Innocenzo III conferma la Regola francescana. L’opera fa parte del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi – archivio
avvenire
Ci si è spesso chiesti se e come la Regola di Francesco possa rappresentare un valido riferimento per la nostra vita di oggi, ottocento anni dopo la sua codificazione in Regola Bollata nel 1223. Ci si è chiesti se possiamo ancora considerarla una mappa esistenziale che orienta il nostro vivere, che ci permette di reperirci nell’ambiente politico e sociale nel quale abitiamo. Se addirittura possa ritenersi un testo adatto a indirizzare la nostra vita quotidiana, a sciogliere i dilemmi del nostro oggi. Interrogativi di questo genere rischiano, però, di essere inutili e anzi fuorvianti, se non si affronta per primo il quesito intorno all’intenzione del suo autore, Francesco.
È a lui che occorre rivolgere lo sguardo, per correggere precomprensioni e talvolta anche preconcetti che viziano l’interpretazione del testo. La vera questione infatti non riguarda tanto l’attualità della Regola quanto invece le aspettative che nutriamo nei suoi confronti. Cosa veramente ci attediamo da un tale documento? Un chiaro orientamento pratico? Indicazioni concrete e rassicuranti? Norme? Un metodo per gestire i dilemmi del potere o un percorso di liberazione da esso? Letture improprie, applicate alla Regola nei secoli successivi alla sua stesura, l’hanno infatti condannata alla sterilità, redendola cioè inabile ad accompagnare il cammino della fraternità per la quale era stata scritta.
E la causa principale di un tale travisamento si dimostra, non casualmente, il litigio scoppiato in una fraternità che avrebbe dovuto affrettare il passo sulle orme del Signore, mentre invece si era lasciata fermare, immobilizzata proprio dal fascino della disputa per la gestione del potere.
Era dunque la spartizione del potere a esigere che la legge sostituisse la Regola di vita; a imporre il ricorso a un codice normativo che fosse in grado di fissare limiti al dissenso, di arginare i danni dell’inimicizia.
Si era perciò cercato aiuto presso la corte pontificia di Clemente V, con la sua rinomata scuola giuridica. Fu l’impegno dei maestri avignonesi a trasformare la Regola in un regolamento, in un insieme di precetti, la cui efficacia coercitiva irreggimentasse la vita dei frati, allo scopo di scongiurare ogni possibile disordine.
Che la Regola non fosse un ricettario di prescrizioni che imbrigliano la vita, ma una propedeutica al Vangelo della sequela per una fraternità profetica del Regno, appare chiaro soltanto con la sollecitazione del Concilio Vaticano II a riscoprire l’intuizione delle origini, l’intenzione del fondatore. Superando finalmente la diffidenza nei confronti di una modernità attenta all’autenticità della tradizione, il rinnovamento conciliare fa tesoro dei risultati conseguiti da decenni di critica dei testi, di analisi storica delle fonti, interpretate nel loro contesto religioso, socio-culturale e politico.
Lo studio della Regola perviene così a farne affiorare i tratti originari, i lineamenti della vita che animava gli albori della fraternità, il suo orientamento evangelico, la sua dinamica missionaria. Non dunque un codice normativo, bensì il sapore di una vita che dà forma alla Regola: è proprio questa, in ultima analisi, l’attualità di un testo che il Concilio, appellandosi al metodo storico, ha restituito libero dall’imbrigliatura giuridica.
Francesco, certamente, era consapevole anche del valore normativo della Regola, quale strumento per soccorrere una fraternità fragile. La riteneva indubbiamente una bussola per navigare nei flutti del conflitto, del deragliamento disciplinare e anche del degrado morale.
Tuttavia, non avrebbe mai permesso che diventasse punto di riferimento assoluto, in sostituzione della legge somma del Vangelo. Non una legge che scava un fossato tra la vita e la Parola, ma un sostegno che permetta, nella stanchezza, di rimanere nei pressi del Vangelo, che impedisca lo sviamento totale, in attesa dell’avvento del Regno.
Invece, una legge che soppianta il Vangelo diventa contratto, tarpa le ali della libertà, impedendo il cammino della vita tracciato dalle orme di Cristo.
È il Vangelo la Regola che mette in cammino Francesco: « All’istante, saltando di gioia, pieno di Spirito del Signore, esclamò: “Questo è ciò che io voglio, questo è ciò che io cerco, questo è ciò che nel più intimo del cuore io bramo di mettere in pratica” » ( 1Cel 22,3).
Il Vangelo diventa il suo stile di vita, la forma della sua vita. Alla Porziuncola, udito il Vangelo dell’invio dei discepoli – « Non procuratevi né oro né argento, […] né due tuniche, né sandali, né bastone » ( Mt 10,7-12) –, il figlio di Pietro di Bernardone si affretta infatti a cambiare la forma stessa dell’abito, che non è solo un vestito: « Fissando nella memoria quelle direttive, s’impegnò ad eseguirle lietamente. […] Si confezionò una tonaca misera e grossolana e in luogo della cinghia di pelle strinse ai fianchi una corda» ( 3Comp 25,4).
Il cammino della fraternità trova però impulso soltanto successivamente: solo quando Francesco consulta il Vangelo non una volta, non due, ma tre e soprattutto lo ascolta non più da solo ma con i suoi primi due compagni, Bernardo e Pietro. È infatti il Vangelo della sequela: «Va’ vendi quello che hai […] vieni, e seguimi » (Mt 19,21); « Non prendete nulla per il viaggio» ( Lc 9,3); «Se qualcuno vuol venire dietro a me […] prenda la sua croce e mi segua» ( Mt 16,24) (cfr. 1Cel 24,5-8; AnPer 11,3; 3Comp 28,6-29).
Francesco allora esclama: « Fratelli, ecco la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi» ( 3Comp 29,8). Questi brani del Vangelo, uniti a quello ascoltato da Francesco alla Porziuncola, indicano alla prima fraternità la direzione del cammino e costituiscono il punto di riferimento costante del suo itinerario. Dopo che il Vangelo aveva messo in movimento la vita, sarà la vita stessa a premere per un nuovo passo. Si renderà necessaria la scrittura, della quale Francesco non rifiuta la paternità, ma riconosce nel contempo che l’iniziativa appartiene solo a Dio, colui che solo convoca la fraternità.
Giuseppe Buffon è professore ordinario di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Antonianum
E a Bologna cento voci per il Festival francescano
«Sogno, regole, vita» è il tema della XV edizione del Festival francescano in programma da domani al 24 settembre a Bologna e che celebra gli 800 anni della Regola di san Francesco (1223/2023), con un convegno e un percorso di incontri. Oltre 100 le voci del nostro tempo in Piazza Maggiore. Tra i protagonisti lo scrittore e drammaturgo Éric-Emmanuel Schmitt in dialogo con il cardinale Matteo Zuppi che sarà protagonista anche dell’incontro con la giornalista Cecilia Sala.
E ancora, il medievista Jacques Dalarun, a lezione di disobbedienza con il filosofo francese Frédéric Gros, Paolo Crepet, Gherardo Colombo, Michela Marzano, Elena Granata, Giovanni Mori, il rapper e cantautore Ghemon in uno slalom fra musica e parole con il fondatore di Spinoza.it Stefano Andreoli. E ancora Romano Prodi, Agnese Pini, lo psichiatra Vittorino Andreoli in una inedita Lectura Dantis Franciscana, il poeta Franco Arminio, la cantautrice Ginevra Di Marco, la giornalista e neo-direttrice del Salone del Libro Annalena Benini.
Come detto però l’evento centrale sarà, sabato 23 settembre, alle 10.30 in Piazza Maggiore, la conversazione fra il cardinale Matteo Zuppi e il romanziere e drammaturgo Éric-Emmanuel Schmitt, autore de “La sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa” (e/o con Libreria Editrice Vaticana) diario di viaggio fra Betlemme, Nazareth, la Galilea, Gerusalemme, arricchito da una lettera inedita di papa Francesco.
Il libro (di cui Avvenire ha parlato con un’intervista all’autore lo scorso 5 settembre CLICCA QUI) schiude un vero e proprio itinerario tra i dubbi della ragione e le aperture della fede che quei luoghi suscitano: luoghi intensi e cosmopoliti, ritratti in presa diretta mentre l’autore approfondisce il suo viaggio spirituale iniziato con l’esperienza mistica nel deserto dello Hoggar descritta in “La notte di fuoco”, con le sue domande, le sue riflessioni e sensazioni, i suoi stupori fino alla sorpresa finale, a Gerusalemme, di un incredibile incontro con quello che chiama “l’incomprensibile”. Un percorso concluso a Roma, centro del cristianesimo, con un colloquio privato con papa Francesco. Condurrà il dialogo tra il cardinale arcivescovo Zuppi presidente della Cei e Schmitt la giornalista Annachiara Sacchi.
Tra gli altri appuntamenti, parleranno del sogno di un mondo del lavoro più umano, giusto ed equo don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro, e Guido Stratta, manager, responsabile del personale per Enel e fondatore dell’Accademia della gentilezza. Sempre sui temi del lavoro, ospite del Festival anche l’economista e saggista Luigino Bruni, per una “Critica della ragione manageriale e della consulenza”, che è anche sogno di una imprenditoria profondamente umana. Padre Giuseppe Buffon autore dell’articolo che apre questa pagina presenterà “La regola di san Francesco spiegata ai semplici” (Edizioni Terra Santa) di cui è autore domenica 24 settembre alle 11 presso Palazzo d’Accursio. (Red.Cath.)