Cent’anni fa la conversione di Chesterton

 Il mio nome è Lazzaro e sono vivo   QUO-173

«Il marchio della fede non è la tradizione: è la conversione. È il miracolo in virtù del quale gli uomini scoprono la verità nonostante la tradizione, e spesso troncando tutte le radici dell’umanità». Parole scritte da G.K.Chesterton, che forse oggi potrebbero sorprendere qualche lettore superficiale dello scrittore inglese, ma che dicono molto del genio di un autore tra i più acuti, divertenti e al tempo stesso controversi del Novecento.

L’intuizione sull’essenza della fede cattolica, colta nella conversione, è raccolta nel saggio The Catholic Church and Conversion, del 1926, quattro anni dopo quel 30 luglio 1922, un secolo fa, quando a Beaconsfield si compì la «cronaca di una conversione annunciata». Annunciata fin dall’inizio del secolo quando con i due saggi Eretici (1905) e soprattutto Ortodossia (1908) lo scrittore inglese aveva fatto capire che il suo percorso non era un vagabondare senza meta ma una scoperta di quella strada, ad un tempo nuova e antica («Il cattolicesimo è l’unica religione antica che sembra in grado di rimanere nuova») che lo avrebbe condotto circa venti anni dopo nel luogo, la Chiesa cattolica, «dove tutte le verità si danno appuntamento».

Questo “luogo” deve dunque essere davvero uno strano posto, una piazza o una casa eccentrica («Il centro della Chiesa non è la Chiesa», come ha osservato Papa Francesco che conosce lo spirito chestertoniano, e a volte lo cita alla lettera), comunque un luogo singolare, nel senso è uno ma al tempo stesso è “plurale”: «La Chiesa è una casa con cento porte, e nessun uomo vi entra mai con la stessa identica angolazione di un altro».

Qual è l’angolazione da cui è entrato Gilbert Keith Chesterton quel 30 luglio di cento anni fa? L’affermazione da cui siamo partiti può essere d’aiuto: c’è un miracolo per cui gli uomini, spesso gradualmente, però ad un certo punto scoprono la verità. Ogni uomo ha sete di verità, di conoscenza, una sete inestinguibile, che diventa curiosità, inquietudine, anche dramma, nel senso etimologico di azione, movimento. L’uomo asseconda questa sete e parte per la scoperta. Per Gilbert questo voleva dire allargare il suo sguardo e il suo pensiero; scrive sempre nel saggio del 1926 «Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo». E aggiunge, con parole che oggi suonano profetiche: «Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando anche noi siamo nel giusto. Quello che ci occorre è una religione che sia nel giusto quando noi abbiamo torto. Attualmente i problema non è se la religione ci consenta di essere liberi, bensì se la libertà ci consenta di essere religiosi». Anima inquieta e geniale, lo scrittore inglese vuole scoprire sempre più cose e si getta ingordo nel mare della verità, conscio che questo è il segno di essere uomini, uomini vivi, cioè assetati. L’alternativa è quando arriva “qualcosa” che spegne la sete in partenza e inaridisce la fonte: una forza negativa che potrebbe essere la pigrizia intellettuale, il cedere alla tentazione degli schemi mentali, venerando il proprio intelletto, le proprie idee, insomma l’ideologia. E quando Chesterton parla di scoprire la verità «nonostante la tradizione» sta dicendo che a volte questa nobile parola diventa il paludamento della propria pigrizia. Si potrebbe dire anche “accidia”, un vizio che Chesterton conobbe bene e nel quale cadde avviluppandosi in quella che oggi chiameremmo “depressione” che lo portò fin sulla soglia del suicidio. Lo ha colto bene un grande suo ammiratore, il poeta argentino Borges, quando descrive il suo percorso dal buio alla luce, grazie alla scoperta della poesia e della letteratura: «Chesterton visse nel corso degli anni intrisi di malinconia a cui si riferisce con la definizione fin de siecle. Da questo ineliminabile tedio venne salvato da Whitman e da Stevenson. Eppure qualcosa gli rimase attaccato addosso, rintracciabile nel suo gusto per l’orrido. Il più celebre dei suoi romanzi L’uomo che fu Giovedì, ha come sottotitolo Un incubo. Avrebbe potuto essere Poe o magari un Kafka; lui comunque preferì — e gli siamo grati della scelta — essere Chesterton (…) coraggiosamente optò per la felicità o finse di averla trovata. Dalla fede anglicana passò a quella cattolica, che, secondo lui, è basata sul buon senso. Arguì che la stranezza di tale fede si attaglia alla stranezza dell’universo, come la strana forma di una chiave si adatta perfettamente alla strana forma di una serratura. In Inghilterra il cattolicesimo di Chesterton ne ha pregiudicato la fama, poiché la gente persiste nel ridurlo a un mero propagandista cattolico. Innegabilmente lo fu, ma fu anche un uomo di genio, un gran prosatore e un grande poeta (…). La letteratura è una delle forme della felicità; forse nessun scrittore mi ha dato tante ore felici come Chesterton».

L’angolazione, la “crepa” da cui il romanziere entra nella Chiesa è quella dell’inquietudine, che assume il paradossale volto di una gioia che scorre più profondamente della noia e scaturisce dalla gratitudine per la scoperta e la sorpresa davanti a quel miracolo che è la vita.

Pochi giorni dopo la sua morte, avvenuta il 14 giugno 1936, così lo ricordava Mircea Eliade: «La letteratura inglese ha perso il più importante saggista contemporaneo, e il mondo cristiano uno dei suoi più preziosi apologeti. L’Inghilterra è più triste e smarrita dopo la scomparsa di G.K. Chesterton. Le eresie moderne potranno diffondersi liberamente. Non ci sarà più la penna pungente di G. K. C. ad aspettarle. Non troveranno più l’avversario inarrivabile nella controversia, la sua sana intelligenza e il suo disarmante ottimismo. The Laughingh philosopher è stato chiamato. Il filosofo che ride. Ride perché è sfuggito al marchio della stupidità pretenziosa, perché ha smascherato l’immane stoltezza e l’insincerità che si celano dietro le eresie e le filosofie popolari. Ma ride al tempo stesso perché la vita è un romanzo sentimentale, perché il miracolo si compie senza sosta attorno a noi, perché la salvezza è certa… Innocenzo Smith ci fa vedere benissimo che abbiamo perduto il senso del meraviglioso proprio perché lo cerchiamo, invece di vedere che è in mezzo a noi. Cerchiamo il miracoloso ed il romantico, come cerchiamo la felicità, l’amore perfetto e la saggezza, senza accorgerci che sono intorno a noi, in attesa che li vediamo».

In quegli stessi giorni anche il Papa, Pio XI , lo ricordò nominandolo defensor fidei e un po’ tutti i successivi romani pontefici si intrattennero con le sapide pagine del “filosofo che ride”. Nella seconda pagina de «L’Osservatore Romano» del 24 settembre 1922, nel celebrare la conversione al cattolicesimo avvenuta il 30 luglio di quell’anno, compare un articolo firmato da Enrico Furst con il titolo grande e semplicissimo di Chesterton che indica quanto questo autore, oggi un po’ sbiadito nella memoria dei lettori, fosse all’epoca un vero monumento, un intellettuale imponente (e ingombrante) di cui tutti più o meno erano costretti a occuparsi. Il trauma che visse l’Inghilterra fu notevole e anche per lo scrittore non fu un passo semplice da compiere, al punto che l’autore dell’articolo sul nostro quotidiano si sente quasi in dovere di chiuderlo con queste parole: «Però anche da questo lato egli ha motivo d’esser lieto se, perduta una nazione, in compenso ha guadagnato un mondo». Il giorno stesso in cui avvenne la conversione si celebrò il rito del battesimo e il corpulento scrittore inchinò il capo per ricevere l’acqua del sacramento, dopo di che compose e pronunciò questi versi pieni di grata letizia: «Dopo un momento che, / piegato il capo, / crollato il mondo, poi ritornò dritto, / uscii fuori (…) I saggi hanno cento mappe / che disegnano universi fitti come alberi, / scuotono la ragione con mille setacci / che accantonano la sabbia / e lasciano filtrare l’oro;/ per me tutto ciò vale meno della polvere / perché il mio nome è Lazzaro e sono vivo».

di ANDREA MONDA

Osservatore Romano

Cent’anni di Ernesto Balducci, il prete che in nome della pace decise di rompere con la Dc quando sul Vietnam si schierò con gli Usa

Cent’anni di Ernesto Balducci, il prete che in nome della pace decise di rompere con la Dc quando sul Vietnam si schierò con gli Usa

POLITICA
Cent’anni di Ernesto Balducci, il prete che in nome della pace decise di rompere con la Dc quando sul Vietnam si schierò con gli Usa
Cent’anni di Ernesto Balducci, il prete che in nome della pace decise di rompere con la Dc quando sul Vietnam si schierò con gli Usa
Sacerdote pacifista, sostenitore del disarmo, amico e collaboratore di La Pira, esiliato dalla Chiesa cattolica, in un’intervista disse: “Io sono stato fedele, più che alle istituzioni, alle coscienze che sono cresciute attorno a me”. Firenze lo ricorda con una serie di incontri. Tra gli ospiti Walter Veltroni, il teologo Vito Mancuso, il fondatore di Bose Enzo Bianchi e la storica Anna Foa

di Carlo Giorni | 8 APRILE 2022 in Il Fatto

Ai suoi amici più cari padre Ernesto Balducci amava confessare, lui che da buon maremmano aveva modi timidi e spicci, che la sua rottura con la Dc avvenne ai tempi della guerra in Vietnam, anni Sessanta. “Era una questione morale schierarsi dalla parte dei vietcong contro l’aggressione americana. Sulla pace e sui diritti non si può transigere e invece il partito cattolico si era schierato dalla parte degli Usa e della Nato. Inaccettabile per me”. La battaglia per la pace, il disarmo e i diritti è stato il filo rosso che ha intrecciato la vita di Ernesto Balducci, nato cent’anni fa, il 6 agosto, a Santa Fiora, un borgo in provincia di Grosseto, e morto, in un incidente stradale, il 25 aprile del 1992. “Io sono stato fedele, più che alle istituzioni, alle coscienze che sono cresciute attorno a me”, disse in un’intervista a Tomas Angeli per Rai Tre, poco tempo prima di morire. Una sorta di testamento spirituale.

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Promossa dalla fondazione “Ernesto Balducci” e dalla rivista Testimonianze si terrà, il 9 aprile a Palazzo Vecchio, a Firenze, l’inaugurazione degli eventi per il centenario del sacerdote pacifista alla presenza, tra gli altri, dei cardinali Paolo Lojudice e Giuseppe Betori, di Walter Veltroni e del teologo Vito Mancuso mentre nel pomeriggio si terrà una tavola rotonda su “Culture e religioni di fronte alla sfida dell’età planetaria” con Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, la storica Anna Foa e la sociologa e scrittrice Sumaya Abdel Qader, con letture di Paolo Hendel.

Figlio di una Maremma povera e aspra, come quella raccontata dallo scrittore Luciano Bianciardi, Balducci ha avuto il suo primo maestro in Manfredi, il fabbro ferraio di Santa Fiora, anarchico e anticlericale, che quando Ernesto, a dodici anni, decide di entrare in seminario nei padri scolopi, si raccomandò: “Bada ragazzo, non ti fare rovinare dai preti”. Trent’anni dopo, nell’estate 1964, dopo la condanna subita per aver difeso l’obiezione di coscienza e gli obiettori al servizio militare, tornato a Santa Fiora a pregare sulla tomba del babbo Luigi, un minatore, ad un certo punto Balducci incontrò il vecchio Manfredi che lo abbracciò dicendogli: “Bravo Ernesto, non ci sono riusciti”.

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Aneddoto che racconta l’attaccamento di padre Balducci alle sue radici maremmane, a quel mondo popolare di minatori, dal quale non si è mai staccato, e la sua collocazione laica e non clericale nella Chiesa, alla quale rimase comunque fedele, tenendo contatti amichevoli con molti vescovi e cardinali, a cominciare da papa Paolo VI. Laicità che Balducci riassume nell’Uomo planetario, uscito nel 1985, con una frase suggestiva, che ha avuto molta fortuna: “Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo”. Balducci chiude qui il cerchio della sua vita (non a caso nel 1986 esce Il cerchio che si chiude, libro intervista di Luciano Martini al prete scolopio). La consapevolezza di non essere che un uomo si ricollega per certi versi alla frase che il “maestro” Manfredi aveva appesa al gabinetto della sua officina: “Saranno grandi i papi, saran potenti i re, ma quando qui si seggono, sono tutti come me”.

Dopo aver attraversato nella sua vita diversi tempi, dagli anni in cui fu stretto collaboratore di Giorgio La Pira a quelli dell’esilio (nel 1959 fu mandato per punizione a Frascati) e del Concilio Vaticano II, fino alla rottura con la Dc e con la Chiesa ufficiale per ricercare, nella diaspora, un comune sentire con gli ultimi, i poveri. Non da cristiano o da comunista, ma semplicemente da uomo tra gli uomini. Come a suo modo gli aveva insegnato il fabbro Manfredi.

Oggi Domenica 15 Giugno alle ore 18 in Cattedrale Eucarestia per il centenario della fondazione della Famiglia Paolina. Ecco la locandina

Messa nel ricordo della Famiglia Paolina

Domenica 15 giugno, alle 18 in Cattedrale, il Vescovo presiede l’Eucarestia per il centenario della fondazione della Famiglia Paolina fondata da don Alberione

logo_centenario.famiglia.paolina

REGGIO EMILIA
15 Giugno 2014
Solenne celebrazione Eucaristica
Libreria: Reggio Emilia

Alle ore 18, presso la Chiesa Cattedrale di Santa Maria Assunta – Reggio Emilia –
Solenne celebrazione Eucaristica
la celebrazione è presieduta dal Vescovo
Sua Ecc.za Mons. Massimo Camisasca

Per ricordare il primo centenario 

della Fondazione della famiglia Paolina (1914-2014)

La Famiglia Paolina è profondamente legata alla Parrocchia di Santo Stefano (e alla città di Reggio Emilia con la Libreria in Centro) …. Invitiamo tutti i parrocchiani ad unirsi alle Suore… partecipando alla Celebrazione…

Info
Libreria Paoline
Via Emilia S. Stefano, 3/B
Tel. 0522.437620

Scarica: Locandina dell’incontro – Reggio Emilia 15 giugno 2014

Premio Paoline Comunicazione e Cultura 2014

Comunicazionemediasocial network. Ma anche incontroprossimitàperiferia e testimonianza. Sono queste alcune delle parole chiave che hanno caratterizzeranno la riflessione dell’incontro che l’Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi di Roma, il Centro Comunicazione e Cultura Paoline ONLUS e la Pontificia Università Lateranense, hanno organizzato il 22 maggio presso la sala convegni della Comunità di Sant’Egidio a Roma.

L’evento ha portato a riflettere sul tema del Messaggio per la 48ª Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali Comunicazione al Servizio di un’autentica cultura dell’incontro. Introdotti dal portavoce della Diocesi di Roma, don Walter Insero, la riflessione è stata caratterizzata dagli interventi dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Elisabetta Piqué,corrispondente in Italia del quotidiano argentino “La Nación” e di Giancarlo Maria Bregantini, Arcivescovo della Diocesi di Campobasso-Boiano. Ha moderato Massimiliano Padula, responsabile dell’Ufficio stampa della Pontificia Università Lateranense.

Come da tradizione, l’appuntamento è stato caratterizzato dal conferimento del Premio Paoline Comunicazione e Cultura 2014 proprio all’arcivescovo Bregantini per la sua missione pastorale che da sempre pone al centro il “farsi prossimo e l’attenzione agli umili”.

fonte: http://www.paoline.org/

Voglio Svegliare l’aurora…Centenario Giuseppe Dossetti 1913-2013. Oggi in Sinagoga Reggio Emilia presentazione libro

Domenica 27 Gennaio 2013 ore 16 

Sinagoga di Reggio Emilia, Via dell’Aquila

Dossetti_centenario

Nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della Memoria

Presentazione del volume alla presenza dell’autore Giambattista Zamperi

con Alberto Mandreoli e don Athos Righi

in collaborazione con comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia

(segnalazione web a cura di webmastersantostefano@simail.it – cell. 3207505116)

Zampieri Giambattista – Giuseppe Dossetti. La storia, la croce e la Shoah – >>> scheda libro online con 15% sconto

Giuseppe Dossetti. La storia, la croce e la Shoah Titolo Giuseppe Dossetti. La storia, la croce e la Shoah
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