Davanti al desiderio copiato

di Oddone Camerana

Dire che vediamo noi stessi negli altri, o che il sé e l’altro sono inestricabilmente combinati, o che è grazie al collante esistente tra sé e l’altro che riusciamo a capire ciò a cui l’altro sta pensando o che sta per fare, sono espressioni che non sembrano, a tutta prima, affermare cose nuove in materia di intersoggettività. Senonché lo sono se si tiene conto che non stiamo parlando di concetti o di ipotesi, ma di cellule cerebrali, più precisamente dei “neuroni a specchio”, i “personaggi” che da qualche anno calcano la scena delle neuroscienze da protagonisti, sostituendosi in questo, e per ciò che riguarda le possibilità d’incontro tra i viventi, alle vecchie categorie della sociologia e della psicologia.
Sapevamo già che, mossi da spiriti camaleontici, abbiamo l’istinto di imitarci reciprocamente, di sincronizzare i nostri corpi e le nostre azioni e perfino il modo di parlare gli uni con gli altri. E non ci era sconosciuto il fatto che l’imitazione e il piacersi tendono ad andare di pari passo e che attraverso la mimica siamo in grado di provare ciò che provano le altre persone. L’imitazione e la sincronia, alla base della conversazione e della chiacchiera, sono, infatti, il collante che ci lega. Ciò che non sapevamo – ma non è più così grazie alle scoperte del gruppo dei neurofisiologi di Parma coordinati da Giacomo Rizzolatti e da quando, il testo di Marco Iacoboni I neuroni a specchio (Torino, Bollati Boringhieri, 2008) è in circolazione – ciò che non sapevamo è che si tratta di cellule, di organismi oggetto di osservazione, analisi e valutazione da parte del neuroimaging (tomografia assiale computerizzata, risonanza magnetica, tomografia a emissione di positroni, elettroencefalografia e altre tecniche a disposizione).
A proposito del linguaggio umano qualcuno ha fatto notare che “se il linguaggio è stato dato all’uomo per nascondere i pensieri, allora l’intento dei gesti è quello di svelarli”. È un bel modo per commentare l’origine gestuale del linguaggio, ma anche per richiamare la centralità dell’imitazione nel linguaggio stesso e nel nostro caso dei neuroni a specchio. Un particolare, questo, che se vale per tutto il mondo animale è ancora più vero per gli umani. “L’uomo – precisa Aristotele in Poetica, 4 – si differenzia dagli altri animali in quanto è più adatto all’imitazione”. E in proposito, per capire i pensieri di qualcuno in un dato momento un personaggio di Poe faceva presente come cercasse di assumerne l’espressione del viso. In altre parole si trattava dell’empatia, della facoltà di immedesimarsi nel prossimo, di fare dell’altro un altro sé.
Stabilito che l’imitazione sta dunque al centro della rete dei neuroni a specchio rappresentando così la colonna portante dei comportamenti, può succedere che essa si trasformi nel suo punto di debolezza. Cosa che avviene per esempio nell’autismo, quando la macchina del sistema neuronale descritto s’inceppa, quando la capacità di risuonare emotivamente con gli altri non si mette in moto, quando le aree del cervello che dovrebbero entrare in sintonia si manifestano deficitarie. Tralasciando la descrizione delle modalità di cura previste in questo caso dai neurologi, anch’esse centrate in ogni modo sull’imitazione, si fa notare come noia e depressione si presentino come stati d’animo in cui la possibilità di ricorrere alla risorsa imitativa è resa inerte.
Ma come regolarsi di fronte ai casi di “violenza mediatica”, quando cioè i comportamenti criminosi sono il risultato di imitazione di comportamenti criminosi trasmessi dai media? A questo punto il problema che sorge riguarda l’area del libero arbitrio, area che sarebbe compromessa dalla potenza dell’imitazione. Una faccenda che non appartiene più solo alle neuroscienze ma alla visione deterministica del comportamento umano e fa dire a uno degli studiosi citati da Iacoboni: “Quando le persone sono libere di fare a modo loro, in genere si imitano a vicenda”. Se non siamo liberi, come ancora si pensa, ma predeterminati come ci induce a pensare l’invadenza dei neuroni a specchio sollecitati dall’imitazione, ne va di mezzo la libertà, e il potere legislativo e quello dei tribunali penali devono rivedere il loro ruolo.
Problemi ardui, al cui esame possono dare un contributo, aggiungo io, due tipi di valutazioni: quella offerta dal funzionamento della pubblicità, l’advertising commerciale, e gli studi di René Girard. È merito della pubblicità di averci fatto capire come molte delle scelte che facciamo siano il risultato di considerazioni che, fuori di ogni consapevolezza, non siamo in grado di giustificare altro che tirando in ballo il bisogno di soddisfare esigenze di appartenenza e di identificazione. “Piace alla gente che piace”, raccomandava a sostegno di un prodotto un vecchio slogan commerciale, verbalizzando senza volerlo la potenza dell’imitazione nel determinare un acquisto. Quanto a Girard, la sua ormai nota ipotesi sul desiderio copiato, cioè imitato, ricavata dallo studio dei testi della letteratura universale letti come manuali di antropologia, potrebbe servire a indurre a dirottare l’imitazione estirpandola dalla china verso la violenza imitativa, volgendola all’imitazione del Padre, come si legge nelle pagine dell’Imitazione di Cristo.

(©L’Osservatore Romano 12 settembre 2012)