Buon compleanno vescovo Massimo!

Venerdì 3 novembre è il 71° compleanno del vescovo Massimo. Il pastore festeggia la ricorrenza a Guastalla, nella Concattedrale, dove lo attende un doppio appuntamento.Alle 18.30 monsignor Camisasca presiede la santa Messa nella vigilia della festa di san Carlo Borromeo, in rendimento di grazie anche per il 42° anniversario di ordinazione sacerdotale (era il 4 novembre 1975).
Alle 21, sempre in Concattedrale, il Vescovo assiste al concerto proposto dal Coro “Livia d’Arco” di Mantova con l’Orchestra “Musici di Parma” diretti dal maestro Roberto Fabiano, con l’ascolto del “Magnificat” di Johann Sebastian Bach.

tratto da laliberta.info

Un salto per la tua comunità

Campagna abbonamenti 2018 a «La Libertà»

Un salto per la tua comunità. Per partorire lo slogan della campagna abbonamenti 2018 a La Libertà, in redazione siamo partiti dall’immagine del salto. E subito il nostro fotografo ha cominciato ad andare in giro per la diocesi e a far saltare fisicamente preti, catechisti, giovani e adulti, davanti ai luoghi significativi della loro esperienza cristiana. Il risultato ci sembra immediato, simpatico. È un modo di testimoniare lo spirito positivo con cui vivere il cambiamento delle unità pastorali, che tutti coinvolge (anche chi, ben inteso, per motivi anagrafici o di salute un salto fatica a farlo). Come dire: siamo tutti nella stessa situazione e ci vuole un supplemento di energia e creatività per continuare a dire, insieme, la gioia di essere cristiani al mondo distratto in cui ci troviamo. La Libertà, come strumento pastorale, vuole favorire questa presa di consapevolezza. Ecco che il salto, forse un po’ ambiziosamente, diventaun salto di qualità nella vita delle nostre comunità cristiane: perché siamo convinti che conoscere gli orientamenti diocesani e confrontarsi con quello che le unità pastorali stanno facendo, o non facendo più, aumenta il senso di solidarietà e concorre a conoscerci e stimarci a vicenda, come nel miglior gareggiare insegnato da san Paolo.

E allora, varando la nuova campagna 2018, ci rivolgiamo a chi già apprezza l’utilità (e speriamo anche la ricchezza) de La Libertà: fateci conoscere a nuovi lettori, sostenete la diffusione dell’abbonamento, cartaceo e/o digitale, al giornale diocesano.
Cerchiamo, per quanto possibile, di dare visibilità a tutti: basta sfogliare il giornale per vederlo. Quante volte, e per fortuna, chi nutriva un qualche pregiudizio ha dovuto ricredersi: magari scoprendo che non avevamo parlato di una certa iniziativa perché nessuno, da quella comunità, si era premurato di informarci; o che l’articolo di cui si pretendeva la pubblicazione immediata era stato spedito all’indirizzo e-mail sbagliato, o era fuori tempo massimo.
A proposito, giacché il giornale è sempre più fatto da lettori-collaboratori, cogliamo l’occasione per ricordare che notizie e contributi vanno preferibilmente concordati con la redazione e consegnati con un buon preavviso:per poterli vedere inseriti sul numero di una certa settimana, è meglio recapitarli entro la fine della settimana precedente. L’edizione che le Poste vi consegnano (a fatica, lo sappiamo) il giovedì o il venerdì, viene infatti chiusa in redazione il martedì mattina, a volte già il lunedì. Infine è bene sapere che – sempre grazie a voi! – ultimamente riceviamo testi e immagini in esubero rispetto alla foliazione media del nostro periodico, per cui continuate pure a scriverci spesso, ma con la disponibilità, eventualmente, a passare il turno di pubblicazione.

Nella nuova campagna abbiamo poi scelto di usare la parola comunità, seguendo un suggerimento che ci ha lasciato monsignor Daniele Gianotti, perché abbraccia sia le parrocchie tradizionali che le unità pastorali, “erigende” o già costituite, che ancora i movimenti e le altre forme di aggregazione, religiosa e non solo, a cui amiamo appartenere.
La Libertà stessa – il paragone è più calzante di quanto sembri – fa parte di una sorta di unità pastorale, il Centro diocesano per le Comunicazioni sociali, che – voluto dal vescovo Massimo – raggruppa intorno a un’unica missione le nostre attività giornalistiche: dalla realizzazione delgiornale all’edizione del bollettino diocesano, dalle dirette multimediali di eventi liturgici alla trasmissione “Vangelo e vita” su Telereggio, dalla movimentazione quotidiana delle news online (www.laliberta.info) all’aggiornamento del sito della Diocesi (www.diocesi.re.it), che presto sarà più completo e meglio fruibile, senza dimenticare l’attività di Ufficio stampa per i media locali e nazionali e la registrazione audio degli interventi del Vescovo. Fino alla presenza sempre più dinamica nell’ambiente digitale e social, con la pagina Facebook, l’account Twitter, la newsletter settimanale e soprattutto La Libertà App, l’applicazione per telefonini e tablet grazie alla quale il giornale incontra un pubblico diverso e più vasto, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Tutto quanto è, oggi, comunicazione & evangelizzazione.

Quanti sono i “fedeli” di questa specialissima unità pastorale? Difficile stimare meno di 50.000 persone che in qualche modo, anche solo superficialmente, vengono sfiorate dai “dispacci” che partono dal Centro Comunicazioni della Diocesi.
Certo, come diceva la pubblicità del canone Rai… anche per noi l’abbonato (a La Libertà) ha sempre un posto in prima fila: l’abbonamento al giornale è garanzia di completezza e varietà informativa.
Facciamo insieme, allora, un salto per la vita delle nostre comunità. Mentre è tempo di rinnovare l’abbonamento per il 2018, siamo contenti di lanciare anche un invito a cena: vi va di farci un “salto”?

tratto da laliberta.info

Diocesi in lutto per la morte di monsignor Ambrogio Morani

Membro storico dei Servi della Chiesa, era cappellano emerito dell’Ospedale guastallese. Il funerale viene celebrato nella Concattedrale di Guastalla sabato 4 novembre alle ore 11

Monsignor Ambrogio Morani si è spento a 88 anni nella sua abitazione di via Verdi, a Guastalla, poco dopo le 20 di giovedì 2 novembre, nel giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione di tutti i fedeli defunti. Era nato il 29 ottobre 1929 a Paullo di Casina, dove la sua salma verrà sepolta dopo la celebrazione esequiale che sarà presieduta dal vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla Adriano Caprioli sabato 4 novembre alle 11 nella Concattedrale di Guastalla.

A Guastalla Morani era entrato nell’Istituto secolare dei Servi della Chiesa nel 1948 dopo un’esperienza di noviziato nel convento dei Cappuccini di Fidenza che aveva dovuto interrompere per motivi di salute. Subito dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta il 17 dicembre 1955, era stato nominato direttore del Collegio San Giuseppe di Guastalla, incarico che ha esercitato fino al 1978; successivamente ha diretto il centro vocazionale dei Servi della Chiesa fino al 1986.

La sua è stata una vita interamente donata ai poveri, secondo il carisma di monsignor Dino Torreggiani, il fondatore  dei Servi della Chiesa, e l’amicizia maturata con don Alberto Altana.

“Una vera colonna portante dell’Istituto”, di cui Morani è stato saggio consigliere quasi per tutta la vita, nonché vice-superiore generale dal 1986 al 1991; “un uomo con una grande apertura di cuore e una parola buona per tutti”: così lo ricorda il confratello don Mario Pini.

Don Ambrogio è rimasto sempre a Guastalla, il che non gli ha impedito di svolgere un’opera di evangelizzazione ad ampio raggio e per tanti “ultimi”: dal 1958 al 1965 è stato cappellano delle carceri e per vent’anni (dagli anni Sessanta agli Ottanta del secolo scorso) dei Sinti e dei Rom; pittore appassionato e fantasioso, era diventato un maestro per i naïfs della Bassa. Quadri di “Brommo”, questo il suo nome d’arte, sono diffusi in tutt’Italia e in Vaticano.

L’altro importante campo di apostolato di monsignor Morani sono stati i malati. Dal 1986 fino alla fine, ultimamente come cappellano emerito dell’Ospedale di Guastalla, ha continuato ad esercitare una paternità spirituale e una vicinanza concreta nei confronti di moltissime persone, dimostrandosi sempre presenza affettuosa e di autentica compagnia.

La salma di don Ambrogio viene ricomposta presso la Cappella dell’Ospedale di Guastalla dove nel pomeriggio di oggi, venerdì 3 novembre, alle ore 17.30 il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca guiderà la recita del santo Rosario.

laliberta.info

India. Beata suor Rani Maria Vattalil

Uccisa brutalmente sull’autobus per Bhopal. Colpita con più di cinquanta coltellate da un killer assoldato dagli usurai, che mal sopportavano quella suora che organizzava cooperative di auto-aiuto tra le donne del villaggio pieno di contadini impoveriti. Succedeva il 25 febbraio 1995 a Indore, nello Stato indiano del Madhya Pradesh; e oggi, a ventidue anni di distanza, suor Rani Maria Vattalil, la protagonista di questa storia, si appresta a essere proclamata beata.

È un giorno importante questo 4 novembre per i cristiani dell’India che vedono salire all’onore degli altari una religiosa del nostro tempo, uccisa ad appena quarant’anni per il suo impegno in favore dei tribali, cioè di quelli che restano i più poveri tra i poveri anche nell’India del boom economico. Martire simbolo delle sofferenze delle migliaia di piccoli agricoltori spogliati delle terre, le cui storie sono alla base della tristissima piaga dei suicidi dei contadini, secondo alcune stime ben 300 mila nel subcontinente negli ultimi vent’anni. Nata in Kerala nel 1954, entrata giovanissima tra le Clarisse francescane, suor Rani Maria viveva il suo ministero nel villaggio di Udainigar coniugando l’annuncio del Vangelo con l’azione concreta per la giustizia.

«La tua Parola è lampada ai miei passi e luce alla mia strada», era il versetto del salmo 119 che teneva appeso bene in vista nella sua stanza. «Se noi suore non aiutiamo i poveri chi mai potrà farlo?», amava ripetere. Un impegno che lei ha vissuto in prima persona con intelligenza (promuoveva nel villaggio la pratica del microcredito) ma anche con il coraggio di chi è disposto a donare la vita fino in fondo. La beatificazione, presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, si terrà nel piazzale della scuola superiore che si trova accanto alla Cattedrale di San Francesco d’Assisi a Indore. Al rito saranno presenti tutti e quattro i cardinali indiani e 50 vescovi provenienti da ogni parte del Paese.

«La beata Rani Maria è un modello per tutti noi – ha commentato il vescovo di Indore, Chacko Thottumarickal –. perché lei è stata pronta a versare il suo sangue per la salvezza dei poveri e degli oppressi». Ci sarà però anche un altro elemento a rendere questa giornata del tutto particolare: la beatificazione di suor Rani Maria sarà anche una grande proclamazione del Vangelo della misericordia. Alla cerimonia infatti sarà presente anche Samandar Singh, l’uomo che la uccise. In carcere ha vissuto un cambiamento profondo che l’ha portato nel 2002 a riconciliarsi con la famiglia della religiosa, che ora lo considera come un figlio.

«Ogni anno nel giorno dell’anniversario della morte – ha raccontato la sorella della suora – Samandar rende omaggio alla sua tomba e offre il grano del suo campo come simbolo di una vita rinnovata. Questo è il modo in cui lui proclama la misericordia di Dio». «Quanto è accaduto è accaduto – ha commentato in questi giorni Singh –. Sono triste e dispiaciuto per quanto ho fatto. Ma adesso sono felice che il mondo riconosca e onori suor Rani Maria».

avvenire

Bologna. Zuppi: rimettiamoci per strada

Matteo Maria Zuppi, romano, è figlio di Enrico storico direttore dell’Osservatore della Domenica. È pronipote, per parte di madre, del cardinale Carlo Confalonieri. Ma soprattutto è cresciuto nella Comunità di Sant’Egidio. Dopo che Benedetto XVI lo ha nominato ausiliare di Roma, nell’ottobre 2015 papa Francesco lo ha scelto come arcivescovo di Bologna, una delle diocesi storicamente più rilevanti della Penisola. Il quotidiano cattolico francese La Croix lo ha definito «un vescovo secondo il cuore di Francesco». Una sintonia che si caratterizza nell’amore per le periferie e nell’esigenza di promuovere una Chiesa in uscita. «In una situazione di crisi profonda e di grande disillusione – spiega ad Avvenire – nel nostro Paese la Chiesa ha un patrimonio di valori e di speranza che deve spendere e uscire comunicare a tanti». «Qualche volta – osserva – le difficoltà interne sembrano consigliarci una chiusura a riccio per difendere la nostra identità, ma proprio per difenderla oggi dobbiamo invece rimetterci per strada». E questo «non è scontato». Infatti «a volte pensiamo che uscendo per strada rischiamo di diventare come tutti». Invece «la grande fiducia che papa Francesco vuole trasmetterci è questa: se tu hai il Vangelo dentro non devi temere di perderti, non diventi come tutti». E «la mondanizzazione peggiore e più insidiosa è proprio quella di quando ci si chiude. Questo vale per Bologna, per l’Emilia, per l’Italia».

Eccellenza, che ricordo ha di suo zio cardinale?
Era cresciuto alla scuola di Pio XI per cui la Chiesa si serve e non se ne serve. Oneri e non onori, trovai scritto sul suo tavolo. Era attentissimo a non fare preferenze. Quel che mi resta di lui è un senso di servizio e obbedienza alla Chiesa essenziale e indiscusso.

E di suo padre?
Papà è stato un punto di riferimento molto più importante. Lui ha vissuto tutto il periodo preconciliare alla scuola di don Giovanni Rossi, fino alla Pro Civitate Cristiana, con l’impegno a divulgare e far conoscere il Vangelo alle classi più umili e ai più lontani dalla Chiesa. Questa tensione l’ha testimoniata anche a casa, in famiglia. Era un uomo affettivo, di comunicazione e di preghiera.

La sua storia è segnata dall’incontro con la Comunità di Sant’Egidio.
Che mi ha fatto comprendere il Vangelo, aiutandomi col tempo a capire mio papà. Quando sono entrato al liceo al Virgilio, dove Andrea Riccardi aveva iniziato la Comunità, era l’ottobre del 1968, ed è noto che all’epoca i giovani non erano molto disposti ad ascoltare i padri. In questo non facevo eccezione.

Che cosa l’ha colpito della Comunità?
Lì ho incontrato il Vangelo vivo, l’ho vissuto a livello più personale, e non in modo semplicemente ereditario. Lì ho capito le vere domande della mia vita e il mondo intorno.

Con Sant’Egidio il mondo ha potuto conoscerlo da vicino: l’Africa…
Il primo mondo che ho conosciuto sono stata le borgate di Roma. Primavalle. Dove ho cominciato a capire la vita e a vedere la realtà non dall’alto dei quartieri bene ma dalla periferia. Questa esperienza mi fa sentire molto in sintonia con papa Francesco quando parla di periferie.

Successivamente però gli orizzonti di questa periferia si sono allargati.

In effetti è stato così. Abbiamo seguito l’intuizione di san Giovanni Paolo II quando ha invitato la Comunità ad avere come unico confine quello della carità. E la carità non ha confini. Ecco quindi l’impegno per la pace in Mozambico e anche le missioni tra i poveri nelle periferie delle grandi metropoli del mondo.

In questi viaggi ha avuto modo di incontrare il Papa in quella che è stata la sua prima diocesi?

Andai a Buenos Aires con una delegazione di Sant’Egidio nel 1987, quando fu celebrata la prima Giornata mondiale della gioventù. In quella occasione nacque una prima nostra Comunità nella capitale argentina. Successivamente, nei viaggi per incontrare questa realtà ho avuto modo di conoscere l’arcivescovo Bergoglio.

Papa Francesco l’ha chiamata a guidare una delle diocesi storicamente più importanti della Penisola. Come ha accolto di questa ultima nomina?
All’inizio con molta incertezza. Pensando alla storia della Chiesa di Bologna e riflettendo sulla mia storia personale avvertivo l’inadeguatezza rispetto alla fiducia che papa Francesco manifestava nei miei confronti. Ma proprio questa fiducia alla fine mi ha spinto a vincere questo senso di inadeguatezza.

Bologna conserva un’importante eredità sociale e culturale. Come è stato l’impatto?

È una città in cui questa eredità si percepisce fisicamente. Anche nei suoi edifici. Accogliendo il Papa nella sua visita del primo ottobre ho insistito su quella caratteristica di Bologna che sono i portici. Segno di una città che si fa casa, e di una casa che si apre alla città. Segno di protezione e di incontri. Ora si tratta di vincere le difficoltà generate dalla globalizzazione – penso anche alla questione dei migranti – senza voltare le spalle a questa preziosa eredità.

Bologna è una diocesi di grande tradizione ecclesiale…
Certamente. Basti pensare al secolo scorso. Alle grandi figure di vescovi, sacerdoti e laici che l’hanno popolata. A Raimondo Manzini direttore dell’Avvenire d’Italia e a Giuseppe Dossetti con lo studio della Parola. Alle opere di carità di padre Marella e di tanti santi della carità, come don Salmi. Alla competizione di valori con il Partito comunista. Ai tanti don Camillo che si sono scontrati e incontrati con i molti Peppone delle nostre contrade.

Bologna ha avuto anche una serie di vescovi di primo piano che hanno segnato la storia della Chiesa italiana: Giovanni Battista della Chiesa che poi è diventato Benedetto XV, Lercaro e Poma, Biffi e Caffarra.
Senza dimenticare che ausiliare di Poma fu Marco Cé, poi patriarca di Venezia, che lo aiutò nell’inizio di una scelta di Chiesa ministeriale. Sono tutte grandi figure. Lercaro con il suo amore per la liturgia e per i poveri. Biffi con la sua intelligenza e il richiamo ad un Vangelo scomodo che superi le banalizzazioni e i conformismi. Caffarra con la sua profonda cultura e grande paternità. Figure che sono una ricchezza per la nostra Chiesa, ed anche una responsabilità per chi è chiamato a venire dopo…

Quali sono le sfide che si trova a dover affrontare?
Le ha indicate papa Francesco nel suo discorso all’Università. Quando ha esortato a custodire e promuovere i tre diritti: alla cultura per vincere semplificazioni populistiche; alla speranza per superare politiche di piccolo cabotaggio; alla pace ricordando sempre che ogni guerra è sempre un’«inutile strage». E questo deve diventare una priorità nel nostro dialogo con il mondo.

E a livello ecclesiale?
La sfida più urgente è una rivisitazione della nostra presenza nella città degli uomini che tocchi anche la strutturazione delle parrocchie. I numeri parlano da soli. Un terzo dei preti ha più di 75 anni. Nell’ultimo quinquennio sono “nati” otto sacerdoti e ne sono morti 66. Una ristrutturazione è necessaria: ma non per ritirarsi o chiudersi, bensì per trovare nuove forme di presenza e ministerialità. Tenendo sempre a mente che senza vivere la comunione non è possibile quella conversione pastorale e missionaria che ci propone il Papa.

Proprio nelle ultime settimane lei ha rilanciato l’indicazione per una collaborazione interparrocchiale.
La vera sfida è che nelle parrocchie l’indispensabile ministero presbiterale possa favorire la crescita di altri ministeri laicali, ad esempio nel campo della carità o in quello dell’ascolto della Parola.

La Croix l’ha definita «un vescovo secondo il cuore di Francesco». Allo stesso tempo è uno dei non molti presuli della Penisola ad aver celebrato – da ausiliare di Roma – la Messa secondo il rito «preconciliare»…
Non vedo nessuna contraddizione. Ho celebrato secondo il Messale del 1962 quando sono stato invitato in una parrocchia personale riservata a questo rito. Con una liturgia che ha nutrito la fede della Chiesa per secoli e che Benedetto XVI ha stabilito essere forma “straordinaria” dell’unico rito latino. La sfida è sempre quella della comunione.

CHI E’

Matteo Maria Zuppi è nato a Roma 62 anni fa. Il papà Enrico fu lo storico direttore dell’Osservatore Romano della Domenica, mentre il cardinale Carlo Confalonieri gli era prozio da parte materna. Da giovane liceale ha aderito alla Comunità di Sant’Egidio. Oltre agli studi ecclesiastici si è anche laureato in storia del cristianesimo all’Università La Sapienza. Ordinato sacerdote nel 1981, è stato parroco della Basilica di Santa Maria in Trastevere dal 2000 al 2010 quando è stato nominato parroco dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela, una delle più grandi comunità di Roma, con 70mila abitanti, oltre il raccordo anulare. Nel gennaio 2012 Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare di Roma per il settore Centro e nell’ottobre 2015 papa Francesco lo ha scelto come arcivescovo di Bologna. Dal 2000 alla nomina episcopale è stato anche assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio. Insieme al fondatore della Comunità Andrea Riccardi ha svolto un ruolo di mediazione che ha portato nel 1992 agli storici accordi di pace in Mozambico. Lo scorso 1º ottobre ha accolto papa Francesco in visita pastorale a Bologna per la conclusione del Congresso eucaristico diocesano.

Avvenire

Firenze. Giorgio la Pira verso gli altari. Il «processo» a una svolta

«Sarebbe bello che il processo di beatificazione di Giorgio La Pira si concludesse fino a che è ancora viva la memoria. Significherebbe indicarlo come esempio di come un cristiano può vivere la politica». È l’auspicio di Mario Primicerio, presidente della Fondazione La Pira, che presentando le iniziative in programma per il quarantesimo anniversario della morte di quello che i fiorentini chiamavano il “sindaco santo”, ha fatto il punto sulla causa di beatificazione. Che sembra essere giunta a un punto decisivo: è stata consegnata infatti la positio,sulla cui base la Congregazione delle cause dei santi potrebbe decidere di sottoporre al Papa il riconoscimento delle ‘virtù eroiche’ di Giorgio La Pira e quindi il conferimento del titolo di venerabile.

A quel punto, servirebbe il riconoscimento di un miracolo attribuito all’intercessione di La Pira per proclamarlo beato. Il processo – ha spiegato il vicepostulatore della causa, Maurizio Certini – aperto nel 1986 dall’arcidiocesi di Firenze, ha comportato l’esame di una mole enorme di scritti, editi e inediti (libri, lettere, diari…) e l’audizione di oltre 200 testimoni, con rogatorie internazionali che si sono svolte anche a Mosca, a Gerusalemme, in Marocco, in Egitto e in molte altre città. «Ci farebbe particolarmente piacere – ha aggiunto Primicerio – che il decreto che riconosce La Pira venerabile fosse firmato da papa Francesco, in cui vediamo una particolare consonanza con il messaggio lapiriano».

La Fondazione ha fatto avere a Francesco alcuni testi di La Pira in spagnolo. «Ma non escluderei – ha affermato Primicerio – che li conoscesse già, visto che il maggior numero di traduzioni dei testi di La Pira è stato fatto in Argentina». Un sindaco rimasto impresso nella memoria di Firenze, un politico che ha dato un contributo importante alla stesura della Costituzione italiana. Ma anche un personaggio che, con i suoi appelli alla pace e all’unità dei popoli, si è fatto conoscere in molti Paesi: «Lettere e messaggi per chiedere novità sulla beatificazione di La Pira ci arrivano da ogni parte del mondo, a testimonianza di quanto questa figura sia internazionale.

Ci sono arrivate anche richieste di reliquie, alle quali dobbiamo rispondere che si tratterebbe di un culto improprio. Ma sappiamo che molti pregano chiedendo la sua intercessione, e lo testimoniano anche i messaggi lasciati sul quaderno accanto alla sua tomba, nella basilica di San Marco». Proprio nella chiesa di San Marco domani alle 11 sarà celebrata la Messa nel quarantennale della morte (5 novembre 1977). A presiederla il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Tra le celebrazioni organizzate per il quarantesimo anniversario della morte, a Firenze sono previste anche una lettura drammatizzata de “I Folli”, atto unico dello scrittore Rodolfo Doni il 10 novembre alle 18 nel Cenacolo di Santa Croce. Giovedì 14 dicembre in Palazzo Medici Riccardi il Centro La Pira organizzerà un convegno dal titolo “La triplice famiglia di Abramo”.

La Pira sarà anche al centro della terza edizione di “Unity in diversity”, la conferenza internazionale dei sindaci promossa dal Comune di Firenze sull’esempio di quelle che La Pira organizzava negli anni Cinquanta: si aprirà martedì a Firenze per concludersi mercoledì in Vaticano, nella Casina Pio IV, su invito della Pontificia Accademia di scienze sociali. Ma La Pira sarà ricordato anche in Calabria. Oggi alle 18.30 nella Cattedrale di Cassano all’Jonio il vescovo Francesco Savino presiederà la celebrazione eucaristica, al termine della quale verrà consegnata la lettera di Giorgio La Pira a Paolo VI: “Abbattere i muri, costruire ponti”. Altre iniziative nel quarantennale sono in programma in tutta Italia, e non solo. Le prossime saranno a Cesena il 6 novembre (su “La Pira e Zaccagnini: l’utopia in politica”), all’università di Bari il 27 novembre (su “La Pira: la città vista dall’alto”) e perfino in Francia, a Cannes, dove si parlerà di “Giorgio La Pira, un mystique en politique”, ‘un mistico in politica’.

Avvenire

Beati Martiri Albanesi (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) 5 novembre

† Albania, 1945/1974

Tra i numerosissimi cattolici di nazionalità albanese, che durante il regime comunista (1944-1991) hanno subito prigionia, torture e falsi processi, nel tentativo di sradicare il Vangelo e la cultura di un intero popolo, sono stati selezionati i nomi di 38 candidati agli altari, capeggiati dall’arcivescovo di Durazzo, monsignor Vincenzo Prennushi. La lista comprende due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro laici (compresa un’aspirante religiosa). Sono stati beatificati il 5 novembre 2016, nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.

Secondo alcune stime, in Albania, sotto il regime comunista negli anni 1944-1991, sono stati uccisi cinque vescovi, sessanta sacerdoti, trenta religiosi francescani e tredici gesuiti, dieci seminaristi e otto suore, senza contare i laici.
Le accuse con le quali venivano arrestati, torturati e a volte sottoposti a processi dall’esito già scritto erano principalmente due: quella di essere spie della Santa Sede e, specie nel caso di quanti avevano avuto contatti con l’Europa, di essere collaborazionisti del nazismo o del fascismo. C’era anche un ulteriore motivo: dato che molti sacerdoti erano anche letterati, eliminandoli fisicamente s’intendeva dare anche un duro colpo all’identità nazionale.
La dolorosa situazione dei cattolici albanesi ebbe fine quando, il 4 novembre 1990, la celebrazione di una Messa al cimitero cattolico di Scutari segnò la ripresa della pubblica professione di fede. Da allora, la memoria di quanti avevano dato la vita per la fede si è intensificata e ha portato alla richiesta d’introdurre la causa di beatificazione per alcuni di essi.
Quindi il 10 novembre 2002, nella cattedrale di Scutari, alla presenza del cardinal Crescenzio Sepe, all’epoca Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, è stata introdotta la fase diocesana del processo per accertare l’effettivo martirio di 38 candidati, capeggiati da Vincenzo Prennushi (al secolo Kolë), religioso dei Frati Minori e arcivescovo di Durazzo. La lista comprende due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro laici.
Contemporaneamente, ma in maniera distinta, sono cominciate le cause del francescano padre Luigi Paliq, morto nel 1913, e del sacerdote diocesano don Gjon Gazulli, ucciso nel 1927; le loro sono state considerate “cause storiche”.
Le tre inchieste sono state concluse l’8 dicembre 2010, sempre nella cattedrale di Scutari, alla presenza del cardinale Claudio Hummes, Prefetto Emerito della Congregazione per il Clero, e convalidate con decreto del 9 marzo 2012.
Papa Francesco si è così espresso il 21 settembre 2014, nel corso del suo viaggio apostolico in Albania, precisamente durante la celebrazione dei Vespri nella cattedrale di Scutari: «In questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto! Poi, oggi, nella strada dall’aeroporto fino alla piazza, tutte queste fotografie dei martiri: si vede che questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri…».
Non molto tempo dopo, ossia nel mese di luglio 2015, sono stati presentati alla Congregazione vaticane delle Cause dei Santi i due volumi della “positio super martyrio” di monsignor Prennushi e dei suoi 38 compagni. Il 17 novembre dello stesso anno i consultori teologi si sono pronunciati favorevolmente circa l’effettiva morte in odio alla fede dei potenziali martiri. Il 26 aprile 2016, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ufficializzava il loro martirio.
La loro beatificazione è stata fissata al 5 novembre 2016, sulla piazza della cattedrale di Santo Stefano a Scutari; a presiederla, in qualità di delegato del Santo Padre, il cardinal Amato.

Nel presentare l’elenco che segue, ordinato in base alle date di morte dei singoli Beati, precisiamo che, nel caso dei religiosi, il nome al secolo è riportato tra parentesi tonde, mentre quello religioso è italianizzato. Nelle singole schede, invece, è italianizzato anche il nome proprio di quelli che non sono religiosi. Quando possibile, verrà inserito il numero della scheda relativa al singolo personaggio.

97000 – Lazër Shantoja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 5 marzo 1945 a Tirana

97003 – Ndre Zadeja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 25 marzo 1945 a Scutari

92209 – Giovanni Fausti, sacerdote gesuita
95819 – Giovanni (Kolë) Shllaku, sacerdote francescano
92220 – Daniel Dajani, sacerdote gesuita
Qerim Sadiku, laico dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
96993 – Mark Çuni, seminarista dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
Gjelosh Lulashi, laico dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 4 marzo 1946 a Scutari

97010 – Alfons Tracki, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 18 luglio 1946 a Scutari

Fran Mirakaj, laico coniugato dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† settembre 1946 a Tirana

97015 – Josef Marxen, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 16 novembre 1946 a Tirana

95815 – Bernardino (Zef) Palaj, sacerdote francescano
† 2 dicembre 1946 a Scutari

97017 – Luigj Prendushi, sacerdote della Diocesi di Sapë
† 24 gennaio 1947 a Shelqet, Scutari

97018 – Dedë Maçaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 28 marzo 1947 a Përmet

97019 – Mark Gjani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 1947 a Shën Pal, Mirditë

95822 – Serafino (Gjon) Koda, sacerdote francescano
† 11 maggio 1947 a Lezhë

92221 – Gjon Pantalia, fratello gesuita
† 31 ottobre 1947 a Scutari

97021 – Anton Zogaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 9 marzo 1948 a Durazzo

97001 – Frano Gjini, vescovo e abate nullius di Sant’Alessandro a Orosh (attualmente in Diocesi di Rrëshen)
95821 – Mattia (Pal) Prennushi, sacerdote francescano
95816 – Cipriano (Dedë) Nika, sacerdote francescano
† 11 marzo 1948 a Scutari

95817 – Dedë Plani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 30 aprile 1948 a Scutari

97020 – Ejëll Deda, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 maggio 1948 a Scutari

97023 – Anton Muzaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† primavera 1948 a Scutari

Pjetër Çuni, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 31 luglio 1948 (data probabile) a Koplik, Scutari

97024 – Josif Papamihali, sacerdote dell’Amministrazione apostolica dell’Albania del Sud (Rito greco-cattolico albanese)
† 26 ottobre 1948 a Maliq, Coriza

92980 – Aleksander Sirdani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 26 dicembre 1948 a Koplik, Scutari

95823 – Vincenzo (Kolë) Prennushi, sacerdote francescano, arcivescovo di Durazzo
† 20 marzo 1949 a Durazzo

97025 – Jak Bushati, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 febbraio 1949 a Lezhë

95818 – Gaspare (Mikel) Suma, sacerdote francescano
† 16 aprile 1950 a Scutari

94615 – Maria Tuci, giovane laica, aspirante delle Suore Stimmatine
† 24 ottobre 1950 a Scutari

97032 – Jul Bonati, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 5 novembre 1951 a Scutari

95820 – Carlo (Ndue) Serreqi, sacerdote francescano
† 4 aprile 1954 a Burrel, Scutari

97033 – Ndoc Suma, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 22 aprile 1958 a Scutari

97037 – Dedë Malaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 maggio 1959 a Scutari

97035 – Marin Shkurti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† aprile 1969 a Scutari

97034 – Shtjefën Kurti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 20 ottobre 1971 a Fushe, Krujë

97036 – Mikel Beltoja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 10 febbraio 1974 a Scutari

Autore: Emilia Flocchini