Iniziata 14 anni fa su impulso di Pietro Citati, si conclude col terzo volume l’opera curata da Francesco Zambon, che presenta la mistica cristiana da Lullo a Juan de a Cruz, Blake ed Emily Dickinson

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Il terzo volume della Mistica Cristiana, inaugurata quattordici anni fa su progetto di Francesco Zambon e «impulso» di Pietro Citati, conclude un’impresa di studio ed editoriale di profondo respiro, all’interno dei «Classici dello spirito» suggeriti da Citati. Quest’opera non ha pari per ampiezza di spazi e tempi e per la cura filologica. Quattro sono le sezioni del terzo libro – La mistica cristiana (Mondadori, I Meridiani, III volume, a cura di Francesco Zambon, pagine 1.622, euro 80) –: mistica iberica (spagnola, portoghese e catalana), la più cospicua, a cura di Pietro Taravacci; inglese e americana, di Gabriella Del Lungo Camiciotti; russa, di Adalberto Mainardi; svedese, di Francesca Maria Crasta. Nella mistica iberica, permeata d’influssi arabi e germanici, indelebile è la bellezza dei testi più famosi. Li ricordo: il Libro dell’Amico e l’Amato di Ramón Llull (Maiorca, 1232 ca-1315), breviario per ogni Folle d’Amore, dove l’uccello rifugiato nell’Amore risponde: « E chi può farmi cantare se non il Signore dell’amore, che ritiene un oltraggio il disamore?». Teresa di Gesù (1515-1582): «Senza vivere in me vivo,/ e così alta vita spero,/ che muoio perché non muoio». Juan de la Cruz (1542-1591) dal Cantico spirituale: «Svela la tua presenza,/ mi uccida la tua vista e lo splendore; / bada che l’afflizione/ d’amore non si cura/ se non con la presenza e la figura» […] Mio Amato, le montagne,/ le solitarie valli tutte boschi,/ le isole là stupende,/ i rivoli sonori,/ il sibilo dei venti innamorati». Se cito solo queste voci altissime, non intendo fare torto alle numerose altre di una configurazione tanto vasta quanto variegata, distinte per origine e appartenenza ai diversi ordini religiosi, tra cui non dovrei omettere Ignacio de Loyola, o non solo Lope de Vega e Quevedo, nei Secoli dell’Oro, ma pure un sorprendente Pedro Malón de [E]chaide, nel trascinante poema La conversión de la Madalena (1588). Penso anche al ricco Novecento, da María Zambrano e José Bergamín a José Ángel Valente a Clara Janés.

Colpisce la nostra sensibilità moderna l’ardore dei mistici più militanti nell’evangelizzazione: ad esempio la fiammeggiante intransigenza del domenicano Vicent Ferrer (1350-1419), gran predicatore, convertitore d’ebrei, responsabile degli editti più duri che ne precedettero la cacciata (1492): un Angelo dell’Apocalisse, raffigurato con il motto Timete Deum quia iam venit hora iudicii eius, tra san Rocco e san Sebastiano, protettori dalle pesti fisiche e metafisiche. Apre la sezione inglese Il sogno della Croce, una visione di potenza meravigliosa databile all’VIII secolo, che nella prima parziale versione fu incisa in runico sulla Croce di Ruthwell in Scozia. Testimonia la spiritualità della natura, d’influsso germanico e celtico. La Croce-Albero, trafitta di neri chiodi, coperta di rosso sangue e d’oro ingemmata come le croci barbariche, si ribella all’uccisione del Re Cristo, ne racconta il mistero della Passione e della Redenzione. Già tronco radiosissimo, non più patibolo, ma legno della gloria, la sua trasformazione d’ascesi è densissima di simboli, riferimenti scritturali e sensi teologici. Evoca le raffigurazioni musive delle absidi, come quella, menzionata, di Sant’Apollinare in Classe, a Ravenna. Una croce d’argento e una tavola con il Salvatore furono portati dai monaci di Gregorio Magno a re Ethelbert nel 597, racconta Beda, e l’immagine della croce si impresse fondendosi con le croci celtiche, ispirando le meditazioni sulla Passione e Resurrezione, sul Mistero Pasquale. Pensiamo ai bellissimi scritti di Richard Rolle, di Giuliana di Norwich, di Margery Kempe. Dopo il discrimine che segnò il sacrificio di Tommaso Moro nel conflitto con la Chiesa di Stato anglicana, il simbolo della Croce continuò a prevalere. Fu centro della tensione metafisica in John Donne, che sul letto di morte vi s’identifica, nel prezioso abbraccio del primo e dell’ultimo Adamo; in George Herbert, che si leva come le allodole a cantarne la vittoria in una poesia figurata in forma di Ali di Pasqua, culmine della serie dedicata alla Settimana Santa; e così in Richard Crashaw sulle ferite del Crocifisso, e in Nicholas Farrar, il fondatore della comunità di Little Gidding: tutti in antitesi al puritanesimo di Cromwell. Un secolo dopo, con lo sguardo volto all’America liberata, che non ha liberato gli schiavi, il genio di Blake conosce Swedenborg e Bohme, il Corpus Hermeticum, la Bhagavadgita, Berkeley e il pensiero vedantico. Anche di lì Blake guida alla « Divina Forma Umana», a «Gesù l’Immaginazione». In America Emerson assorbe la quintessenza dell’Europa, dei classici, restituisce l’afflato dell’affratellamento nel fuoco divino. Emily Dickinson vola sopra tutti: « Bussava il vento come un uomo stanco./ Io, padrona di casa,/ “Entra” gli dissi audace, ed entrò/ allora/ nella mia stanza/ un ospite veloce, senza piedi:/ dirgli di accomodarsi/ sarebbe stato assurdo/ come offrire/ una poltrona all’aria». In Russia si ammira san Silvano, pensando all’arte della “discesa” nel dar luce all’immagine vera, la preghiera del pittore d’icone, e l’assoluto dell’esicasmo, che Arsenij Troepol’skij risveglia dalla preghiera stessa. In Svezia, oltre a Brigida, morta vicino a Palazzo Farnese a Roma nel 1373, compare Swedenborg, geografo degli angeli, che vede la vita nell’altrove con gli occhi dei sensi, in una sorta di precisissimo sopra-sogno. Quando vediamo inseriti Eliot e Auden, notiamo che la loro scelta è conseguente a quanto Zambon annunciava concludendo l’Introduzione generale – Mistica e poesia: «La poesia metafisica degli ultimi due secoli appare per certi aspetti la vera erede della tradizione mistica occidentale, quella che ne rileva il testimone proprio nel momento del suo tramonto, tra fine Seicento e Settecento ». L’idea del tramonto, che piacque ad Heidegger, viene da Hölderlin: i poeti moderni vivono in epoca di “privazione” o “povertà”. Ma siamo sicuri che ciò sia del tutto vero? È davvero sufficiente uno spirito religioso unito alla poesia, per raggiungere la mistica?

avvenire.it

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