Usa-Ue chiedono de-escalation senza condizioni in Kosovo

 © EPA

“L’Unione europea e gli Usa sono preoccupati per la persistente situazione di tensione nel nord del Kosovo e chiedono a tutti di esercitare la massima moderazione, e di agire immediatamente per una de-escalation senza condizioni, astenendosi da provocazioni, minacce o intimidazioni”.

Lo riporta una nota del servizio di azione esterna della Ue.

“Stiamo lavorando con il presidente Vučić e il primo ministro Kurti per trovare una soluzione politica al fine di disinnescare le tensioni e concordare la via da seguire nell’interesse della stabilità, della sicurezza e del benessere di tutte le comunità locali”, si legge nella nota. (ANSA).

Presidente serbo, sul Kosovo servono negoziati e compromessi

“La Serbia è pronta a rispettare tutti i trattati che ha firmato, vogliamo evitare ogni possibile escalation con la Nato: crediamo di non avere dato adito a nessuna provocazione”.

Lo ha detto il presidente serbo Aleksandar Vučić nel corso della conferenza stampa con Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, aggiungendo di non ritenere che esistano “rischi reali” di una “escalation” e accusando la leadership kosovara di “retorica politica”.

“Da 180 giorni ci accusano di preparare azioni militari ma non è accaduto nulla. Abbiamo bisogno di un approccio razionale, di negoziati, di trovare compromessi. E noi siamo pronti”. (ANSA).

La nuova disputa. I Balcani, l’altro fronte di Putin

Una disputa sulle targhe delle auto e documenti d’identità riaccende la tensione fra la Serbia, sostenuta dalla Russia, e il Kosovo.La Nato: «Pronti a intervenire se è a rischio la stabilità»
Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo

Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo – Reuters

Dopo quasi 24 ore di blocco stradale, la minoranza serba del Kosovo ha smantellato le barricate erette nel Nord del Paese. Una notte di tensione, con alcuni serbi «fuori legge» che – riferisce la polizia kosovara – avevano aperto il fuoco contro degli agenti senza colpirli. Incidente sfiorato, ma la crisi sembra per ora solo rimandata: per il presidente serbo Aleksandar Vucic «mai la situazione è stata così difficile» da quando il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008. E la missione Nato in Kosovo (Kfor), dopo aver monitorato con delle pattuglie in elicottero la riapertura dei blocchi stradali, ha informato di star «monitorando da vicino la situazione nel nord del Kosovo» con le organizzazioni di sicurezza locali e di «essere pronta ad intervenire se a rischio la stabilità».
È la guerra dei Balcani che, come un fiume carsico, riemerge dopo oltre un decennio e riapre vecchie incomprensioni tra Russia e Occidente in quello che potrebbe diventare un “fronte parallelo” rispetto alla guerra in Ucraina. Ieri pomeriggio tuttavia, secondo alcune testimonianze, il ponte vicino al confine di Bernjak era ancora istruito e il valico di confine non ancora aperto mentre il giorno prima si segnalavano spostamenti di truppe.
Tutto è iniziato domenica pomeriggio quando la popolazione serba del Kosovo aveva bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a chiuderli. Le proteste sono contro nuove leggi sui documenti di identità e targhe automobilistiche, che avrebbero dovuto entrare in vigore il primo agosto. I manifestanti protestavano contro la decisione di Pristina di imporre anche ai serbi che vivono in Kosovo l’uso esclusivo di carte d’identità e targhe kosovare. Dalla guerra del 1999, il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese dove sono presenti maggioranze serbe. La nuova legge rende invece obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo «Rks», cioè Repubblica del Kosovo. Ai proprietari di automobili era dato tempo fino alla fine di settembre per effettuare il cambiamento. Le nuove norme prevedono anche che chiunque entri in Kosovo con una carta d’identità serba abbia un documento temporaneo, con validità di tre mesi, mentre si trova nel Paese. Il premier del Kosovo, Albin Kurti, ha spiegato che si tratta di una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese proclamata nel 2008 – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La diatriba su targhe e documenti, che aveva già provocato in passato delle rimostranze, ha così riacutizzato sopite tensioni internazionali. La Serbia, spalleggiata da Russia e Cina, non riconosce l’indipendenza del Kosovo, né il suo diritto di imporre regole e regolamenti come la registrazione di automobili e camion mentre il governo del Kosovo è riconosciuto dalla maggior parte dei Paesi Ue.
Così domenica notte era giunto il minaccioso monito del Cremlino: «Tutti i diritti dei serbi in Kosovo devono essere rispettati», aveva dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. Poi, dopo una mattina di consultazioni lo stesso Peskov, dopo aver ribadito di sostenere «assolutamente» la posizione della Serbia, chiedeva che tutte le parti «agiscano in modo ragionevole» perché riteneva «assolutamente infondati» le richieste delle autorità del Kosovo. Mentre la rappresentante dell’Onu in Kosovo, Caroline Ziadeh, lanciava un appello «alla calma, al ripristino della libertà di movimento» dall’Ue giungeva un chiaro altolà a Belgrado chiedendo di evitare «ogni azione non coordinata e unilaterale che mette in discussione la stabilità e la sicurezza». L’Ue ha poi invitato le autorità serbe e quelle kosovare a Bruxelles per risolvere i contrasti.

Lo status del Kosovo

La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel 2008, dopo che nel 1999 la risoluzione 1244 dell’Onu autorizzava una presenza internazionale civile e militare in Kosovo, la Kfor a guida Nato ed ora forte di 3.500 uomini. L’indipendenza di Pristina è stata riconosciuta da 113 dei 193 membri Onu tra cui la maggior parte dei Paesi Ue, mentre Russia e Cina, alleate della Serbia, no. Negli anni passati Bruxelles ha cercato di mediare un dialogo tra i due vicini, ma finora gli sforzi non sono riusciti a raggiungere una normalizzazione dei rapporti. Il premier kosovaro Kurti ha affermato che il Kosovo presenterà formalmente domanda per diventare membro dei Ventisette entro la fine del 2022, nonostante le preoccupazioni per le tensioni con la Serbia, anch’essa aspirante membro Ue. Ma è sulla Nato che la spaccatura fra Mosca e l’Occidente si riverbera pericolosamente nei Balcani. Kurti ha infatti lanciato un appello per essere ammesso nella Nato insieme alla Bosnia. Una richiesta avanzata in maggio chiaramente in chiave anti-serba, mentre la crisi in Ucraina era già in atto.

Alta tensione a confine Serbia-Kosovo, monito di Vucic

 © ANSA
Le autorità del Kosovo hanno chiuso questa sera due valichi di confine con la Serbia per i blocchi stradali messi in atto da dimostranti kosovari di etnia serba per protestare contro nuove leggi approvate dal governo su documenti di identità e targhe automobilistiche, in vigore domani.

La disputa ha riacceso le tensioni tra Pristina e Belgrado, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo.

Media internazionali riferiscono che il presidente serbo Aleksandr Vucic, in un discorso televisivo, ha mostrato una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba e ha avvertito che se i serbi saranno minacciati, la Serbia ne uscirà vittoriosa.
(ANSA).

Serbia: morto patriarca ortodosso Irinej. Mons. Hocevar (Belgrado), “vicinanza orante e solidarietà spirituale”

(SIR) “Desidero esprimervi personalmente, nonché a nome del clero, dei monaci, di tutte le persone consacrate e dei fedeli laici della nostra arcidiocesi di Belgrado, sincera vicinanza orante e solidarietà spirituale in occasione del passaggio all’eternità di sua santità il patriarca serbo Irinej”: lo scrive l’arcivescovo cattolico di Belgrado Stanislav Hocevar, in un messaggio di cordoglio per la morte del Patriarca, deceduto questa mattina per il Covid. “Abbiamo seguito i suoi giorni di malattia con grande ansia, pregando il Signore della vita che lo salvasse”, scrive mons. Hocevar