Storia e fede. Agostino a Pavia. Vicissitudini di un simbolo del cristianesimo

Le reliquie del santo, portate a Cagliari nel VI secolo, furono acquistate da Liutprando nell’VIII secolo per dare lustro a Pavia capitale longobarda

Giovanni di Balduccio, Arca di Sant'Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia

Giovanni di Balduccio, Arca di Sant’Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia – WikiCommons

Franco Cardini, storico medievista, e Guido Oldani, poeta già candidato al Nobel, saranno i protagonisti dell’incontro “Pavia città di sant’Agostino. Dal doctor Gratiae a Liutprando” il 16 febbraio alle ore 17 presso la Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia. L’incontro sarà introdotto dal vescovo Corrado Sanguineti e coordinato da Giovanni Gazzaneo, responsabile di “Luoghi dell’Infinito”, mensile di arte e cultura di “Avvenire”, che propone a febbraio una monografia dedicata all’Italia longobarda e a Pavia capitale del regno. L’evento si colloca nel quadro delle celebrazioni per il tredicesimo centenario della traslazione del corpo del vescovo di Ippona, che vedono come principale promotore il Comitato Pavia città di Sant’Agostino, sorto a seguito del pellegrinaggio di Benedetto XVI alla tomba del santo nel 2007.

Facciamo un gioco. Identifichiamo tre personaggi di tutta la nostra storia ai quali – dovendo ridurci all’assolutamente essenziale- non potremmo comunque mai rinunziare. Primo: il più elegante e al tempo stesso il più profondo tra coloro che sono riusciti a esprimere l’essenza dell’esperienza umana, il Maestro indiscusso di Erasmo da Rotterdam, di Pascal e di Dostoevskij. Senza dubbio Aurelio Agostino. Secondo: colui che, scrivendo di se stesso senza mai perdere al tempo stesso una prospettiva universale, ha saputo indagare la nostra esperienza intima aprendo le porte all’introspezione d’Ignazio di Loyola, alla psicologia del profondo di Carl Gustav Jung e alla psicanalisi di Sigmund Freud. Ancora Aurelio Agostino. Terzo: il pensatore antico senza il quale sarebbe impensabile traghettare il platonismo nella fede cristiana e saper esprimere la Modernità al pari del Petrarca, di Goethe e di Heidegger. Sempre Aurelio Agostino. Era nato verso il 354 a Tagaste in Numidia, oggi Souk Ahras in Algeria: in quell’Africa settentrionale ch’era una delle aree più ricche e più colte di tutto l’impero, patria di Settimio Severo e di Apuleio. Autentico fondatore del genere letterario dell’autobiografia impregnata di valori introspettivi con le Confessiones, 13 libri redatti tra 397 e 401, egli fornì all’agiografia cristiana la chiave interpretativa del passaggio dalla gioventù avvolta nel turbine dei peccati carnali alla spiritualità cristiana attraverso la “porta stretta” della conversio. Accanto alle tentazioni dei sensi, era la passione filosofica a travolgerlo: innamorato di Platone, si lasciò avvincere dal fascino delle dottrine manichee impregnate di temi gnostici. Nacque da quelle sollecitazioni la sua intensa meditazione sul tema del libero arbitrio. Il 24 agosto del 410 Roma era caduta nelle mani dei Visigoti di Alarico e venne saccheggiata per tre giorni, mentre l’imperatore Onorio restava acquattato nella sua città di Ravenna, protetta dalle paludi padane. L’eco della profanazione del Caput mundi fu immenso, in tutto l’impero e fuori di esso. Si avvertì che un’epoca era finita. Agostino Si gettò nello studio e in oltre una dozzina di anni – tra 413 a 426 circa – espose il suo pensiero in un’altra, estrema opera monumen-tale, il De civitate Dei, composto di 22 libri. Frattanto le cose precipitavano. Tra 429 e 430 il popolo germanico dei Vandali era passato in Africa e lì stava conquistando tutta l’area appartenente alla pars Occidentis dell’impero. Agostino spirò nella sua Ippona il 28 agosto del 430, proprio mentre i barbari assediavano la città. Complesse e incerte le notizie relative alle reliquie del Doctor Gratiae: una testimonianza abbastanza attendibile ci è giunta attraverso Paolo Diacono che riecheggia Beda il Venerabile. Sembra dunque che nel 504 il re vandalo Trasamondo avesse esiliato i Sardegna san Fulgenzio di Ruspe e altri vescovi cattolici nordafricani: lì, a Cagliari, le reliquie del santo – che i vescovi avevano portato con loro – trovarono asilo in una cappella ipogea, sita ai giorni nostri in largo Carlo Felice, nel quartiere di Stampace. A tale luogo sacro si accede ancor oggi, attraverso una scala a chiocciola, dall’androne di palazzo Accardo. Sembra in effetti che l’ambiente che ospitò le reliquie fosse una grotta già usata in età romana e trasformata in cripta di una chiesa gotica elevata nel XV secolo appunto in onore di Agostino. Ma allora le ossa del santo vi erano già state prelevate da circa sette secoli. Durante l’VIII secolo il potere bizantino, che nell’isola tirrenica era stato ristabilito fino dal 534, era ormai scarsamente in grado di controllarla: tuttavia la sua flotta continuava a proteggerla, sia pure con grave sforzo e molta incertezza, dalle incursioni dei musulmani provenienti dall’Africa settentrionale. Sembra che sia stato il re longobardo Liutprando, evidentemente in cerca di sacri trofei con i quali illustrare la sua capitale di Pavia, a inviare a Cagliari nel 722-723 una delegazione con una forte somma in denaro per ottenere le reliquie di Agostino delle quali dispose la deposizione nella nuova, prestigiosa chiesa pavese di San Pietro in Ciel d’Oro. Di quella prima sepoltura mancano oggi le tracce: durante il XIV secolo essa fu comunque sostituita dalla mirabile arca in marmo candido, opera di maestri campionesi messa in opera a quel che pare attorno al 1360 nella sagrestia dell’Ordine degli eremitani agostiniani, luogo oggi scomparso. Di quella sistemazione dava notizia Francesco Petrarca in una lettera a Giovanni Boccaccio del 22 dicembre 1365 (raccolta ora nelle sue Seniles, V, 1). Dal 1739 l’arca è collocata nel presbiterio. Tra l’era delle riforme dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo e il Novecento il monumento e il contenitore delle reliquie subirono varie vicissitudini fino a tornare nel presbiterio, alle spalle dell’altar maggiore, dov’è auspicabile rimanga stabilmente.