«Nostalghia» d’infinito, «Amarcord» di fede

Dalla splendida raccolta Il polverone (1978), a questa Polvere di sole. 101 sto­rie per accendere l’umanità appena edi­ta da Bompiani. La carica dei 101 racconti, sprigionata dall’energia visionaria del poeta di Sant’Arcangelo di Romagna, Tonino Guerra, che il 16 marzo aveva fatto appena in tempo a veder sbocciare le sue 92 primavere. Un libro questo, che va letto come un tenero testamen­to letterario. «L’ottimismo della notte è venuto a fermarsi, tremolando, davanti alla luce della candela e al bianco del latte dentro al bicchie­re », scrive nel racconto «La cattiveria». Ma non c’è assolutamente acredine in questi brevi frammenti di memoria, pervasi dalla Nostal­ghia di Tarkovskij e dal continuo Amarcord fel­liniano, in un cammino a ritroso nel tempo, al­la ricerca di quei semi che al poeta di solito ser­vivano per far crescere le piante nel suo Orto dei frutti dimenticati. «Nel mio giardino c’è un ‘fiore di pietra’ dedicato a Marcello Mastroian­ni e uno a Tarkovskij, sono semplicemente dei pensieri d’affetto per le persone con cui sono stato bene», raccontava Tonino Guerra ad Av­venire in occasione del suo 90° compleanno.

E qui, in questo piccolo, ma prezioso libro di viaggio a ritroso nelle colline della memoria, in cui lo accompagna la lezione indimenticata di Fellini («Ricordati che è dall’oscurità che ven­gono schegge di luce»), si avverte più che mai la forte spiritualità del poeta. Quella che lo por­ta sempre più a stare a contatto con gli ultimi della terra: «Da alcuni anni ascolto uomini sen­za cultura». Colui che si definisce «un comuni­sta Zen, che porta dentro di sé san Francesco», qui si avventura per sentieri cristiani. Sfoglian­do la Bibbia armena sconfina nell’amata Rus­sia: alla periferia di Mosca, a Tbilisi, a San Pie­troburgo, in Georgia, qui dove «le Chiese vola­no ». Un peregrinare laico, sempre fedele a se stesso e alla sua poetica, lo mette in cammino per la Terra Santa. Sosta al Muro del Pianto, luogo di rimembranze tragiche, che nessuno più di quel ventenne scampato al lager di Troi­sdorf può comprendere. «Contento, proprio contento sono stato molte volte nella vita, ma più di tutte quando mi hanno liberato in Ger­mania che mi sono messo a guardare una far­falla senza la voglia di mangiarla», scrive nella sua poesia «La farfalla». E sulle ali di quella sto­rica crisalide, il poeta si è inerpicato sino a Pie­trarubbia, al convento di Sant’Arduino, «dove nella prima domenica di agosto – racconta – si sentono i monaci sepolti che recitano il rosario».

Nel suo fantastico teatro immaginario, quel con­vento diroccato è solo qualche metro più in là dalle montagne dello Ye­men, dove il giorno di Pa­squa la gente arriva su in cima con la farina per preparare la ‘croce di pane’. In qualche stra­done bianco o mulattiera, poco distante da quelle in cui ci sono gli amati vecchi che parla­no ancora soltanto il suo dialetto, eccogli appa­rire il millenario Monastero verde nella valle del Mtkvari, ma forse non esiste, «forse è solo un miraggio». È un incanto, come il cinema dell’amico Theo Angelopoulos, volato via per sempre un attimo prima di lui e che adesso po­trà riabbracciare, o come la Madonna di Mode­na che gli si para davanti agli occhi increduli, nella chiesa di San Nicola, poco fuori Mosca, portata lì in dono nel ’700 dallo zar Pietro il Grande. Si illumina lo sguardo di Tonino Guer­ra alla luce delle candele accese, riparate dal vento dalle mani attente dei fedeli in processione: dal lago Bianco di Kosino portano la Madonna fino al vicino lago Santo. Segni di una fede cercata e invidiata in uomini forti di Dio come ‘l’amico’ cardinale Ersilio Tonini: «La sua vecchiaia si scioglie in parole d’amore». Le stesse che il poeta ha sentito pronunciare nelle preghiere dell’amata madre, alla quale quando disse: «Ma il vostro latino non lo capisce nessu­no. Lei mi guardò con dolcezza e indicando con un dito il cielo rispose: ‘Mi capisce Lui’». Mamma Penelope, terziaria francescana che non sapeva né leggere né scrivere, come «L’ere­mita analfabeta», il romito Lorenzo che vive sul monte Zucca. Del resto, prima di gettare il suo ultimo seme su questa terra, il poeta ha lascia­to scritto: «Conta di più mostrare ai bambini le piante di un orto che le pagine di un libro. Riempire di stupore la fantasia dei ragazzi con lo spuntare di una foglia d’insalata e il lento ap­passire di un colore sul pomodoro».

 

Massimiliano Castellani – avvenire.it