San Francesco e l’invenzione del presepe

di: Angelo Angeloni – settimananews.it

libro Il presepe di san Francesco – Storia del Natale di Greccio [il Mulino, Bologna, 2023]

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Quando i seguaci di Francesco divennero numerosi, e mutò lo spirito di assoluta povertà che aveva unito i primi di essi, mutò la regola, e lo stesso Francesco non fu più seguito nelle decisioni pratiche di vita che mutava, egli, «come Cristo sul Monte degli Ulivi, inizia una lunga agonia spirituale; si ritira sempre più negli eremi, fugge la compagnia dei suoi fratelli, spesso ha per loro parole aspre e dure».

È «il periodo che i biografi definiscono della “grande tentazione”, tentazione di abbandonare tutto, di disinteressarsi completamente della comunità, forse di non avere più fiducia in Dio».1

Allora, sperimentò la solitudine tremenda del Getsemani. Era il 1223, tre anni prima della morte, e si era ritirato a Greccio.

Il presepe di Greccio
Ma chi aveva fatto della vita di Cristo l’esempio da seguire e del Vangelo la regola di vita, poteva sentire la delusione, non la disperazione. Così, volle rivivere un’altra notte, luminosa e gloriosa: la notte del Natale di Gesù, per ricordare il «fanciullo che è nato a Betlemme e vedere in ogni momento con gli occhi del corpo i disagi e le ristrettezze della sua nascita, come fu adagiato in una greppia e posto sul fieno tra il bue e l’asino».2

Chiamò un suo caro amico, affinché gli preparasse una mangiatoia (presepe) piena di fieno, un bue e un asino.

Su questo presepe altamente significativo si sofferma Chiara Frugoni nel bellissimo libro Il presepe di san Francesco – Storia del Natale di Greccio [il Mulino, Bologna, 2023], in cui analizza, servendosi anche di illustrazioni di affreschi e miniature, l’episodio di quel Natale descritto da Tommaso da Celano nella Vita del beato Francisco, con un’interpretazione davvero suggestiva.

Nel presepe di Greccio non c’è il bambinello, reale o raffigurato, come è in rappresentazioni già prima di questo; ma lo crea la forza oratoria della predica che Francesco fece quella notte, e che toccò il cuore degli astanti, a tal punto che uno di essi vide «giacere in una greppia un bimbo esamine, e il santo di Dio avvicinarglisi e quasi destarlo dal sonno».3

Questa visione – commenta Frugoni – «risarcisce il vuoto della mangiatoia» (p. 37). È la forza della riflessione che genera la visione. Questo voleva Francesco: che si meditasse sul Bambino posto nel cuore di tutti, così che, ovunque nel mondo si ripetono le condizioni di umiltà e povertà nelle quali nacque, tutti possano rivivere l’evento di allora.

E quando Cristo si porta nel cuore, non occorre visitare i luoghi della sua vita, perché essi diventano luoghi dell’anima. Così, nella nuova Betlemme di Greccio, Francesco ridestò il Cristo dimenticato in molti cuori.4 La Chiesa lo fa quotidianamente con l’eucaristia.

Il senso del Natale
Nell’eucaristia è il senso del Natale di Francesco che Chiara Frugoni analizza, partendo da ciò che Tommaso da Celano racconta; e cioè che «quando [Francesco] diceva Bethlehem belava come una pecora, riempiendosi tutta la bocca di quel suono, ma ancor più di tenerezza».5 Il riferimento alla pecora richiama l’agnello immolato.

Il presepe di Greccio, scarso di elementi ma di straordinaria ricchezza spirituale, offre allora una profonda simbologia eucaristica. Se, infatti, Betlemme è la «casa del pane», il Bambino che vi nasce è «il pane vivo disceso dal cielo»;6 e ogni chiesa è Betlemme, ogni altare un presepe: «un presepe eucaristico» (p. 39).

E «dove un tempo gli animali si sono pasciuti di fieno, là gli uomini del futuro per la salvezza dell’anima e del corpo mangino le carni dell’agnello immacolato e senza difetto, Gesù Cristo nostro Signore».7

In tre punti dello stesso capitolo (2,7.12.16) Luca ricorda la mangiatoia, perché essa è un segno, come la croce. E noi «non abbiamo alcun altro segno così grande ed evidente della nascita di Cristo, quanto il corpo e il sangue di lui che assumiamo quotidianamente al santo altare. E colui che nacque dalla Vergine, ogni giorno lo vediamo immolato per noi».8

In questo presepe eucaristico, i segni del primo sono nel secondo. Infatti, come Maria avvolse in fasce il bambino e lo pose nella mangiatoia, le pie donne lo avvolgeranno in un sudario e lo porranno nel sepolcro; e noi lo vediamo avvolto sotto le specie del pane e del vino, che ricordano il fieno. E come il fieno avrebbe guarito gli animali che lo mangiavano e le partorienti che se lo ponevano sul ventre, così guarisce il pane eucaristico.

Mangiatoia-sepolcro-eucaristia
Nella bellissima Icona della natività di Andrei Rublëv, la mangiatoia in cui è posto il bambino fasciato ha la forma d’un sepolcro. E nella Disputa del Sacramento di Raffaello, nei Musei Vaticani, l’ostia chiusa nell’ostensorio sopra l’altare, porta impressa una croce, perfettamente allineata verticalmente con la Trinità nella zona sovra celeste. La salvezza promessa da Dio nel Protovangelo del Genesi, inizia con il Natale di Gesù.

Nella notte santa, un esercito di angeli cantò la pace che il Bambino era venuto a portare agli uomini che la desiderano, e desiderano portarla dove ci sono guerre e odi.

La pace, è l’altro significato del presepe di Francesco, proprio quando imperversavano guerre e crociate, organizzate per strappare dalle mani degli infedeli i luoghi santi. Ma quale diversità con la volontà di Francesco! Le une usavano le armi, l’altro l’amore e la pace. I papi erano severi con chi non vi partecipasse; ma Francesco disobbedì alle direttive papali: non ne predicò una, né fece propaganda, né tanto meno vi partecipò. Il suo fu un «silenzioso e deciso rifiuto della violenza in nome di Dio» (p. 52). Egli anzi proibì tutte le armi, anche quelle della parola usata per convertire.

Andò anche lui in Oriente: non contro, ma tra gli infedeli. Voleva che si evitassero liti e controversie, e raccomandava solo l’esempio, che necessariamente nasce dalla fede che in esso risplende. Mai espresse un giudizio negativo, tanto meno insulti, sulla religione musulmana. Anzi, «rimase così colpito dalla preghiera dei muezzin che su quel ricordo fosse esemplata la preghiera dei cristiani quando lodavano Dio» (p. 63).

Nel suo messaggio di pace, il presepe di Francesco si oppone, quindi, alla crociata. Si comprende allora – dice Chiara Frugoni – perché «bisognava cancellare il messaggio della predica [di Natale], troppo disturbante per una Chiesa in armi, per un ordine che aveva approvato una nuova regola, la quale aveva di fatto abolito il rivoluzionario modo di Francesco di rapportarsi con chi credeva in un’altra religione» (p. 108).

La speranza
E il presepe cambiò: non si modellò più sulla vita di Tommaso da Celano, ma sulla Legenda maior di san Bonaventura, la sola biografia ufficiale. E Chiara Frugoni esamina puntualmente tale cambiamento, legato alle controversie interne all’ordine francescano.

Oggi in cui il presepe, abbellito di fronzoli, ha perduto tutto il suo significato spirituale, Francesco ci ricorda che ogni Natale è la nascita di Cristo nel cuore di quanti hanno dimenticato l’amore e la pace. È speranza di quanti vivono nel bisogno, lo stesso in cui si trovò la Sacra Famiglia.

Ci invita al rispetto delle altre fedi, perché anche in esse e nei loro libri c’è il nome di Dio, che tutti devono lodare e gloriare. Il comportamento che raccomandava ai fratelli, il solo degno di fede, chiedeva rispetto reciproco. Dichiarare di essere cristiani voleva dire (vuol dire) essere portatori di pace.

Tutto l’insegnamento di Francesco si comprende nella diversa visione di Dio rispetto ai suoi contemporanei che predicavano la guerra, mentre Dio è di tutti e creatore di tutto; ed è Dio di pace e di misericordia. Il bue e l’asino, simboleggianti ebrei e infedeli, sono intorno a lui nel presepe. Un messaggio che il Canticum creaturarum suggella poeticamente e devotamente.

1 Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi; Einaudi, Torino 1995; 111 ss.

2 Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, XXX, 84, 8; in Claudio Leonardi (a cura), La letteratura francescana – le vite antiche di san Francesco, vol. II; Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, Milano 2005, 163.

3 Ivi, XXX, 86, 7.

4 Ivi, XXX, 86, 8.

5 Ivi, XXX, 86, 4.

6 Gv 6,41.

7 Ivi, XXX, 87, 5.

8 Aelredo di Rievaulx, citato da Chiara Frugoni a p. 39.

Francesco d’Assisi. Sui passi del suo patrono l’Italia riscopra ciò che conta veramente

Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente siamo chiamati a dare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento». Furono anche queste parole a ispirare il patrono d’Italia, san Francesco, nella sua scelta estrema di povertà. Parole che oggi suonano come un invito a riscoprire ciò che è veramente essenziale in tutte le dimensioni dell’esistenza: sociale, politica, economica e spirituale. Certo la sua “conversione” agli occhi del mondo probabilmente appariva come follia, in realtà era espressione dell’infinita saggezza di Dio. Il santo Poverello era nato ad Assisi nel 1181 o 1182, in una famiglia di mercanti, conducendo una gioventù nel segno della mondanità. Nel 1203 visse però un’esperienza di malattia e prigionia che lo cambiò per sempre. La chiamata a «riparare la casa» di Cristo avvenne nella chiesa di San Damiano nel 1205. Era l’inizio di un’avventura spirituale le cui radici erano il Vangelo e la povertà, che sono ancora oggi le fondamenta della grande famiglia dei religiosi francescani. Francesco morì tra il 3 e il 4 ottobre 1226 presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Canonizzato da Gregorio IX il 16 luglio 1228, il 18 giugno 1939, assieme a santa Caterina da Siena, è stato proclamato patrono d’Italia da Pio XII.

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San Francesco. Storia. Otto secoli di «Regola» francescana, così il Concilio Vaticano II la riscoprì

Codificata nel 1223, san Francesco certo non voleva fosse solo un ricettario di prescrizioni, tantomeno una legge che soppianta il Vangelo, come fu pure interpretata. A Bologna il Festival francescano
Innocenzo III conferma la Regola francescana. L’opera fa parte del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi

Innocenzo III conferma la Regola francescana. L’opera fa parte del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi – archivio

avvenire

Ci si è spesso chiesti se e come la Regola di Francesco possa rappresentare un valido riferimento per la nostra vita di oggi, ottocento anni dopo la sua codificazione in Regola Bollata nel 1223. Ci si è chiesti se possiamo ancora considerarla una mappa esistenziale che orienta il nostro vivere, che ci permette di reperirci nell’ambiente politico e sociale nel quale abitiamo. Se addirittura possa ritenersi un testo adatto a indirizzare la nostra vita quotidiana, a sciogliere i dilemmi del nostro oggi. Interrogativi di questo genere rischiano, però, di essere inutili e anzi fuorvianti, se non si affronta per primo il quesito intorno all’intenzione del suo autore, Francesco.

È a lui che occorre rivolgere lo sguardo, per correggere precomprensioni e talvolta anche preconcetti che viziano l’interpretazione del testo. La vera questione infatti non riguarda tanto l’attualità della Regola quanto invece le aspettative che nutriamo nei suoi confronti. Cosa veramente ci attediamo da un tale documento? Un chiaro orientamento pratico? Indicazioni concrete e rassicuranti? Norme? Un metodo per gestire i dilemmi del potere o un percorso di liberazione da esso? Letture improprie, applicate alla Regola nei secoli successivi alla sua stesura, l’hanno infatti condannata alla sterilità, redendola cioè inabile ad accompagnare il cammino della fraternità per la quale era stata scritta.

E la causa principale di un tale travisamento si dimostra, non casualmente, il litigio scoppiato in una fraternità che avrebbe dovuto affrettare il passo sulle orme del Signore, mentre invece si era lasciata fermare, immobilizzata proprio dal fascino della disputa per la gestione del potere.

Era dunque la spartizione del potere a esigere che la legge sostituisse la Regola di vita; a imporre il ricorso a un codice normativo che fosse in grado di fissare limiti al dissenso, di arginare i danni dell’inimicizia.

Si era perciò cercato aiuto presso la corte pontificia di Clemente V, con la sua rinomata scuola giuridica. Fu l’impegno dei maestri avignonesi a trasformare la Regola in un regolamento, in un insieme di precetti, la cui efficacia coercitiva irreggimentasse la vita dei frati, allo scopo di scongiurare ogni possibile disordine.

Che la Regola non fosse un ricettario di prescrizioni che imbrigliano la vita, ma una propedeutica al Vangelo della sequela per una fraternità profetica del Regno, appare chiaro soltanto con la sollecitazione del Concilio Vaticano II a riscoprire l’intuizione delle origini, l’intenzione del fondatore. Superando finalmente la diffidenza nei confronti di una modernità attenta all’autenticità della tradizione, il rinnovamento conciliare fa tesoro dei risultati conseguiti da decenni di critica dei testi, di analisi storica delle fonti, interpretate nel loro contesto religioso, socio-culturale e politico.

Lo studio della Regola perviene così a farne affiorare i tratti originari, i lineamenti della vita che animava gli albori della fraternità, il suo orientamento evangelico, la sua dinamica missionaria. Non dunque un codice normativo, bensì il sapore di una vita che dà forma alla Regola: è proprio questa, in ultima analisi, l’attualità di un testo che il Concilio, appellandosi al metodo storico, ha restituito libero dall’imbrigliatura giuridica.

Francesco, certamente, era consapevole anche del valore normativo della Regola, quale strumento per soccorrere una fraternità fragile. La riteneva indubbiamente una bussola per navigare nei flutti del conflitto, del deragliamento disciplinare e anche del degrado morale.

Tuttavia, non avrebbe mai permesso che diventasse punto di riferimento assoluto, in sostituzione della legge somma del Vangelo. Non una legge che scava un fossato tra la vita e la Parola, ma un sostegno che permetta, nella stanchezza, di rimanere nei pressi del Vangelo, che impedisca lo sviamento totale, in attesa dell’avvento del Regno.

Invece, una legge che soppianta il Vangelo diventa contratto, tarpa le ali della libertà, impedendo il cammino della vita tracciato dalle orme di Cristo.

È il Vangelo la Regola che mette in cammino Francesco: « All’istante, saltando di gioia, pieno di Spirito del Signore, esclamò: “Questo è ciò che io voglio, questo è ciò che io cerco, questo è ciò che nel più intimo del cuore io bramo di mettere in pratica” » ( 1Cel 22,3).

Il Vangelo diventa il suo stile di vita, la forma della sua vita. Alla Porziuncola, udito il Vangelo dell’invio dei discepoli – « Non procuratevi né oro né argento, […] né due tuniche, né sandali, né bastone » ( Mt 10,7-12) –, il figlio di Pietro di Bernardone si affretta infatti a cambiare la forma stessa dell’abito, che non è solo un vestito: « Fissando nella memoria quelle direttive, s’impegnò ad eseguirle lietamente. […] Si confezionò una tonaca misera e grossolana e in luogo della cinghia di pelle strinse ai fianchi una corda» ( 3Comp 25,4).

Il cammino della fraternità trova però impulso soltanto successivamente: solo quando Francesco consulta il Vangelo non una volta, non due, ma tre e soprattutto lo ascolta non più da solo ma con i suoi primi due compagni, Bernardo e Pietro. È infatti il Vangelo della sequela: «Va’ vendi quello che hai […] vieni, e seguimi » (Mt 19,21); « Non prendete nulla per il viaggio» ( Lc 9,3); «Se qualcuno vuol venire dietro a me […] prenda la sua croce e mi segua» ( Mt 16,24) (cfr. 1Cel 24,5-8; AnPer 11,3; 3Comp 28,6-29).

Francesco allora esclama: « Fratelli, ecco la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi» ( 3Comp 29,8). Questi brani del Vangelo, uniti a quello ascoltato da Francesco alla Porziuncola, indicano alla prima fraternità la direzione del cammino e costituiscono il punto di riferimento costante del suo itinerario. Dopo che il Vangelo aveva messo in movimento la vita, sarà la vita stessa a premere per un nuovo passo. Si renderà necessaria la scrittura, della quale Francesco non rifiuta la paternità, ma riconosce nel contempo che l’iniziativa appartiene solo a Dio, colui che solo convoca la fraternità.

Giuseppe Buffon è professore ordinario di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Antonianum

E a Bologna cento voci per il Festival francescano

«Sogno, regole, vita» è il tema della XV edizione del Festival francescano in programma da domani al 24 settembre a Bologna e che celebra gli 800 anni della Regola di san Francesco (1223/2023), con un convegno e un percorso di incontri. Oltre 100 le voci del nostro tempo in Piazza Maggiore. Tra i protagonisti lo scrittore e drammaturgo Éric-Emmanuel Schmitt in dialogo con il cardinale Matteo Zuppi che sarà protagonista anche dell’incontro con la giornalista Cecilia Sala.

E ancora, il medievista Jacques Dalarun, a lezione di disobbedienza con il filosofo francese Frédéric Gros, Paolo Crepet, Gherardo Colombo, Michela Marzano, Elena Granata, Giovanni Mori, il rapper e cantautore Ghemon in uno slalom fra musica e parole con il fondatore di Spinoza.it Stefano Andreoli. E ancora Romano Prodi, Agnese Pini, lo psichiatra Vittorino Andreoli in una inedita Lectura Dantis Franciscana, il poeta Franco Arminio, la cantautrice Ginevra Di Marco, la giornalista e neo-direttrice del Salone del Libro Annalena Benini.

Come detto però l’evento centrale sarà, sabato 23 settembre, alle 10.30 in Piazza Maggiore, la conversazione fra il cardinale Matteo Zuppi e il romanziere e drammaturgo Éric-Emmanuel Schmitt, autore de “La sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa” (e/o con Libreria Editrice Vaticana) diario di viaggio fra Betlemme, Nazareth, la Galilea, Gerusalemme, arricchito da una lettera inedita di papa Francesco.

Il libro (di cui Avvenire ha parlato con un’intervista all’autore lo scorso 5 settembre CLICCA QUI) schiude un vero e proprio itinerario tra i dubbi della ragione e le aperture della fede che quei luoghi suscitano: luoghi intensi e cosmopoliti, ritratti in presa diretta mentre l’autore approfondisce il suo viaggio spirituale iniziato con l’esperienza mistica nel deserto dello Hoggar descritta in “La notte di fuoco”, con le sue domande, le sue riflessioni e sensazioni, i suoi stupori fino alla sorpresa finale, a Gerusalemme, di un incredibile incontro con quello che chiama “l’incomprensibile”. Un percorso concluso a Roma, centro del cristianesimo, con un colloquio privato con papa Francesco. Condurrà il dialogo tra il cardinale arcivescovo Zuppi presidente della Cei e Schmitt la giornalista Annachiara Sacchi.

Tra gli altri appuntamenti, parleranno del sogno di un mondo del lavoro più umano, giusto ed equo don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro, e Guido Stratta, manager, responsabile del personale per Enel e fondatore dell’Accademia della gentilezza. Sempre sui temi del lavoro, ospite del Festival anche l’economista e saggista Luigino Bruni, per una “Critica della ragione manageriale e della consulenza”, che è anche sogno di una imprenditoria profondamente umana. Padre Giuseppe Buffon autore dell’articolo che apre questa pagina presenterà “La regola di san Francesco spiegata ai semplici” (Edizioni Terra Santa) di cui è autore domenica 24 settembre alle 11 presso Palazzo d’Accursio. (Red.Cath.)

Festa del Perdono di Assisi, celebrazioni 1 e 2 agosto nella chiesa dei Cappuccini di Reggio Emilia

San Francesco riceve le stimmate (mosaico, 1942) Chiesa di San Francesco

REGGIO EMILIA – Sarà celebrato con particolare solennità martedì 1 agosto e mercoledì 2 agosto nella chiesa cittadina dei Frati Cappuccini, in via Ferrari Bonini 6, la Festa del Perdono di Assisi.

Si tratta di un’indulgenza concessa il 2 agosto 1216 da papa Onorio III a tutti i fedeli dietro esplicita richiesta di San Francesco d’Assisi che mentre era in preghiera nella chiesa della Porziuncola ebbe una visione di Gesù e di Maria circondati da una schiera di angeli.

Gli fu chiesto quale grazia chiedesse per i peccatori – per i quali tanti aveva pregato: domandò che fosse concessa la remissione di tutte le colpe a coloro che confessati e pentiti avessero visitato la chiesetta della Porziuncola. L’indulgenza venne poi estesa dapprima a tutte le chiese francescane e poi alle parrocchiali.

La visione di San Francesco venne splendidamente rappresentata da Leonello Spada nella pala d’altare commissionatagli per il Tempio della Ghiara e purtroppo rapinata nel sec. XVIII dal rapace duca estense per la sua galleria in Modena.

Il padre superiore Lorenzo Volpe comunica che nella chiesa dei Cappuccini le Sante Messe saranno celebrate nella giornata di martedì 1 agosto alle ore 7,30, 18,30 e 20,30; mercoledì 2 agosto alle 7,30, 8,30, 9,30, 18,30.

La visita alla chiesa per ottenere l’indulgenza deve avvenire tra il mezzogiorno del 1 agosto e la sera del 2 agosto.

Nella due giornate saranno sempre disponibili i confessori per il sacramento della riconciliazione.

stampareggiana.it

4 Ottobre Francesco d’Assisi / Sui passi del suo patrono l’Italia riscopra ciò che conta veramente

Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente siamo chiamati a dare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento»

Furono anche queste parole a ispirare il patrono d’Italia, san Francesco, nella sua scelta estrema di povertà. Parole che oggi suonano come un invito a riscoprire ciò che è veramente essenziale in tutte le dimensioni dell’esistenza: sociale, politica, economica e spirituale. Certo la sua “conversione” agli occhi del mondo probabilmente appariva come follia, in realtà era espressione dell’infinita saggezza di Dio. Il santo Poverello era nato ad Assisi nel 1181 o 1182, in una famiglia di mercanti, conducendo una gioventù nel segno della mondanità. Nel 1203 visse però un’esperienza di malattia e prigionia che lo cambiò per sempre. La chiamata a «riparare la casa» di Cristo avvenne nella chiesa di San Damiano nel 1205. Era l’inizio di un’avventura spirituale le cui radici erano il Vangelo e la povertà, che sono ancora oggi le fondamenta della grande famiglia dei religiosi francescani. Francesco morì tra il 3 e il 4 ottobre 1226 presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Canonizzato da Gregorio IX il 16 luglio 1228, il 18 giugno 1939, assieme a santa Caterina da Siena, è stato proclamato patrono d’Italia da Pio XII.

Altri santi. San Petronio di Bologna, vescovo ( V sec.); beata Martina Vazquez Gordo, martire (1865-1936).

Letture. Romano. Gal 6,14-18; Sal 15; Mt 11,25-30.

Ambrosiano. Sof 2,3a-d;3,12-13a.16a-b.17a-b.20a-c; Sal 56 (57); Gal 6,14-18; Mt 11,25-30.

Bizantino. Ef 5,20-25; Lc 6,37-45.

A Madrid. La preghiera inedita di san Francesco, parla lo scopritore padre Horowski

Lo storico francescano presenta in modo dettagliato e «sufficientemente avvalorato» il senso di questo ritrovamento. La misericordia di Dio nell’incarnazione
Il testo della preghiera inedita di san Francesco

Il testo della preghiera inedita di san Francesco – .

Definisce il recente ritrovamento di una “preghiera” inedita attribuita al Poverello di Assisi, “scovata” nell’Archivio storico nazionale di Madrid (di cui abbiamo scritto a giugno LEGGI ndr), «una scoperta importante dal punto di vista religioso e storico». A parlare è il frate minore cappuccino Aleksander Horowski. Storico polacco e direttore della rivista Collectanea Franciscana, spiega la rilevanza del testo all’interno delle fonti francescane.

Ed è stato lo stesso religioso in un articolo a sua firma, apparso sulla pubblicazione scientifica Frate Francesco, rivista di cultura francescana, a presentare in modo dettagliato e «sufficientemente avvalorato» il senso di questa scoperta. Il saggio di padre Horowski si intitola «“Oratio composita”. Un’inedita preghiera di Francesco d’Assisi?». «La scoperta, o piuttosto la riscoperta di questo testo perché era stato individuato già nel 1974 e poi relegato tra gli scritti di dubbia paternità, senza essere stato pubblicato – racconta fra’ Aleksander –, ci fa capire soprattutto l’importanza della liturgia sia per la formazione culturale e teologica di Francesco, sia per il suo modo di pregare.

Secondo il santo, infatti, i testi liturgici (le antifone del breviario, le letture bibliche presenti nel Messale, le sequenze e gli inni) sono una fonte di ispirazione per comporre una preghiera personale e anche per pregare assieme agli altri. Lo stesso fenomeno si osserva, per esempio, nell’“Officio della Passione” che Francesco compilò per la prima fraternità e che anche santa Chiara d’Assisi recitava ogni giorno, avendolo imparato a memoria».

Agli occhi del cappuccino il rinvenimento del testo ha soprattutto il sapore di «qualcosa di emozionante perché di colpo siamo raggiunti dalla voce di Francesco che parla a noi di “pace”. Cosa ancora più preziosa nel contesto di oggi».

Con la mente il religioso ritorna al ritrovamento dai tratti così originali. «Stavo revisionando l’edizione latina del “Testamento” e della “Benedizione” di santa Chiara che si trovano, tra l’altro, nel codice L.1258 dell’Archivio storico nazionale di Madrid. Per questo motivo ho voluto vedere quali sono gli altri testi trasmessi da questo manoscritto. Così mi sono reso conto di questa preghiera che il copista attribuisce appunto a san Francesco, scrivendo: “Oratio composita a beato Francisco”.

Incuriosito, ho verificato che, dopo Kajetan Esser che nel 1976 dedicò alla valutazione dell’autenticità del testo una mezza pagina d’introduzione, nessun altro si è occupato più del problema. Ne ho fatto quindi la trascrizione scoprendo, a sorpresa, tantissime somiglianze stilistiche, lessicali e concettuali con altri scritti autentici di san Francesco».

Lo studioso – che è membro dell’Istituto storico dei cappuccini di Roma – si sofferma soprattutto sulla singolarità di questa nuova fonte francescana. «La preghiera si concentra sul mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio: Egli – come dice Francesco – “più di tutti ci dimostrò la misericordia, quando assunse la nostra natura nel suo santissimo tempio, sacratissimo ventre della Vergine”. Per il santo di Assisi, Dio è degno di lode sia nella sua gloria eterna, come “grande Re sopra tutti gli dèi”, sia nell’opera della nostra salvezza, come “Redentore e Salvatore”».

Fra’ Horowski – è questo si deduce anche dal saggio sul testo – non conosce il motivo che ha spinto il Poverello a lasciare ai posteri all’orazione “ritrovata”. «Non possediamo alcuna testimonianza esterna relativa a questa preghiera. Infatti, nessuna delle fonti biografiche o agiografiche ci dà notizie sulle circostanze nelle quali è nato il testo. Ci rimane – è la riflessione finale – solo l’analisi del suo contenuto. Possiamo dire che, come in una delle lettere nelle quali Francesco invita i destinatari alla venerazione dell’Eucaristia, anche qui egli condivide la sua esperienza con gli altri: amando Cristo incarnato, l’assisiate invita gli uomini, i santi, gli angeli e tutte le creature a lodarlo e benedirlo».