Il messaggio del vescovo Massimo Camisasca, dal suo letto d’ospedale al Santa Maria Nuova. La messa del 15 in Cattedrale a Reggio Emilia presieduta da Caprioli

«Ringrazio e saluto i numerosi reggiani che in queste ore si sono interessati alla mia salute esprimendo vicinanza».

Questo il messaggio del vescovo Massimo Camisasca, dal suo letto d’ospedale al Santa Maria Nuova dove è stato ricoverato per un malessere. Camisasca, ciellino di formazione e storiografo ufficiale di don Luigi Giussani, ha 71 anni (ne compirà 72 il 3 novembre) e si è insediato in città nel dicembre 2012.

La guida della Curia di Reggio Emilia e Guastalla si è sentita male nel tardo pomeriggio di giovedì, mentre si trovava a Giandeto di Casina per un breve periodo di villeggiatura. Dopo una passeggiata al lago e una messa, verso le 19 all’improvviso il prelato ha avuto un mancamento, seguito da febbre. Un malessere che ha preoccupato l’entourage. È stato il segretario personale, don Patrick – proveniente dalla Fraternità sacerdotale missionaria di San Carlo Borromeo, fondata nel 1985 dallo stesso Camisasca – a lanciare l’allarme e a chiamare l’ambulanza che ha portato il paziente all’arcispedale cittadino, per un check up completo.

In base ai primi accertamenti, fa sapere la Curia, la causa dell’indisposizione sarebbe attribuibile a una infezione, ma ancora non è chiaro di che tipo. Una diagnosi esatta dev’essere ancora formulata, come ha confermato il direttore generale del presidio ospedaliero Giorgio Mazzi: «L’iter diagnostico non è finito, attendiamo gli esami».

Il vescovo è stato ricoverato all’Obi (Osservazione breve e intensiva), un reparto dal quale sarà spostato non appena i medici avranno un quadro più chiaro. Dopo le prime cure, tuttavia, «lo stato di salute del vescovo risulta in via di miglioramento. Al momento sono previsti alcuni giorni supplementari di ricovero ospedaliero, cui seguirà un periodo di convalescenza di un paio di settimane».

Di conseguenza monsignor Camisasca è costretto ad annullare i prossimi impegni. Ieri, ad esempio, avrebbe dovuto partire per la capitale, per partecipare alla messa mattutina di oggi a Roma con un alcune centinaia di giovani reggiani diretti all’incontro con Papa Francesco. Salta anche la celebrazione in Cattedrale nella solennità dell’Assunta, il giorno di Ferragosto: presiederà la messa delle 11 il vescovo emerito don Adriano Caprioli (la sua presenza era già prevista a Marola, invece sarà a Reggio). Se il forfait a questi due appuntamenti imminenti è inevitabile, scorrendo il calendario il primo impegno istituzionale di rilievo sarà l’8 settembre in Ghiara, per la messa solenne di inizio dell’anno pastorale della Diocesi. Per allora – come ha dichiarato ieri pomeriggio al vicario generale don Alberto Nicelli, che gli ha fatto visita aggiornandolo sulla vita diocesana – il vescovo si augura di recuperare appieno e di tornare alle sue funzioni. —

Gazzetta di Reggio

Lavoro / Uildm. Bando per 80 giovani disabili

Bando per 80 giovani disabili

Un bando per la selezione di 80 giovani con disabilità da inserire nel progetto di inclusione lavorativa “Plus”: l’iniziativa, vincitrice del primo bando “unico” previsto dalla riforma del Terzo settore, è lanciata da Uildm-Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, in collaborazione con il Movimento Difesa del Cittadino e le Odv Anas Puglia e Atlantis27. L’obiettivo è migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità favorendone, incoraggiandone e promuovendone l’inserimento lavorativo, sociale e territoriale attraverso un percorso di orientamento, formazione e job coaching. Il bando è aperto a giovani con disabilità di età compresa fra i 18 e i 40 anni interessati all’inserimento nel mercato del lavoro. Alle partecipanti donne vengono riservate 11 adesioni su 16. Fino a giovedì 20 settembre è possibile inviare le candidature via mail all’indirizzo:direzionenazionale@pec.uildm.it.

«L’inclusione sociale delle persone con disabilità, che Uildm promuove sin dalla sua nascita nel 1961 – dichiaraMarco Rasconi, presidente nazionale Uildm – passa anche attraverso il lavoro, grazie al quale si costruisce l’autonomia dell’individuo e si alimentano la sua volontà e la sua dignità. Con questo progetto vogliamo trasmettere con forza il messaggio che l’assunzione di una persona con disabilità non è un obbligo ma una risorsa».

In Italia si stima che siano circa quattro milioni 360mila le persone che hanno una disabilità, cioè il 7,2% della popolazione. Secondo l’Osservatorio nazionale della salute nelle regioni italiane, la percentuale di disabili tra 45 e 64 anni occupata è il 18% (contro il 58,7% della popolazione generale per la stessa fascia d’età) con rilevanti differenze di genere. Infatti, risulta occupato il 23% degli uomini con disabilità (contro il 71,2% degli uomini del resto del Paese) e solo il 14% delle donne (contro il 46,7%).

Il progetto “Plus” consiste nell’attivazione di borse formazione lavoro, avrà una durata di 18 mesi e si svolgerà in 16 regioni, coinvolgendo almeno cinque persone con disabilità dai 18 ai 40 anni (cinque per ogni regione). Prevede due attività principali: nella prima i partecipanti seguiranno un corso di formazione professionale della durata di 40 ore attraverso cui verranno loro offerti gli strumenti necessari per promuovere l’autonomia personale e sociale e acquisire una modalità lavorativa e relazionale adeguata. In seguito saranno supportati nell’inserimento lavorativo in aziende, cooperative o enti pubblici attraverso tirocini formativi della durata di 30 ore, allo scopo di mettere in pratica quanto imparato in aula e poter avere un primo accesso al mondo del lavoro. Per ciascun beneficiario sarà rilevato il grado di capacità, autonomia e attitudine personale, al fine di creare un cv e individuare la sede e il tipo di tirocinio più opportuni.

La seconda attività prevede la creazione di uno sportello di accoglienza e ascolto, gestito autonomamente da persone con disabilità, con l’obiettivo di fornire consulenza e assistenza all’inserimento nel mondo del lavoro. Parteciperanno a questa seconda attività 32 persone selezionate tra gli 80 destinatari iniziali.

in Avvenire

Il Vangelo / Non discutere di Dio, tuffati nel suo mistero XIX Domenica Tempo ordinario – Anno B

da Avvenire

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo […]».

Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Potenza del linguaggio di Gesù, il suo mistero e la sua storia espressi non con ragionamenti ma per immagini: pane, vivo, discesa, cielo. Quattro parole e quattro metafore, ciascuna generativa, in quanto ricca di movimento, di esperienza, di sapore e di orizzonti. Non spiegano il mistero, ma lo fanno vibrare nella tua vita, mistero gioioso da godere e da assaporare. Il pane di cui parlano non è quel pugno di acqua e di farina passata per la macina e il fuoco, contiene molto di più: è il simbolo di tutto ciò che è buono per te e ti mantiene in vita.

I giudei si misero a mormorare contro Gesù. Ma come? Pretendi di essere il pane piovuto dal cielo? Ma sei venuto come tutti da tua madre e da tuo padre. Tu vuoi cambiarci la vita? E facendo quello che fa il pane con il nostro corpo, che si nasconde e scompare nell’intimo, e non fa rumore. No, il Dio onnipotente dovrebbe fare ben altro: miracoli potenti, definitivi, evidenti, solari. Ma Dio non fa spettacolo. In fondo è la stessa critica che mormoriamo anche noi: che pretese ha sulla mia vita quest’uomo di duemila anni fa? Lui pensa davvero di farci vivere meglio?
Non mormorate tra voi.. Non sprecare parole a discutere di Dio, puoi fare di meglio: tuffati nel suo mistero. Pane che discende dal cielo. Nota: discende, per mille strade, in cento modi, come il pane nel corpo; discende verso di me, adesso, in questo momento, e continuamente. Io posso scegliere di non prenderlo come cibo, lo posso anche relegare nel repertorio delle fantasie, ma lui discende instancabilmente, mi avvolge di forze buone. Io sono immerso in lui e lui è immerso in me, e nutre la mia parte più bella.
Non mormorate, mangiate. Il brano del Vangelo di oggi si articola attorno al verbo mangiare. Un gesto così semplice e quotidiano, eppure così vitale e potente, che Gesù l’ha scelto come simbolo dell’incontro con Dio; ha raccontato la frontiera avanzata del Regno dei cieli con le parabole del banchetto, della convivialità. Il Pane che discende dal cielo è l’autopresentazione di Dio come una questione vitale per l’uomo. Il pane che mangi ti fa vivere, e allora vivi di Dio e mangia la sua vita, sogna i suoi sogni, preferisci quelli che lui preferiva. Bocconi di cielo.
Sorge una domanda: di cosa nutro anima e pensieri? Sto mangiando generosità, bellezza, profondità? Oppure mi nutro di egoismo, intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere, paure? Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di Vangelo e di bellezza, questi ci trasformeranno in custodi della bellezza e della tenerezza, il pane che salverà il mondo.
(Letture: 1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6,41-51)

di Ermes Ronchi

Giovani / L’incontro. Il rock dei The Sun dal Papa per cantare la vita

Il rock dei The Sun dal Papa per cantare la vita

Ogni benedetto giorno. È il titolo del nuovo tour ed è il senso di ogni loro concerto. Soprattutto del prossimo, quello più atteso, a coronare i vent’anni “suonati” di carriera di un gruppo anomalo e unico nel panorama musicale italiano. Sono infatti i The Sun a fare da colonna sonora e da rabdomanti musicali all’odierno incontro dei giovani con papa Francesco al Circo Massimo. Echeggiano e campeggiano già quei “PerMilleStrade” e “Siamo qui”, slogan sintesi del viaggio e della presenza di chi si sta incamminando, con la prorompente giovinezza, sulle strade del mondo e della propria vita, unica e da condividere. Non è la prima volta che ai The Sun è chiesto, in importanti eventi ecclesiali, di sottolineare e accompagnare in suoni, ritmi e canzoni il senso di uno stare insieme in nome di un’amicizia più grande. «Ci spetta il delicato compito di fare gli onori di casa – ci dice il cantante e leader del gruppo vicentino, Francesco Lorenzi –. Solo l’idea di suonare sullo stesso palco dove poco dopo arriverà il Papa ci fa tremare di emozione. È una grande responsabilità ».

Un’esperienza che si ripete per questa ex punk band, diventata simbolo di rinascita interiore e artistica. Nell’estate del 2013 suonarono infatti alla Giornata mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, in Brasile, e il 4 ottobre dello stesso anno cantarono in occasione della visita di papa Francesco per la festa di san Francesco, patrono d’Italia. Nell’estate del 2016 tennero invece uno storico concerto alla Giornata mondiale della Gioventù di Cracovia, in Polonia, davanti a quindicimila spettatori. Stasera saranno settantamila. La collaborazione tra i The Sun e la Santa Sede dura da anni e risale all’ultimo periodo del pontificato di papa Benedetto XVI. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, aveva invitato i The Sun nel febbraio 2013 ad aprire l’Assemblea plenaria sulle culture giovanili emergenti e la rock band si era così esibita di fronte a cardinali, vescovi, ambasciatori ed esponenti della cultura di tutto il mondo. In quell’occasione, Lorenzi aveva anche esposto i risultati di un sondaggio effettuato tramite il suo blog www.francescolorenzi. it, che metteva in luce gli aspetti che favoriscono e ostacolano il rapporto tra la Chiesa e i giovani. Il giorno successivo i The Sun erano stati ricevuti in udienza privata da Benedetto XVI.

E tra poche ore gli sguardi di decine di migliaia di giovani saranno lì a incrociare, in attesa dell’incontro con papa Francesco, i volti e gli strumenti di Francesco, di Matteo Reghelin (bassista), di Riccardo Rossi (batterista), di Gianluca Menegozzo (chitarrista) e del “quinto Sun” Andrea Cerato (chitarrista) che da turnista ingaggiato nel 2015 ha finito col trasformare di fatto l’iniziale quartetto in un quintetto. «Al Circo Massimo suoneremo per quasi un’ora prima dell’arrivo di papa Francesco – spiega Francesco Lorenzi –. Faremo una quindicina di canzoni e tra un brano e l’altro qualche presentazione delle canzoni stesse e, come nostro stile, lanceremo alcuni messaggi». Un’“onda perfetta” (per citare una delle loro più celebri canzoni) per questo oceano di giovani in attesa di papa Francesco sugli antichi spalti del Circo Massimo. Ideali portavoce, i The Sun, di un grido e di una richiesta di senso ulteriore del vivere oggi, in una “società liquida” in cui i giovani faticano a galleggiare, rischiando troppo spesso di inabissarsi. Lo sanno bene i The Sun, che per metà della loro ventennale vita artistica (traguardo festeggiato lo scorso dicembre con l’album doppio 20: 40 brani di cui 10 inediti) sono stati una band giovanile di successo (al Meeting delle etichette indipendenti del 2004 furono proclamati “miglior punk rock band italiana nel mondo” quando si chiamavano The Sun Eats Hours) e anche, fatalmente, di eccessi.

Lo raccontano sempre nei concerti, dove le loro personali testimonianze sono un surplus di realtà e autenticità in cui identificarsi e specchiarsi. Nulla va mai rinnegato di sé, come ricorda lo slogan “Ogni benedetto giorno”. Frase ad hoc del tour del ventennale partito lo scorso maggio, in cui le vecchie canzoni punk cantate in inglese, quelle postconversione in italiano e le loro testimonianze si uniscono sintetizzando tortuosità e linearità del misterioso filo della vita. Fu Francesco Lorenzi il primo a guardarsi dentro proprio quando il successo era all’apice. Non era felice, qualcosa gli sfuggiva dalle mani e dal cuore quando le luci del palco si spegnevano e quell’illusorio desiderio di conquistare il mondo incontrava il vuoto. Lo racconta bene nell’autobiografia uscita quattro anni fa, La strada del Sole( edita da Rizzoli, con la prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi), già tradotta in otto lingue e giunta all’ottava edizione. «Bisogna sempre lasciare che il Padre agisca amorevolmente e consentire che metta pace nel nostro cuore e nel nostro agire – ci confida Francesco –. Cosa non facile, soprattutto laddove domina il diktat dell’agire sempre e subito, senza aspettare. La conversione dell’attesa è proprio una delle grazie che il Signore ha operato in me. Per questo noi cominciamo ora il nostro nuovo spettacolo con l’invito: attendere, prego. Che poi diventa: amatevi, prego. Prima c’è l’attesa, poi la capacità di amare. E tra l’attesa e l’amore, in mezzo, c’è l’accoglienza».

Accoglienza dell’altro, che è in definitiva accoglienza della Parola e accoglienza di Dio. Quella conversione del cuore che Lorenzi sperimentò in sé una sera di febbraio di dieci anni fa, scegliendo di non uscire e andando, nemmeno lui sa perché, a un’adorazione eucaristica. «In questo periodo – ci confida – vivo molto l’esperienza di stare nel silenzio con il crocifisso, di stare con il Signore. Mi rendo conto che bisogna sempre tenere alto il livello di qualità dell’incontro con Dio». E avverte: «Appena si abbassa la guardia, soprattutto per chi ha a che fare con il bene o almeno lo crede, si rischia di perdersi, proprio perché ci si ritiene a posto. È sempre una questione di reale volontà, perché il combattimento è quotidiano. E stare con il Signore non dovrebbe mai diventare una mera abitudine: finiremmo col non essere davvero innamorati. Sentimento che deve sempre essere risvegliato, anche attraverso un fare memoria. Ed è quello a cui ci conduce l’Eucarestia». Riflessioni a cui il pubblico dei The Sun è avvezzo. Note di vita, note di senso, declinate poi in musica, in ritmo, in canzoni. Quelle che si intoneranno questo pomeriggio con le parole di papa Francesco. «In concerto – anticipa Lorenzi – suoneremo subito La Leggenda, molto utilizzata nei campi estivi, nei grest e negli oratori. I salesiani per alcuni anni l’hanno presa come sigla delle loro iniziative. Faremo canzoni che hanno una storia che possa richiamare esperienze formative e di comunione». In scaletta, tra le altre, anche Onda Perfetta, La Paura, Betlemme, Spiriti del Sole e Il mio miglior difetto.

«Questa esperienza, tra il lungo cammino, l’incontro con il Papa e la veglia, sarà molto forte e toccante. Ma io, a 15 anni, purtroppo non la volli fare – confessa Francesco –. Gli altri The Sun invece sì: Riccardo a 16 anni e Matteo a 14 parteciparono alla Gmg del 2000. Anche Gianluca. La band c’era già, nella fase punk. E io quella volta fui la pecora nera. Mi ricordo che chiedevo loro cosa andassero a fare a Roma in pieno agosto a fare tutta quella fatica». Poi toccò proprio a Francesco, per primo, percorrere la strada più impervia: la conversione. Conducendovi poi i suoi tre amici, nella vita e nella musica, e rimettendo insieme la band a fine 2008 dopo il rivoluzionario “strappo” di qualche mese prima. «Oggi andare a incontrare il Papa con i giovani – riflette –, andare a portare questa nuova energia, questa esperienza di vita e il mio servizio, significa per me fare pace col passato e ringraziare Dio per avermi dato questa possibilità, oggi». Sono stati 7.300 i giorni trascorsi insieme in vent’anni, un numero che campeggia nei loro nuovi concerti. Un numero che comprende ovviamente anche l’altra metà del loro sodalizio, quello punk, quello anche buio, quello che per Riccardo aveva significato anche alcolismo. Insomma, “ogni benedetto giorno”. Il messaggio per ogni giovane, oggi.

da Avvenire

Emergenza. Suicidi e oblio, l’agosto nero delle carceri italiane

da avvenire

Un carcere italiano (Fotogramma)

Un carcere italiano (Fotogramma)

Su ottantuno morti accertati dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane, trentaquattro sono suicidi. Storie didisperazione dove spesso, oltre alla depressione e alla rabbia per una condizione disumana, c’entra anche ladroga. Gli ultimi cinque suicidi sono stati registrati solo nel mese di agosto, sette a luglio.

Mercoledì scorso a togliersi la vita è stato un giovane che scontava la sua pena a Poggioreale, Napoli: aveva 29 anni, si è impiccato con un lenzuolo alle inferriate mentre i suoi compagni di cella passeggiavano in cortile durante l’ora d’aria. Venti giorni prima altri due reclusi si erano tolti la vita, in momenti diversi, nei padiglioni del carcere partenopeo dove attualmente sono stipati più di 2.250 detenuti (capienza massima 1.500).

Ma l’emergenza suicidi riguarda altri istituti penitenziari, come quello di La Spezia, nel quale il 5 agosto si è ucciso un egiziano di 60 anni, o di Genova Marassi nel quale ha deciso di farla finita un trentenne senegalese che pure era stato messo sotto sorveglianza dalla direzione perché ritenuto dagli psichiatri capace di atti di autolesionismo. Nella Casa Circondariale di Paola, in provincia di Cosenza, un ragioniere campano di 75 anni è morto perché rifiutava il cibo: da mesi era in attesa di giudizio per aver ucciso la moglie (delitto che aveva confessato).

Dal 2000 ad oggi i carcerati che hanno perso la vita, per ragioni diverse, all’interno di un istituto penitenziario, sono stati 2.815.

Sull’allarmante incremento delle morti in carcere è intervenuto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Francesco Minisci il quale ha sottolineato come nei penitenziari italiani vengano anche sventati centinaia di tentativi di suicidio: «I principi di certezza della pena e della sua funzione rieducativa possono considerarsi davvero effettivi – commenta il magistrato – solo se per le pene detentive nelle carceri (ma lo stesso vale per le misure cautelari) sono garantite condizioni di dignità e umanità, principi costituzionali imprescindibili».

Intanto, il ministero della Giustizia annuncia che, su iniziativa del ministro Alfonso Bonafede e del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, sarà avviata «una mirata attività ispettiva orientata a raccogliere tutti gli indispensabili elementi informativi in riferimento ad ogni suicidio avvenuto dal 1° gennaio e rispetto ad ogni ulteriore evento futuro della stessa natura». Attendiamo di sapere dunque cause, dinamiche e modalità dei fatti. Ma anche l’applicazione del capitolo del “contratto di governo” che prevede un «piano per l’edilizia penitenziaria per la realizzazione di nuove strutture e l’ampliamento e ammodernamento delle attuali». Un impegno gravoso al quale si aggiunge quello per un «piano straordinario di assunzioni». E, in tema di sovraffollamento delle carceri, «l’attivazione di accordi bilaterali di cooperazione giudiziaria con gli Stati di provenienza», per «consentire al maggior numero di detenuti stranieri di scontare la propria condanna nel Paese d’origine».

Intanto gli episodi di degrado e incuria nelle strutture “storiche” continuano. A Marassi nei giorni scorsi il Sappe,il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ha segnalato condizioni igieniche «indecenti e vergognose»: un grosso ratto è stato visto correre nei corridoi tra le celle dei detenuti.