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La famiglia nello spirito del Natale

Intervista esclusiva con monsignor Vincenzo Paglia

Di Luca Marcolivio

ROMA, 22 Dicembre 2012 (Zenit.org) – Dopo essere stato per molti anni guida spirituale della Comunità di Sant’Egidio, poi, per dodici anni (2000-2012) vescovo di Terni-Narni-Amelia, lo scorso giugno, monsignor Vincenzo Paglia è tornato a Roma, a seguito della nomina a presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

L’ufficio del dicastero vaticano, in cui monsignor Paglia ci riceve per l’intervista, è significativamente a due passi dalla basilica di Santa Maria in Trastevere, dove è stato parroco per una ventina d’anni e dove trent’anni ebbe inizio la pregevole iniziativa del pranzo di Natale con i poveri di Roma. Pochi metri più in là, la sede internazionale della Comunità di Sant’Egidio.

In questo angolo nel cuore di Trastevere si intrecciano il passato, il presente e il futuro di monsignor Paglia: tanti ricordi ed ispirazioni per l’impegno pastorale attuale del quale il presule, a colloquio con ZENIT, ha tracciato le sfide più attuali. Con un occhio alle festività natalizie imminenti.

Eccellenza, quali sono le sfide di oggi per la famiglia, per la Chiesa e, quindi, anche per il dicastero da lei presieduto?

Mons. Paglia: Oggi ci troviamo di fronte a una singolare contraddizione: da una parte tutti i dati ci mostrano il bisogno di famiglia che emerge dal desiderio dei giovani. In paesi come l’Italia o la Francia, quasi l’80% dei giovani vuole metter su famiglia, vuole vivere con un solo uomo o con una sola donna per tutta la vita. La contraddizione è che questo desiderio è stroncato non appena spunta, perché c’è una cultura dominante che, di fatto, è opposta. E qui tocchiamo uno dei nodi cruciali della società contemporanea, almeno quella occidentale, che però non viene percepito: se la Genesi afferma: “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18), nella cultura contemporanea si dice che è bene che l’individuo sia “assoluto”, nel senso di ab solutus, sciolto da qualunque legame con Dio, con gli altri, con la famiglia. In effetti il relativismo e l’individualismo per affermarsi debbono anzitutto distruggere la famiglia in quanto è il primo antidoto alla solitudine. Per questo l’impegno della Chiesa – e in particolare del nostro dicastero – è, anche quello di risuscitare una nuova “cultura della famiglia”, perché la famiglia sia riportata al centro del dibattito politico, economico e culturale.

Quali sono le strade?

Mons. Paglia: La prima è eminentemente cristiana: le famiglie credenti devono testimoniare la fede e la bellezza della loro forza anche con tutti i problemi che ci sono. Ma le famiglie cristiane debbono anche portare la stabilità di un fondamento, l’indissolubilità di un rapporto, altrimenti la società stessa è fondata sulla sabbia. La seconda strada è di carattere più culturale: dobbiamo essere capaci di tradurre in cultura questa aspirazione. Significa che dobbiamo far comprendere la ragionevolezza, la forza e la bellezza della famiglia per l’intera società, non solo per la Chiesa. Questo richiede un impegno a tutto campo nel versante della cultura, dai mass media, ai dibattiti culturali, fino all’arte e all’impegno nelle sedi nazionali e internazionali, anche a livello legislativo.

Non è solo la Chiesa a portare avanti questa battaglia. Nella misura in cui vi sia una bella testimonianza e un’altezza culturale, certamente troveremo molti alleati, a partire dalle chiese cristiane, ortodosse in particolare, ma penso anche agli ebrei, ai musulmani, agli uomini di cultura. Guardiamo a cosa è accaduto in Francia: i vescovi stanno facendo una battaglia contro il matrimonio gay, da un lato ovvia ma di grande interesse, ricevendo l’appoggio del Gran Rabbino, della federazione luterana, di molti laici, di musulmani. Non stiamo trattando semplicemente una questione di fede ma uno dei pilastri della società.

Cosa rispondere, però, a coloro che dicono che “la famiglia è cambiata” o che ci sono “famiglie di varia natura”?

Mons. Paglia: Da un lato la famiglia viene indebolita, “picconata”, dall’altro c’è chi la vuole a tutti i costi. C’è anche chi rifiuta il matrimonio e va a convivere ma poi vorrebbe essere equiparato a un matrimonio de iure. Dobbiamo stare attenti a questa babele linguistica e ridare valore alle parole, perché il primo modo per distruggerci a vicenda è togliere senso alle parole. È vero che la famiglia nel corso dei secoli è cambiata. In molti aspetti, grazie a Dio, è cambiata in modo positivo: ad esempio non c’è dubbio che sia molto meglio che a scegliersi siano i due giovani e non i loro genitori. Con tutti i cambiamenti possibili, però, una famiglia rimarrà sempre composta da un uomo, una donna e dei figli, nonni e nipoti. Anche le case di 2000 anni fa erano diverse da oggi ma, nella sostanza erano sempre composte da quattro pareti e un tetto. La famiglia, in tutte le culture e a tutte le latitudini, ha una dimensione ben chiara. Ecco perché togliere questo fondamento o indebolirlo è come togliere le fondamenta alla socialità e alla società. Cicerone definiva la famiglia con le seguenti parole: “Principium urbis et quasi seminarium rei publicae”. Insomma, la famiglia è la prima piccola realtà, dove impariamo a convivere, dove impariamo come si diventa cittadini, è il luogo dove si apprende ad edificare la cosa pubblica o, se si vuole, a convivere tra diversi. È questa la ragione che rende saldi le città e gli stati, il concetto stesso di nazione. Ecco perché, se si distrugge la stabilità, la fedeltà, il poter confidare in questa piccola società, noi miniamo tutto ciò che sa di “noi”, per esaltare solo l’“io”. È chiaro che una casa non si può barattare con una colonna. Un mondo fatto di sole colonne è invivibile: se poi le colonne si muovono, sbattono una contro l’altra…

Qual è il prossimo appuntamento importante cui sta lavorando il Pontificio Consiglio per la Famiglia?

Mons. Paglia: Prima ancora dell’Incontro Mondiale delle Famiglie a Philadelphia nel 2015, ci sarà un incontro mondiale a Roma, il 26 e 27 ottobre, a conclusione dell’Anno della Famiglia. Si tratta di un pellegrinaggio delle famiglie alla tomba di Pietro per mostrare la gioia di essere famiglie credenti. Purtroppo, mentre la famiglia, con tutti i suoi limiti resta la vera risorsa della società, come economia, come stabilità, come rete di rapporti, il suo ruolo non è riconosciuto. La famiglia è sfruttata dalla società e bastonata dalla cultura. Vorrei che emergesse quello che la famiglia è ancora, nonostante la diminuzione della voglia di fare famiglia. Vorrei che genitori, figli, nonni, nipoti, invadessero Roma! In questo pellegrinaggio, vorrei che le famiglie dicessero a tutti: “non solo è possibile ma è anche bello e utile a tutti”.

Eccellenza, in un suo libro, intitolato In cerca dell’anima, Lei descriveva un paese, l’Italia, in grossa crisi di identità umana e spirituale. Questa “perdita dell’anima” è un problema anche mondiale? Il Natale può aiutarci a ritrovare l’anima perduta?

Mons. Paglia: È un mondo che rischia di perdere l’anima, perché pensa che l’anima sia solo il mercato, il conflitto, il prevalere sugli altri ma non l’amore. Ma l’anima che può rendere vivibile il mondo è solo l’amore, è solo quel Bambino piccolo, che viene al mondo, appunto perché tutti possano accogliere l’amore. In tal senso noi cristiani abbiamo un indispensabile compito: aiutare gli uomini di tutte le fedi e di tutte le culture a ritrovare l’anima.

Come può il Natale tornare a essere la festa della famiglia?

Mons. Paglia: C’è un semplice detto popolare che però ha un suo profondo senso: “Natale coi tuoi”. È come se, a Natale, anche a livello popolare, si sentisse il bisogno di stare in casa. Secondo me è molto profondo questo bisogno. A Natale vediamo che anche Gesù per nascere ha bisogno di una famiglia, anche Dio per salvare gli uomini ha bisogno di una famiglia e deve chiedere l’assenso di Maria e, attraverso l’angelo, anche di Giuseppe. In questo senso il Natale mostra la bellezza e la preziosità della famiglia per tutti. Penso a quei poveri pastori, perseguitati dalla società ebraica del tempo che furono i primi ad accorrere, trovando Maria, Giuseppe e il Bambino, quindi una famiglia – certamente singolare ma certamente famiglia. Per questo il mistero del Natale coinvolge in maniera diretta e molteplice le nostre famiglie. Ricordo da bambino, quando scrivevo la lettera da mettere sotto il piatto, ricordo l’allestimento del presepe che coinvolge tutta la famiglia, per avere dentro casa questo mistero, ricordo la bellezza della messa di mezzanotte che commuove tutti (e se quella notte nevica non rimaniamo a casa, siamo spinti ancor più ad andare!). Ecco perché il legame tra Gesù che nasce e la famiglia è uno degli aspetti più evidenti di questo mistero. Basti pensare al coinvolgimento degli artisti sul Natale: credo non ci sia poeta, pittore o scultore che non si sia confrontato con questo mistero.

In che modo la Sacra Famiglia di Nazareth è un modello per le famiglie di ogni tempo e luogo?

Mons. Paglia: “Venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua Madre custodiva tutti questi fatti nel suo cuore” (Lc 2,51). Queste righe del Vangelo di Luca descrivono trent’anni di Santa Famiglia. La famiglia di Nazareth è un grande esempio, tant’è che, l’icona che ha guidato l’evento di Milano e che ora custodiamo nel nostro dicastero è, appunto, l’icona della Santa Famiglia, il cui centro è Gesù. Non dobbiamo allora pensare che ogni famiglia debba tornare ad avere Gesù come centro ed ispiratore? Non dobbiamo augurarci che i genitori si preoccupino dei figli come Maria e Giuseppe? Certo, non una preoccupazione ossessiva: Gesù aveva la libertà di andare con i parenti, persino di “scomparire”. Allo stesso tempo come possono i genitori non riflettersi nel rapporto che avevano Giuseppe e Maria? Vediamo una delicatezza straordinaria di rapporti, un’attenzione reciproca unica, non perché fossero sempre d’accordo, anzi ci fu un momento piuttosto critico e Giuseppe ebbe bisogno dell’angelo. Non hanno bisogno di angeli anche le famiglie di oggi? Se la famiglia resta sola, è difficile che sopravviva. Anche noi abbiamo bisogno di angeli che ci aiutino, che ci spieghino e ci sollecitino a riscoprire l’affetto. L’amore è un arte non è un sentimento. Purtroppo oggi è scambiato come sentimento, quindi come tale “mobile”. L’amore è la nostra costruzione di una casa, l’amore è un progetto, l’amore è amicizia, è perdono, è costruire assieme un sogno che permanga. Lo è anche la famiglia di Nazareth, sia pure in maniera non organica.

In qualità di parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere, Lei è stato, assieme alla Comunità di Sant’Egidio, l’ideatore del pranzo di Natale con i poveri. Dopo il suo ritorno a Roma, come presidente di un dicastero vaticano, questo Natale avrà occasione di tornarci?

Mons. Paglia: Vi parteciperò anche perché quest’anno ricorre il trentesimo anniversario. Questo pranzo nacque dal bisogno di offrire un gesto “robusto” che esaltasse il cambiamento che avveniva nella storia con la nascita di Gesù. Questo cambiamento doveva avere un risvolto “familiare”. L’idea fu molto semplice: a Natale tutti vanno in famiglia, ma quelli che la famiglia non ce l’hanno, le persone sole, quelle che vivono per strada? Dove vanno? Ecco l’idea di aprire la basilica agli abbandonati, perché fossero loro la famiglia di Gesù. Insomma, una sorta di “presepe alla rovescia”: viene Gesù sulla terra e gli diamo una stalla; vengono i poveri e noi diamo loro una basilica. In tal senso questi trent’anni hanno mostrato la bellezza di un gesto come questo. Il pranzo di Natale con i poveri si fa ormai in tutto il mondo, con più di 130mila ospiti ogni anno, ed è colto in questa prospettiva. Ricordo quando San Francesco d’Assisi parlava del Natale, dicendo che era il giorno più bello e che anche i poveri devono gioire. Diceva: “Se dovessi parlare con il governatore di tutte le nazioni, farei spargere da mangiare in tutte le strade del mondo e in tutte le città, perché anche gli uccelli del cielo, anche gli animali gioiscano e mangino,  a partire dai più poveri”. Del resto Betlemme vuol dire “città del pane”. Ecco perché partecipare per quest’anno al pranzo di Natale, dopo trent’anni dalla nascita, è una conferma dell’importanza che il Natale non sia un giorno vuoto o magari solo pieno di lampadine per le strade ma non nel cuore. Ricordo un’anziana povera di Ostia, in uno dei nostri pranzi, seduta vicino a me. A un certo momento alzò lo sguardo, ammirando i mosaici di Santa Maria in Trastevere, il cassettonato in oro, le più di 400 persone in festa. Poi mi disse: “Don Vincenzo, oggi, quasi quasi, stiamo meglio noi del Papa…”.

Verbale del Consiglio Pastorale Parrocchiale Dicembre 2012

Comunità parrocchiale di S. Stefano e S. Zenone

Verbale n. 6 del Consiglio Pastorale Parrocchiale – Dicembre 2012

Il giorno 3 Dicembre 2012, alle ore 21.00, nei locali della Parrocchia di S. Stefano, si riunisce il Consiglio Pastorale Parrocchiale presieduto dal parroco Don Fabrizio Crotti, con il seguente ordine del giorno:

  • relazione sulla scheda 1 “Vattene dalla tua terra” una promessa che mette in cammino del sussidio Risvegliare la Fede. Sui passi di Abramo a cura di Sr. Assunta delle Paoline;

  • sintesi dei contenuti della relazione da presentare alla Comunità;

  • Varie ed eventuali.

Sono presenti i Signori: diacono Grassi Enrico, Lodi Federico, Monica Fabrizia, Meza Delcy, Moretti Maura, Mussini Elena, Ori Davide, Prandi Franco, Rossi Lorenzo, Ruci Albana, Ruozi Giuseppe, Serrone Giuseppe, Valeriani Alberto, Sr. Marilisa (Figlie di Gesù), Sr. Assunta (Paoline).

Varie ed eventuali

– Si sottolinea la necessità di dare rilievo alle riflessioni sul “Credo” di Don Daniele Gianotti,  inserite nel foglietto della S. Messa domenicale, per invitare i fedeli a leggere consapevolmente tali contributi riflettendo sulle tematiche proposte.

– Viene illustrato ai membri del Consiglio Pastorale il contenuto della locandina che verrà esposta in Chiesa sul quarto campeggio per famiglie organizzato dalla Parrocchia nel periodo 29 giugno-6 luglio 2013.

Riflessione sulla scheda 1 Vattene dalla tua terra” una promessa che mette in cammino(Genesi 11,27-12,19)

Dopo la recita del Padre Nostro, il Parroco lascia la parola a Sr. Assunta delle Paoline che illustra le riflessioni raccolte nella sua comunità circa la scheda 1 contenuta nel sussidio Risvegliare la Fede. Sui passi di Abramo.

La scheda è stata fornita a ogni sorella affinché ci riflettesse nei momenti di preghiera di una settimana; al termine della settimana, la domenica, dopo i Vespri, ognuna ha esposto le sue riflessioni.

I verbi che hanno maggiormente colpito le suore nella frase “Vattene dalla tua terra e vai in un paese che io ti mostrerò” sono stati il verbo “vattene” riferito ad Abramo e il verbo “mostrerò” riferito a Dio: questi verbi stanno infatti ad indicare che è Dio che sceglie per Abramo, come fa per noi (e in particolare per le suore) conducendoci verso un nuovo cammino fisico e interiore e la risposta a questa chiamata richiede piena fiducia nei suoi progetti e l’abbandono dei propri progetti. Le suore hanno fatto questa esperienza all’inizio della loro chiamata, ma ogni giorno è diverso dall’altro e rappresenta una nuova chiamata a vivere in pienezza con il Signore. Questo vale per ogni cristiano che non vuole offuscare la bellezza di essere di Cristo, anche se ciò comporta talvolta fatica. Nello specifico Dio ha chiamato le suore alla vita paolina, ma la chiamata è anche universale e vale per tutti i credenti in forza del Battesimo. La chiamata è motivo di gioia perché è voluta da  Dio, che è paziente nei nostri confronti, ma è anche fatica perché Dio ci chiede di lasciare la nostra terra (per le suore la casa e la famiglia) per la missione “che io ti mostrerò”, cioè di lasciare il certo per l’incerto. Questa risposta richiede dunque fiducia e abbandono e anche dinamismo interiore, nutrito di Parola ed Eucarestia, che diventa operativo e quotidiano nella testimonianza e nell’evangelizzazione che rendono nuovo ogni giorno. La testimonianza nell’evangelizzazione deve avvenire per ciascuno secondo la propria chiamata, uomini e donne a parità pur nella diversità, disposti come Abramo e Sara a spostare la propria “tenda interiore” accogliendo Dio, gli eventi quotidiani, personali, famigliari, comunitari, etc.

Questo richiede anche capacità di ascolto e disponibilità a servire nella gratuità, ma nello stesso tempo ci dona la certezza, visto che come cristiani sappiamo che è Dio che conduce per primo la nostra vita. Questo è importante soprattutto nei momenti di sfida, perché le sfide per vivere nel mondo di oggi sono tante: per esempio la mancanza di veri valori, il non senso di molte cose, la voglia di agi e comodità, la difficoltà a rinunciare alle idee che non seguono il Vangelo. Oggi prima vogliamo vedere e sapere e poi, se ci fa comodo, agiamo. È importante accogliere le persone, che sono tante e diverse per etnia, cultura, esperienza. Questo spesso ci può costare fatica, ma se guardiamo l’altro con gli occhi di Dio, accoglierlo diviene un arricchimento. La “chiamata” e la “missione” sono grandi, ma Dio è dalla nostra parte, perciò, con la preghiera vitale e con l’aiuto reciproco si può fare bene il cammino d’Avvento per accogliere il Signore che viene e iniziare al meglio il nuovo Anno Liturgico.

In conclusione  oggi c’è tanto da vivere, da fare vivere e da testimoniare con la nostra persona e con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, anche con quelli legati alle nuove tecnologie, attraverso cui possiamo trasmettere i valori umani e cristiani in tutto il mondo, come fanno le Paoline con il proprio sito.

Al termine dell’intervento gli altri membri del Consiglio pastorale commentano riportando le proprie riflessioni:

  • Elena Mussini sottolinea la difficoltà per un laico a individuare la propria chiamata e a seguirla, in un mondo ostile ai valori cristiani, dove spesso ci si sente abbandonati. Sr. Assunta risponde che anche le suore hanno bisogno di tanti aiuti spirituali e si ritagliano quotidianamente almeno un’ora di adorazione eucaristica per favorire la preghiera e la meditazione. La donna laica ha la sua prima vocazione in famiglia e a quella chiamata è tenuta a rispondere.

  • Federico Lodi sottolinea come la chiamata ad abbandonare le proprie abitudini e comodità giunta ad Abramo in tarda età lo colpisca molto. Oggi questa chiamata, in un mondo abitudinario e pieno di agi, è difficile da riconoscere e ancora di più da seguire. In particolare si sofferma sull’ultima domanda della scheda: “cosa impedisce la nostra chiamata a un vero cammino di fede”? Ovvero si chiede come possiamo aprire le orecchie e il cuore, come ha fatto Abramo, per cogliere l’invito del Signore, perché nella vita quotidiana vorremmo certezze concrete a cui aggrapparci e fatichiamo a vivere nell’incertezza di qualcosa che dovrà realizzarsi in futuro.

  • Giuseppe Ruozi, meditando su questa scheda, si è chiesto cos’è per lui la fede e in quale promessa lui crede. La risposta è: nella promessa della vita eterna. Dio ha voluto avere bisogno di noi e ci ha creato e oggi ci parla attraverso il Vangelo, l’Eucarestia, i Santi, la Madonna, i Sacramenti. Gesù ci parla ancora e ai risultati della nostra chiamata ci pensa Lui, ma noi dobbiamo impegnarci a seguire il primo comandamento, cioè l’amore verso Dio, da cui deriva l’amore verso il prossimo. Noi siamo pellegrini nel mondo e il nostro cammino deve essere di pace e di amore, ma spesso non lo è. Il male esiste nel mondo, ma si può dare giustizia al male? Solo Dio dà giustizia agli atti malvagi. L’esistenza è un continuo trasformarsi: si trasformano i rapporti con le persone, si trasformano gli eventi, ma l’amore di Dio e del prossimo è un punto fermo. Come facciamo ad accettare i cambiamenti? Adottando come unità di misura l’amore che non cancella i dolori, ma aiuta ad accettarli; donandosi agli altri senza desiderare niente per noi, ma mettendosi a disposizione del prossimo.

  • Il diacono Enrico Grassi  contesta questo modo di procedere e di riflettere del Consiglio Pastorale, a suo parere assai poco produttivo.

  • Don Fabrizio ribatte che è compito del Consiglio Pastorale dare testimonianza e che queste riflessioni verranno trasmesse alla comunità e condivise con quanti vorranno farlo e non rimarranno un patrimonio per pochi. Aggiunge che noi, come Consiglio Pastorale, dobbiamo fare una riflessione seria a partire da queste schede, che offrono buone suggestioni e domande,  e giungere a una riflessione conclusiva, che poi pubblicheremo sul sito della Parrocchia.

Conclude dicendo che la vocazione cristiana è alla fede, al Battesimo, alla famiglia, poi, in espressioni particolari, al servizio della Chiesa. Laici e consacrati sono cristiani allo stesso modo e ognuno ha un proprio modo per rispondere alla chiamata.

Riflette inoltre sull’annuncio del Vangelo, che viene dato a chi ascolta, il quale ascolta la Parola di Dio, non del Parroco o del Vescovo, che sono solo un tramite, perché al centro sta la Parola di Dio, che viene proclamata dall’ambone ufficialmente.

  • Alberto Valeriani riflette su come la difficoltà di testimoniare la fede accomuni laici e consacrati, perché il mondo è difficile per tutti. La nostra vita deve essere vissuta nel donarsi, cioè guardare agli altri più che a se stessi, l’importante  è vivere nella prospettiva dell’amore e della fede verso Dio e verso il prossimo. L’importante è non essere ipocriti, cioè non confondersi, camuffarsi, avere paura di testimoniare. Noi non dobbiamo negare la nostra appartenenza.

  • Delcy Meza aggiunge infine che nella riflessione sulla Casa di accoglienza di via Guasco viene in mente il passo di Abramo, dal momento che anche lei, scegliendo di coordinare la casa come responsabile, ha risposto a una chiamata e sottolinea la ricchezza della nostra comunità nel rispondere all’esigenze dell’altro, soprattutto dei bisognosi.

Comunica inoltre che ora la sua chiamata la porta ad affrontare un viaggio verso Israele e che la Casa sarà pertanto chiusa dal 22 dicembre al 4 gennaio, dal momento che i volontari non se la sentono di gestire l’accoglienza in assenza dei responsabili.

Il Consiglio Pastorale si riunirà nuovamente martedì 8 gennaio 2013 alle ore 21; la relazione sulla scheda 2 è affidata a Fabrizia Monica e Maura Moretti.

Non restando altri argomenti di cui discutere, dopo la preghiera di gloria e ringraziamento al Signore, la seduta è tolta alle ore 22.35.

Il presidente

Don Fabrizio Crotti

Il segretario  Elena Mussini