In ascolto di Dio. Iniziativa del Lay Centre di Roma per valorizzare il silenzio durante la pandemia

«In questo tempo c’è tanto silenzio. Si può anche sentire il silenzio. Che questo silenzio, che è un po’ nuovo nelle nostre abitudini, ci insegni ad ascoltare, ci faccia crescere nella capacità di ascolto». Il 24 aprile scorso, nei giorni più duri della pandemia in Italia, quelli del lockdown, Papa Francesco apriva la messa mattutina a Santa Marta con questa preghiera-riflessione dedicata al silenzio e all’ascolto. La città vuota e taciturna per la quarantena e, di contro, l’esplosione di parole sul web di quei primi giorni di paura, hanno ispirato anche un’iniziativa ecumenica del Lay Centre di Roma, l’istituto cattolico internazionale creato nel 1986 per offrire accoglienza e formazione agli studenti laici delle università pontificie dell’Urbe.

Dal 24 luglio e per cinque settimane, registrandosi al sito laycentre.org, sarà possibile ricevere ogni venerdì, via mail, un testo di meditazione in lingua inglese dedicato al silenzio, accompagnato da un’immagine e da un brano musicale. «Wellsprings of silence» (“Sorgenti di silenzio”), s’intitola la serie nata per favorire la riscoperta della ricchezza della preghiera e della meditazione silenziosa. «Durante la pandemia — spiega Heather Walker, coordinatrice della comunicazione e dei programmi di studio del Lay Centre — qui a Roma, quando uscivamo per andare al lavoro o a fare la spesa, scoprivamo le strade vuote e silenziose. Dietro le mura delle abitazioni c’erano invece una vita e una comunicazione frenetica. Ora che l’Italia è uscita dal lockdown abbiamo pensato ai nostri amici di tutto il mondo, ai nostri studenti che vivono in Paesi ancora in piena pandemia e offerto loro dei testi che aiutino, nel silenzio, a riflettere, ascoltare la voce di Dio e a trovare risposte. La preghiera silenziosa nel mondo cristiano è abbastanza diffusa fra i religiosi — nota ancora Walker — ma non lo è altrettanto fra i laici. Ecco perché abbiamo voluto proporre testi non solo di autori religiosi».

La prima meditazione pubblicata è di padre John Keating, religioso irlandese, docente a Dublino. Un esperto di silenzio che nel 1990 ha trascorso un anno di ritiro in solitudine sulle coste del lago Lough Derg nel suo Paese. Seguirà quella della teologa Karen Petersen Finch, ministro della chiesa presbiteriana, e, nelle settimane successive, quelle di laici e religiosi esponenti di altre confessioni cristiane, a sottolineare il carattere ecumenico delle meditazioni.

Chiuderà il ciclo la dottoressa Donna Orsuto, cofondatrice del Lay Centre e docente di spiritualità alla Pontificia università Gregoriana.

Nel suo testo padre Keating cita in apertura il capitolo 10 del Libro dei Proverbi: «Un fiume di parole non è mai senza colpa, chi frena le labbra è saggio». Ricorda poi quanto sia frequente oggi ascoltare parole che non costruiscono pace: un linguaggio divisivo, aspro che sembra distruggere ciò che abbiamo di più caro e prezioso. Il religioso invita a trovare l’antidoto in un equilibrio fra suono e silenzio, che possa generare gentilezza, tenerezza e compassione. Sottolinea il bisogno urgente che avvertono in molti di curare questo bilanciamento e di concentrarsi sulle piccole cose, non su quelle grandi. «Stare in disparte in silenzio — nota padre Keating — ci dà la possibilità di ritrovare noi stessi e crescere anche nelle relazioni con gli altri».

Come ricorda insomma il Salmo 23 è solo presso le «acque tranquille» che possiamo rinfrancare il nostro spirito. Solo uno specchio d’acqua fermo e silenzioso può riflettere la nostra anima.

di Fabio Colagrande

Osservatore Romano

Così il Concilio sancì il diritto alla libertà religiosa

«Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa». Era il 7 dicembre di 55 anni fa, e i vescovi riuniti nella basilica di San Pietro approvavano uno dei documenti conciliari più a lungo discussi, la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. «Il contenuto di una tale libertà — affermava il documento — è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società».

Il contributo di Papa Montini

Dignitatis humanae è un testo che ha subito una trasformazione radicale nel corso di ben cinque diverse stesure prima di essere approvato. Il problema fondamentale, che creava maggiori difficoltà, era il modo di definire questa libertà. Nel secondo degli schemi preparati questa veniva presentata come un diritto positivo, come facoltà di agire e diritto a non essere impedito di agire. «Ma già nel terzo schema — ricordava il cardinale domenicano Jérôme Hamer, all’epoca uno degli esperti teologi che aveva collaborato alla stesura — l’ambiguità di una libertà religiosa definita come diritto positivo e negativo era scomparsa. Si parlava ormai di un diritto all’immunità, un diritto a non subire coercizioni da parte di qualsiasi potere umano non solo nella formazione della coscienza in materia religiosa, ma anche nel libero esercizio della religione». Un contributo decisivo per la formulazione del documento e della definizione della libertà religiosa come immunità era arrivato da Paolo VI, che nel corso di un’udienza pubblica, il 28 giugno 1965, descrivendo la libertà religiosa aveva detto: «Voi vedrete riassunta una gran parte di questa dottrina capitale in due proposizioni famose: in materia di fede che nessuno sia impedito! Che nessuno sia costretto!» (nemo cogatur, nemo impediatur).

L’ordine di votare la bozza

Il dibattito in aula era stato acceso, con 62 interventi orali e un centinaio di contributi scritti. Permangono delle difficoltà e gli organismi direttivi del Concilio decidono di non far votare il testo, come invece chiedeva il Segretariato per l’unità dei Cristiani. I timori espressi erano sempre gli stessi: uguali diritti conferiti “a chi è nella verità e a chi è nell’errore”, la proposizione di un modello “di Stato neutro condannato dalla Chiesa”, una dottrina “in opposizione a quella tradizionale della Chiesa in materia”. È Papa Montini a intervenire il 21 settembre, impartendo l’ordine di far votare i padri, e chiedendo loro se il testo predisposto potesse rappresentare la base di lavoro per la futura dichiarazione. La votazione registra, su 2.222 presenti, la risposta affermativa di 1.997, quella negativa di 224 e un voto nullo. Il cardinale Pietro Pavan definirà “storico” l’intervento papale che aveva stabilito di far votare la bozza.

La dignità della persona

Il testo definitivo del documento, al paragrafo primo, recita: «E poiché la libertà religiosa… riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e della società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo». L’affermazione del diritto alla libertà religiosa non equivale dunque né a mettere verità e falsità sullo stesso piano, né ad affermare indifferenza o arbitrio in ambito religioso. «Poiché rimane il dovere di formarsi una coscienza vera — ha osservato padre Gianpaolo Salvini — non c’è alcuna opposizione con la consapevolezza della Chiesa di essere l’unica vera religione… Il fondamento della libertà religiosa è espresso in modo assertivo e viene indicato nella dottrina cattolica della dignità della persona umana. Inoltre è visto in modo nuovo il rapporto con i dati biblici e con la rivelazione che, benché non parli espressamente di questo diritto (che è una determinazione civile e giuridica), tuttavia rivela la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza in modo congruo con la libertà dell’atto di fede cristiano».

Contro l’ateismo di Stato nei Paesi dell’Est

«Il contributo personale di Paolo VI su quel documento conciliare è stato determinante», attesta il cardinale Pietro Pavan. Il Papa era intervenuto per far votare comunque lo schema in lavorazione e aveva contribuito alla definizione di libertà religiosa come un diritto all’immunità. Il contributo di Montini va letto anche alla luce dell’importante viaggio all’Onu dell’ottobre 1965, e degli iniziali contatti con i regimi d’Oltreocortina finalizzati a migliorare in qualche modo le condizioni di vita dei cristiani e più in generale delle popolazioni sottoposte alla dittatura comunista. La dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa sarà infatti un utile strumento per rivendicare il rispetto di questo elementare diritto nei Paesi dove si professava l’ateismo di Stato.

Giovanni Paolo II: tra i testi più rivoluzionari

In un messaggio del 7 dicembre 1995, in occasione del trentennale dell’approvazione della dichiarazione, Giovanni Paolo II — che da padre conciliare aveva potuto seguire da vicino il cammino del documento contribuendo alla sua stesura — affermava: «Il Concilio Vaticano II rappresentò una grazia straordinaria per la Chiesa e una tappa decisiva della sua storia recente. Dignitatis Humanae è senza dubbio uno dei testi conciliari più rivoluzionari. Suo è il particolare e importante merito di aver appianato la strada per quel notevole e proficuo dialogo tra la Chiesa e il mondo tanto ardentemente sollecitato e incoraggiato da un altro notevole documento conciliare, la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, emessa in quello stesso giorno. Guardando retrospettivamente agli ultimi trent’anni, bisogna ammettere che l’impegno della Chiesa per la libertà religiosa quale diritto inviolabile della persona umana ha sortito effetti superiori a ogni previsione dei Padri Conciliari». Quattro anni prima, nel messaggio per la Giornata della pace del 1991, Papa Wojtyła aveva ribadito che «nessuna autorità umana ha il diritto di intervenire nella coscienza di alcun uomo». La coscienza è infatti “inviolabile”, in quanto costituisce la «condizione necessaria per la ricerca della verità degna dell’uomo e per l’adesione ad essa, quando e stata adeguatamente riconosciuta». Ne deriva che «tutti devono rispettare la coscienza di ognuno e non cercare di imporre ad alcuno la propria “verità”… La verità non si impone che in virtù di se stessa».

Benedetto XVI e l’esempio dei martiri

Da ricordare sono anche le parole che Benedetto XVI aveva dedicato a questo tema nel suo primo discorso alla Curia romana, il 22 dicembre 2005, quando invitava a «considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso, come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere; ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato». «I martiri della Chiesa primitiva — affermava ancora Papa Ratzinger — sono morti per la loro fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede — una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà della fede».

Sfida al mondo globalizzato

In un intervento rivolto ai partecipanti al convegno internazionale “La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori”, Papa Francesco ha affermato: «La ragione riconosce nella libertà religiosa un diritto fondamentale dell’uomo che riflette la sua più alta dignità, quella di poter cercare la verità e di aderirvi, e riconosce in essa una condizione indispensabile per poter dispiegare tutta la propria potenzialità. La libertà religiosa non è solo quella di un pensiero o di un culto privato. È libertà di vivere secondo i principi etici conseguenti alla verità trovata, sia privatamente che pubblicamente. Questa è una grande sfida nel mondo globalizzato, dove il pensiero debole — che è come una malattia — abbassa anche il livello etico generale, e in nome di un falso concetto di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità sull’uomo e le sue conseguenze etiche».

di Andrea Tornielli – osservatoreromano.va

Alla Gregoriana un convegno sul contributo delle religioni. Educare alla fraternità

L’Osservatore Romano

(Charles De Pechpeyrou) «Le religioni si sentano chiamate a essere, particolarmente in questo nostro tempo, messaggere di pace e artefici di comunione per proclamare, diversamente da chi alimenta scontri, divisioni e chiusure, che oggi è tempo di fraternità»: è l’appello formulato dal presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, nel corso della giornata di studio intitolata «Educare a un’umanità più fraterna: il contributo delle religioni», svoltasi ieri, 24 febbraio, alla Pontificia università gregoriana. Un appuntamento organizzato in collaborazione con il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica, in vista dell’evento mondiale «Ricostruire il patto educativo globale», promosso da Papa Francesco, che si terrà il 14 maggio.Se da una parte «è indispensabile che l’educazione religiosa miri soprattutto a far crescere nella propria identità religiosa», ha dichiarato Ayuso Guixot, è anche «sempre più necessario e auspicabile che si educhi anche all’ascolto dell’altro, fornendo adeguate e oggettive presentazioni delle altre tradizioni religiose». Infatti — ha aggiunto — «sappiamo bene quanto siano pericolose l’ignoranza e la disinformazione che lasciano il campo libero a paure e pregiudizi. Seppur diversi perché profondamente radicati nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dobbiamo dimostrare che lavorare insieme per costruire ponti di amicizia, fratellanza e collaborazione è giusto, è possibile».
Citando il messaggio di Papa Francesco per il lancio, il 12 settembre 2019, del Global Compact on Education, il porporato ha invitato a «trovare la convergenza globale per un’educazione che sappia farsi portatrice di un’alleanza tra tutte le componenti della persona (…). Un’alleanza generatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana nonché di dialogo tra le religioni». Un’alleanza, questa, che «deve porre le sue basi nella fraternità, nel rispetto e nell’amicizia verso tutti».
Anch’egli presente alla giornata di studio, il prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica (degli istituti di studi), cardinale Giuseppe Versaldi, ha ricordato dal canto suo le parole rivolte il 7 febbraio scorso da Papa Francesco ai partecipanti al convegno sul tema «Education: the global compact» organizzato dalla Pontificia accademia delle scienze sociali, invitando tutti — persone e istituzioni — a «rifare un nuovo patto educativo, perché solo così l’educazione potrà cambiare».
Per questo — aveva precisato il Santo Padre — «bisogna costruire ponti di connessione, superare (…) le “piccolezze” che ci rinchiudono nel nostro piccolo mondo, e andare nel mare aperto globale, rispettando tutte le tradizioni».
Versaldi, inoltre, ha voluto citare le parole pronunciate pochi giorni fa da Papa Francesco in occasione dell’assemblea plenaria del suo dicastero, rilanciando un appello «a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, amministrative, religiose ed educative per ricomporre il “villaggio dell’educazione”». Per «ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva», ha spiegato il Pontefice, il patto educativo «non dev’essere un semplice ordinamento, non dev’essere un “ricucinato” dei positivismi che abbiamo ricevuto da un’educazione illuministica. Dev’essere rivoluzionario». È evidente — ha aggiunto il porporato — che «questo forte e accorato appello di Papa Francesco a un cambiamento di paradigma dell’educazione è rivolto in primo luogo alle religioni in quanto portatrici di un messaggio di salvezza e di pace universale, che non può non passare attraverso l’opera educatrice promossa dalle loro istituzioni».
Al termine dell’incontro alla Gregoriana, sei relatori in rappresentanza di altrettante diverse tradizioni religiose (cattolicesimo, ebraismo, islam, induismo, buddismo e religioni tradizionali africane) hanno partecipato a una tavola rotonda sul tema «Quali sono le risorse della propria tradizione religiosa per costruire una fraternità universale?». Formatrice al Rossing center for education and dialogue, in Israele, Hana Bendcowsky ha ribadito l’importanza per gli adulti di dare il giusto esempio: «La cosa più importante per gli insegnanti è che per cambiare le cose dobbiamo ricordare che i bambini fanno ciò che noi facciamo e non ciò che diciamo».
Dal Libano è venuta invece Nayla Tabbara, musulmana, vicepresidente della Fondazione Adyan, organizzazione nata da un’iniziativa congiunta cristiano-islamica grazie alla quale vengono formati migliaia di studenti preparati a diffondere i valori della pace e della convivenza. «Non vogliamo dare conoscenze ai bambini ma insegnare a loro valori e atteggiamenti, in modo che possano avere empatia per l’altro e non solo per le persone della stessa fede», ha spiegato Tabbara, notando inoltre che una delle maggiori sfide da affrontare nel suo paese è la paura dei genitori nei confronti di ciò che non conoscono e a cui i loro bambini sono esposti.
Intervistato dal nostro giornale, padre Laurent Basanese, gesuita, direttore del Centro studi interreligioso della Gregoriana, ha invitato gli insegnanti e gli educatori a «fare scoprire ai giovani che esistono altri universi mentali, altri modi di concepire il mondo, e far passare il messaggio alle nuove generazioni che identità e dialogo non sono per forza opposti». Altro consiglio: «I maestri devono parlare in quanto testimoni, comunicando le loro esperienze passate, specialmente quando sono vissuti in un altro paese o quando hanno una conoscenza particolare di altre culture». Un insegnamento — ha sottolineato padre Basanese — che deve essere «incarnato e non teorico». La Chiesa, dal canto suo, è chiamata a insegnare ai giovani che «il diverso non è per forza un nemico da temere, ma un alleato, un amico».
L’Osservatore Romano, 25-26 febbraio 2020

Mutazione in vista, serve più religione

All’improvviso, o per una speciale accelerazione, la pioggia di allarmi sugli effetti della mutazione sociale e antropologica indotta dalle tecnologie digitali ci arriva da giornali, settimanali, supplementi culturali. Ritengo da anni che una tale mutazione, molto più radicale e invasiva di quella denunciata da Pasolini all’inizio degli anni settanta, sia stata sottovalutata dagli intellettuali “progressisti” (che cos’è progresso? c’è una meta?) e da chi studia la società, i legami sociali, la mente, la coscienza, le forme dell’esperienza e della percezione umana del mondo sia esterno che interiore. È in gioco l’intera storia della cultura, i modi e le possibilità della formazione, dell’educazione, dell’accumulazione e trasmissione del sapere. Scienze, arti, filosofie e religioni sono minacciate dall’attuale impero tecnologico, anima pragmatica nonché economica del capitalismo. I titoli dei quattro articoli che aprono l’ultimo numero della Lettura parlano chiaro. Al primo articolo (“La fine dell’umanità” firmato da Adriano Favole) ne seguono tre di chiarimento (“L’uomo perde la libertà” di Viviana Mazza, “L’uomo perde i sensi” di Marco Ventura e “Il rischio di diventare homo insipiens” di Carlo Bordoni). Fra il perdere la libertà, il perdere l’uso dei sensi e il sapere, c’è quindi un nesso, e fra queste perdite e la “fine dell’umanità” viene suggerito un rapporto di causa ed effetto. Naturalmente se si perde umanità si perde, come primo effetto, anche la capacità di capire le varie culture umane: e non c’è universalismo morale senza sentire l’unità nelle inevitabili diversità. L’allarme è dunque sia neuro-mentale che sociale e politico. Adriano Favole scrive che «viviamo una crisi profonda del progetto umanistico», le cui conseguenze possono essere inimmaginabili se non abbiamo abbastanza immaginazione culturale per prevederle. E oggi, con la crisi profonda dell’umanesimo illuminista, puramente razionalistico e antireligioso, le religioni più consapevoli del proprio ruolo si trovano ad avere responsabilità globali nell’evitare conflitti e guerre, nonché nel creare il giusto disincanto nei confronti della pretesa onnipotenza tecnico-scientifica. Né il cosmo né il pianeta terra sono una nostra proprietà e lo dimostra il fatto che conosciamo solo una minuscola parte dei loro fenomeni. Riconoscere la vastità dell’ignoto fuori e dentro di noi non è irrazionalismo ma razionale consapevolezza dei limiti della razionalità. La quale sa costruire innumerevoli strumenti avendo come solo “ideale” la velocità e la comodità. È un po’ poco.

Avvenire

L’ebraismo dalla A alla Z

Teologo e docente nei licei Paul Petzel, giornalista e traduttore, nonché membro del comitato di redazione della rivistaStimmen der Zeit Norbert Reck, i due studiosi hanno commissionato a persone molto esperte del mondo giudaico – rabbini e studiosi della materia – lo studio di cinquanta parole chiave dell’ebraismo (a ognuna sono riservate due o tre pagine del testo). Il risultato del loro lavoro è stato discusso, rivisto, modificato, rifatto dagli stessi autori, dai redattori o da altri esperti. Il frutto finale raccolto nel volume va quindi attribuito a una molteplicità di “mani” che ne hanno arricchito enormemente il contenuto.

Lo studio di ogni voce (ad es. alleanza, circoncisione, croce, ebreo-giudeo, Gesù di Nazaret, grazia, ira di Dio, “Ma io vi dico” – Le antitesi, perdono, regole alimentari, Torah, vendetta, YHWH ecc.) viene articolato in una breve esposizione preliminare, a cui segue la discussione e l’indicazione di prospettive. Conclude l’articolo una stringata bibliografia, quasi tutta in lingua tedesca (vengono però indicate le opere tradotte in italiano). Alle pp. 137-138 sono elencati i nomi dei trentatré collaboratori, unitamente alla sede istituzionale di attività.

Il sottotitolo indica chiaramente lo scopo di questo volume. Delicato in tedesco (Da Abba a Ira di Dio. Illuminare gli errori – Comprendere il Giudaismo), è stato volutamente indurito in italiano, data l’importanza di una retta comprensione della religione ebraica e della pericolosità delle “pre-comprensioni” errate o incomplete esistenti nel mondo mediatico e culturale in genere, per non parlare degli stereotipi presenti a tutti i livelli della società, spesso digiuna della materia importante di cui si parla. Un libro utile, di veloce consultazione, sodo nei contenuti.

Paul Petzel – Norbert Reck (a cura), L’ebraismo dalla A alla Z. Parole chiave per rimuovere errori e luoghi comuni. Edizione italiana a cura di Gianluca Montaldi (Religione e religioni s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 144, € 15,00. 9788810604731

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