L’Osservatore Romano
(Pierangelo Sequeri) Non c’è dubbio che l’idea del potere goda di una
cattiva fama. Essa è direttamente associata alla prepotenza, più ancora
che alla potenza: e da ciò deriva «un pregiudiziale sospetto, spesso
risentito e superficiale, verso qualsiasi espressione di potere».
La
teologia, ma in generale la lingua cristiana più corrente, disegna
frequentemente la forma cristiana come l’opposto delle «logiche del
potere»: sia dal punto di vista delle relazioni personali sia dal punto
di vista della istituzione comunitaria. Non solo. La
teologia si è fortemente impegnata, in questi decenni, a liberare
l’immagine stessa di Dio dall’equivoca assimilazione del suo “potere
assoluto” alle forme di una “potenza dispotica”, arbitraria,
prevaricante: insomma, tutta declinata dalla parte della forza divina
che costringe senza giustificazione e senza scampo. Certo, contrastare
un’immagine della potenza che si lascia assorbire interamente dalla
prepotenza è indispensabile. La rivelazione del Crocifisso, in cui il
Figlio si consegna alla violenza della sua condanna in nome di Dio e a
motivo del peccato del mondo, che respinge a un tempo l’amore di Dio e
l’amore del prossimo, chiede alla fede la forza di accogliere con
gratitudine commossa, e con ferma determinazione, la rivelazione della
logica della “debolezza” di Dio, che unisce il destino del Crocifisso a
quello delle vittime della prepotenza umana.
Dio si dissocia dalla
prepotenza, rinunciando ad aggiungere violenza alla violenza, per
riaprire il tempo della confessione del peccato e della conversione del
cuore, che devono vergognarsi e chiedere perdono della loro complicità
con le orribili potenze del male. Questa rivelazione dell’alleanza di
Dio con le vittime di tutti i poteri forti che insidiano la storia —
spesso invisibili e inafferrabili, come dice Paolo, perché abitano
dell’aria e del sottosuolo — è la nostra fede, la nostra speranza, la
nostra forza.
La nostra forza, appunto. Ecco il nodo sul quale vuole
riaprire la mente — non solo quella dei teologi, ma anzitutto quella
dei credenti (e di tutti) — il bel volume di Giovanni Cesare Pagazzi
(Tua è la potenza. Fidarsi della forza di Cristo, prefazione del
cardinale José Tolentino De Mendonça, Cinisello Balsamo, San Paolo,
2019, pagine 160, euro 20). Il punto focale dell’intenzione di questo
saggio è presto detto. «Potenza» è un nome biblico di Dio, che rimane in
evidenza nel vangelo di Gesù. «Fidarsi» della forza di Cristo è una
bellissima definizione della fede. «Donare» potenza di essere,
soprattutto al vulnerabile, allo scartato, all’avvilito, apre la via
alla potenza dell’amore di Dio, che farà misteriosamente risuscitare
anche i nostri corpi mortali.
Pagazzi crea un sapiente intarsio di
questi tre motivi, portando alla luce l’ordito di una tessitura della
rivelazione che fa apparire l’armoniosa composizione di un’unica figura.
La potenza affettuosa di Dio è la sostanza delle cose sperate nella
fede. Il potere del Figlio riapre la strada della creazione di Dio nelle
ristrettezze e nei limiti — inevitabili — della natura e della legge.
Resiste saldamente («con corna di bufalo», cfr. Luca 1, 69) a ogni
rassegnazione dell’umana impotenza: il possibile di Dio è la certezza
della sua potenza. Pagazzi scava nelle pieghe delle sacre scritture, del
dogma confessante, della liturgia celebrata e della «mistica oggettiva»
della potenza d’amore cui lo Spirito avvolge e coinvolge la creatura,
portando alla luce legami dei quali abbiamo perso le tracce. Un Dio
senza “forza” è quello al quale ci vogliono assuefare le finte
condoglianze di una intelleghenzia senza spina dorsale, interessata a
intrattenerci (e a trattenerci) sulla “morte” di Dio. Un Dio della
“potenza” di far nascere e rinascere, di far esistere e resistere,
attraversa come una scossa benefica il popolo delle Beatitudini,
facendoci vergognare, di fronte alla sua incredibile forza, della nostra
pavida rassegnazione.
Il teologo illustra felicemente molti altri
legami degli affetti e della forza che attraversano la verità di Dio e
rendono affidabile la sua promessa di riscatto e la giustizia del suo
compimento. Particolarmente suggestivo, per il lettore, il legame di
tutti i legami: quello che insedia la potenza del voler-bene nella
metafora assoluta del far-essere, ossia la generazione del Figlio. Il
«potere di diventare figli di Dio» (Giovanni 1, 12) non è un’adozione ad
honorem, un semplice titolo di prestigio, un’enfasi dell’affezione. È
un vero potere-di-essere, che lo Spirito crea in noi perché diventi
creativo senza fine.
Parafrasando Spinoza — ben oltre la sua fisica e
la sua metafisica — il teologo, a questo punto, può lanciare
provocatoriamente, anzi rilanciare propositivamente, la sua
provocazione: sappiamo noi che cosa può un corpo sotto l’azione dello
Spirito della potenza di Dio? L’affezione che indirizza eternamente la
potenza di Dio segna la via anche per la nostra fragile necessità di far
incontrare per quanto ci è possibile (come segno di che onora la
promessa di Dio, destinando i doni ricevuti all’investimento migliore,
almeno) il potere e l’affezione, giacché l’esercizio della potenza senza
alcuna esposizione al sacrificio per l’altro è certamente infido. Ma
l’affezione che si compiace del suo buon sentimento, senza il dono
fattivo di un poter-essere che restituisce l’altro e la comunità alla
speranza, è seme di avvilimento e di inganno che dovrebbe esserci
risparmiato.
In questa prospettiva, il fermento teologico che abita
la lettura della potenza nel suo mistero, all’interno dell’intimità del
Dio creatore, non sarebbe estraneo alla fecondità di una riflessione
meno manichea e più sapiente per lo stesso esercizio umano della potenza
di far-essere, che restituisce al ministero del poter-essere — ossia
della libertà — gli stessi legami umani della generazione, della
genealogia, della comunità. Il potere che segue la logica della
creazione e della generazione resiste all’anomia della prepotenza, e
onora le promessa dell’affezione. In un tempo come il nostro, una vera
benedizione anche per la ragione laica.
L’Osservatore Romano, 16-17 dicembre 2019.