Amoris laetitia. «Accogliere i risposati non è motivo di scandalo»

Sull’Amoris laetitia basta pregiudizi e resistenze. Il vescovo Semeraro: leggere tra le righe di ogni storia personale perché chi vuole cercare la volontà di Dio giunga a metterla in pratica

(Foto d'archivio fotogramma)

(Foto d’archivio fotogramma)

Come tutte le rivoluzioni, anche quella determinata da Amoris laetitia comporta una grande fatica. Molto più comoda una pastorale con linee ben definite e colori senza sfumature. Bianchi di qua, neri di là. Vietati i grigi. «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione – scrive papa Francesco nell’Esortazione postsinodale (Al, 308) – ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alle fragilità». Nella nuova pastorale familiare senza ricette predefinite, proprio come le reali situazioni di vita della maggior parte delle persone, non bisogna stancarsi di verificare, approfondire, porre a confronto, perché dobbiamo «piuttosto imparare a leggere tra le righe di ogni storia personale, cercando di creare le condizioni perché chi ne ha bisogno e vuole davvero cercare la volontà di Dio, illuminato dalla sua Parola nella Chiesa, giunga a metterla in pratica; possa farlo non da solo, ma attraverso un cammino di accompagnamento».

Così osserva il vescovo Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del C9, il gruppo di cardinali che aiuta il Papa nella riforma della Curia, in un volumetto denso e coraggioso Rallegratevi con me. Nei giorni scorsi anche la diocesi laziale, come già altre comunità ed alcune conferenze regionali, si è dotata di un’“Istruzione pastorale” per «accogliere, discernere e integrare nella comunità ecclesiale i fedeli divorziati e risposati civilmente». Un impegno a cui non si può sfuggire perché, annota Semeraro, «questi nostri fratelli e sorelle hanno anche loro bisogno di vicinanza e di accompagnamento». Va quindi considerato che si tratta di persone che, pur segnate dalla delusione e dal fallimento, non hanno perso la fiducia verso l’istituzione matrimoniale. La loro presenza nelle comunità, la loro partecipazione alla liturgia domenicale, la loro richiesta per un’educazione cristiana dei figli e per il cammino di preparazione ai Sacramenti, obbliga a prendere in considerazione quella tacita domanda per un’accoglienza più autentica. Queste persone non possono quindi essere lasciate ai margini delle comunità, anche se queste situazioni richiedono un «attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto».

Chiarita l’urgenza dell’obiettivo, definite le ragioni che impongono a una comunità di non sottrarsi, occorre addentrarsi nel merito dei criteri. E qui entra in gioco lo strumento fondamentale che si chiama discernimento. Semeraro, che ha già affrontato lo scorso anno il tema nel saggio L’occhio e la lampada. Il discernimento in Amoris laetitia (Edb, pagg. 160, euro 14), spiega in questa occasione che discernere vuol dire, qui e ora, «riconoscere la voce e l’opera di Dio nella propria vita e nella propria storia al fine di rispondergli col rendere la propria vita il più possibile conforme alla sua volontà, conosciuta e amata». Non significa abbassare l’asticella, accontentarsi del minimo male praticabile ma puntare al massimo bene possibile. E questo bene, secondo la legge della gradua-lità, non è fissato una volta per tutte ma segue un percorso dinamico, secondo una linea che si muove dalla fragilità all’ideale.

Alla luce del discernimento appare comprensibile guardare al proprio passato, chiedersi come ci si è comportati verso l’ex partner, verso i figli, verso la comunità. E ora, nella nuova unione, prendere in esame fedeltà, responsabilità, impegno, disponibilità, apertura alla carità. A questo punto, si può avviare il processo di integrazione nella comunità, l’opera attraverso cui «un fedele è reso consapevole di essere membro della Chiesa e – ricorda ancora il vescovo di Albano – parte attiva di una determinata comunità». Non è detto che questo percorso «debba portare necessariamente all’accesso ai Sacramenti». Amoris laetitia non parla di un «permesso generalizzato » ma di un aiuto possibile che va concretizzato in modo paziente. Di grande originalità l’approfondimento sul tema dello scandalo che, come spesso si dice, sarebbe rappresentato dall’accoglienza palese dei divorziati risposati nella comunità. Semeraro critica questo atteggiamento. Un conto è assicurare riservatezza e discrezione, un altro è «giustificare pregiudizi e resistenze che impediscono di accogliere l’altro senza possibilità di dialogo e superamento delle distanze». Un atteggiamento che va superato nella logica della misericordia pastorale.

Avvenire

Noi siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama

IV Domenica Quaresima
“Laetare” – Anno B

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Dio ha tanto amato il mondo, versetto centrale del Vangelo di Giovanni, versetto dello stupore che rinasce ogni volta, per queste parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni; parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci forte in tutti i passaggi della vita, in ogni caduta, in ogni notte, in ogni delusone.
Dio ha così tanto amato… e la notte di Nicodemo, e le nostre notti si illuminano. Qui possiamo rinascere. Ogni giorno. Rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di lavorare e creare, di custodire e coltivare persone e talenti e creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio mi ha affidato.
Non solo l’uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch’io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).
La rivelazione di Gesù è questa: Dio ha considerato il mondo, ogni uomo, questo mio niente cui però ha donato un cuore, più importante di se stesso. Per acquistare me ha perduto se stesso. Follia d’amore.
Dio ha amato: la bellezza di questo verbo al passato, per indicare non una speranza o una attesa, ma una sicurezza, un fatto certo, e il mondo intero ne è intriso: «il nostro guaio è che siamo immersi in un oceano d’amore, e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Tutta la storia biblica inizia con un “sei amato” e termina con un “amerai” (P. Beauchamp). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.
Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, non dico per condannare o per pareggiare i conti, ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio, nel paradigma della pienezza.
Perché il mondo sia salvato: salvare vuol dire conservare, e nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d’erba; non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto piccolo e nascosto: Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il Dolore di una Vita o lenire una Pena, o aiutare un Pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano. (Emily Dickinson).
(Letture: 2 Corinzi 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2, 4-10; Giovanni 3, 14-21).

Avvenire

Nello “Stabat Mater” di Mayr il dramma descritto da Jacopone

Quella dello Stabat Mater in fa minore di Johann Simon Mayr (1763-1845) è musica piacevole e conciliante, che richiede un ascolto attento e regala in cambio un’esperienza di serena compartecipazione con il dramma così efficacemente descritto nell’antico testo attribuito a Jacopone da Todi. La prima registrazione mondiale firmata dal direttore Frans Hauk – esperto conoscitore dell’opera del compositore tedesco – è frutto di un lavoro di ricerca e ricostruzione, realizzato sulle due versioni manoscritte esistenti giunte a noi incomplete e in forma di frammenti.
Si tratta di una partitura ricca di suggestioni e di spunti preziosi, che presenta interessanti soluzioni per le parti vocali solistiche e alcuni episodi concertanti per strumenti solisti di pregiata fattura, con qualche non tanto velata citazione di lavori di altri colleghi, come gli evidenti tributi ad alcuni passaggi della Missa in tempore belli (“Paukenmesse”) e della Missa Sancti Bernardi von Offida (“Heiligmesse”) di Joseph Haydn.
Non è comunque un caso se nella biblioteca personale di Mayr pare siano state rinvenute copie di adattamenti dello Stabat Mater ad opera di illustri autori come Ferdinando Bertoni, Niccolò Jommelli, Benedetto Marcello, Johann Gottlieb Naumann e il sommo Giovanni Battista Pergolesi.
Passando in rassegna i lavori di carattere sacro, il suo primo biografo, Girolamo Calvi, ebbe modo di elogiare lo Stabat Mater «per la viva espressione e pel meraviglioso effetto», apprezzando in modo particolare il “Quam tristis”, «che manifesta la malinconia e l’amaritudine di cui si deve intendere la Madre dolente, e sovra gli altri, per la sentita espressione delle parole…».
La passione e il dramma che Mayr inchioda ai righi del pentagramma sono comunque sentimenti alleggeriti da un linguaggio e da uno stile musicale che scorre fluido e senza intralci, a cui Hauk e compagni conferiscono un’adeguata veste sonora, intelligentemente trattenuta un passo indietro dalla facile tentazione del puro melodramma.

Simon Mayr
Stabat Mater
Simon Mayr Choir, Concerto de Bassus, I Virtuosi Italiani, F. Hauk
Naxos / Ducale. Euro 12,00

«Lamentatio», la sublime musica di Victoria che arriva al cuore

L’effetto è alquanto straniante, ma sicuramente altamente suggestivo, ed è il risultato di uno spunto creativo che si trasforma in una vera e propria sfida alle leggi di gravità della storia della musica: inframezzare le antiche polifonie “a cappella” dei Responsori della Settimana Santa di Tomás Luis de Victoria (ca. 1548-1611) con le ardite melodie contemporanee del compositore Andrea Baudino (classe 1979) affidate al solo clarinetto. L’intenzione è quella di abbattere qualsiasi barriera temporale per attualizzare in modo perentorio il messaggio racchiuso nei testi della Liturgia del Triduo Pasquale trasposti in musica nella Via Crucis virtuale approntata da Victoria.
Presenta dunque diversi piani di lettura il disco intitolato Lamentatio e interpretato dal gruppo vocale Ensemble del Giglio diretto da Livio Cavallo, con la partecipazione del clarinettista Luca Cerelli. A incorniciare questo complesso progetto discografico troviamo due pagine caratterizzate da un’impronta altamente drammatica: in apertura il Crucifixus tratto dal Credo in fa maggiore di Antonio Lotti (1667-1740) e in chiusura il salmo Ecce nunc benedicite Dominum a doppio coro sempre di Victoria.
All’interno, i tre brani del ciclo Drere II – scritti da Baudino nel 2007 e derivati da materiale tematico tratto dal repertorio di Carlo Gesualdo da Venosa – si intrecciano in un gioco di rimandi ideali e di riverberi sonori con le trame contrappuntistiche dei Responsori che portano in scena i temi del dolore, dello strazio e della tragedia. E pare di accompagnarlo passo dopo passo il Redentore lungo le tappe del Calvario, da quando si abbandona al sacrificio (Eram quasi agnus innocens) fino al momento della Crocifissione nella più cupa oscurità (Tenebrae factae sunt) o ancora davanti alla porta del sepolcro (Sepolto Domino), assistendo a ogni singola stazione di una Passione che coinvolge lo spettatore sino alle lacrime (Caligaverunt oculi mei). E la musica sublime di Victoria ci apre gli occhi insieme al cuore.

Victoria
LAMENTATIO
Ensemble del Giglio, L. Cavallo
Da Vinci Classics/Egea
Euro 15,00