questa dimensione «rappresenterà un vero e proprio opus da esercitare fedelmente per l’intero popolo di Dio».

Il cardinale ha inoltre sottolineato come «la semplicità che nasce dalla trasparenza della preghiera comporta anche scelte concrete per andare all’essenziale del ministero». In proposito ha ricordato che madre Teresa chiedeva per prima cosa quante ore pregassero ogni giorno. Quindi, ricordando le parole di san Escrivá de Balaguer, ha detto che per essere pastori «occorre anzitutto avere una vita ben ordinata; e ciò significa non lasciarsi ingolfare da mille cose, pena il rischio di smarrire la semplicità di un cuore pienamente dedito al Signore».

Infine, il segretario di Stato non ha mancato di far notare come i 29 ordinandi ricevano il sacramento dell’ordine alla missione del sacerdote durante questo pontificato di Francesco, che, «oltre alla priorità della misericordia vissuta e al richiamo alla semplicità evangelica», sta insistendo sulla «esigenza non più rimandabile della missione, quale vocazione principale della Chiesa». Essere Chiesa in uscita, ha sottolineato il cardinale Parolin, «significa non concepirsi più come fine , ma come mezzo, per portare non noi stessi, ma il Signore che salva».