Le voci dei giovani. «Vocazione solo per preti e suore? No, riguarda la nostra vita»

I ventenni che stanno partecipando al percorso di dialogo “Giovani e Vescovi” raccontano cos’è per loro la vocazione e come si lega oggi alle scelte negli affetti, nel lavoro, nella fede
Alcune giovani che hanno partecipato alla giornata "Giovani e Vescovi"

Alcune giovani che hanno partecipato alla giornata “Giovani e Vescovi” – Odielle

«Cos’è per voi la vocazione, e cosa c’entra con il lavoro?»: l’hanno chiesto i vescovi ai giovani seduti ai tavoli di dialogo su «Vocazione e lavoro» il 6 novembre 2021 in Duomo, per l’evento “Giovani e Vescovi”. Quel giorno, 200 giovani e i 14 vescovi lombardi si sono incontrati per immaginare strade nuove dentro la Chiesa, a partire dal vissuto dei ragazzi. Sulla vocazione i giovani hanno espresso una certezza: «Non è una dimensione solo per preti e suore. Riguarda la pienezza della vita di ogni persona e le sue scelte». La maggior parte dei primi ragazzi attivati dal progetto degli Oratori lombardi ha esperienze forti di fede alle spalle, maturate in associazioni o parrocchie, e spiega la vocazione come uno «scoprirsi alla luce di Dio». Questo non isola dalla vita concreta, anzi, dicono i giovani, «è proprio la realtà il terreno della vocazione: come risponde il mio cuore a quello che la vita presenta? Come rileggo la mia storia, che indizi trovo per il mio futuro?».

Proprio sul tempo futuro si concentrano le riflessioni dei ragazzi sul tema del lavoro. Nei loro vissuti ‘precarietà’, ‘sconforto’ e ‘instabilità’ sono le parole più frequenti. «Ci muoviamo tra due estremi: c’è chi non trova lavoro e chi invece viene continuamente sfruttato. Il futuro spesso fa paura» dice una giovane. Conciliare lavoro e affetti, aggiunge un altro, «sembra sempre più difficile. Tanti hanno il desiderio di creare una famiglia ma c’è il rischio di essere considerati poco produttivi e quindi di non essere tutelati». I ragazzi citano il fenomeno dei neet, i giovani che non studiano e non lavorano, e ricordano i numeri dei tanti che lasciano il nostro Paese per andare a lavorare all’estero. Le difficoltà sono evidenti e i giovani chiedono anche alla Chiesa un aiuto, in due direzioni: «Portare esempi di lavoro buono, e incoraggiarci». Tra loro c’è anche chi vede nel presente un momento di transizione: «Domani ci saranno lavori che oggi ancora non esistono – è una delle voci raccolte ai tavoli di dialogo nel Duomo di Milano –, questo tempo può essere anche un’opportunità».

Vocazione e lavoro si incrociano su una sfida: tenere vivi i propri desideri anche quando incontrano continui ostacoli. Perché questo sia possibile, spiegano i giovani, «è necessario avere occhio critico verso la società in cui viviamo. La narrazione più diffusa è che la realizzazione personale dipenda solo dal benessere economico, dalla possibilità di consumare e dalla carriera ». Il rischio che ne consegue «è di rinunciare ai propri sogni per adeguarsi alle aspettative esterne e per paura del giudizio. Ci sono ragazzi che hanno atrofizzato i loro desideri, si sono spenti». La vocazione, invece, «dona la libertà di essere se stessi, in modo autentico».

Per scoprirla e viverla sono necessari alcuni passi. «Bisogna avere il coraggio di puntare su esperienze di fraternità, vivere in un tessuto di relazioni è fondamentale per crescere». Occorre poi essere accompagnati dagli adulti, punto sul quale i giovani portano le proprie esperienze: «In tanti abbiamo ripetuto l’importanza di avere un padre o una madre spirituale – spiega Roberta Rocca, educatrice pavese di 23 anni che si è laureata da poco con una tesi proprio sul ruolo degli adulti –. Oggi è urgente ritrovare una connessione tra le generazioni. I ragazzi crescono se incontrano adulti che li ascoltano senza giudicarli». Infine, dicono i ragazzi, «sono da proteggere e coltivare gli spazi di silenzio, perché solo così ci si scopre amati e ci si conosce». È una sfida difficile, l’ennesima. Lo sa bene chi è a contatto anche con i più giovani. Come Marco Trivi, 27 anni, di Vigevano, che lavora in un’agenzia assicurativa ed è anche educatore nella sua parrocchia: «Gli adolescenti oggi vivono in un mondo molto più veloce rispetto al nostro, sono bombardati di informazioni». Il silenzio è una strada da percorrere, ma per arrivare a loro, sostiene Marco, «bisogna passare anche da nuovi veicoli. In questi mesi diversi influencer sui social media hanno mostrato il proprio percorso di maternità o paternità. I ragazzi rimangono colpiti e questo li spinge a parlare di famiglia. Anche noi dovremmo parlare di vocazione in modo nuovo». Anche perché – Marco ne è convinto – stare con i più giovani «è fonte di continuo stupore, linfa nuova per la mia vocazione».

Avvenire