Per una mistica della fraternità attraverso la spiritualità 5° Incontro dei delegati nazionali per i rapporti con i musulmani in Europa

Scutari, Albania, 7-9 febbraio 2018

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In Albania, Paese che fino a trent’anni fa era dichiarato Stato ateo, le religioni oggi vivono un’esperienza di buona coesistenza che dà speranza al dialogo interreligioso. Giungendo a Scutari su invito dell’Arcivescovo locale, Mons. Angelo Massafra OFM, nel 25° anniversario della storica visita di San Giovanni Paolo II (aprile 1993), i delegati nazionali per i rapporti con i musulmani testimoniano l’interesse e il lavoro capillare della Chiesa Cattolica per il dialogo con i musulmani in Europa. Nella tre giorni di lavoro, i delegati delle conferenze episcopali si sono confrontati sulla figura del credente musulmano e  hanno discusso alcune questioni pastorali.

La Chiesa in Europa è impegnata nel dialogo con le diverse comunità musulmane a vari livelli (accademico, religioso e sociale, ma anche dogmatico, giuridico e spirituale). Il dialogo non è un’aspirazione, ma un’esperienza quotidiana con le sue gioie e le sue sfide. Dallo scambio di esperienze e dai dibattiti molto vivaci e partecipati, l’islam europeo si presenta al plurale: una moltitudine di comunità musulmane, la cui diversità costituisce altrettante sfide per i cristiani. Così il cammino finora realizzato, perché possa diventare efficace oggi, necessita che ci si ponga in ascolto anche delle reciproche esperienze religiose.

In Albania, i partecipanti hanno conosciuto una realtà che vive la presenza delle diverse comunità religiose in un’armonia costruttiva. La crudele e sofferta esperienza del regime totalitarista che ha imposto un ateismo di Stato ha portato all’avvicinamento di tutti i credenti, facendo maturare un grande senso di tolleranza e di rispetto tra i credenti delle diverse religioni. L’Albania è un Paese che vive la mistica dell’incontro. E’ questa peculiarità tutta albanese che ha spinto i delegati nazionali, giunti alla quinta edizione del loro incontro, a decidere di approfondire il tema dell’incontro nella mistica, promuovendo “il dialogo della spiritualità”. A Scutari, i partecipanti si sono proposti di rafforzare i contatti con le comunità musulmane anche a livello della spiritualità.

Parte dei lavori è stata dedicata a tracciare i profili fondamentali del credente musulmano e le modalità attraverso le quali vive la sua relazione con Dio. Il tema è stato approfondito con il contributo di due rappresentanti delle comunità musulmane presenti in Albania: un imam sunnita e il leader della comunità Bektashi del Paese. Gli interventi hanno sottolineato il ruolo della libertà, non solo a livello della scelta religiosa, ma anche a livello della modalità con cui il credente intende vivere la sua relazione con Dio all’interno della stessa famiglia religiosa: modalità tutte volte alla liberazione dell’io per giungere alla comunione con Dio. Nella tradizione sufi questo avviene attraverso l’accompagnamento di un maestro spirituale. Il fedele è inserito all’interno di un cammino comunitario e mai individualista. Questo cammino interiore, che giunge fino alle profondità del cuore umano, luogo intimo e singolare di dialogo con Dio, porta cristiani e musulmani a riconoscersi come appartenenti alla stessa umanità creata da Dio. E’ da lì che il dialogo, specialmente quello della vita e della spiritualità, può svilupparsi e fare crescere rapporti di vera amicizia e di vera fraternità.

Successivamente, i partecipanti hanno approfondito tre ambiti pastorali che interessano le relazioni con i musulmani: il primo giungendo dall’Austria ha visto la presentazione del percorso di catecumenato per accogliere persone che provengono da ambienti musulmani e che hanno chiesto il battesimo. Il secondo è stato un approfondimento dell’esperienza spirituale a partire da quanto ha vissuto Mons. Claude Rault, Vescovo emerito di Laghouat Ghardaïa, in Algeria. Mons. Rault è stato cofondatore con Padre Christian de Chergé (priore dei monaci trappisti di Tibhirine) dell’iniziativaRibat al Salam (Legame di pace) con cui un piccolo gruppo di cristiani ha sviluppato il dialogo della spiritualità con amici musulmani e la confraternita sufi di Medea. Infine è stata presentata l’esperienza francese di accompagnamento di coppie miste cristiano-musulmane che costituiscono in sé un luogo di dialogo interreligioso e che sono una sfida pastorale da seguire. Infatti, il bisogno di un accompagnamento personalizzato di queste famiglie – specie per quanto riguarda l’educazione religiosa dei figli – e di un’educazione all’amore responsabile di coppia, emergono come richiami urgenti. In questo compito, Chiesa e comunità musulmane sono chiamate a dialogare responsabilmente per il bene di queste famiglie.

Nel corso dell’incontro è stato dato lettura del messaggio che il cardinale Jean-Louis Tauran, Prefetto del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha inviato ai partecipanti e nel quale ha invitato “cristiani e musulmani a promuovere il rispetto reciproco, l’obiettività nel parlare e nello scrivere sull’altra religione, la benevolenza, la compassione e la misericordia“. Perché il dialogo possa proseguire in un clima pacifico e costruttivo “è necessario – ha scritto il cardinale – un nuovo sforzo da ambedue le parti per scongiurare il ‘discorso dell’odio’ che è all’origine di sospetti reciproci, discriminazioni, esclusione, marginalizzazione e risentimenti”.

A Scutari, i delegati nazionali hanno visitato la Grande Moschea della città, il convento delle Clarisse, un ex-convento francescano adibito a carcere per i prigionieri di Stato durante il regime totalitarista, e il museo diocesano contenente varie testimonianze dei 38 martiri albanesi.

I lavori si sono conclusi con una presentazione sullo statuto teologico dell’Islam nella riflessione cristiana contemporanea, tema che è stato consegnato dal Concilio Vaticano II e che apre prospettive per approfondire le esperienze di dialogo nate e vissute in tutta l’Europa. Nella giornata conclusiva, Mons. Brendan Leahy D.D., Vescovo di Limerick e responsabile della sezione Dialogo Interreligioso della Commissione Evangelizzazione e Cultura del CCEE, ha presieduta la Santa Messa nella Cattedrale di Scutari e ha presentato alcune riflessioni a chiusura dell’incontro.

L’incontro è stato chiuso con la visita al Santuario bektashi di Croia (Krujë), centro spirituale della medesima confraternita.

Il Nunzio Apostolico in Albania, l’Arcivescovo Charles John Brown, e il Vescovo di Tirana-Durazzo, Mons. George Frendo OP, Presidente della Conferenza Episcopale Albanese, hanno preso parte all’incontro.

ccee.eu

CINEMA Tertio Millennio Film Fest: Arnone (Rivista cinematografo), “ha messo in comunicazione mondi ‘distanti’ come quelli delle tre religioni abramitiche”

“Una proposta cinematografica capace di mettere in comunicazione mondi all’apparenza distanti come quelli rappresentati dalle tre religioni abramitiche”. Questo, secondo Gianluca Arnone (Rivista del cinematografo), è stato il XXI Tertio Millennio Film Fest (12- 16 dicembre) svoltosi a Roma, “lontano dai clamori”, in una piccola sala storica alle spalle della Fontana di Trevi. Stilando un bilancio della kermesse, fino a ieri l’unica manifestazione cinematografica italiana patrocinata dalla Santa Sede (Segreteria per la Comunicazione e Pontificio Consiglio della Cultura), “da tre anni il festival organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo si è dotato di un ‘board’ organizzativo interreligioso: cattolici e protestanti (attraverso FEdS, Signis e Interfilm) hanno lavorato insieme ad ebrei (del Centro Culturale Ebraico Il Pitigliani) e musulmani (del Coreis)”. Risultato: tre mondi all’apparenza distanti come quelli rappresentati dalle tre religioni abramitiche messi in comunicazione. “Sui temi della ricerca di Dio, della pace tra i popoli e della donna sono sfilati film provenienti da tutto il mondo, di autori affermati e di esordienti, dal taglio ora drammatico ora leggero, spesso accompagnati dai loro autori”, osserva Arnone.
Quest’anno “il festival ha fatto un ulteriore salto di qualità con l’introduzione di un concorso tra opere inedite in Italia e di una giuria interreligiosa” chiamata a scegliere “quella che meglio di ogni altra ha saputo incarnare i valori del festival, declinandone in una forma artistica alta il tema portante”, le migrazioni “in una rilettura più ampia del fenomeno, ispirata ma non costretta dalla cronaca di questi anni, secondo il presupposto ricordato a più riprese da mons. Davide Milani che ‘l’uomo nasce migrante, come insegna anche la Bibbia’”.
Vincitore l’indiano “Walking with the wind”, il percorso di crescita del bambino protagonista “impegnato nella ricerca di qualcuno che aggiusti la sedia rotta dell’amico, richiamo a quello spirito di solidarietà e al desiderio di riparazione di cui tutte le nostre comunità avvertono oggi il bisogno”, si legge nella motivazione. “È significativo – chiosa Arnone – che in un’epoca dominata dalle contrapposizioni e dai dogmi siano ancora una volta i bambini a prendere per mano gli adulti, a rischiarare l’orizzonte con l’innocenza del loro sguardo”.

sir

Pensieri dopo Dacca / Il senso delle religioni secondo il Vangelo,

Sarà che a Dacca, ancora una volta, purtroppo, la follia umana non smette di stupirci. Sarà che le reazioni di alcuni miei amici sono di nuovo improntate alla “guerra santa contro la guerra santa!”. Non lo so. So che prepotentemente questa mattina mi è tornato in mente un incontro a cui ho partecipato a fine maggio.

Nell’ambito della Wellness Week 2016 il nuovo museo interreligioso di Bertinoro (Fc), aveva offerto un incontro-confronto tra le tre religioni “di Abramo”, per provare a coniugare religione e wellness. Un accostamento insolito e strano, ma molto interessante e che la Bibbia stessa offre: “Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere” (Ger, 29,7).

E di fronte a questa frase la mia riflessione si mette in moto. Dio sa bene che gli ebrei deportati a Babilonia corrono il rischio di perdere la loro identità e di “annacquare” la propria fede dentro agli stili di vita dei conquistatori. Eppure chiede loro di cercare il benessere di quel paese. Di aiutare cioè quel paese, quella cultura, quegli stili di vita e quindi anche quella religione, a dare il meglio di sé. E allora mi chiedo: qual è il presupposto su cui questa frase sta in piedi, in termini di identità culturale e/o religiosa? Che idea di identità si intravvede dietro a questa frase?

Nelle azioni dell’Isis si intravvede, nemmeno troppo velatamente, una identità culturale e religiosa che si deve imporre a tutti. Che non sopporta la presenza davanti a sé del diverso, perché la sua semplice esistenza sta lì a dire quanto la furia del delirio di onnipotenza che li guida non sia ancora stata capace di realizzare quello che disperatamente vogliono. È evidente che non raggiungeranno mai il loro obiettivo. Ma nessuno sa quanto dolore e quanta morte ancora dovranno spandere perché quel loro “malessere” gli si ritorca contro.

La frase di Geremia lascia pensare, invece, un’identità che non si deve imporre. Nemmeno con la dolcezza e l’amore. Come se il problema fosse solo il modo con cui ci si impone e non il fatto stesso di volersi imporre. Spesso, anche qui nemmeno troppo velatamente, molte reazioni cattoliche di fronte a drammi deliranti come l’Isis lasciano intravedere una identità cattolica che comunque, pure questa, si deve imporre. Senza violenza certo, ma che mantiene comunque questo obiettivo nel proprio mirino. Geremia, invece, ipotizza una identità religiosa e culturale che per essere sé stessa è chiamata a spingere le altre identità ad essere sé stesse al massimo grado possibile.

E allora la successiva domanda sarebbe: per che cosa lavorano le religioni? Qual è il loro obiettivo? La loro ragione di vita? Imporsi sulle altre? O lavorare perché tutti possano incontrare Dio? La Shahada, cioè la testimonianza di fede che costituisce il primo dei cinque precetti islamici, è stata utilizzata a Dacca (e non è la prima volta) come discrimine tra vita e morte degli “infedeli”: chi la recitava veniva salvato. “Testimonio che non c’è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero”. Già nell’incontro di Bertinoro, l’imam Abd al-Ghafur Masotti, in rappresentanza dell’Islam, aveva potentemente criticato un atteggiamento verso la Shahada in cui ad Allāh si tende a sostituisce l’Islam stesso, creando una palese infedeltà al Corano: “Testimonio che non c’è divinità se non nell’Islam e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero”. Non che qualcuno la reciti davvero così, ma l’atteggiamento di fondo in alcuni ambiti islamici mira a questo, pur senza averne sempre consapevolezza. Questa è una forma religiosa che vuole imporsi alle altre religioni e non lavora perché tutti possano incontrare Dio.

Allora però mi sono chiesto: noi cattolici lavoriamo per cosa? Non sono certo che la risposta sia semplice. Ad esempio. Credo che molti cattolici sottoscriverebbero questa frase: “Testimonio che non c’è divinità se non nella Chiesa e testimonio che Gesù è il Suo (della divinità) messaggero”. Che evidenzia fin troppo bene come l’identità religiosa dell’islam integralista e di un certo cattolicesimo, siano costruite sulla medesima base formale e l’unica differenza siano i contenuti di tale identità.

Il vangelo invece richiede una base formale radicalmente diversa. In cui le forme religiose hanno un senso non perché esse stesse siano l’obiettivo a cui tutti debbano arrivare, ma perché attraverso di esse, ognuno possa incontrare Dio sempre meglio.

Il senso delle religioni, allora, secondo il vangelo, non è quello di dimostrare chi vincerà nella gara della ricerca della verità del senso ultimo della vita. Ma è quello di lavorare per scomparire. Cioè perché non ci sia più bisogno di loro, perché tutti gli uomini avranno conosciuto Dio. Lavorare, cioè, così bene da offrire a tutti la possibilità di incontrare Dio e così aver esaurito il proprio compito. E questo richiede un’identità che non è da “conservare”, come “tesoro geloso” (Fil 2, 6-8), ma da spendere e offrire affinché l’altro sia sé stesso al massimo possibile.

vinonuovo.it

La visita a Lesbo. La preghiera: liberaci dall’indifferenza

Dio di misericordia,
Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto.
Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza.
Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlieattraverso la nostra tenerezza e protezione.
Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace.
Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza,apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana,siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.

da Avvenire

Pace / Assisi: a settembre nuovo incontro tra i leader mondiali delle religioni

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“A ciò che sta accadendo non possiamo rispondere con il silenzio. È in atto la ‘terza guerra mondiale’ e l’Europa, colpita al cuore e sfidata ripetutamente, non può più rimanere alla finestra a guardare quello che accade nell’Asia medio orientale, in Africa o in altri Paesi apparentemente lontani. Non può nemmeno limitarsi ad aggiornare programmi e convenzioni per l’accoglienza dei profughi”. Lo afferma padre Mauro Gambetti, custode Sacro Convento di Assisi. In una nota diffusa ieri, ripresa dall’agenzia Sir, Gambetti spiega: “Il terrorismo trasversale, infuocato dai proclami di una ‘guerra santa’, costringe i governi e i cittadini a prendere posizione: nascondersi come topi o uscire allo scoperto. Guerra santa? Misericordia”.

Da Assisi una preghiera corale e una parola unanime
Padre Gambetti cita Giovanni Paolo II che nel 1986, in piena guerra fredda, convocò ad Assisi i leader mondiali delle religioni per invocare la pace nel mondo. “Quest’anno – aggiunge – corre il trentennale di quel primo incontro e i frati francescani di Assisi, insieme alla Comunità di Sant’Egidio e alla diocesi, escono allo scoperto e spalancano le porte per un nuovo incontro tra i leader mondiali delle religioni. Una preghiera corale e una parola unanime, frutto di una riflessione condivisa, questa la risposta che vorremmo suscitare”. L’appuntamento è dal 18 al 20 settembre: “Due giorni di tavole rotonde e una giornata di preghiera. Con i leader religiosi sono invitati uomini politici, esponenti del mondo scientifico e della cultura, operatori di pace e tutti gli uomini di buona volontà”.

Contro la violenza  le religioni devono donare al mondo un messaggio convergente
“Insieme ci domanderemo: quali sono i principi riconosciuti da tutte le religioni per una coesistenza pacifica? Quale contributo la politica, la scienza, le culture in genere possono proporre per la definizione di un decalogo dell’umana convivenza? Davanti all’insensata violenza che imperversa, le religioni devono donare al mondo un messaggio convergente. La politica deve compiere lo sforzo di tracciare un percorso verso l’obiettivo della giustizia e della pace tra i popoli, coniugando ogni progetto con la sostenibilità ambientale”.

La risposta da dare è la fraternità umile tracciata da san Francesco
​“Nelle principali piazze del mondo, da Oriente a Occidente – si legge nel testo del custode del Sacro Convento di Assisi – faremo conoscere il pensiero che scaturirà dagli incontri e dai dialoghi di Assisi. E coltiviamo un sogno: che l’Italia assurga ad esempio di integrazione delle culture, assumendo il decalogo che verrà scritto in Assisi nell’ordinamento legislativo e nei decreti attuativi. Forse, si potrà estendere tale modello agli Stati europei e poi a tutti gli Stati membri dell’Onu”. “Crediamo che la strada di Assisi, quella della fraternità umile tracciata da Francesco, vissuta sulla strada prima ancora che nei conventi, caratterizzata dalla ‘reciproca sottomissione’, sia la risposta da dare”. (R.P.)

La fede, i martiri e la fine del regime in Albania

La visita che papa Francesco ha compiuto a Tirana il 21 settembre 2014 continua a produrre i suoi benefici effetti anche a distanza di tempo. Quel giorno Mimmo Muolo era a Tirana, inviato da Avvenire a seguire il Papa, e ha visto di persona l’abbraccio tra il Pontefice e l’anziano sacerdote don Ernest Simoni ( Troshani), che insieme con la religiosa stimmatina suor Marije Kaleta, avevamo scelto come testimoni della fede per raccontare il terribile martirio della nostra Chiesa sotto la dittatura comunista. Don Ernest Simoni è una figura unica, una ricchezza immensa per la Chiesa di Albania, in particolare per la diocesi di Scutari-Pult: l’unico sacerdote testimone e vittima della persecuzione comunista ancora vivente. Alla sua persona sono legato anche da motivi personali.

È nato a Troshan (Lezhë) dove io sono stato parroco, quando venni mandato come missionario in Albania. In un certo senso, anche se l’epoca e il contesto erano diversi, ho ripercorso le sue orme, ho respirato il clima della sua primissima formazione umana e familiare, sono entrato nei luoghi e negli ambienti a lui più cari. Questo fatto lo avvicina ancor di più al mio cuore di vescovo e di pastore. In quel periodo ho avuto modo di conoscere e condividere la fraternità con altri due religiosi francescani, padre Leon Kabashi e padre Konrad Gjolaj (l’uno è stato in carcere, l’altro ai lavori forzati) e ho vissuto con loro quattro anni. Anche mettersi a servizio di questi fratelli, curarli e aiutarli è stata un’esperienza di grande intensità spirituale e umana. Posso dire, perciò, di aver vissuto, in un certo senso, con i martiri e questo per me è un dono di inestimabile valore di cui rendo grazie ogni giorno a Dio.

Oggi la situazione in Albania è profondamente cambiata. In occasione della visita del Papa c’è stata una grande collaborazione, anche a livello economico, con gli organi dello Stato, col sindaco di Tirana e la municipalità. Molti imprenditori e tanti semplici fedeli hanno offerto il proprio contributo. Ma don Ernesto ci aiuta a non dimenticare una pagina che, sebbene risalga a pochi decenni fa, rischia di cadere nell’oblio, so- prattutto sotto l’incalzare di un certo secolarismo che, viaggiando insieme allo sviluppo economico, comincia ad affacciarsi anche nella società albanese.

La memoria dei martiri, invece, è e deve restare la nostra vita, la linfa vivificante del corpo ecclesiale. Il sangue da essi versato è alimento per lo sviluppo della fede e della comunità. Per questo abbiamo accelerato i tempi di lavoro (per quanto dipende da noi) dell’iter del processo di beatificazione e canonizzazione di 38 martiri del periodo comunista. Nell’attesa di poterli iscrivere anche ufficialmente nel glorioso libro dei Santi e dei Beati abbiamo celebrato nel novembre del 2015 il 25° anniversario della prima Messa, che sancì, potremmo dire, l’inizio della fine del regime comunista.

Fu quello un momento speciale per la nostra Chiesa e per il popolo albanese: quel 4 novembre 1990, infatti, nel Cimitero cattolico di Scutari, don Simon Jubani con altri organizzatori, sacerdoti e laici, celebrò la santa Messa: c’erano solo poche centinaia di fedeli, perché molti ebbero paura di rappresaglie. Ma, visto che ne erano usciti indenni da quell’eroico gesto in quel giorno storico (in quanto dal 1967 non si celebrava in pubblico, perché vietato dal regime), la domenica successiva, l’11 novembre accorsero in 50 mila per partecipare all’Eucaristia. Su quell’esempio, il 16 novembre 1990 anche i musulmani si ripresero la Moschea cosiddetta “di Piombo”. La storia narrata in questo libro (la prigionia, i lavori forzati e quanto don Ernest ha fatto dopo la caduta del regime) ci aiuta a ricostruire tutto questo: il clima di quegli anni bui e la rinascita. Don Ernest, esemplare nella sua sofferente fedeltà a Gesù, è una guida sicura per capire ciò che è veramente accaduto.

Una testimonianza che, nell’Anno Santo della Misericordia, acquista un ulteriore profilo di attualità e importanza. Don Ernest ha perdonato i suoi aguzzini. Non conserva rancore. Prega per loro e dice che la misericordia del Padre celeste è così grande che spera possa comprendere anche chi, magari nel segreto della sua coscienza, si è pentito della violenza e dei soprusi compiuti in quegli anni. Questo, tra l’altro, è un atteggiamento che non ha avuto solo il protagonista di questo volume. Da nessuno dei sopravvissuti con i quali ho avuto la fortuna di vivere ho mai sentito una parola di odio contro i persecutori; mai hanno cercato la vendetta.

E anche noi, Conferenza episcopale albanese, quando abbiamo chiesto alle autorità statali l’accesso ai documenti segreti, abbiamo precisato che non eravamo alla ricerca dei nomi dei colpevoli, ma delle circostanze in cui il martirio era maturato; per cui quei nomi avrebbero potuto anche essere sostituti da degli omissis. Un giorno, mentre eravamo a tavola, a un frate che era stato in carcere, qualcuno un po’ provocatoriamente chiese: «Ma se quando andrai in paradiso, vi dovessi trovare Henver Hoxha, (il dittatore albanese), che faresti?». Lui, senza scomporsi, rispose: «Il paradiso è abbastanza grande per tutti: io a un angolo e lui all’altro!».

Avvenire