Religioni San Giorgio, il ponte (spezzato) tra croce e mezzaluna

Le Crociate ebbero in san Giorgio, il santo cavaliere, un protettore riconosciuto sia dagli eserciti cristiani che dai loro avversari islamici. E in Oriente questo martire del IV secolo ha lasciato segni profondi, contro i quali di recente si è accanito lo Stato islamico (Is): solo alcuni giorni fa, infatti, hanno fatto il giro del mondo le immagini della distruzione delle croci dell’antico monastero di San Giorgio a Mosul. Ma in realtà san Giorgio con la sua spada, più che dividere, ha gettato un ponte tra mondo musulmano e fede cristiana: il suo messaggio spirituale, infatti, lo rende affine alla visione mistica islamica, che vede nel combattimento con il drago quasi il paradigma della jihad.

La provocazione nasce dalla ricerca sull’identità del santo cavaliere raccolta nel saggio San Giorgio e la rosa di Cristiano Antonelli (Thyrus, pagine 256, euro 20,00). A caccia del volto autentico di san Giorgio, la cui devozione arriva fin nei borghi più sperduti d’Europa, l’autore offre un percorso che travalica confini geografici, storici e culturali e alla fine restituisce un risultato inaspettato.

Quello che all’inizio sembra, infatti, una ricerca sulle tracce dell’autentica biografia di questo testimone della fede finalmente liberato da miti e leggende, si trasforma in qualcosa di ben più complesso, giungendo alla conclusione che la vera identità di san Giorgio non va distillata dal narrato mitico e dalla devozione popolare, ma costruita proprio a partire da queste dimensioni. Questo tipo di lavoro costituisce un prezioso contributo non solo alla riscoperta del valore storico e spirituale della figura di san Giorgio, ma offre pure un ottimo spunto per meditare sul significato della ricerca agiografica e del suo rapporto con la devozione popolare.

Punto focale della ricerca è una data: il 23 aprile 303, giorno in cui Giorgio, militare di alto rango poco più che ventenne, vicinissimo all’imperatore Diocleziano, venne decapitato per essersi rifiutato di rinnegare la propria fede cristiana e, soprattutto, per essersi opposto all’editto che avrebbe ordinato una sanguinaria persecuzione contro i seguaci di Cristo. Questo è il punto di partenza della storia del militare cappadoce e della diffusione capillare del suo culto, prima in Oriente e poi in Occidente, anche grazie alle diverse Passiones che ne raccontano il martirio. Da queste prime indagini è possibile individuare un nucleo fondante dell’identità di Giorgio di Lydda, la cui venerazione, fin dai primi secoli, è stata sempre «legata al suo essere icona di rigenerazione, ragione per cui – spiega Antonelli – spesso il culto si troverà associato all’acqua, simbolo per eccellenza di purificazione e rinascita alla vita nello spirito».

E proprio questa dimensione spirituale, immagine di continua rinascita, di opposizione al male in nome della verità, che ha trovato fortuna anche nell’islam. A fare da ponte tra devozione cristiana e musulmana è il concetto di rigenerazione, di capacità di ridare la vita, ma non solo. Anche nell’immaginario islamico, infatti, Giorgio è il vincitore del drago, un «eroe che lotta contro il mostro», simbolo di quella «lotta interiore dell’uomo tesa a dominare e vincere le proprie debolezze e, superando i propri limiti, elevarsi verso Dio».

Il racconto del combattimento con il drago gioca, quindi, un ruolo determinante nella diffusione del culto di questo santo. Ma di questo particolare leggendario della vita di san Giorgio non c’è traccia nelle fonti più antiche: esso nasce diversi secoli dopo il martirio sempre in Oriente, diffondendosi in seguito, soprattutto grazie alle Crociate, in ogni luogo. La leggenda del santo cavaliere, protettore dei soldati cristiani, apparve sul finire del primo millennio e si rafforzò proprio con le Crociate: il 15 luglio 1099, quando il santo apparve agli eserciti impegnati nella prima Crociata, egli divenne definitivamente il patrono di quelle “guerre sante”.

Proprio in questo periodo si diffuse la leggenda della lotta contro il drago, che terrorizzava una città pagana: la vittoria di san Giorgio contro il mostro portò al battesimo il re e tutti gli abitanti. E qui s’inserisce l’immagine della rosa: secondo una versione catalana della leggenda, là dove venne versato il sangue del drago nacque un roseto e il santo ne colse una regalandola alla figlia del re che aveva salvato. Un racconto che ha un messaggio spirituale dalla portata universale: la vittoria contro il male genera nuova vita.

«La lotta del santo con il drago – scrive Antonelli –, leggenda di un linguaggio epico tipico dell’epoca medievale, è dunque un’espressione figurata sia della lotta macrocosmica, la lotta esteriore, che della lotta microcosmica, la lotta interiore, e la vittoria è riferita all’una e all’altra. Nella lotta interiore risiede il carattere simbolico di un’azione spirituale, quella jihad akbar cui si riferiscono i mistici islamici, la grande guerra, la guerra suprema, quella contro se stessi e i propri limiti. La lotta è perciò intesa come sforzo, sforzo su se stessi, jihad ala nafs». Così, quindi, la guerra di san Giorgio diventa la “guerra santa” che ogni credente, di qualsivoglia fede, deve affrontare per incontrare Dio.

avvenire.it

Nessuna violenza in nome della religione

Di fronte a sfide senza precedenti le Chiese le organizzazioni religiose ecumeniche “devono proseguire il loro impegno nella costruzione di società democratiche, sulla base del principio di legalità, della giustizia sociale e del rispetto dei diritti umani, inclusa la libertà religiosa”. L’indicazione è contenuta nel documento pubblicato a termine del convegno internazionale sulla situazione dei cristiani nel Medio Oriente, che si è svolto dal 21 al 25 maggio a Beirut, promosso dal World Council of Churches e dal Middle East Council of Churches. Oltre un centinaio di delegati provenienti dalla regione e da altri Paesi, in rappresentanza di varie comunità cristiane, si sono riuniti presso il monastero di Notre-Dame du Mont per dare testimonianza, attraverso la preghiera e l’azione, in favore del sostegno ai cristiani in quei Paesi dove si concentrano conflitti e discriminazioni. In occasione del convegno è stato anche lanciato un appello nel quale si esprime preoccupazione per i due vescovi ortodossi rapiti in Siria nel mese di aprile.

(©L’Osservatore Romano 31 maggio – 1° giugno 2013)

Il teologo sale sul disco volante. Un saggio analizza l’interesse del pensiero religioso per la vita extraterrestre

Kreiner Armin – Gesù, gli ufo e gli alieni. L’intelligenza extraterrestre…

Gesù, gli ufo e gli alieni. L'intelligenza extraterrestre come sfida alla fede cristiana Titolo Gesù, gli ufo e gli alieni. L’intelligenza extraterrestre come sfida alla fede cristiana
Autore Kreiner Armin
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(Prezzo di copertina € 22,50 Risparmio € 3,38)
Andrea Aguti
L’interrogativo se l’umanità sia o meno l’unica forma di vita intelligente nell’universo rappresenta una costante del pensiero umano. Nell’antichità la tesi di una pluralità di mondi è stata sostenuta da Epicuro e recisamente negata da Aristotele. In epoca moderna essa è stata affermata tanto da pensatori cristiani (Cusano) quanto da critici del cristianesimo (Bruno) in base ad argomenti non troppo dissimili, ma anche negata da molti altri. Dalla fine del XVIII secolo in poi hanno fatto la loro comparsa autori che riferiscono di incontri con forme di vita aliena intelligente, talora assimilate a esistenze angeliche o demoniche, mentre a partire dalla seconda metà del Novecento, con l’avvio dell’era dell’astronautica, si sono moltiplicate le testimonianze di avvistamenti di Ufo e i racconti, conditi con dettagli più o meno fantasiosi, di contatti con Et.La presa di possesso da parte della fiction cinematografica di questo tema nell’ultimo cinquantennio ha contribuito moltissimo a renderlo di dominio comune, ma nella maggior parte dei casi ha finito per dare di esso un’immagine caricaturale e quindi per privarlo di una serietà scientifica, eppure non sono pochi gli scienziati che continuano a interrogarsi su questa ipotesi. È il caso del fisico matematico Paul Davies che negli anni Novanta, in un noto libro intitolato <+corsivo>Siamo soli?<+tondo>, rifletteva sulle probabilità dell’esistenza di intelligenza extraterrestri prevalentemente a partire dai dati della esobiologia (cioè della scienza che valuta la possibilità di formazione della vita in pianeti diversi dalla Terra) e sulla base di essi legittimava la continuazione del progetto Seti, ovvero del sistema di ricezione di eventuali messaggi radio provenienti dall’universo avviatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta.Il tema è stato preso in considerazione ripetutamente anche da parte della teologia cristiana, sebbene, fino ad oggi, in modo piuttosto occasionale. Alcuni teologi del Novecento (fra loro Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Karl Rahner) ne hanno avvertito la portata, ma l’atteggiamento teologico prevalente, a parte alcune eccezioni, continua ad oscillare fra un malcelato scetticismo, non scevro da un certo sarcasmo, e una tattica attendista che aspetta effettive evidenze dell’esistenza di intelligenze extraterrestri per dare una risposta plausibile ai problemi che esso porrebbe. Fra questi il più scottante è quello che riguarda il significato dell’incarnazione di Gesù Cristo per eventuali specie viventi non umane e quello della sua singolarità o meno.

<+cap3>I<+tondo>l recente libro di Armin Kreiner Gesù, gli Ufo e gli alieni. L’intelligenza extraterrestre come sfida alla teologia cristiana (scheda online su ibs>>>) (Queriniana, pagine 280, euro 22,50) rappresenta una prima elaborazione sistematica di questo tema dal punto di vista della teologia fondamentale. L’autore, docente nella Facoltà di teologia cattolica di Monaco di Baviera, affronta con chiarezza e rigore il problema della compatibilità o meno della teologia cristiana con l’esistenza di esseri intelligenti non umani e probabilmente dotati di una loro religiosità. Il merito del testo, nella sua prima parte, è di ricostruire i diversi livelli dell’interrogazione umana circa l’esistenza di intelligenze extraterrestri, un’interrogazione intellettualmente affascinante e teoreticamente consistente a prescindere dalla problematicità delle testimonianze che concernono presunti contatti con alieni. Anche Kreiner, come gli altri autori sopra menzionati, ritiene che esista una buona probabilità dell’esistenza di intelligenze extraterrestri e di conseguenza sia legittimo da parte della teologia cristiana interrogarsi sul problema che tale esistenza pone, sebbene quest’ultima sia ritenuta meramente possibile.Nella seconda parte del testo Kreiner prende in considerazione la principale obiezione che l’esistenza di esseri intelligenti verrebbe a porre alla teologia cristiana, quella circa la singolarità dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. L’opera di Thomas Paine <+corsivo>L’età della ragione <+tondo>(1776) è l’antesignana di questa tendenza che vede un’incompatibilità dell’esistenza degli extraterrestri non con il teismo in generale, cioè con la rappresentazione di un Dio personale e creatore dell’universo, ma appunto con la comprensione cristiana di Dio, cioè con quella comprensione di Dio che lo vede incarnarsi, una volta per tutte, nella figura storica di Gesù di Nazaret per redimere non soltanto l’umanità, ma il cosmo intero riconciliandolo con se stesso.
Al fondo di questo problema sta la formulazione di un’alternativa: o si ammette l’esistenza di intelligenze extraterrestri, e allora sembra perdersi il significato cosmico dell’evento singolare di Cristo, oppure non la si ammette, e allora quest’ultimo può essere mantenuto. Kreiner tenta di superare questa rigida alternativa concependo il problema posto dall’esistenza di extraterrestri intelligenti e della loro probabile religione alla stregua di quello che impegna la teologia cristiana con le religioni non cristiane. In particolare, la proposta di Kreiner passa per un ripensamento del concetto teologico di “incarnazione” e in particolare della tesi anselmiana della necessità dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo a motivo del peccato umano.
Seguendo l’indirizzo di altri teologi medievali come san Bonaventura e Duns Scoto, egli propone di concepire l’incarnazione come il compimento del rapporto tra Dio e il mondo, dunque come un evento non collegato alla contingenza del peccato umano, ma al disegno complessivo di Dio sulla sua creazione. Ammesso questo, diviene plausibile pensare che un’incarnazione, ovvero una manifestazione di sé, come quella avvenuta in Gesù Cristo, sia realizzata da Dio anche in altri luoghi rispetto alla Terra, soltanto in forme diverse. In modo simile a quanto sostenuto dalla posizione pluralistica all’interno dell’attuale teologia della religioni, la singolarità dell’evento di Cristo non entrerebbe in contrasto, così, con la manifestazione di Dio in altre religioni, ma rappresenterebbe una delle forme di tale manifestazione cosmica di Dio.
Si tratta di una tesi che naturalmente è discutibile sotto diversi profili, ma che rappresenta un risposta non banale o elusiva ad un problema tanto affascinante intellettualmente quanto potenzialmente dirompente per la teologia cristiana.
Andrea Aguti – avvenire.it

Roma: all’Ups “Cinema e religioni”

“Avviare una riflessione profonda sulle vie praticabili per costruire il presente e il futuro delle nostre società”. È questo l’obiettivo del seminario internazionale su “Conflitti. Religioni e (non)violenza” che si svolgerà a Roma il 22 ottobre alla Facoltà di scienze della comunicazione sociale dell’Università pontificia salesiana (Ups), sul rapporto tra cinema e religioni. “La nostra facoltà – spiegano i promotori – partecipa da quattro anni al Religion Today Film Festival, il festival itinerante del cinema delle religioni. Scopo dell’iniziativa, fin dalla sua nascita nel 1997, è la promozione di una cultura del dialogo e della pace”. Ad aprire i lavori saranno il rettore don Carlo Nanni e Katia Malatesta, direttrice del Festival. Sulla relazione tra cinema e religione dopo la Seconda guerra mondiale parlerà lo scrittore e sceneggiatore iranaiano Farzam Amin Salehi; sul dialogo interreligioso interverrà Kjartan Leer Salvesen del Volda University College. Gilli Mende, direttrice del dipartimento sull’educazione nei media del Jerusalem Film Center, interverrà sul cinema israeliano, mentre del cinema contemporaneo parlerà il regista Carlo Tagliabue. Tra gli altri interventi: Augustine Loorthusamy, presidente dell’associazione cattolica per la comunicazione Signis, e Norman Pena, sulla tragedia dell’11 settembre.

chiesacattolica.it

Info: http://fsc.unisal.it/

Le montagne sono fatte per unire i popoli

ALPINISMO

Erri De Luca – avvenire.it
Frequento le Dolomiti da bipede e da quadrupede. Da bipede passeggio, da quadrupede scalo, aggiungendo le mani all’andatura. Ho messo le mie falangi su molti fianchi di quel calcare pallido alla luna, ruggine al tramonto. Poco meno di un secolo fa si è svolta lassù la più assurda guerra per il possesso di cime. Fu assurda e inutile: tutte le sorti si decidevano comunque in pianura. La disfatta di Caporetto travolse tutte le stentatissime conquiste di montagne. D’estate salgo al monte Lagazuoi e al dirimpettaio Sass di Stria, che sormontano i passi Falzarego e Valparola. La cima del Lagazuoi era tenuta dagli Austriaci, ma a metà parete passa una cengia, uno stretto sentiero orizzontale che l’esercito italiano occupò e tenne. Le cenge sono tipiche delle rocce sedimentarie lavorate dal mare. Si svolse così una guerra tra due piani dello stesso condominio montagna. Gli Italiani cercarono di sloggiare gli inquilini di sopra, trivellando dal basso un lungo cunicolo in salita. Non per sbucare di soppiatto in cima, invece per imbottirlo di esplosivo e far saltare in aria il presidio austriaco. Dall’alto si difesero per tempo scavando una contromina in corrispondenza di quella italiana. Questo accorgimento rendeva molto meno efficace l’esplosione. Ci fu lo stesso, ma gli Austriaci rimasero indisturbati in alto, mentre la montagna scaricava enormi blocchi di roccia a valle. Grandiosa e superflua fu quella mina insieme agli sforzi compiuti lassù dalle due parti nemiche. Oggi la lunga camera di scoppio trivellata in verticale è trasformata in un sentiero attrezzato. Un cavo di ferro corre lungo il cunicolo di roccia che sale per centinaia di metri nel buio. Ogni tanto una finestrella utile alla camera di scoppio rischiara il pozzo e offre vista sul vuoto. Si sale nella galleria a lume di lampada frontale. A me piace andare senza, procedere nel perfetto buio con il fiato che rimbomba nel cunicolo. La galleria finisce con un tratto a spirale. Si esce all’aperto tra vecchie trincee austriache, ben custodite. Era impossibile vincere o anche perdere una guerra là sopra.

Le montagne restano inespugnabili ancora oggi malgrado i maledetti progressi compiuti dall’aviazione militare. La guerra talibana sui monti dell’Afganistan  ha scacciato i Russi e sta rispedendo a casa anche la coalizione della Nato. La camera di scoppio del Lagazuoi è oggi destinata a un altro sforzo inutile, quello dell’alpinista. Ma stavolta l’aggettivo «inutile» ha un valore. L’alpinismo è il bel rischio festivo, affrancato in partenza dalla partita doppia dare/avere. La sua scalata alla bellezza è gratuita. Un navigatore arrivava per primo su un’isola, ci piantava la sua bandiera e l’annetteva al suo Paese. L’alpinista che arriva per primo su una cima vergine, non esercita alcun possesso e la bandiera che lascia tiene compagnia al vento. Angelo Di Bona, leggendaria guida alpina di Cortina del primo 1900, viene convocato dal comando italiano che ha appena occupato la città. Gli viene chiesto di scalare la Tofana di Rozes per scacciare dalla cima il reparto austriaco. Di Bona si rifiuta, lassù ci sono i suoi amici. Viene perciò arrestato.

Lassù ci sono i suoi amici: la guerra che infila casacche diverse alle varie gioventù può governare il fondovalle, non le cime. Lassù non ci sono nemici. I cartografi possono ben tracciare confini lungo le dorsali montuose, stabilire che un versante appartiene a una nazione e un versante a un’altra. L’alpinista che la scala dai due lati dimostra che una montagna unisce e non separa i popoli. Sulla cima calpesta la presuntuosa linea di demarcazione. Sia la guerra che l’alpinismo sono applicazioni opposte dell’ingegnosa mente umana. La fanteria alpina, oggi in gran parte smantellata, contiene la contraddizione tra la fraternità montanara e l’obbedienza alla regola di guerra. È stata per questo un corpo a parte dove i gradi della gerarchia erano meno separati dalla truppa, condividendo le medesime asprezze. Mio padre, napoletano arruolato nella seconda guerra mondiale col grado di sottufficiale degli Alpini, raggiunse la destinazione in montagna. Appena arrivato, gli fu assegnato dal tenente uno strano incarico: vegliare quella notte la mula che stava per partorire. Si sa che Alpini e muli hanno vissuto in simbiosi. Mio padre arrossisce, dice «Signorsì», poi aggiunge: «La ringrazio dell’onore di farmi assistere al miracolo». Il tenente sorride e gli dà il benvenuto. I muli sono incroci sterili. Di tutto quel tempo maledetto della sua gioventù, mio padre ha salvato una sua gratitudine per le montagne. Me l’ha trasmessa in eredità. Lassù i nostri sforzi rimangono felicemente inutili.

“Con le nuove intese più libertà religiosa”

Il senatore e costituzionalista spiega a Vatican Insider cosa cambia con i nuovi accordi tra Stato italiano, ortodossi, mormoni e apostolici
GIACOMO GALEAZZI – vaticaninsider
CITTÀ DEL VATICANO

«È un grande passo avanti per la libertà religiosa in Italia». Il senatore del Pd Stefano Ceccanti, costituzionalista ed ex presidente della Fuci, spiega a «Vatican Insider» cosa cambia con le nuove tre intese tra lo Stato italiano e gli ortodossi, mormoni e apostolici.

Senatore Ceccanti, il 7 agosto sulla Gazzetta Ufficiale sono state pubblicate 3 leggi che si riferiscono alle Intese con tre Confessioni religiose, ovvero ortodossi, apostolici e mormoni. Quale significato hanno queste nuove intese sotto il profilo della libertà religiosa?

«C’è un doppio salto di qualità. Anzitutto sul piano numerico perché quintuplica il numero di persone a cui si applica l’Intesa, ricomprendendo ora tra un milione e mezzo e due milioni. Poi sul piano della composizione perché sin qui si trattava di minoranze presenti da lungo tempo e composte quasi solo da cittadini italiani, mentre stavolta si va oltre, soprattutto coinvolgendo molti comunitari e neo-comunitari provenienti dalle nuove democrazie dell’Est europeo.E’ vero che il patriarcato di Costantinopoli non rappresenta tutti gli ortodossi ma comunque è l’unica realtà che per ora ha chiesto è stipulato l’intesa ».

Finora le confessioni diverse dalla cattolica coperte da un’intesa (indicate nella dichiarazione dei redditi) erano solo sei: valdesi, assemblee di Dio, avventisti, ebrei, battisti e luterani. I mormoni non hanno richiesto di entrare nell’otto per mille. Per il resto in cosa cambiano i contenuti di queste nuove intese?

«In realtà i contenuti sono molto simili a quelli delle Intese sin qui stipulate, dalle prerogative dei ministri di culto agli effetti civili dei matrimoni religiosi, all’assistenza in case di cura, ospedali, carceri, strutture militari, riconoscimento delle festività religiose, valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, ecc. Al momento in cui entra in vigore l’Intesa non si applica più alla confessione religiosa l’arcaica legge del 1929 sui culti ammessi, peraltro amputata delle parti eliminate nel frattempo dalla Corte costituzionale. Non cambia quindi il contenuto, ma cambia l’estensione delle nuove norme, corrispondenti alla sensibilità non confessionalista della Costituzione del 1948 e simultaneamente si riduce l’estensione delle vecchie norme del 1929 che rispondevano più ad una logica di limitata tolleranza religiosa più che di una piena libertà religiosa. E’ cambiato poi qualcosa nel metodo perché in questa legislatura per le nuove Intese abbiamo osato approvarle direttamente in Commissione, dove i parlamentari conoscono bene i problemi, anziché affidarsi ai tempi lunghi dell’Aula».

L’Italia è ormai un paese multiculturale e il diritto si adegua?

«Direi che il diritto risponde meglio alle istanze di libertà affermate nella Costituzione, che sono una risorsa nella nuova realtà multiculturale, fa più spazio alle differenze e con ciò spinge anche le differenze a riconoscersi meglio nella fedeltà comune alla Costituzione. Non ci arrendiamo alle forme estreme di multiculturalismo che negano l’unità ma neanche entriamo nella logica troppo livellatrice della laicità alla francese che nega le differenze nello spazio pubblico».

A causa dell’immigrazione gli ortodossi sono ormai più degli islamici e superano il milione di presenze. Ci sono stati emendamenti ostruzionistici della Lega. E’ il segno che la pluralità religiosa spaventa?

«La Lega affronta il tema del pluralismo religioso a partire dalla polemica anti-immigrati con effetti paradossali, almeno in questo caso. Aveva infatti impugnato la bandiera delle radici cristiane al tempo del Trattato costituzionale europeo e ha rallentato queste Intese che riguardano Chiese cristiane. Fra l’altro gli emendamenti, tranne che sulla parte delle copertura finanziaria, sono inammissibili perché la legge ha un fondamento pattizio, traduce l’Intesa stipulata dal Governo. Il Parlamento può approvare o bocciare, ma non emendare. L’evoluzione dell’applicazione dell’articolo 8 per volontà dei Governi è andata in questa direzione, di fatto allineando il metodo a quello previsto per il Concordato con la Chiesa cattolica dall’articolo 7. L’articolo 8 parla di leggi approvate “sulla base di Intese” ma fin dagli anni ’80 si è preferito stipulare Intese molto dettagliate di cui la legge è poi in sostanza una fotocopia, valorizzando così il ruolo delle rappresentanze delle confessioni. Oltre che con la presentazione degli emendamenti la Lega aveva svolto prima un ruolo di rallentatore spingendo il Governo Berlusconi a non presentare in Parlamento le Intese pur solennemente sottoscritte. A quel punto io ed il collega Malan del Pdl abbiamo giocato di anticipo presentandole noi per primi e il Governo a quel punto si è sentito in dovere di presentarle a sua volta».

Quando si arriverà ad un’intesa analoga con l’Islam?

«Sull’Islam resta soprattutto da sciogliere il nodo di chi sia titolato ad esprimere la rappresentanza della confessione. Non è di per sè un nodo insolubile. In Spagna è stato risolto da vari anni stipulando un’Intesa positiva. In realtà dal punto di vista qualitativo al rientro potremmo già fare un ulteriore salto di qualità oltre l’ambito giudaico-cristiano approvando in Commissione Affari Costituzionali le Intese giacenti con buddisti e induisti, quantitativamente meno rilevanti ma segno comunque di un’apertura ulteriore. Così il bilancio di questa legislatura potrebbe dirsi davvero enormemente positivo. Resta rinviato alla prossima il nodo obiettivamente più complesso di una legge generale sulla libertà religiosa che consenta di superare la normativa del 1929 anche per le confessioni senza Intesa, a completamento del quadro».