Primo Report sulle attività di tutela nelle Diocesi italiane

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Pubbblichiamo la Sintesi del Primo Report nazionale sulle attività di tutela nelle Diocesi italiane realizzato dalla CEI. In allegato il testo integrale. 

Gli obiettivi e la metodologia della rilevazione
L’obiettivo della rilevazione è quello di verificare, nel biennio 2020-2021, lo stato dell’arte in merito all’attivazione del Servizio Diocesano o Inter-diocesano per la tutela dei minori (SDTM/SITM), del Centro di ascolto e del Servizio Regionale per la tutela dei minori (SRTM) nelle Diocesi italiane. Il presente report intende offrire uno strumento conoscitivo alla Conferenza Episcopale Italiana per implementare le azioni di tutela dei minori e delle persone vulnerabili nelle Diocesi italiane. A tale scopo, la metodologia del lavoro ha previsto la definizione e la somministrazione online di tre strumenti di rilevazione, uno destinato ai referenti diocesani per analizzare la struttura e le attività del SDTM/SITM, il secondo destinato ai referenti delle Regioni ecclesiastiche, il terzo indirizzato ai referenti dei Centri
di ascolto. I dati raccolti sono stati elaborati differenziando le diverse situazioni a livello
territoriale e dimensionale.

1. I Servizi Diocesani e Inter-diocesani per la tutela dei minori
I Servizi sono presenti in tutte le 226 Diocesi italiane. Le elaborazioni effettuate fanno riferimento a 158 risposte su 166 Diocesi coinvolte: 8 Servizi sono infatti a carattere Inter-diocesano. La rappresentatività statistica del campione di indagine è pari al 73,4% (166 Diocesi sulle 226 totali in Italia e, ad oggi, sono in corso ulteriori accorpamenti).
– La distribuzione geografica del campione evidenzia una relativa omogeneità nella presenza di Diocesi collocate nelle diverse aree del nostro Paese (seppure al Centro Italia corrisponda una percentuale di poco inferiore a quella di Sud e Nord). Dal punto di vista dimensionale, le Diocesi del campione sono soprattutto di medie dimensioni (tra 100 e 250mila abitanti), seguite dalle Diocesi di grandi (oltre
250mila) e piccole dimensioni (fino a 100mila).
– Ad avere l’incarico di referente nella maggior parte dei casi è un sacerdote (51,3%), seguito da laico o laica (42,4%) e solo raramente un religioso o una religiosa (6,3%).
– Le Diocesi di piccole dimensioni invece si distinguono in quanto a ricoprire il ruolo di referente, in oltre la metà dei casi, è un laico/a (56, 0%), mentre negli altri casi un sacerdote.
– Il 77,2% delle Diocesi censite ha una équipe di esperti a sostegno del SDTM.
– Le principali attività svolte dal SDTM consistono in incontri e corsi formativi.
– Il numero di incontri formativi proposti nel biennio in esame (2020-2021) è cresciuto notevolmente, passando dai 272 incontri del 2020 ai 428 del 2021.
– Il numero di partecipanti conferma il trend di crescita: da 7.706 nel 2020 a 12.211 nel 2021, con l’aumento più alto per gli operatori pastorali, passati da 3.268 a 5.760.
– Le relazioni tra SDTM e altri organismi ecclesiali, quali Ordinari religiosi e Superiori di istituti femminili, risultano scarse: solo il 4,7% dichiara di aver promosso iniziative comuni.
– Anche le iniziative o le collaborazioni con altri enti, associazioni, istituzioni non ecclesiali, risultano limitate (12,2%); solo nell’11,4% dei casi il SDTM partecipa a tavoli istituzionali civili.
– Gli Uffici diocesani con i quali sono state avviate collaborazioni sono soprattutto l’Ufficio per la pastorale giovanile (53,3%), l’Ufficio per la pastorale familiare (47,4%), l’Ufficio scuola (35,6%).
– La maggior parte delle Diocesi ha attivato un Centro di ascolto (70,8%), in particolare nelle Diocesi di grandi dimensioni (84,8%).
– Le modalità con cui vengono pubblicizzate le attività del SDTM si avvalgono soprattutto del sito web (67,7%), in secondo luogo si utilizzano presentazioni o comunicazioni ordinarie alla stampa (42,4%).
– I referenti dei SDTM sono stati chiamati a fornire un parere in merito ai punti di forza e di debolezza del sistema sinora costituito a livello diocesano. Tra i punti di forza vengono indicati in via prioritaria la sensibilità di educatori e catechisti nei confronti del tema degli abusi sui minori (il punteggio medio da 1 a 10 è 7,3) e la gestione delle relazioni con gli Uffici pastorali diocesani (7,1), con il Seminario
diocesano (6,5) e con educatori e catechisti (6,4).
– I punti negativi risultano invece: la capacità di gestire relazioni con Istituti e Congregazioni religiose (5,1), con le associazioni non ecclesiali (4,9), con gli enti locali (4,8); infine, il giudizio più negativo è riservato all’attività di comunicazione realizzata sui media locali (4,1) circa le iniziative proposte dai Servizi.

2. I Centri di ascolto
Sono stati rilevati dati relativi a 90 Centri di ascolto: di questi 21 attivati nel 2019 o prima, 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. L’attivazione dei Centri di ascolto è strettamente correlata alla dimensione delle Diocesi, con 38 Centri costituiti in Diocesi di grandi dimensioni o Diocesi che si sono aggregate.
– La sede del Centro di ascolto differisce dalla sede della Curia diocesana nel 74,4% dei casi.
– Il responsabile del Centro, in oltre due terzi dei casi, è un laico o una laica (77,8%). Meno frequente è la scelta di un sacerdote (15,5%), oppure un religioso o una religiosa (6,7%). Tra i laici prevalgono nettamente le donne, che quindi rappresentano i due terzi dei responsabili.
– Nella maggior parte dei casi (83,3%), i Centri di ascolto sono supportati da una équipe di esperti.
– Nel biennio in esame il totale dei contatti registrati da 30 Centri di ascolto è stato pari a 86, di cui 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021.
– Il genere delle persone che hanno contattato il Centro rivela una maggiore rappresentazione delle donne (54,7%).
– I contatti sono avvenuti principalmente via telefono (55,2%) o, in misura inferiore, tramite corrispondenza online (28,1%).
– Il motivo del contatto è rappresentato dalla volontà di segnalare il fatto all’Autorità ecclesiastica (53,1%), dalla richiesta di informazioni (20,8%), da una consulenza specialistica (15,6%).
– I casi segnalati, anche per fatti riferiti al passato, riguardano 89 persone, di cui 61 nella fascia di età 10-18 anni, 16 over 18 anni (adulto vulnerabile) e 12 under 10 anni.
– Circa la tipologia dei casi segnalati, è emersa la prevalenza di “comportamenti e linguaggi inappropriati” (24), seguiti da “toccamenti” (21); “molestie sessuali” (13); “rapporti sessuali” (9); “esibizione di pornografia” (4); “adescamento online” (3); “atti di esibizionismo” (2).
– Le segnalazioni fanno riferimento a casi recenti e/o attuali (52,8%) e a casi del passato (47,2%).
– Il profilo dei 68 presunti autori di reato evidenzia soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni all’epoca dei fatti, in oltre la metà dei casi. Il ruolo ecclesiale ricoperto al momento dei fatti è quello di chierici (30), a seguire di laici (23), infine di religiosi (15). Tra i laici emergono i ruoli di insegnante di religione; sagrestano; animatore di oratorio o grest; catechista; responsabile di associazione.
– Il contesto nel quale i presunti reati sono avvenuti è quasi esclusivamente un luogo fisico (94,4%), in prevalenza in ambito parrocchiale (33,3%) o nella sede di un movimento o di una associazione (21,4%) o in una casa di formazione o seminario (11,9%).
– A seguito della trasmissione della segnalazione all’Autorità ecclesiastica da parte dei Centri di ascolto, tra le azioni poste in essere sono risultati prevalenti i “provvedimenti disciplinari”, seguiti da “indagine previa” e “trasmissione al Dicastero per la Dottrina della Fede”.
–  Tra le azioni di accompagnamento delle presunte vittime, i Centri forniscono informazioni e aggiornamenti sull’iter della pratica (43,9%), organizzano incontri con l’Ordinario (24,6%), offrono un percorso di sostegno psicoterapeutico (14,0%) e di accompagnamento spirituale (12,3%).
– Ai presunti autori degli abusi vengono proposti percorsi di riparazione, responsabilizzazione e conversione, compresi l’inserimento in “comunità di accoglienza specializzata” (un terzo dei casi rilevati) e percorsi di “accompagnamento psicoterapeutico” (circa un quarto dei casi).

3. I Servizi regionali per la tutela dei minori
I Servizi regionali (SRTM) attivati sono 16 e comprendono la totalità delle Regioni ecclesiastiche (le Regioni politiche Piemonte e Valle D’Aosta; Abruzzo e Molise; Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia costituiscono rispettivamente la Conferenza Episcopale Piemontese, la Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana e la Conferenza Episcopale Triveneta). Rappresentano il luogo di coordinamento tra i Servizi diocesani e organizzano iniziative di formazione dei membri degli stessi Servizi. Le attività del SRTM sono state quasi esclusivamente iniziative di carattere formativo, con 36 incontri nel 2020 e 62 nel 2021 (per un totale di 98 incontri con 2.746 partecipanti).

chiesacattolica.it

Donne e minori, lʼorrore che Telegram non vede

Avvenire

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – che si tiene ogni anno il 25 novembre – è passata da oltre una settimana.

Ciò che purtroppo non è passato è la violenza di ogni tipo che, ogni giorno, anche nel digitale, colpisce le donne.

A svelarne un tratto molto preoccupante è il rapporto dell’associazione «Permesso negato» che si occupa del supporto tecnologico e feedback legale alle vittime del cosiddetto «revenge porn». E cioè, della diffusione nella Rete di immagini sessualmente esplicite, senza il consenso del soggetto ritratto, spesso con l’intento di vendicarsi dell’ex partner.

Si tratta di un reato, come indicato dal nuovo articolo 612, inserito nel cosiddetto «Codice Rosso», in vigore dal 9 agosto 2019 e che sanziona chi lo commette con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. Bandito da motori di ricerca come Google e Bing e da social come Facebook, il crimine del «revenge porn» resta purtroppo presente su altre piattaforme.

Leggendo il rapporto «State of revenge» si scopre che la peggiore di tutti è Telegram. E cioè, il servizio di messaggistica istantanea e broadcasting, fondato da un imprenditore russo, ma con sede a Dubai e che vanta 400 milioni di utenti mensili. Fino a pochissimo tempo fa, il rivale di WhatsApp tollerava tutto. Che si trattasse della violazione di copyright di giornali, film, canzoni o serie tv, fino all’esistenza di canali gestiti da gruppi terroristici, Telegram ha sempre lasciato correre.

Quest’estate, dopo una denuncia di Fieg (la Federazione italiana editori di giornali) e Agcom (l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) si è vista costretta a chiudere 300 canali illegali che offrivano giornali gratis. E qualcosa si sta muovendo anche sul fronte della tutela dei film e delle serie tv, visto che anche alcuni canali pirata di questo tipo sono stati recentemente chiusi.

Per quello che riguarda il rispetto della donna e dei minori, la situazione appare tragica. Scrive nel report «Permesso Negato»: «piattaforme come Telegram paiono apparire compiacenti e sorde anche nel caso di pedopornografia». Su quest’ultimo punto non passa giorno che associazioni come Meter, non scovino e segnalino alle autorità orrori di ogni tipo. Ma se far oscurare un sito (magari estero) può essere complicato, la vicenda relativa alla violazione del copyright dei giornali italiani, ci ha dimostrato che si può ottenere da Telegram di giustizia.

Se pensate che in Italia quello del «revenge porn» su Telegram sia un fenomeno marginale, vi sbagliate di grosso. Soltanto a novembre , l’osservatorio di Permesso Negato ha rilevato «89 gruppi/canali attivi nella condivisione di pornografia non consensuale destinati ad un pubblico italiano». Il gruppo più numeroso annoverava «997.236 utenti unici». In totale «i gruppi sottoposti ad esame hanno rilevato un numero di utenti registrati non unici pari a oltre 6 milioni». È probabile che il 60% degli utenti di ogni canale sia composto dalle stesse persone, ma si tratta di un fenomeno comunque enorme.

Tanto più che «è in rapida crescita nel corso del 2020». Per capirci: nel febbraio 2017 i gruppi rilevati di questo tipo «erano 17 per un totale di 1.147.000 utenti non univoci», a maggio 2020«i gruppi/canali erano 29 per un totale di 2.223.336 utenti non univoci». Oggi, dopo pochi mesi, sono il triplo. Con un’ulteriore aggravante: «La massima parte dei gruppi in osservazione contiene particolareggiate richieste di contenuti che coinvolgono minori». Persino video di «bambine stuprate». Il rapporto «è stato inviato a Telegram, alle forze dell’ordine e all’AgCom». Il minimo che ora dobbiamo tutti pretendere è che almeno si faccia quanto (giustamente) è stato fatto per proteggere il copyright dei giornali.

Quei canali vanno chiusi, senza se e senza ma.

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Minori. Carla Garlatti nuova garante per l’infanzia

 

I presidenti di Senato e Camera hanno scelto per l’incarico la presidente del Tribunale per i minorenni di Trieste. Una lunga esperienza in magistratura, sempre dalla parte di bambini e ragazzi
Carla Garlatti

Carla Garlatti – /

Dopo un’attesa di quasi sei mesi i presidenti del Senato e della Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, hanno nominato il nuovo presidente dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Sarà Carla Garlatti, attualmente presidente del Tribunale dei minorenni di Trieste. Una scelta in zona Cesarini. Il mandato della precedente Garante, Filomena Albano, era finito nel giugno scorso e il suo impegno fino al 12 ottobre scorso si è svolto in proroga.

Dalla settimana prossima l’Autorità garante sarebbe entrata in regime di commissariamento. Il rischio è stato evitato sul filo di lana e tutte le realtà che operano nel mondo dei minori possono tirare un sospiro di sollievo. Troppe le incombenze, le situazioni ad alto rischio, le emergenze che incombono sul futuro di bambini e ragazzi per affrontarle senza la figura del garante. L’esperienza di Carla Garlatti, udinese, 63 anni, assicura quanto necessario, in termini di competenza e di capacità operativa per assicurare quel coordinamento tra le enti istituzionali e associazioni che rientra tra i compiti dell’Autorità garante. L’incarico durerà quattro anni.

Prima di arrivare a Trieste , Garlatti ha ricoperto l’incarico di giudice nei Tribunali di Udine, Milano, Venezia e Padova, di consigliere presso la Corte d’appello di Venezia e di magistrato addetto all’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia dal 2011 al 2016.
“Abbiamo scelto un profilo di alta competenza e professionalità. Siamo certi che Carla Garlatti saprà interpretare al meglio un ruolo delicato come quello del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ancor di più in un momento complesso come quello che il Paese sta attraversando. A lei vanno i nostri sentiti auguri di buon lavoro”, hanno commentato, all’unisono, Casellati e Fico in una nota ufficiale.
Soddisfazione per la nomina anche da parte del ministro per la famiglia e per le Pari opportunità, Elena Bonetti: “ Questo tempo così difficile . – ha scritto su Facebook ¬- sfida ciascuno di noi, ma come comunità nazionale abbiamo il dovere di proteggere e mettere al centro i più fragili”.

Parla di sfida che profuma di futuro, Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari che ha subito espresso congratulazioni e auguri di buon lavoro: “Siamo grati a Filomena Albano per il prezioso lavoro svolto e confidiamo che la nuova presidente possa proseguire l’opera di sostegno alle nuove generazioni, a maggior ragione in un tempo delicato qual è quello in cui ci troviamo a vivere. È un impegno quotidiano, che impatta in modo forte sulle famiglie. Già il prossimo 20 novembre, 31ma Giornata mondiale per i diritti di infanzia e adolescenza, sarà la prima occasione per rilanciare l’impegno nella tutela di bambini e ragazzi. Una sfida che profuma di futuro”.

Buon lavoro alla nuova Garante anche da parte di Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali: “Conosciamo e stimiamo Carla Garlatti con la quale abbiamo anche collaborato nella costruzione delle nostre linee guida sui minori – spiega Gazzi – Saremo al suo fianco per quanto di nostra competenza, per rendere meno drammatiche situazioni che colpiscono l’infanzia e l’adolescenza, ancor di più in un momento complesso come quello che l’Italia e il mondo intero stanno attraversando”.

“Finalmente – ha commentato il presidente di AiBi, Amici dei Bambini, Marco Griffini – dopo la nomina del vicepresidente Cai Starita abbiamo anche quella di una figura fondamentale come il Garante per l’Infanzia. Bambini e adolescenti attraversano, in questo momento storico, una situazione molto delicata. La nuova nomina serva a dare slancio all’interesse per un mondo, quello dell’infanzia, che soprattutto in questa fase pandemica deve essere messo al primo posto”.
Anche Carmela Pace, componente del Consiglio direttivo di Unicef Italia, ha rivolto auguri di buon lavoro a Carla Garlatti: “Siamo pronti da subito a collaborare insieme per il benessere delle bambine, dei bambini e dei giovani in Italia”. Altri attestati di stima e di auguri da parte di numerosi esponenti delle forze politiche.

Minori. «Nozze forzate, 500mila nel corso della pandemia»

Un dato drammatico a cui Save the Children affianca quello delle gravidanze precoci, previste in aumento di un milione nell’anno in corso, per oltre la metà in Africa

Una bambina in Yemen

Una bambina in Yemen – Ansa

Avvenire

La pandemia da Covid-19 sta incentivando i matrimoni infantili e quelli forzati, imponendo a un gran numero di giovani donne una realtà di disagio e sfruttamento. A rilanciare un fenomeno persistente, quasi sempre sostenuto da tradizioni socio-religiose che lo favoriscono o lo ammettono, sono stati il maggiore isolamento delle comunità e gli ulteriori limiti a controlli e sicurezza. Tuttavia, un ruolo di rilievo ha giocato e sta giocando l’accresciuta condizione di necessità di tante famiglie che, spingendo le proprie figlie ad unioni sovente al di fuori della legge, cercano un qualche beneficio economico o ritengono di garantire così alle figlie una qualche prospettiva.

A confermarlo è anche Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia: «La pandemia sta spingendo sempre più famiglie verso la povertà, lasciando molte ragazze senza cibo, obbligandole a lavorare per sostenere la famiglia o costringendole ad occuparsi dei familiari malati e ad abbandonare la scuola, con possibilità molto minori di poter riprendere gli studi rispetto ai loro coetanei maschi».

La chiusura delle scuole per il Covid-19 ha lasciato nel mondo 1,6 miliardi di bambini senza possibilità di istruzione, socialità e alimentazione essenziale. Per molti, soprattutto ragazze, le porte delle scuole potrebbero essere chiuse per sempre. Save the Children, con il rapporto “ The Global Girlhood Report 2020: Covid-19 and progress in peril”, si è aggiunto ieri alle molte voci di allarme e denuncia per questa situazione che – tra le pieghe di una pandemia inattesa e con effetti devastanti sul piano economico per i Paesi poveri o emergenti – vede un’inversione di tendenza riguardo il fenomeno dei matrimoni in età minorile, in regressione da un quarto di secolo.

Save the Children ha fornito dati aggiornati su una realtà da cui sono immuni poche aree del pianeta. Sono i Paesi più soggetti a crisi umanitarie ad essere a rischio di unioni precoci in nove casi su dieci. «Ogni anno avvengono circa 12 milioni di matrimoni precoci, in un caso su sei sotto i 15 anni – ha sottolineato Daniela Fatarella – ed è un dato sottostimato che siamo convinti sia solo la punta di un iceberg».

La stima è che entro il 2020 altre 500mila giovani donne siano costrette al matrimonio come conseguenza della pandemia in Asia meridionale (191mila), Africa centrale e occidentale (90mila) e America Latina e Caraibi (73mila). Un dato drammatico a cui Save the Children affianca quello delle gravidanze precoci, previste in aumento di un milione nell’anno in corso, per oltre la metà in Africa.

 

Vademecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici

Non un nuovo testo normativo, ma uno strumento offerto a vescovi, superiori di ordini religiosi e operatori del diritto per istruire e gestire correttamente le cause concernenti abusi sessuali che coinvolgono diaconi, sacerdoti o membri dell’episcopato. È questo il senso del Vademecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici, pubblicato nel pomeriggio di giovedì 16 luglio.

Il documento è stato messo a punto dalla Congregazione per la dottrina della fede sulla base di quanto era emerso durante l’incontro su «La protezione dei minori nella Chiesa» svoltosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio dello scorso anno. Proprio Papa Francesco, al termine del summit, aveva sottolineato con forza «l’esigenza dell’unità dei vescovi nell’applicazione di parametri che abbiano valore di norme e non solo di orientamenti».

Il Vademecum — la cui versione attuale viene denominata “1.0” perché resta aperta a futuri aggiornamenti in base agli sviluppi della normativa canonica e alle eventuali indicazioni provenienti dalle realtà locali e da chi opera nel campo del diritto — ha come obiettivo accompagnare «chiunque si trovi nella necessità di procedere all’accertamento della verità nell’ambito dei delitti» di abuso su minori, a partire dalla “notizia” di eventuali reati fino alla conclusione della causa. «Il desiderio — si sottolinea nell’introduzione — è che questo strumento possa aiutare le Diocesi, gli Istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica, le Conferenze episcopali e le diverse circoscrizioni ecclesiastiche a meglio comprendere e attuare le esigenze della giustizia su un delictum gravius che costituisce, per tutta la Chiesa, una ferita profonda e dolorosa che domanda di essere guarita».

Dopo aver precisato che il delitto in questione «comprende ogni peccato esterno contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore» e aver ricordato che nella categoria di “minore” rientrano tutte le persone che non hanno ancora compiuto diciotto anni, il Vademecum dà indicazioni sulla procedura da seguire qualora si riceva un’informazione su un possibile abuso. Per quanto si insista sull’opportunità di «usare molta cautela», si consiglia di prendere in considerazione anche le denunce anonime, così come quelle provenienti da fonti di dubbia attendibilità o vaghe e indeterminate. In ogni caso, non viene meno il «sigillo sacramentale» che vincola il sacerdote venuto a conoscenza di un delitto durante l’esercizio del ministero della Confessione.

Quanto all’«indagine previa» prescritta in questi casi, si evidenzia tra l’altro che essa «non è un processo» ma va utilizzata per raccogliere «dati utili ad approfondire la notitia de delicto» e ad «accreditarne la verisimiglianza». Si raccomanda l’accuratezza nel vaglio e nell’accertamento delle informazioni, ma anche la necessità di mantenere il «segreto d’ufficio» e di attenersi «all’eventuale volontà di rispetto della riservatezza manifestata dalle presunte vittime». Già in questa fase è prevista la possibilità di adottare misure cautelari come il divieto di esercizio del ministero. Ogni caso, «anche in assenza di un esplicito obbligo normativo», il Vademecum invita l’autorità ecclesiastica a presentare «denuncia alle autorità civili competenti ogni qualvolta ritenga che ciò sia indispensabile per tutelare la persona offesa o altri minori dal pericolo di ulteriori atti delittuosi».

Il testo chiarisce poi il campo successivo di azione assegnato alla stessa Congregazione per la dottrina della fede, che spazia dall’archiviazione del caso fino all’apertura di un «processo penale» — giudiziale o extragiudiziale — con la possibilità anche di deferire direttamente alla decisione del Papa i casi più gravi, allorché «consta manifestamente il compimento del delitto, dopo che sia stata data al reo la facoltà di difendersi». Si specificano infine le modalità di ricorso previste al termine della procedura penale.

Vademecum

Tabulato per casi di delicta reservata (pdf)

Presentazione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer

Intervista di Vatican News al Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, S.E. Mons. Giacomo Morandi

Abusi sessuali su minori commessi da chierici e persone consacrate / Lettera di Papa Francesco al Popolo di Dio

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). Queste parole di San Paolo risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità.

  1. Se un membro soffre

Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco di circa settant’anni. Benché si possa dire che la maggior parte dei casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite “non vanno mai prescritte”. Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare. Il cantico di Maria non si sbaglia e, come un sottofondo, continua a percorrere la storia perché il Signore si ricorda della promessa che ha fatto ai nostri padri: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53), e proviamo vergogna quando ci accorgiamo che il nostro stile di vita ha smentito e smentisce ciò che recitiamo con la nostra voce.

Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli. Faccio mie le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! […] Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison– Signore, salvaci (cfr Mt 8,25)» (Nona Stazione).

  1. Tutte le membra soffrono insieme

La dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che le protegga e le riscatti dal loro dolore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale, «perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2 Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165). L’appello di San Paolo a soffrire con chi soffre è il miglior antidoto contro ogni volontà di continuare a riprodurre tra di noi le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).

Sono consapevole dello sforzo e del lavoro che si compie in diverse parti del mondo per garantire e realizzare le mediazioni necessarie, che diano sicurezza e proteggano l’integrità dei bambini e degli adulti in stato di vulnerabilità, come pure della diffusione della “tolleranza zero” e dei modi di rendere conto da parte di tutti coloro che compiono o coprono questi delitti. Abbiamo tardato ad applicare queste azioni e sanzioni così necessarie, ma sono fiducioso che esse aiuteranno a garantire una maggiore cultura della protezione nel presente e nel futuro.

Unitamente a questi sforzi, è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. Così amava dire San Giovanni Paolo II: «Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49). Imparare a guardare dove guarda il Signore, a stare dove il Signore vuole che stiamo, a convertire il cuore stando alla sua presenza. Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza. Invito tutto il santo Popolo fedele di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore,1 che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso.

E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita.2 Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente»3. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo.

E’ sempre bene ricordare che il Signore, «nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro. Tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione. La dimensione penitenziale di digiuno e preghiera ci aiuterà come Popolo di Dio a metterci davanti al Signore e ai nostri fratelli feriti, come peccatori che implorano il perdono e la grazia della vergogna e della conversione, e così a elaborare azioni che producano dinamismi in sintonia col Vangelo. Perché «ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 11).

E’ imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione.

Al tempo stesso, la penitenza e la preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci spinga a camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza.

In tal modo potremo manifestare la vocazione a cui siamo stati chiamati di essere «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1).

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme», ci diceva San Paolo. Mediante l’atteggiamento orante e penitenziale potremo entrare in sintonia personale e comunitaria con questa esortazione, perché crescano tra di noi i doni della compassione, della giustizia, della prevenzione e della riparazione. Maria ha saputo stare ai piedi della croce del suo Figlio. Non l’ha fatto in un modo qualunque, ma è stata saldamente in piedi e accanto ad essa. Con questa posizione esprime il suo modo di stare nella vita. Quando sperimentiamo la desolazione che ci procurano queste piaghe ecclesiali, con Maria ci farà bene “insistere di più nella preghiera” (cfr S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 319), cercando di crescere nell’amore e nella fedeltà alla Chiesa. Lei, la prima discepola, insegna a tutti noi discepoli come dobbiamo comportarci di fronte alla sofferenza dell’innocente, senza evasioni e pusillanimità. Guardare a Maria vuol dire imparare a scoprire dove e come deve stare il discepolo di Cristo.

Lo Spirito Santo ci dia la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio.

Vaticano, 20 agosto 2018

FRANCESCO

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1 Questa specie di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno» (Mt 17,21).

2 Cfr Lettera al Popolo di Dio pellegrino in Cile, 31 maggio 2018.

3 Lettera al Cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016.

Primo congresso mondiale sugli abusi sessuali di minori on line

“Child Dignity in the Digital World” è il primo congresso globale della storia sul tema dell’abuso sessuale di minori on line e si terrà a Roma dal 3 al 6 ottobre con la partecipazione di governi, aziende del calibro di Google, Facebook e Microsoft, scienziati, forze di polizia, Ong e rappresentanti del mondo religioso. Nel giorno delle conclusioni, l’attesa udienza con Papa Francesco che ha dato il suo benestare all’iniziativa chiedendo di lanciare azioni di lotta concreta e protezione dei minori nel mondo digitale. Al Pontefice verranno consegnate anche le conclusioni dei lavori.

Si affronteranno problemi quali sextortion, sexting, cyberbullying, grooming afferma padre Hans Zollner, presidente del Centro protezione dei minori dell’Università Gregoriana, che lancia un appello ai nostri microfoni: “tutti dobbiamo cooperare per un mondo sicuro a misura di bambino. I giovani non si rendono conto dei rischi che corrono. Quindi c’è tutto un lavoro preventivo da fare; ovviamente c’è anche un lavoro punitivo per quelli che spacciano immagini di minori e che non mettono in atto le leggi degli Stati  degli accordi internazionali”.

D’altronde un quarto dei più di 3,2 miliardi di utenti di internet nel mondo è rappresentato da minori. Si calcola che più di 800 milioni di giovani sono esposti al rischio di divenire vittima di adescamento sessuale su Internet. “L’abuso sessuale sui minori – prosegue padre Zollner – esiste in tutte le società, culture e Paesi del mondo. È un male molto più diffuso di quanto si pensi. L’Unione Europea ha lanciato qualche anno fa una iniziativa dal titolo, ‘Uno su cinque’. Significa che un ragazzo o una ragazza su cinque, e cioè il 20% di tutti i ragazzi in Europa, è abusato e abusata sessualmente. Sono cifre orrende”.

Ricerca, diagnosi precoce, prevenzione le tre parole chiave per contrastare e sradicare la piaga degli abusi, anche di quelli digitali, ma di certo questo è anche il tempo della decisione per dare un aiuto concreto a genitori e famiglie, preoccupati per la sicurezza dei loro figli. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito childdignity2017.org, dal canale Youtube sono disponibili anche le varie sessioni di lavoro.

radio vaticana

Gregoriana: diploma in tutela dei minori. Papa: abbiate coraggio

“State facendo un grande sforzo per prevenire e curare la piaga degli abusi sui minori, abbiate coraggio e pazienza: sono certo che incontrerete molti sorrisi di gratitudine”. Così in una lettera Papa Francesco saluta i primi 19 studenti, religiosi e laici di tutto il mondo, diplomati alla Pontificia Università Gregoriana al programma di Studi avanzati dal titolo ”Tutela dei Minori”. Oggi all’Ateneo la cerimonia di fine semestre. Avviato nel febbraio 2016 e offerto una volta l’anno, tramite selezione, il Corso è interdisciplinare e interattivo e vuole essere un’ulteriore risposta responsabile della Chiesa sul tema. Ruolo e formazione dei nuovi esperti nelle parole di padre Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori e presidente del Centro per la protezione dei minori della Gregoriana. L’intervista è di Gabriella Ceraso da Radio Vaticana

R. – Sono arrivate più richieste di quelle che avremmo potuto accettare … Alla fine ne abbiamo accolte 19 di 14 Paesi di quattro continenti: quest’anno, una netta maggioranza di persone dall’Africa, che potranno così aiutare le Chiese locali, le Congregazioni religiose e le istituzioni cattoliche in Paesi dove finora sulla carta forse si parla dei diritti dei bambini, ma effettivamente c’è ben poco; quindi, persone esperte in grado non solo di scrivere documenti, ma veramente anche di smuovere le persone che sanno che accadono dei crimini orrendi ma non sanno come agire, che non sanno quali sono le leggi nello Stato in cui vivono, con le norme canoniche per la Chiesa …

D. – C’erano dei pre-requisiti che avevate richiesto?

R. – I requisiti erano che avessero un primo grado accademico, una lettera di raccomandazione da un Superiore o da una Conferenza episcopale; la terza cosa era che dovesse essere espresso anche un interesse personale per svolgere questo lavoro, perché questo è un campo molto delicato e anche molto pesante, e quindi una persona non può semplicemente venire perché le è stato chiesto, ma deve avere una motivazione propria per venire e poi tornare nei Paesi di appartenenza e poter lavorare veramente efficacemente.

D. – L’approccio è interdisciplinare?

R. – Sì, sono stati esposti temi che riguardano ambiti a 360°: psicologia, psichiatria, giurisprudenza – dal diritto canonico alle scienze sociali –, sanità pubblica, fino alla teologia. Per noi è molto importante, e questa credo sia anche l’unicità di questo programma, mettere insieme tutte le dimensioni della persona umana in una visione veramente onnicomprensiva. Abbiamo anche una certa varietà di competenze che ciascun candidato ha portato con sè, e adesso abbiamo cercato di completare questa visione. I candidati potranno ora lavorare negli uffici di protezione o di intervento e potranno essere inseriti nella pastorale familiare, perché sappiamo che in molti Paesi del mondo il problema molto grosso è nel contesto familiare.

D. – L’amore incondizionato di Dio è vitale per recuperare, per guarire, i sopravvissuti a simili esperienze; però è anche importante il rigore e la fermezza di alcune decisioni. Cosa pensa dell’ultima decisione del Papa in forma di Motu Proprio, per quanto riguarda i vescovi?

R. – Il Motu Proprio “Come una madre amorevole” ha sottolineato qualcosa che giuridicamente era già chiaro e che il Santo Padre ha chiarito molto bene e molto decisamente: che questi fatti non sono una cosa leggera. Ha specificato che la negligenza d’ufficio rispetto all’assunto dell’abuso dei minori non dev’essere molto grave per essere giudicato un reato, ma già nel caso di una pura “trascuratezza” questo può essere giudicato un reato.

D. – Si potrà arrivare mai – con il tempo, con l’educazione – a sradicarla, questa piaga?

R. – Questa è una delle aspettative di tutti quelli che si stanno veramente impegnando in questo, ed è un’aspettativa anche comprensibile; ma purtroppo, finché siamo esseri umani, non sarà da sradicare una volta per sempre: è impossibile. Il male è con noi: purtroppo, questa è la realtà della condizione umana, che siamo vulnerabili al male. Quindi, è tanto più importante che si faccia il possibile perchè questi casi si verifichino il meno possibile. Per questo dobbiamo essere molto svegli, cambiare non solo le conoscenze – perché le abbiamo – ma dobbiamo sviluppare l’atteggiamento adatto e anche pronto a intervenire, sicché i vulnerabili siano più protetti. Gesù ci aiuta e ci dà speranza, ma dobbiamo anche fare la nostra parte.