Alla Gregoriana un convegno sul contributo delle religioni. Educare alla fraternità

L’Osservatore Romano

(Charles De Pechpeyrou) «Le religioni si sentano chiamate a essere, particolarmente in questo nostro tempo, messaggere di pace e artefici di comunione per proclamare, diversamente da chi alimenta scontri, divisioni e chiusure, che oggi è tempo di fraternità»: è l’appello formulato dal presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, nel corso della giornata di studio intitolata «Educare a un’umanità più fraterna: il contributo delle religioni», svoltasi ieri, 24 febbraio, alla Pontificia università gregoriana. Un appuntamento organizzato in collaborazione con il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica, in vista dell’evento mondiale «Ricostruire il patto educativo globale», promosso da Papa Francesco, che si terrà il 14 maggio.Se da una parte «è indispensabile che l’educazione religiosa miri soprattutto a far crescere nella propria identità religiosa», ha dichiarato Ayuso Guixot, è anche «sempre più necessario e auspicabile che si educhi anche all’ascolto dell’altro, fornendo adeguate e oggettive presentazioni delle altre tradizioni religiose». Infatti — ha aggiunto — «sappiamo bene quanto siano pericolose l’ignoranza e la disinformazione che lasciano il campo libero a paure e pregiudizi. Seppur diversi perché profondamente radicati nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dobbiamo dimostrare che lavorare insieme per costruire ponti di amicizia, fratellanza e collaborazione è giusto, è possibile».
Citando il messaggio di Papa Francesco per il lancio, il 12 settembre 2019, del Global Compact on Education, il porporato ha invitato a «trovare la convergenza globale per un’educazione che sappia farsi portatrice di un’alleanza tra tutte le componenti della persona (…). Un’alleanza generatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana nonché di dialogo tra le religioni». Un’alleanza, questa, che «deve porre le sue basi nella fraternità, nel rispetto e nell’amicizia verso tutti».
Anch’egli presente alla giornata di studio, il prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica (degli istituti di studi), cardinale Giuseppe Versaldi, ha ricordato dal canto suo le parole rivolte il 7 febbraio scorso da Papa Francesco ai partecipanti al convegno sul tema «Education: the global compact» organizzato dalla Pontificia accademia delle scienze sociali, invitando tutti — persone e istituzioni — a «rifare un nuovo patto educativo, perché solo così l’educazione potrà cambiare».
Per questo — aveva precisato il Santo Padre — «bisogna costruire ponti di connessione, superare (…) le “piccolezze” che ci rinchiudono nel nostro piccolo mondo, e andare nel mare aperto globale, rispettando tutte le tradizioni».
Versaldi, inoltre, ha voluto citare le parole pronunciate pochi giorni fa da Papa Francesco in occasione dell’assemblea plenaria del suo dicastero, rilanciando un appello «a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, amministrative, religiose ed educative per ricomporre il “villaggio dell’educazione”». Per «ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva», ha spiegato il Pontefice, il patto educativo «non dev’essere un semplice ordinamento, non dev’essere un “ricucinato” dei positivismi che abbiamo ricevuto da un’educazione illuministica. Dev’essere rivoluzionario». È evidente — ha aggiunto il porporato — che «questo forte e accorato appello di Papa Francesco a un cambiamento di paradigma dell’educazione è rivolto in primo luogo alle religioni in quanto portatrici di un messaggio di salvezza e di pace universale, che non può non passare attraverso l’opera educatrice promossa dalle loro istituzioni».
Al termine dell’incontro alla Gregoriana, sei relatori in rappresentanza di altrettante diverse tradizioni religiose (cattolicesimo, ebraismo, islam, induismo, buddismo e religioni tradizionali africane) hanno partecipato a una tavola rotonda sul tema «Quali sono le risorse della propria tradizione religiosa per costruire una fraternità universale?». Formatrice al Rossing center for education and dialogue, in Israele, Hana Bendcowsky ha ribadito l’importanza per gli adulti di dare il giusto esempio: «La cosa più importante per gli insegnanti è che per cambiare le cose dobbiamo ricordare che i bambini fanno ciò che noi facciamo e non ciò che diciamo».
Dal Libano è venuta invece Nayla Tabbara, musulmana, vicepresidente della Fondazione Adyan, organizzazione nata da un’iniziativa congiunta cristiano-islamica grazie alla quale vengono formati migliaia di studenti preparati a diffondere i valori della pace e della convivenza. «Non vogliamo dare conoscenze ai bambini ma insegnare a loro valori e atteggiamenti, in modo che possano avere empatia per l’altro e non solo per le persone della stessa fede», ha spiegato Tabbara, notando inoltre che una delle maggiori sfide da affrontare nel suo paese è la paura dei genitori nei confronti di ciò che non conoscono e a cui i loro bambini sono esposti.
Intervistato dal nostro giornale, padre Laurent Basanese, gesuita, direttore del Centro studi interreligioso della Gregoriana, ha invitato gli insegnanti e gli educatori a «fare scoprire ai giovani che esistono altri universi mentali, altri modi di concepire il mondo, e far passare il messaggio alle nuove generazioni che identità e dialogo non sono per forza opposti». Altro consiglio: «I maestri devono parlare in quanto testimoni, comunicando le loro esperienze passate, specialmente quando sono vissuti in un altro paese o quando hanno una conoscenza particolare di altre culture». Un insegnamento — ha sottolineato padre Basanese — che deve essere «incarnato e non teorico». La Chiesa, dal canto suo, è chiamata a insegnare ai giovani che «il diverso non è per forza un nemico da temere, ma un alleato, un amico».
L’Osservatore Romano, 25-26 febbraio 2020