Maria nel Vaticano II

50 anni dal Concilio. Nella vita delle persone le date sono importanti. Compiere cinquant’anni, celebrare il venticinquesimo di matrimonio è occasione di festa e obbliga a un bilancio. È così anche per la Chiesa. I 50 anni che ci separano dal concilio Vaticano II sono un momento propizio per ripensare quell’evento e interrogarsi su come e quanto lo stiamo vivendo; sono sempre di più infatti i cristiani – dai sessant’anni in giù – che non l’hanno vissuto e ne conoscono molto poco. È abituale considerare quell’evento come “una svolta”, un punto critico che chiude un periodo e ne apre uno nuovo; normalmente questa svolta è indicata come un ressourcement biblico, patristico ed ecumenico, che ci ha insegnato a guardare Maria alla luce della storia della salvezza. Se, in precedenza, Maria era compresa alla luce della devozione e della pietà popolare, del suo linguaggio e delle sue forme – rosario e mese mariano, feste e confraternite mariane, pellegrinaggi e santuari – il Concilio mette al centro il disegno di salvezza di quel Padre che vuole fare degli uomini i suoi figli. La scelta conciliare non intende assolutamente demolire la pietà mariana; vuole piuttosto riportarla al suo più vero fondamento, così che essa esprima e assicuri la “nostra vita in Cristo”. Vi è qui un nesso profondo tra il «mistero divino di salvezza» rivelato in Cristo e riproposto dalla Chiesa, suo corpo vivo, e la storia salvifica che si snoda da Israele alla Chiesa di Gesù e all’intera umanità; il rapporto tra questo mistero e questa storia – marcata dalla grazia e dal suo rifiuto, dalla santità e dal peccato – non ha a che fare con ideologie, con affermazioni filosofiche, ma con quell’agire salvifico che opera attorno a noi e in noi. Ed è questa storia, questa realtà che dobbiamo esaminare.

Madonna e Bambino, di Hans Clemer, parrocchia di Elva, 1500 ca. (foto CENSI).

Madonna e Bambino, di Hans Clemer, parrocchia di Elva, 1500 ca. (foto CENSI).

1. Al cuore di questa storia: l’incarnazione del Verbo e la maternità di Maria. Al centro dell’insegnamento conciliare sta una maternità che le Scritture presentano come opera dello Spirito divino: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Abbiamo qui il cuore della dignità di Maria. Come osserva Lumen gentium 56, «abbracciando la volontà divina di salvezza con tutto il cuore e senza impedimento di alcun peccato, [Maria] si è dedicata totalmente, quale serva del Signore, alla persona e all’opera del suo Figlio, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e con lui, per la grazia di Dio onnipotente». Abbiamo qui un’accettazione del disegno di Dio e una cooperazione ad esso che vanno comprese bene: da una parte l’opera di Dio non dipende da nessuna creatura, ma dal suo amore; e dall’altra il consenso di Maria è pieno e libero. Ci siamo sempre chiesti: aveva Maria capito bene e a fondo quello che Dio le chiedeva? Il Concilio insegna che Maria, «arricchita dei doni corrispondenti alla sua così alta funzione», ha attivamente preso parte all’incarnazione senza che questa dipendesse da lei. In lei comprendiamo come, in modo del tutto singolare, la grazia sia vita, produca la vita. Il Concilio descrive così la presenza di Maria al fianco di Cristo e, con Lumen gentium 58, osserva che «la beata vergine Maria ha percorso il suo pellegrinaggio di fede e ha serbato fedelmente la sua unione col Figlio fino ai piedi della croce dove, non senza un disegno divino, fu presente in dolorosa compassione col suo unigenito Figlio, associandosi con animo materno al suo sacrificio e unendo il suo amorevole consenso all’immolazione della vittima che lei stessa aveva generato ». Questa storia che vede Maria partecipare al disegno divino di salvezza ricorda a tutti che il camminare con Maria porta a Cristo; riconoscere il posto che il Padre ha attribuito a Maria vuol dire restare radicati nella fede in Cristo: è per sviluppare e salvare la verità di Cristo che la Chiesa ha precisato il posto di Maria.

Mons. Crociata celebra il 25° dei collaboratori della San Paolo di Alba, 2008.

La Trinità incorona Maria, Giovanni Franzini, Roletto (To), sec. XV

2 All’inizio di questa storia: l’amore trinitario. Non è difficile risalire da questa storia alla vita divina. Lo fa Paolo in Gal 4,4-6: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà, Padre! ». Questo testo, che G. Söll indica come il testo mariano «più significativo di tutto il Nuovo Testamento », legge l’incarnazione e il ruolo di Maria sullo sfondo della benevolenza del Padre, della kenosis del Figlio e del dono dello Spirito all’umanità. La maternità è la struttura personale che l’amore delle persone divine assume inMaria. Di conseguenza l’angelo la chiamerà «piena di grazia» perché il Figlio che nasce da lei è «pieno di grazia e verità» (Gv 1,14) e le dirà che «ha trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30) perché Dio è «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34,6). Figlia e madre dell’Eterno, Maria ha quindi un posto in quell’evento in cui la storia trinitaria si congiunge con la storia umana; la sua maternità è veramente compresa solo in questo ampio contesto. Là dove la rivelazione e la vita trinitaria inizia a operare attraverso Gesù e non attraverso la legge e il culto israelitico, là staMaria; sta come persona che, nella fede, si abbandona a Gesù impersonando e anticipando il cammino della Chiesa. All’amore divino che con Gesù si appropria della struttura della persona umana, cioè della nostra libertà progettuale e del senso ultimo della nostra storia, corrisponde la figura di Maria; con la sua fede Maria è l’icona della comunità credente: ne incarna gli atteggiamenti spirituali e ne anticipa il volto.

3 Il frutto di questa storia: la materna cooperazione di Maria all’opera di Gesù. Nei più antichi testi dei Padri della Chiesa Maria non è presentata come la Madre di Dio, ma come la novella Eva: «Ciò che Eva aveva legato per la sua incredulità», scriverà Ireneo, «Maria l’ha sciolto per la sua fede». È evidente che la relazione tra Maria e Cristo, messa in atto dalla maternità, non è fondata solo sugli aspetti biologici, ma comprende quegli aspetti spirituali che, nella linea dell’accoglienza, legano profondamente la madre al Figlio, unico Salvatore del genere umano. Sviluppandoli, Ireneo osserva che, «obbedendo, [Maria] è diventata causa di salvezza per sé e per tutta l’umanità ». Commentando la risposta di Maria all’angelo, Tommaso (Summa theologica III, q. 30, a. 1) conclude che Maria dà il suo consenso «loco totius humanitatis», comprendendovi cioè l’intera umanità. In questa stessa linea il Concilio insegna che «la funzione materna di Maria verso gli uomini non oscura né in alcun modo sminuisce l’unica mediazione di Cristo ma ne mostra piuttosto l’efficacia. […] Non impedisce il contatto immediato dei credenti con Cristo, ma anzi lo favorisce» (Lumen gentium 60). Il 21 novembre 1964, nel discorso di chiusura del terzo periodo conciliare, Paolo VI proclamerà Maria “madre della Chiesa” indicando con questo termine «il fondamento principale dei rapporti di Maria con la Chiesa, essendo Madre di colui che – fin dal primo istante dell’incarnazione nel suo seno verginale – ha unito a sé, come capo, il suo corpo mistico che è la Chiesa». Si deve quindi concludere che la vicenda di questa giovane donna, eletta in vista di una maternità che rappresenta il punto di svolta della storia umana, non è una storia personale e individuale ma ha un significato universale: coinvolge tutti noi. Proprio perché Maria «gioca un ruolo capitale nei momenti decisivi dell’evento di salvezza», questa logica comunitaria è decisiva per la fede cristiana. Purtroppo l’epoca moderna, attenta alle singole persone, presta minore importanza alla vita comunitaria; dipende anche da questo un certo declino della pietà mariana. Vale la pena richiamare ancora una volta che il senso della devozione mariana è totalmente volto a introdurre nella comunione con Cristo: come Maria non è il centro dell’incarnazione pur essendovi profondamente coinvolta, così non è il centro della vita della Chiesa pur giocandovi un ruolo di grande importanza. Maria illumina il valore della redenzione nello stesso tempo che questa rischiara il senso della sua maternità.

Gianni Colzani

vita pastorale – maggio 2013